Luigi Speranza -- Grice e Bacchin: laragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’anypothetonhaploustaton -- overo, i fondamenti della filosofia del linguaggio – la scuoladi Belluno – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pelGruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Belluno).Filosofo veneto. Filosofo italiano. Belluno, Veneto. Grice:“I like Bacchin; as an Italian he is allows to speak pompously as we at Oxfordcannot! But he is basically saying the commonplace that ‘intersoggetivita’ hasa ‘dialectical dimension’ (interoggetivita come dimensione dialettica) in thesense that the ego (or ‘l’io’) presupposes the ‘altro’ (as he puts it: ‘a cui’)– therefore; it is a presupposition of the schema, as Collingwood would haveit, alla Cook Wilson – and thus only transcendentally justified. Bacchin hasnoted that the operator ~ is basic in that ‘inter-rogo’ invites a ‘risposta’whose ‘motivation’ may be ‘implicita’ – the ad-firmatum is motivated by thedomanda – which can be another dimanda: why do you think so? “Why do you askwhy I think so?” -- Bacchin is allaHeidegger and other phenomenologists, with the ‘essere’ versus appare on whichmy impicata in ‘Causal Theory of Perception’ depend (‘if A seems B, A is not B.Note that there is no way to express this implicata without a ~. It might be arguedthat it can express with some of the strokes or with some expression that wouldflout ‘be brief, rather than the simplest” – and which would involve, asParmenide has it, the idea of, precisely –altro’ (other than). Note thatBacchin equivocates on the ‘altro’ – in the dialectical dimension ofintersubjectivity he obviously means ‘tu,’ not ‘altro.’ In the negation orcontradiction (in dialectical terms) of an affirmation – which is involved inevery ‘dialogue’ that Bacchin calls ‘socratico’ or euristico rather thansofistico (based on equivocation) – the ‘altro’ is the other, A is not B,impying A is other than B (cf. my ‘Negation and Privation’). This does not needhave us multiply the sense of ‘ne,’ in old Roman!” -- Dopo aver conseguito lalaurea ottenne la libera docenza in filosofia. Insegna filosofia aPerugia, Lecce, e Padova. Membro della Società Filosofica Italiana. Cresciutonella scuola metafisica di Gentile, sviluppa una propria originalità diapproccio e di ricerca filosofica, che lo rendono difficilmente assimilabile aduna qualche corrente o famiglia filosofica se non quella della libera einesausta teoresi. A testimonianza dellaspecificità del suo approccio metafisico si può citare questa sua affermazione.V'è un senso metafisico che può andare perduto. Né basta parlare di metafisicae considerarsi metafisici per possederlo. La perdita del senso metafisico è anchetrionfo del condizionale e quindi dell'ipocrisia: "direi","avanzerei la proposta", "mi si passi l'espressione","vorrei che il lettore ricavasse l'impressione..'", "anche sesiamo, il lettore ed io, certo ioimmensamente piccoli", "a miosommesso avviso" e così via in un continuo spostare l'attenzione su di sée in un continuo, inutile, domandare scusa al lettore della propria scontata pochezza,rivelando che non è poi così scontata da non parlarne. Nudo e indifeso allapresenza della verità, il metafisico non lo può essere di meno di fronte agl’uomini,i qualidi certo- non sono la verità.Riferimento costante dell'incessante dialogo filosofico di B. E senz'altrol'attualismo gentiliano. Altre saggi: “Sule implicazioni teoretiche della struttura formale” (Roma, Sapi); “Originarietàe mediazione del discorso metafisico” (Roma, Sapi); Sull'autentico nelfilosofare” (Roma, Sapi); “L'originario come implesso esperienza-discorso”(Roma, Sapi); “Il concetto di meditazione e la teoremi del fondamento” (Roma,Sapi); “I fondamenti della filosofia del linguaggio” (Assisi); “L'immediato ela sua negazione, Perugia, Grafica); “Anypotheton” Saggio di filosofiateoretica” (Roma, Bulzoni); “Teoresi metafisica” (Padova, Nuova Vita); “Haploustaton”(Firenze, Arnaud); “La struttura teorematica del problema metafisico”; “Classicità e originarietà della metafisica,scritti scelti” (Milano, Angeli); “La metafisica agevola o impedisce l'unitàculturale europea?”in ‘Il contributo della cultura all'unità europea', Castellano,Edizioni scientifiche, Napoli); “L'attualismo in Gentile, in Annali, Roma,Fondazione Spirito. Informazioni biografiche reperibili anche in Bacchin,Haploustaton, Arnaud, Firenze, B., Teoresi metafisica, Berti, Ricordo di B.,Bollettino della Società Filosofica Italiana, Scilironi, Tra opposte ragioni:nota in ricordo di B. in Studia patavina: Rivista di scienze religiose. FilosofiaFilosofo Professore Belluno Rimini. Metafisica del principio. Si comincia dopoavere cominciato. L’innegabile è innegabilmente. Negare è escludereun’inclusione indebita. Non v’è limite del sapere. Il luogo del filosofare è ladomanda del luogo per filosofare. Ciò che v’è di originario nell’esperienza. Lafilosofia non ha oggetto e nessun oggetto si sottrae alla filosofia. Lariappropriazione metafisica. L’esperienza praticabile è conversione fattuale infatto. Funzione della parantesi nell’asserzione e l’aporia del dogmatico.L’autorità del dogmatico si presenta come critica di ogni autorità. L’idealedell’autorità è di essere indiscutibile. Autorità e intelletto si fronteggiano.Ciò che l’intelletto impone all’autorità è di essere ciò che pretende diessere. Il luogo della domanda è l’insufficienza di ciò che si presenta a ciòche, presentan- dosi, non è interamente. L’identità tra inevitabile enecessario è solo co- struita. Il senso in cui non si può domandare tutto. Ciòda cui dipendono le valutazioni del domandare. Il senso in cui non si può nondomandare tutto. Domandare tutto è negare di poter asserire. Paradigma deldottrinario in filosofia. Una richiesta che preceda la domanda di verità nonpuò essere vera. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere credendodi superarlo. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la stessaimpossibilità di oltrepassarlo. La costante esistenziale dell’esperienza e gliequivoci della sua valorazione. La domanda universale investe il linguaggiocome luogo della possibilità dell’errore. Digressione. La base del FILOLOGISMO infilosofia. Dell’ingenuità storiografica in filosofia. Le due direzionidell’ingenuità storiografica. L’equivoco storico in filosofia. Equivoco dicoscienza storica e conoscenza storica. Le storie della filosofia rendono lafilosofia accessibile al senso comune prefilosofico. L’ideale sistematico delprefilosofico si prolunga nella storiografia. Filosofare nonostante la storiadella filosofia. Inattualità teoretica dello storicismo. La nozione dogmaticadi storia. Il carattere fideistico della tradizione e il circolo delriconoscimento. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo eprogressismo. La ragione formale come unica ragione delle due figure. L’idealeimmanente del credere è coincidere con il vivere. La ragione. Indice. Indiceformale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti. Se ognifede è cosmica, ogni cosmo è creduto. La valenza sperimentale è già nellaprotomatematica, come si esemplifica in GALILEI (si veda). Il carattereipotetico di ogni riferimento assertorio all’esperienza. Il rischio erme- neuticoè considerare effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in GALILEI.Il senso in cui la scienza è alienazione. Ingenuità del ten- tativo di fondarescienza e filosofia sull’esperienza immediata. Il campo in cui si discute è ciòche intanto permane indiscusso. Credere di conoscere è non sapere di credere.Il rapporto tra intendere e pretendere è struttura del conoscere. Il rapportostrutturale di compreso e comprendente tra universi. Il rapporto di compreso ecomprendente è struttura del contenuto di osservazione. Costanti del progettod’esperienza e il vettore di interesse. Il progetto fondamentale e KANT Ilprogetto di filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritornoall’immediato, Controllabilità e statuto dell’individuale. Ambiguità delsapersi orientare nel mondo. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale.Progetto del conoscere come adeguazione progressiva. Il co- noscererappresentato come rappresentazione. Il presupporre è limite presuppostoall’operare. La scienza ignora di essere una fede. La scienza non può sapereciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui abbisogna. La considerazionepensante. La conoscenza scientifica ipotizza la realtà che le consente diipotizzare. Tentativo della distinzione tra ‘visione naturale’ e ‘visionescientifica’ del mondo. Esame della struttura del ‘punto di vista’ nellaconfigurazione dei sistemi di riferimento. Dopo l’intermezzo ludico, che cosasi intende per ‘considerazione logica’. La logica formale è il modo formale diconsiderare la logica. Il FORMALISMO DELLA LOGICA (cf. Grice, ‘Formalists andinformalists’). Il formalismo della logica è il nihilismo della verità. Laconciliazione tra storia mondana e filosofare non può avvenire nella storiamondana. Ciò che si presenta con la divisione pone la richiesta dellaconnessione. Il pensiero si affida al linguaggio per essere riconosciuto comeindipendente dal linguaggio. Si esemplifica con l’espressione hegeliana“movimento dell’essenza”. Si insiste con l’esemplificazione hegeliana. Ancoraesemplificazione hegeliana: la “cosa stessa” non può venire utilizzata. Ilsenso della cura–custodia. Il senso in cui il pensare penetra. Il pragmatico èfittiziamente teoretico. La verità mette in questione ogni discorso intorno allaverità. Il nesso tra tecnica logica e configurazione funzionale del concetto.La conoscenza scientifica considera astratto ciò che essa non può considerare.Rischio dell’equivoco tra mera domanda e domanda pura. L’imporsi della verità èl’asse delle pseudofilosofie. Volontà di coerenza e volontà di dominio.Coerenza è fedeltà alla logica di un sistema. Sistema ed esistenza. Esistenza echiarificazione. Esistenza e coscienza. Coscienza e punto di vista. Il punto divista fondamentale non è un punto di vista. La nozione comune di esistenza el’istituzione. Ciò che esiste non è assoluto. Differenza tra teoresi e teoria el’impossibilità di scegliere la teoresi. La teoresi, che non è teoria, apparein una qualche teoria. Poiché l’intero non può essere oggetto, nessun oggetto èintero. La scienza che escluda la filosofia diventa “filosofia dellanatura”. Il mondo della vita impone l’astrazione. La filosofia non vincola a sestessa le scienze. Ricorso alla formula. La “formula” e l’aporia del metodoideale. Il metodo di filosofare è filosofare, ossia domandare. Inevitabilitàdell’astratto. Necessità e cogenza. Il carattere divino della matematica èl’essenza matematica di Dio anche se GALILEI non lo vuole. L’ordine astratto siesemplifica in WOLFF, ma esso è la logica interna della formulazione delprincipio di non contraddizione. La “proposizione” è la figura minima delsistema, la forma del quale è l’equazione. L’ideale del conoscere esclude dalconoscere l’operare. Le condizioni del conoscere sono riconosciute nella loroindipendenza dal conoscere, nel conoscere di cui sono condizioni. La relazione,che è esperienza, non può essere relazione dell’esperienza con altro da essa.La conoscenza dell’incono- scibilità dello in sé è conoscenza in sé. L’astrattoè inevitabile, ma non necessario. Per dire con che cosa si comincia, sicomincia con la domanda intorno a come si comincia. Affermare la totalità èdimostrare che es- sa non può venire negata e, dunque, non abbisogna di venireaffermata. La condizione apriori è trovata analiticamente, perché ècontraddittorio che, nel no- stro conoscere, tutto derivi dall’esperienza.L’uso è unicamente empirico ed è riconosciuto trascendentalmente. L’analisi è lapresenza operante del “principio di non contraddizione”. La struttura sinteticadel giudizio è l’infinitezza dell’analisi. Il giudizio è domanda infinita divenire fondato. Tra esperienza e giudizio non sussiste rapporto, perchél’esperienza non può essere un giudicato. La prima forma di mediazione èl’immediatezza fenomenologica, o medialità. Il contessere infinito del dato nonè dato. Ogni ordinamento di oggetti è teorico. L’oggetto è pluralità dioggetti. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto. L’intuizioneastrae dal contessere infinito. Ciò che è dato per primo è risultato di unprocesso astrattivo: l’intuizione non è originaria. Differenza tra teorica deigiudizi e teoresi del giudizio. Impostazione. L’interpretazione empiricadell’oggetto “come tale” quale oggetto in generale: trascrizione generalizzatadegli oggetti. La sintesi precede ogni analisi e la condiziona. Il conoscerepresenta un duplice livello: quello del suo fungere che costituisce l’oggetto,quello della consapevolezza di tale fungere. Il conoscere muove dalla fiducianello essere in sé del conosciuto, con base esclusiva- mente pratica. Puòvenire formulata anche la contraddizione, dunque la forma proposizionale non èstruttura del giudicare. L’analisi come presenza dell’incontraddittorietàformulata come principio di non contraddizione. Un giudizio media la posizionedi altro giudizio: medialità posizionale o fenomenologica. Di volta in volta ungiudizio può valere come analitico o come sintetico. Si intende di sapere con necessità.Se v’è un modo empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo.KANT conosce analiticamente che la conoscenza umana è sintetica. Nessungiudizio matematico è conoscitivo. La ragione dell’aritmetica è un fatto,perché le risulta possibile ciò che le risulta fattibile. Le categorie. Indice.Indice trovate dall’analitica sono usate dalla stessa analitica. L’esperienza ècondizione del darsi delle sue condizioni. “Cosa” ha significato operativo. Iltempo è essenzialmente prassi. Spazio e tempo provengono dalla sintesidell’intelletto, ma operano nella sensibilità. L’oggettivazione dell’esperienzaè matematizzazione, di cui il trascendente è negazione. Il trascendentale è, manon appare. La sintesi è negazione di se stessa come negarsi reciproco dei suoitermini. Tempo e durata. La presenza fungente dell’apriori è analiticamentereperibile nel dato e non lo eccede. La differenza tra conoscere e sapere èconosciuta e saputa. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché èoggetto. Esemplificazione con KANT di ambiguità fra matematica e conoscenza. Ilconoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere.La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle suerappresentazioni. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io. Non vi puòessere una ragione pura. Teoresi e finitezza della ragione. Il senso teoreticodell’inconoscibilità dello “in sé” è quello dell’inoggettivabilità del vero. Laragione è strumentale per se stessa.Il carattere filosofico dellaricerca.Il carattere dialettico, o negatorio della filosofia.Ladialettica dell identico livello. La dia-letticità della filosofia e ilmomento analitico della filosofia del linguaggio. I limiti di validitàdell analisi nella filosofia del linguaggio. Limiti di validità evalore. Come è possibile una filosofia del linguaggio. Concettoditeoria e sua riduzione. La riduzione del concetto di teoria e la radicepragmatica dell intellettualismo. La nozione a-teoretica dello ingenerale come base della teoria. Riduzione del procedimento analitico all indeterminato, cioè al contraddittorio. Differenza ontologica tra ilcontraddittorio ed il negato. La dialetticità come impossibilità di unprocedimento analitico sulla totalità. La domanda totale e la totalitàdomandata. L intero della domanda totale e della totalità domandata. Laconversione dialettica della totalità domandata nella esclusività deldomandare. La domanda come riferirsi in atto alla risposta.Laproblematicità delladefinizione concettuale. L inter-soggettivitàcome dimensione dialettica. La struttura dialetticadell'implicazione. L'insignificanza teoretica del disaccordo. Lapreoccupazione di raggiungere un accordo effettivo è empirica e filosoficamenteingenua. Fittizietà del rapporto tra filosofia e senso comune. Lasuperfluità del problema delsolipsismo. Presenza e coscienza. Larealtà come pensiero si risolve nel pensiero come atto. La realizzazione.L'attualismo come attualismo puro. La realizzazione come negazione e comeposizione. L'attualismo monistico come naturalismo. La presenza pura. Lacoscienza della presenza pura. Il rapporto tra atto ed oggettivazione trapresenza e pre-sentificazione. Importo teoretico dell'espressione"Verum et esse convertuntur". La metaforicità intrinseca deliaparola. La "cosa stessa" come l'intero di se stessa. L identitàpensare-essere. Il riproporsi del pensiero su se stesso come originedella parola "cosa". La duplice funzione della parola"cosa". Le condizioni ad un indagine critica. L atto critico onegatorio come atto di pensiero nella coscienza. La ricerca del mezzologico adeguato e l interrogazione. I limiti teoretici delle asserzionicondizionate da interessi. La riduzione pretesa delsapere alpoteree il concetto a-teoretico diteoria. L'interpretazione matematicistica neisuoi limiti. La teoria come formulazione generale. La radicedell'interpretazione matematicistica. Le condizioni imposte dal concettod interpretazione. Il carattere teoretico del controllo sull esperienza.Lo spostamento del limite come essenziale alle determinazioni. Ladeterminazione come ritorno dell atto: totalità di definizione e totalità diesaustione. La totalità di definizione come "essenza". L'atteggiamento fondamentale umano operante nella definizione concettuale.Il modo indiretto dì dire l'essenza. Originarietà e mediazione nel discorsometafisico (Il "Tema"; Svolgimento delle indicazioni teoretiche del"Tema". L'originario come implesso esperienza-discorso.L'"Esperito" e l'"Esperienza integrale". Il significatodell'"Implesso"; Il senso dell'"Originarietà"dell'"Implesso". Il concetto di meditazione e la teoresi delfondamento (L'impostazione; La "sospensione" degli enti dall'essere).Giovanni Romano Bacchin. Keywords: anypotheton, haploustaton; ovvero, ifondamenti della filosofia del linguaggio, il discorso metafisico – a newdiscourse on metaphysics, from genesis to revelations, etymologia di‘autentico’, l’esperienza e il disscorso, implesso esperienza-discorso; anypotheton, haploustaton, anypothetonhypotheton, supponibile, insupponibile, haplloustaton, superlative di haplous,simplex, simplicior, simplicissum, simplicissmo, complesso, simplice/complesso,simpliccismo, simplicissimo, complessissimo, complesso proposizionale, semplicesub-proposizionale – implesso, analisi del concetto d’impicazione – senso esignificato – senso e segno – proposizione – funzione proposizionale –Whitehead. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacchin” – The Swimming-PoolLibrary. Bacchin.
LuigiSperanza -- Grice e Bacchio: il principe tra gl’accademici di Roma – filosofiaitaliana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, TheSwimming-Pool Library (Roma). Filosofoitaliano. A member of the Accademia. ANTONINO (si veda) attended his lectures.He was the adopted son of GAIO. Bacchio.
Luigi Speranza -- Grice e Bacci: laragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei bagni dei romani – lascuola di Sant’Elpidio A Mare – filosofia marchese -- filosofia italiana –Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Sant’Elpidio). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Sant’Elpidio a Mare, Fermo,Marche. Grice: “You’ve got to love Bacci; he was born in the Italian equivalentof Weston-super-Mare, and therefore, he dedicated his philosophy to swimming!” –Studia a Matelica, Siena, e Roma. Scrive “Del Tevere, della natura...”. Pubblicail “De Thermis”, un saggio sulle acque, la loro storia e le qualitàterapeutiche che venne accolto con entusiasmo. Dopo aver ottenuto la cattedra allaSapienza e l'iscrizione all'albo dei cittadini romani, e nominato Archiatrapontificio. I saggi “Delle acque albule di Tivoli”, “Delle acque acetose pressoRoma e delle acque d'Anticoli”, “Delle acque della terra bergamasca”, “Tabulasemplicim medicamentorum”, “De venenis et antidotis”, “Della gran bestia dettaalce e delle sue proprietà e virtù”; “Delle dodici pietre preziose della loroforza ed uso”, “L'Alicorno”. Il monumentale trattato “De naturali vinorumhistoria”, un compendio in sette libri su tutti i vini conosciuti. Tratta temirelativi alla vinificazione e conservazione dei vini; Consumo dei vini inrapporto alle condizioni di salute; Caratteristiche peculiari dei vini; Uso deivini nell'antichità classica, Vini delle varie parti d'Italia, Vini importati aRoma, Vini stranieri. Note DBI. B. la figura le opere, Atti della giornata distudi tenutasi a Sant'Elpidio. Crespi, B., in Dizionario biografico degl’italiani,Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. De Naturali Vinorum Historia DeVinis ItalEae et de Conuiuijs Antiquorum Libri VII B. I Traduzione del libro V nellaparte dedicata ai vini delle Marche, Brandozzi, Associazione culturale GiovaneEuropa, Filosofi italiani, Medici italiani Scrittori italiani Professore Sant'Elpidioa Mare Roma Enologi italiani. Inquo agitur de balneis artificialibus, penes instituta recæperit, hoc tempus nonesta deo compertum, nisi quantum legitur fuisse antiquissimum. Nam ex omnibusmonumentis quæad notitiam hominum peruenerunt, vetustissima huncritumlavationum, perinde necessarium ad communem vitam commemorant. Balnearum enimmentionem invenio non modo ante ROMANORUM IMPERIUM. Sed ante asiaticos etiam etchaldæos extitisse. Imòsii actatis, ante quam ulla extitisset literarum inventio,dicterija credamus; extat apud Pisandrum id circo calida balnea fuisse naturabal. cognominata Herculea, quod Minerva olim fesso Herculi calida parasset.Vel veterum et Galeni in Thermis primus la tascoengerit quodammodo adlauacra homines. Quippe ea necessitas, quæ uationumv a primordio rerummonstrauerat mortalibus ex agresti vita victum quærere, sus. Tecta construere, abæstu&frigoresetueri: eadem et fordesabluere, mun ditiæ quecultum monstrauit primoquidem quantum vitæ satisfaceret, donec paulatima liqua industria ad hibita,laffata corpora mollia quarum foturecrea reedocuit. Verum quando id inftitutumlocum aliquem in REPUBLICA HABE ROMANORUM, VANTA fuerit naturæ solertia incumulandisgratijs aquarum spontem anantium et quæ differentiæsinttùm simplicis Elementi,tùm consequentes ex misturi. Et quis vsus earumin balneis. Hactenus proeoacpotuimus explicauimus. Quis enim pro dignitate naturæ, speciales proprietates cunctarumaquarum sermonem consequi audeat? In his autem quæ ad thermarum vsumdicendarestant, sirectèquis thermarum ARTIFICIALIUM magisterial consi dignitas.deret, summum artis cum natura certamen videri poterit. Ut tnesciam anadeosciuerit natura elargiri mortalibus tota diumentorum materiam, torqueadeo divinædispositionis ostentare miracula inaquis. Quanto maiora funt, quæ ars addiditornamenta in Thermissuis. Præsertim fubila ROMANI IMPERII maiestate. In quarummonumentis, quæ ex eis partim videntur et partimle guntur apud varios authores,nons atis constat apud me vtra fuerit maior, an magnificentia operis ad illorumtemporum instituta, an commoditas popularis ad vtilitatem lauationum. Principiononeft dubium fi prima quasiin cunabula cæterarum rerum coniectemus, quin ipsavitæ, ac naturæ necessi quia quia eidem vt Athenæus est author vulcanus munerisvice feruida suppo fuisset. Et livera credimusre tulisse PLATONE tamspectatæ fapientiæauthorem, superat omnium seculorummemoriam, quam ipse traditexantiquissi mismonumentis, de Atlantica maxim a olim insula nunc Oceano ipso occupant aextramColumnas; quam Neptunimunere cùm omni delitiarum genere Thermarron clarssima,habuisse refert ipse etiam balneas quæ omni cultu ornatæ partim usus, quidemsub diuo paterent, partim verò subtecto calentia haberent lauacrahy Είμαζα,τ'έξιμοιρα, λοιπάτε θερμα,καιανα cus Sexcentis autem post Homerum annis, Hippocratesprimus medicinæ auderat. thor, Thermarum vsum curandarum ægritudinum causa,tanquam rei iam in Græcia communiter vsitate commemorat, ac damnauit aliqua.Floruitau tem ut ratio temporum habeatur natus primo octogesimæ Olympiadis utHippocrates Soranus tradidit circam Peloponnesia cum bellum: quod teste PLINIOgestu està tricentesi movrbis Roniæ anno ex actis anteà Regibusannoscircitersexa ginta, et Artaxerse Persarum Regemagnam Græciæ partem, etHellespontú occupante. Postquæ temporadum Græcia in dies Sapientiffimorumvirorú scriptis venirent illustrior, perpetua habemus de Balneis testimonia,Socratis, Platonis, Aristotelis, cæterorum quesuccessu temporumauthorum,qui& Aliam et Persiamnonfolùm Gręciam balnearum vsum habuissefamiliaremLaconesTber testantur. Laconesinter Græcos antiquiores, primamlaudem Thermarummarimiznitanquam suuminuentumsibivendicare videntur, Dioneauthore: ac abeistores. pofteà huncmorem reliquas nations didicisse. Quod confirmatpartiumnomina in Thermis Romanis, quæ omnes græcæ suntvoces, laconicum,Hypocauftum,Miliarium,& Thermæ ipfæ, nedicam cætera. Ex quibusconstat vsum Thermarumapud Romanos fuise posteriorem, aceasinæmulationem græcorumconstructastestanturMarcus Varroin librode antiquis nomini bus,& itemVitruuius.Veruntamensubila Romani imperij maiestate, sicut omnes artesfloruere, ac inuenta prius ab alijs meliora cuasére, vnde meri to Roma QUASIALTER A MVNDI PARENS dictaest: itaomnium maxi mè Thermarumi nftituta incredibiles,et supraquàm exprimivnquam pof sit, habuêre progressus,eatamen obliterataferèadhancætatem,necliteris mandata, multis forsanèdoctis hæc Melius scientibus. Quamobremnos, volentes ad noftrarum lauationum regulam, antiquum Thermarum vsumrcuocarein lucem; operæ precium eft Romanarum instituta prosequi:inqui bus quæprima ipsarum introducendarum ratio fuerit, quisordopartium,&quisvsus,& quæ tandem ineis medicinæ pars extiterit,percurremus. In Critia,berno tempore, atque feorsumaliaregibuspriuata,alia viris, aliamulieribus,aliaitem equis, cæterişúeiumentis. Posteris veròseculis pater OMERO,cuiusscriptisnullum constat apud Græcos testimonium antiquius,mul totiescalidaruin lauationum mentionem fecit. Præcipuè verò in Odysseæ lib. 8. vbi Poëtaomniumfermèrituum memoriadignorum obseruátissimus, Thermas indeliciis commemoratillisversibus. vic. Homeri lo Aid δωμϊνδαίς τεφίλη, κιθαρίςτε, χοροίτε,De affiduis primùm venatibus deditos, necminusagrestibus operibuseducatos, nonaliaferè industriatùm amplificandæ Reipublicę, tùmdefen dendæquùmopusfuit, præualuiffe, quàm quod durata iampacislaboribus corpora, facile quod cunquemilitiæ onus sustineredi dicerant. Inquo perce lebremhabemus QuintiumCincinnatum, abaratro ad dictaturam vocatum. Itemque C. Fabritium et CuriumDentatum, qui rure ac militiæ laudatissimi, omni Spicula contorquent, cursuque,ictuquelacescunt, Ab his ergo exercitijs, vt erant frequentes, harena,puluereque conspersi, ac fudoreprofusiatqueoleo,vtseminudi acexertisbrachijs, cruribusque,velliberos altemhabitu, quo degebant, vt effent admunia propriores, necessariolauationes pofcebant. Qua dere, dum adhuc nouitiavrbs inhis studijs Patrescampum Martium vicinum Tyberi, in quo iuventus post exercitium Lib. 1. c.10 armorum, ludorem, pulueremquedilueret, aclassitudinem, cursusquela borem natandodeponeret. Qui mos vtpaulatim èreipsa, et quasi nemine Lauationes instituentese in ciuitatemingessit quem ve plurimum soletese nouo rūrituum in Tyberi, introduction itatandemcrescente indiesiuuentute,armorumquefimulac exercitiorum affiduo studio, viamtamfrugiinstituti aperuit. Sanèin ciuile videri nobilem ciuitatem in luculentisAuminis aquis quotidie lauari; aclaua craid circo Asiaticorum, et Græcorummoreparandaesse, quæpostexercitia non ad munditiam facerentsolùm, verumetiamrecrearent, maiusque robur laffatis membrisadiungerent.Quod tamen propositum longissimèdistulêre: nonquideminscitia, aut vecordiatamgenerosæciuitatis, sedpropter Antevrbempueri, et priinęuofore iuventus. Exercenturequis, domitant que inpuluerecurrus. Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis ENEIDE LauationumDeprimis Thermarum institutis in vrbe Roma. Aris quidem constar Romanos illosQuirites,antiquosque Sabinos, satissuntexemplonobis, hæc fuisse illius seculi ftudia.Non pecuniapræua lere, non forma, nõambitiofo hominum comitatu, non stemmatis dignitate certare: fed totamviminproprijanimi excellentia,viribuscorporis,acexa etacura Rei pub. collocare.Feruebant honestælaudisemulatione ingenia, vt quosarma,& propria virtus adprim s ciuitatis honores euexerant, studio, ac laboreæ quarent. Quare vbimilitiæ in externosceffasset occasio, ROMANORUM quasi natiuo instinctu deditiad labores, autrurese agrestibus ex ercebant ope studia. ribus,autaddisciplinamac roburcorporis, ciuilibus,ijsquevarijs exercita mentisvtebantur: cursu, disco,faltu, lucta,& pugilatu,natatione, atque armis.Quem more man t è urbem conditam fuiffe quoue. APUD LATINO antiquissimum,planèilis versibusrepresentauit Vergilius. necessitas. 36 strenuè adolesceret,præclarum habemus Vegetij testimonium, constituisse gruentem,au&taquefpatio temporis, spectatæ vrbis infiniti masterras autho Aquaríper ducen.decreritate; deaquistandem èvicinis montibus, Auuijsquein vrbem perducen- tum. 1 vt egoreorpotissimas causas:Tùm quiaprimiili Patresnontamfrugifu turumolimhuncritumexistimauêre, quàm luxui, ac mollicieiforelenoci nium; id quod accidisse,posteà declarabitur. Deinde ob aquarum incom moditatem,quarum incolles, vbitunchabitabantdifficiliserat,&nonsine maximaimpensa,perductio. Verùmhoc laucitiædesideriovniuersimin dis,duas dis, decreto S. P. Q. R. publico ftatutum est: quæ et potuumfimul,& laua tionumritui suppeterent.Quod factum est primùm M. VALERIOMASSIMO P. De cio Mure Coss. (authore PLINIO aqua Tyberinarī Appia ex Tusculanoper ducta, Censore Appio Claudio curante. Aquibusté. porusdimif. poribus,Tyberinarum aquarum vsus,adeam vsque ætatem tàm potu, quá sus.lauacrofrequentiffimus, exolescerepaulatimincepit:aclauationum simul, atqueexercitationis gratia (ut tradit Festus Pompeius) Piscina publica ad cliPiscina Pub.uium Capitolinum iuxtà Tyberimest constituta.PofteàThermæconstructę. stitut& uationumduntaxat, conftitutæ fuerant, haudmagnumhabuêre progressum. Visicùm auctaciuitate, simul atque crescenteindiesineisiuuentutisapplau.fu; semper maiorisearum capacitates ratiofuit habenda.& præsertim vbimedicorum consensu incurationem quoque ægritudinum suscipicæperunt.Ve rum tamen postinitia diu ad modum consuetum fuitangustasfieri,actenebri cosas;nonenimcalidæ videbanturnisiobscuræ;quem admodum fcribit SENECA ad LUCILLO, fuissebalneum SCIPIONEAphricani ad Linternum. Causa verò amplificationis Thermarum præcipua, fuitPalæstrarum adiunctio. Quippe cùm apud Romanos veteres, ferèvfquead Augustum, nonadeomulta extiterit architecturæ dignitas, nec adeo fuerit consuetudinis Italicæ vtdesuotempores cripsit VITRUVIO et multoetiampost cum Palęstris Lavationeshabere coniunctas;contentus quisque ruralibus exercitationibus, Thermeadvel CampoipfoMartio,& harenaPlatearum;solasin Thermisobibantla exercitia cóuationes. Quo ritu ad imperium vsque Principum perseuerante (vnde planèstitute. constarepoteritThermas exercitiorum cauffa fuiffeinstructas vbicunquealiqua fierent publica edificia, ac populi celebritas,iuxtà constituebantur et Thermæ.Exemploprimùm Agrippæ clarissimo; qui ob celebritatem admira bilistempliPantheon,atque Campi Martij; iuxtà,Thermas suas extruxit. Sic NERONE posteà Neronianassuasiuxtà Agonalem circum, ob Ludos, qui ibi fiebant celebres,constituit.Necfecus authore Suetonio TitusVespasianus dedicato Amphitheatro, Thermasceleriterextruiiussit: nimirùm ad Amphi Palestrari theatri,& exercitiorum,quæineofiebant commoditatem. Donectandem cum Ther. Illustratacuni ImperijmaiestateArchitecturæ peritia, more Græcorum Palæ mis coniun-ftræcum Thermis fuêreconiunctæ, vbinimirùm generosa iuuentus,relictis iamruribus, atqueharenis, simul&exercitationes obirentomnisgeneris, ac lauarentur. Atque hinc non solum opera Thermarumfuerunt elegantiùsdi. sposita,atque admodum amplificata, sedtantam etiampromeruerunt o m niumgratiam, vttotaciuitas paulatim hancsusceperit consuetudinem,fre quentare singulis diebus Thermas, et tàm Senes, quàm consulares, atqueamplissimi ordinis viri, nec non artifices, et matronæ. Proveteriinstituto,acftudio virium, promunditia, et prosanitate, atque omni cura corporum.Romanarum Thermarum cenfura, atque Magnificentia, Quæ quoniam frugiinprimis,obeam,quam dixi causam et ad ritum la.10 Etæ 40 čtio. A e c ergo initia, atque hæcincrementa fuerunt thermaru m Romanorum. Primò quidem institutæob ritumlaudabilem,quem exer citium, et vitæratioillorum temporum inuexerat. Deinde au Therme con Therma au Ctæobcommunemvtilitatem, et magnificatæ cumpalestris. Eradfum mam tandem amplitudinem, ac magnificentiamperductęob delicias. quem ad modum à nobis ex earum aliqua descriptionem on ftrabitur. Quan quam id quidem, prorei, atq;vrbis magnitudine, haud nostroindigerettestimonio,descriptio qui Medicinę duntaxatineis instituta profiteremur: nisi minusplenèomnes,curnecelaquide Architecturaconscripserunt, earummaiestatem expreffiffent. Nam ria.quidde VITRUVIO libriseliciemus,nisinudaquædam lineamenta,atqueeaqui Invitruviodem nonadmodum explicata, paucaquelocabalnearumsuitemporis,quan-censura.doperangusta,& blactariafiebant balnea vt pauloantè ex SENECA testimoniodiximus quæeiusætate, et poftcà maximè, locuminter primas ædificio rum vrbismagnificentiashabuêre? Minusàiuniorum scriptis,quimutatis rebusposttotsecula, acminusconcordibus, quif parfimdeeismeminerunt authoribus; fatissibi,atquelegentibusfecisseratisunt, sivastamduntaxat Thermarum dixerintmolem, ac Dedalei operisinstaradmirarentur, cùm ta men Romanarum rerum magnitudo cunctarum nationum miraculasupera- Medicorum. uerit, non in Thermis folum. Minimè omnium à medicis. Quosturpe h o dieadrectam lauandiægros institutionem videri deberet hæcignorasse;indi gnissimumveròproea,quam profitentur Galeni imitationem,quæ vixvllaessepotestsinehorumrituum notitia, inquibus ferètotaeius doĉtrina versa 20tur.Quam obremoperæ preciumest, advniuersam instituti nostril rationé, Therme analiquam ThermarumVrbanarum, partiumq; ipfarúcensuramfacere. Princi-publicę,anpio Thermas fuissedecreto publico constitutes vt eftdictü non eft dubitanpriuata. dum.Nam idmultæ declarantauthoritatesscriptorum,acmarmoreæ tabulæ,inquibus vel Senatusconsulta leguntur, vellegespositæin Thermis,ve! munera.Quę exmultis pofteàritibusdeclaranda venient, vt potè, in aliquo publico gaudiosinemercedepræstarisolitas;veloleum gratuitodari incom muni veròluctupublicè Thermarum vsuminterdicisolitum. Imò in priua tispęnisexéplum legimus apud VALERIO MASSIMO Titiopręfectoobigno miniofam deditionem Calpurnium Cor. Conuictum hominum, et balnearuvsuminterdixisse. Verùm quinegant Thermas opera fuiffe publica,memi sedin Thermis:quarumhodieamplitudinem, accelebritatem,hac sancta religione introducta,templanostra, ac pia xenodochia immittantur. Quare et Thermæ Xeniædicte, quæ itaapud græcos cognominari folebant, quasi hospitales, et gratuitæ, quo cognominaThermarum publicarum vtitur manı Thermarum nissedebent magnificos in eisImperatorum titulos, qui æternitate nomi- Thermarum nissui, tantioperismagnitudineaffectassevidenturacRomanis suis, vel Po- magnitudi Oo pulo gratuitoconstitutasindicant.Quo planum fitetiam,easfierioportuis secapacissimas. Nonenim in templistuncconsueuit populus congregari, quæidcirco angustafiebant,acsuisquisqueindigetisacpenatibuseratcon tentus, Tuniorum, nis ratio. Thermaxea 40. Vnde perperam inhistorijsretulit Volaterranus, quiblice. M.TulliusproCælio legitproSenensibus, cùm nus Francisci Patritij imitatus, Senias primasverò scripta subSenarummenioria.Inter quam balneainantiquislegantur,quarummeminititem palatine.,credo fuiffe Palatinas, atquehas xenias peracpublicas, ademissaria Aque Claudiæ adeaspofteå Cicero,vbi Sex. Rosciusoccisus,authoreeodemSene,earumcura erat publici muneris Max. ductæ. Necminus ætatem, quails et Cato, et Fabiusca, nobilissimos Aediles antesuam, acsuaetiam et alij, populum inthermisexigend imunditias gratia receptare niæ dop H. 2 manutemperare folitos. Balneator estamenin Plautolegimus, et pofteain BalneatoresM. Tullio CICERONE pro Celio, quieiministerio aderant. Et Iureconsulcus.Instruet Balneato me nto inquit balneatorio legato, balneatores continentur, quoniamsinerium lega ti. his balneæ vsum suum præber e non possunt. Producto autemseutis annis instituto ipso ad luxuriam Principum, non solùm capacitatitantævrbis con sultum eft, fed citrà vllam mensuram aut modum, et vt Ammianus aflimiThermarunlat potiusprouinciaruminftar,quàmvlliusædificijforma Thermascæpenumerus Ther.Impe runtextruere.Extatinterprimamonumenta,M.Agrippam,inAedilitatis munere; quodpostconsulatumgessit, gratuitapræbuiffebalneaquæ'po steasub Nerone,vt testator Plinius, adinfinitum auxêre numerum. Sextus autem ANTONINO victorin censu partium vrbis,Thermas, amplissima opera Imperatori axii. nominauit. Priuatarum verò balnearú,quasad priuatosvsus Ther. Priua qui lautè viuerētsibiinproprijs domibuscompararunt, numerum exeodem ta. fubducimusferèdcccLx. quassuccinctèperregioneshicrecensebimus.Prima s ergo harum duo deci m non eft dubitandum, fuisse Agrippę Thermas,qui Ther. Agripeo dé authore Plinio, imperáte OTTAVIANO eiussocero, multa et egregiainvrbeperfecitopera, ac Thermas fuaslytostrato, acencaustopinxit,& pauimétaexNeroniana. vitropofuit. Erantautemvltrà Campum Martium adfiniftram templiPantheon, vbinunclocusvulgò Ciambelladicitur, vtquæin Campo et inAgo nali Circoexercitaretur iuventus, hinc Tyberisnaturalem aquam, hincverò calentiumin Thermisaquarium haberet commoditatem, vbilauaretur.Ineis verocùm neque capacitati, nequeadeodelicijsconsultumfuisset, eodem au. thore, successit quadragesimo circiterpofteàannoNero profusiffimus Imperator, quiad Agonalem ipsum Circumsecundas Thermas suonominee ex truxit. Inquibus,vtscribit Lampridius, syluasdeputauit;&nonfolùmdulces, Alexandri. Sed vel marinas aquas interdum, velalbulasper AquæductusAnienisadduci ADRIANO Traiana. eum fecissememinit SVETONIO.Ponitidē Lampridius Alexandrinas,ab ALESSANDRO SEVERO extructas in CAMPO MARZIO quas quidam easdem esse NERONIANASputant, quam tanto imperio fastuo- 30 sam,par erat hac quoque non carere superbia.InIli et Serapide Moneta Regione, cùm Titus Amphitheatrum dedicasser, Thermasiuxtà celerite rex truxit, Suetonio;quæ tertiæfueruntImperatoriæ, nimirùminAmphitheatri celebritatem& commode vti diximus et id circo breues.Quartæiuxtàhas Traianę, quas Traianu sobhonorem Suræ, cuiusstudioad imperiumperue nerat,erexit,ac Titi Thermis maiores, vbiquæextantmira Aquarum receptaculaseptem Salas vulgo appellant. Priuatæveròintotahac Regione Balcömodianæneę xxx.I n Regione ad Portam Capenam, quintæinordinefuerunt Com et Seueria-modianę,quarum&Alexandrum Seuerum affectassenomen videtur: etiamsi nę. Antoniana.interpriores, acnoftrosantiquarios, aliquafitdelocis, et temporibus,&cognominum assignatione varietas. Inquapræterhas,extantalicuiusnomi nisapudauthoresciuium balnea, Torquati,Vettij Bolani, Mamertini, Aba s c antiani,Antiochiani, et priuatæ aliæ Balneæ Lxxxv. Sextæ in Circo Maximo Antonianæ,quasmaximas verè dixeris, Spartianoauthore,quieasm e minitadradicesAuentinicollis ANTONINO Imperatorem cognomento CARACALLA minchoasse, perfeciffeveròeundemSeuerum:mirahodie architectu ra, ratoria. pa. na. Agrippina. Titi.instauratas. Adhæc P.Victor Hadriani Thermas. Et ex priuatis BalneisintotahacRegione Lxu11. Eodemtemporeerexitquoq; suasTher-: mas iuxtàExquilias AgrippinaNeronismater ra, nec imitabili, cum Palęstris coniuncto. In hac et Varianæ, et DecianęposterioresnumeranturaP.Victore,necnon Syriacæaliæ cognominatę, et PriuatæaliæLXIIII. Seueriquoque nominef uêrein TranītyberinaRegione Scueriane.Thermæ, eode in Spartiano teste. Necnon Aurelianz,Vopisco. BalneuitemAureliane. Ampelidis, Balneum Priscilianæ, et Priuatæ aliæ 1xxxvi. Inter Esquilias et Montem Celium, apudTiti et Traiani Thermas, PhilippiImp. Thermas Gordiani. amplifl. ac pofitumestadperpetuamrei memoriaminipsabasylicadistichuin,deAngelis. Quodlicànobisestrestitutum. Quæfuerant Thermæ, nunctemplum est Virginis, auctor El PivsipsePater,cedite Deliciz. ruptèdicuntur, et Priuatæ intota hac Regione 1xxv. Porròrecenseturinli.Esquilijs Regione Olimpiadis Lauacrum, vbisummo colliculo Sancti Lau VltimæCæsarum nomine, Constantinæleguntur ThermæinCliuoMontis Quirinalis. Quas non reparatas, non d e integro ex tructas à Constantino e x i ftimo, cùmvetuftofatis appareant opére. Necnonmarmoreæ tabulætestimonio, quodlegitur: HAS CIVILI BELLO DEVAST ATAS QVANT VM PVBLICÆ PATIEBANTURANGVSTIÆ PETRONIVS PERPENNA RE STITVIT. Propèhas L.quoq; PauliBalnea,quæ vulgòBalnca Napolicor- Balnea Pau rentijinPanisperna,monialiumecclesiahodiecelebratur. Adcliuumcollisà Olympiadis. Suburra AgrippinæNeronis,quod diximus Balneum, et infrà Nouati ciuis alix balneæ, vbi S.Pudentianæ est ecclesia. Et Priuatæ aliæ in totum lxxv. Subinde vedePriuatisreliquisbreuiteragam: erantinquarta Regione, vbi et Templum Pacis,Priuatæ Balne xLxxv. cum Daphnidisbalneo. In Celi montio xx. Invia Lata LXXV.In Foro Romano iXVI.In Piscina Publica xlinn. InP alatioxxvi. Pluresin Martialesparsimleguntur Thermæ, Tuccæ,Hetrusci,Grilli,Lupi, Fortunati, Pontij, Seueri, Fausti,Peti,Ti ti, Tigillini, quarum locanon assignantur. PorròextraVrbem nonminorThermarum cultusessedebuit, vtexquarundam preclariscolligimusm onu,Constantina. Mentis. Erantad Hostiam P. Tacij Thermæ, centum Numidicis columnisThermeer Ooij adscribit Pomponius Lçtus. Necprocul Gordianorum Domus, quam escrypsitIul. Capitolinus admirandam, ducentas columnas vnostilo habentem, et cumTherinisadeolautis,vtprætervrbanas, vixaliæfimiles haberenturin toto orbeterraru m. In a lta Semita Regione, Viminali colle, Diocletianæ ex – Diocleti. 11.. tant Thermæ, qua sincçperatquidem Diocletianus Imp. Cuni ordine exactifsimo, atque amplissimo Palestrarú omnium generum, inquarum opus quadragintamilliaChristianorumeum addixisseaccepimus. Ob magnitudinem tamen vt inMarmorea tabula legitur CONSTANTIVS ET MAXIMIANVS OMNI CVLTV PERFECTAS ROMANISSVIS DEDICAR. Hę,cùm in fermè ædificio admirandæ permanerent, hodie CartusiensiumMona tegro sterio Sacræ, Pio Iu11. Pont. Max.subtitulo Sanctæ Mariæ de Angelismagnificèrestaurantur: Curante M. ANTONIO AMV110.S. R.E.CARD. S. Maria exornatæ. Arpini suasinstituitThermas Cicero,scribens ex Asia ad Q. Fra trem. Erantin Lucullano,quænunc Frascati vulgò dicitur, Luculli Thermæ, vbi nos integra vidimusHypocausti vestigia. Ad Baias autem Thermæ Baians. erantprætervrbanas,supraquàmquisoptarepotuissetvoluptuofiffimæ,na turaipsaibia quasvberriinè fuppeditante, gelidas,calidas, et plurifariâfalu bres, quasfatisinsuishistorijs celebrauimus. Quidverò hìc cęteras Italię pro sequar Philippi. Trarbem L. haberet?Quinetiam Rusticanas, inquibusfamilia vt inquit COLUMELLA et Rusticana. exeo Palladiusferijssaltemdiebuslauaretur: nequeenim frequenteniearū vsum robori corporisoperariorum conuenire. Similiterhunc morem acce Aquarum maris, et portuum commoditate,aquarumduntaxatsustineretpe-': nuriam;hacinpartevenisseincertamenquodam modocum naturavisaest, vtaquarum quoque essetabundantissima. Itaquecumhocdesiderio,crescen teindiesinstituto Thermarum, et modò aliaatquealiaadducta multo spatiotemporis in tantam aquæ venêre copiam, vt Augusti ætate, Strabone teste,pervrbem, atquecloacasomnesinundareviderentur, et vni uersæpropemodumędessubterraneos meatus, syphones, acfistulasvndo sashaberent. Quo tempore M.AgrippaAugusti ipliusgener, quem complura invrbefecisse constat opera, cultu,atqueedificiomagnifica;aquarumCu ratorperpetuus, PLINIO, alijscorriuatis atque emendatis,& alijs nouiter adductis,septingentoslacus fecit.Pręterea fontes c v,Castella Lacusintelligo ex Frontino,alueosbreuimuro,inquibusaquæ reciperen tur,& aliaexalia, vt fiunt apud nosFontane,Lauacra,Fullonum stagna, jumentorumaquagia, et huiusmodipublicacommoda.Fontes,quiprimas ac fyn ceras ex Castello funderent aquas, pauciores id circo quàmlacus. Castella, certaAquæductuum receptacula, ad MęniaVitruuio,&inviarumdiuortijs, vbi aquarum facienda esset distributio. Quale etiam num visitur in E rquilijs Castellum aquæ Claudiæ, indiuortio ad portam Maiorein nunc dictá etadpisse reliquas Provincias, quibus Romani imperassent, in transcursudiversarum lectionum obseruauimus. Prætermultas, quaslegimus Romanis antiLacus in vr sequar Thermas, cùmeatempestate vulgò vilaquæ libetdiuitumfuasbalneas quiores, vtquasprimasin Greciadiximus, in Asia,inSicilia,&apudPersas Hebræorum DarijThermas, quasPlutarchusdescribitditiffimas, et lautiffimas.EtIoseHifpanorum phus Hebrçorum Thermas ad Ascalonem, ad Tripolim, ad Damascum, ad Ptolemaidam.Hispaniaqua calidalauari poftfecundum bellum Punicum à 10Romanisdidicêre,anteànon consueueruntnisiin frigidalauari, authorIu stinus Historicus.Multæ occurrunt apud authores Thermarum memoriæ,in Germania,in Gallia,in Britannia,aclongèplura ipfarum vestigial visuntur in Italia, in quibus vidi sępius per inscitiametiam doctos virosobstupescere, alij Theatra, alij Labirinthos, alijmemorandasmoles alicuius sepulchri ia ctantes.Quarum tamenritum legimusvenisseadeo communem,vtnonco lonias, et municipia solum,sednemo dignè tùm Romanam militiam profiterivisusesset, quinon haberetsuabalnea,& gymnasia, inquibuscommilitonessuiexercerentur. Quod de CleandroTribuno equitum Commodi Cęs.meminitHerodianus. Indomesticisveròvsibusbalneum eratviainci-20 bum, vtnotauitArthemidorus. Cuiusreipassimhabentur exempla,quùm ex itinere,labore, acexercitioquopiam balneum primò ingredi consueue rint, et pofteamollia quarumfoturecreatiaccumberent. De aquis vrbanisad vsum Thermarum adductis. Externe. aqua;haud copiaivrbe bequid. Fontes V Ros autem Roma, cùmprætercæteras gratias, quibuseamaltissimusdecorauit, salubritateaëris, situagriadimperium opportuno, zo adportamSanctiLaurentij,quod pofteà C.Marijtrophæisinsignitum, adhuc illius retinetnomen. Porrò fingulis castellis aquaruin erant propositi TrophçasuiCastellarij,vtpræclaroquod Romæ legitur epitaphiocostat. D. M. ClemenAquarum propria commoda. Mirariveròlicet inprimis ipsarum ductuum fabricam,duétuumma dignam planècùm magnitudine operis, tùm certè publicaipsavtilitate,quęgnitudo. Pluribus mundi spectaculis proponenda esse videatur. Molesingens, àdimidioferèItaliæquædam perducta,partimexcisisac perforatismontibus, par30timascendens, partim abimis vallibus perimmensosarcussublata, quibus Aufeia,et 20 fue xit. Et anteà lib. 31. cap. 3. Clarissima inquit Aquaruinomniumintotoorbefri goris, falubritatisquepalmapræconio vrbis Martiaest,inter reliquadeûn damlociscentum et nouempedesaltitudinismensurantur.Vniuersamveròomnium censuram ita habuit Frontinus. Altissimus Anioestnouus, Proxima Claudia,Tertiumlocum tenetIulia,quartum Tepula, dehinc Martia, quæ capiteetiam Claudiæ libramæquat,deinde Appia, omnibus humiliorAllie tina. Primaverò, vtpropinquior, et maximècommoda,Appiaadducta co ftarexTusculano:Cenfore vtfupradiximus APPIO CLAUDIO, annovrbisAppia aqua quæ perportam Capenam,nuncSanctiSebastiani,inocto vr muneravrbitributa.Vocabatur hæc quondam Aufeia.Fons autem ipfePico nia.Oriturinvltimismontibus Pelignorum.TransitMarsos,& Fucinum La piconiatempus addu tiCæsarum N.Seruo CASTELLARIO Aquæ Claudiæ fecit Claudia Sabatis& fibi& fuis. Extat Senatus consultum apud Iul. Frontinum,quoaquamnon eratpermissum nisiex castelloadducere,ne autriui, autfiftulæ publicælacerarentur. Publicisidcirco Thermis, propria castella videnturfuisseconftituta: qualia videmus integra ad Diocletianas Thermas,& adTraianas,multiplici opere con cameratas.In Priuatisautemprima Censorum, aut Aediliumeratauthoritas,quorum arbitratupermodulos, digiti, velvncięnomi ne certo annuosolute vectigali concedebatur. Legequecautum codem te fte,ne quispriuatus aliamduceret,quàm quæ exlacuredundaret, quam ca ducam vocabant: et hancipsam non inalium vsum quàm balnearum, aut fullonicarumdari esse solitam. Omnemaquaminpublicosvsuserogari debere. Cæterùm quotnumeroessenthæaquæ, quæ, quonomine,et quo tempore,& vnde adducerentur, breuiter percurrendumest. ScribitProcopiusIustinianiCæs.fcriba,Romæ quatuordecim fuisse aquarum ductus, excoctolatere,ealatitudine,acprofunditate, vtferèequesteripsocúequopereosposseteuadere. Nos Frontinum imitati, qui Nerva imperante pręfuithisceoperibus curator perpetuus, et fcriptis cuncta sid elitermandauit, octoaut nouem suo emissario per ductas dicimus. Quę fuerunt ex ordine, Appia,Anienisvetus, Martia,Tepula, Claudia, Anienisnouus, Iulia, Allietina, et virgo:etiamsi pofteàduplici, acplurinomine, vtvsueuenit,fuerintcogno minatæ. Nam poftFrontiniætatem, non aliamlegitur, prętereasfuiss ead ductam, nisieasdemàdiuersis Imperatoribus autinstauratas, autseductasad bis Regiones exviginticaftellis distribuebatur. Quadraginta veròannispo- tus. fteà, exmanubijs PyrrhiRegis Epiri, Spurio Garbilio,L. Papirio Coff.prima Anienisadductafuit, vtetiamcommodavrbi,et altæoriginis supra Tybur.Martiaquę. Tertia fuit adducta Martia, dicente PLINIO.Q. Martius iussusà Se natu Aquarum Appiæ, et Anienistegulaductusreficere,nouamànomine suo appellatam, cuniculispermontes actis intràpræturæ cum, Marü.Anienis ve Oo i 1 Triana. cum, Romam non du biè pet ens. Mox specum er sain Tiburtina se aperit nouem millibus passuumfornicibusftructis perducta.Primuseam invrbem per ducere auspicatus est Ancus Martius, vnus exregibus. PofteaQ. Martius Rex inprętura, rursus querestituit M. Agrippa. Hæc PLINIO. Hancdemumet Traia namnuncupatam aserit Frontinus, àTraianoin Auentinumvsq; protracta.Quartafuit Tepula, quaabagro Luculli, quéin Tusculan oex VARRONE legimusTepula,. Gn. Seruilius Cepio, L.CasiusLonginus Collin Capitolium perduxêre,via, quæ PortaMaiorhodie appellatur,claristitulis Cæsarum, Claudij, ClaudiaqueVespasianiT, iti,& M.Aurelij. Eamquidemdestinaueratprius Caligula,per et CuriadaduxitveróClaudiusabvsque xxxvi. lapide, via Tiburtina, èfontibus Cæ Ceruleanruleo,Curtio,atque Albudino collectam, quibus fæpènominibusscribitur.Adduxithiç et alteram Anienem, cui ductui ad differentiamveteris, Nouus Anio cognomentumfuitinditum, Frontino authore, qui& ipfumpofteàre Fons Albu ftituit. Concipiturautemper agrum Tyburtinumxx, milliario, operealtili-. Moad Portam Esquilinamadducto.Aquam verò Iuliam admiscuitcum Tepu laM. Agrippa, viaLatina,quæab Aureliano iterurmeftituta, eiuscognomen Julia quęeg assumplit. Ållietinam,quam et Augustam,miratur Frontinus Augustumpro Aureliana, uidentiffimum Principem per ducerecurasse nullius gratiæ, imò et parum sa Alietina, lubrem,nisi fortecùmopusNaumachiæ aggredereturtrans Tyberim. Quidam ob hoc eam intervrbanas aquasnon numerant. DE AQVA VIRGINE QVAM duxit Agrippa, vt PLINIO, meminitlib.31.c.3.&deinde Claud. Cęs.Pri mum veròauthorêCaium Cęs. Fuisse indicant marmoreæ inscriptiones,quarú 30 vnaineiusaquæductuita legitur. Tit.CLAVDIVS DrusifiliusCesarAug.Nominisra-ductusaquæ Virginis destinatosper Cæs.àfundamétisrefecit, acrestituit.Virginisporrò nomen vt Frontinus scribitnobilis author de aquis vrbanis ad cafumfuithuicaquæ inditum:nam quærentibusa quammilitibus, puellam virgunculamquasdam venas præmonstrasse, ac il as sequutos in gentem aquç moduminueniffe. AediculaidcircoVirginisfontiapposita.Quod nomen posteavidenturadsciuiffe Dianæ, acTriuiænuncupaffe, quasi Dianæfonsdi Fons Diane triplex habere dicebatur numen,celebrarisolita, necnon à triplicifonte,qui- 40 bushæcaquaconcipitur. Vel vt quibusdamplacet antiquarijs virginisno futurna menindicasseIuturnam,quam Nymphamsicdictam teste VARRONE quòd Nympha. iuuaret, invotisfuisehabitaminfirmis,quiexeaaquabiberent, facramque in via. simulat que puteum, qui extat, diveMariæ Virgini fuisse consecratum, vt ran In Triuia. Libetquiseiusnominis interpretationemaccipiat, verumtamen eofit magis verisimilisnoftrafententia huncfontemfuissevirginéàDiana,& Triuianun Meuiæ,quæ dinus, Anio nouns 20 vocant Şaloniam,tio. Vel Triuię. et aqua Diançsacra, quę veteribus virgo habitaest, et inTriuijs, vt AQVA autem Virgincquoniamsola hæc ad nostrum hanc ætatem Romamperducitur, altioraliquantosermo habendusest. Eam per cupa Primus aute D thor,ceretur, 10 Latina dextrorsus, longex1, milliapaff. subterraprius, deindearcuato opere. Quinta, ac fausti nominis fuit aqua Claudia, vtinfrontispiciolegiturPortæ id circo hanc ædemei fuisse constituta masseruntiuxtaipsum fontem,quamSinct. Mar. posteà Religione introducta, insuperstitionem præteriti seculiabolendam,JO est Herculaneus riuus, quem refugiens, virginis nomen obtinuit. HactenusDuctus lon Plinius. Habetautemductus longitudinesàcapiteadipsumTriuijfontem,girudo. spatio a bestàvia Prænestina, dicente Plinio.Marcus Agripaet virginéaddu ” xitaquamaboctauilapidisdiuerticuloduomillia pafsuúPrænestinavia:iuxtà (vt Frontinus dimensus est) milliariorum XIIII.n a m vbifpecus subit montių, vbicircuitcolles, velvallesæquatarcuatoopere, multos habetflexus.Pro greditur Anienemfuuium, acintersecta Tyburtinavia, et exinde Nomenta na, etproximè Salariavia; tandeminter Collatinam Portamque estsalaria, et Puteus Po. Pincianam sub colle Hortulorú, qui esthodie Sanctæ Trinitatis, ad Trivium litianus vicum exilit fonte. Subitautemeumcollempro fundiffimnospecu,cuiusho die puteus altissimus repertus estin medioviridario, quod magnifico, ac con spicuointotāvrbem ædificio ibi constituitCardinalisamplish. POLITIA. 20NVS, et vtrinqueduæ eiusaquæ marmoreæinscriptiones.Tı.CLAVDII nomine. Etquo digno tum fuit magnisilis RomanorumArchitectis, erita; omni futuro seculo memorabile Camilli Agripæ Architectiinventum, salientemsuaptes ponte facit aqua (impulsam tamen in æreum tubumrotis ræ, primam fanèlaudem promerentur Sanctiffimi D.nostriPivs IIII. et qui -statim ei successit Pivs V. Pont. Max. quivirginem ipsam aquam ad Virginisperpristina mantiquorum formam perducerecurauêre. Quippe lapsu temporum hæcaquavarias subijt mutationes,& quodmirum eft, vsqueà Plinijtem lutem. Pofte àcraffantibus in Italiam,& invrbemipsamtot bellis,acvaria rumgentium incursionibus:plana in historijs monumenta habentur, quæ ductio. Refert Platina, Adrianumpatria Romanum Pont. Max.d omitisiamaf. Adrianiin fi&isque Longobardis,anno falutisnoftræcirciter Virginis Stauratio. Aquæductum dirutum,cumalijsvrbisaquæ ductibus restituisse. Donecite rumnonmulto poftdirutus,protantarerum, quæsuccessit calamitate, nuf quam prætdr e a videtur fuisserestitutus. Nam quod in ipso Trivii fonte legiNicolai. tur, Nicholaumv. annoabh in ccxII. Virginem fontem restituiffe,planevi detur is Pontifex haud vllam antiqui ductus huius aquæ parteminstauraffe; sedconfluentesduntaxatè vicinia venascitràpontem Salariumprorefugio vrbis collegiffe, quæeftminimapars; virgoigitur aqua octauo vtdiximus est Salonia. Milliario concipitur,vbi nunc locusà Salone dicitur:Quæcunque fuerithu ius nominis significatio apud vulgus, quod,vt consueuithuiusinodi aqua run conceptaculafalasdicere, forsan et hoc obamplitudinem areęSalonem nunc uparit, dicente præsertim Frontino, hunclocum vnde virgo aqua con-Riuusnúad iicitur, palustrem fuiffe, et vt scaturigines contineret, ligninoperecom-mititur. 40 cupatum, quod nomen ipsum ædis Sancta Maria invia,vulgari (vt videtur) vocem utila dicitur, pro Sancta Maria in Trivia, vbimulta cum devotione Beatæ Mariæ Virginis etiam num ea aqua ab infirmis bibitur.De Fonte ergo ipso quia d huc in Triviæ vico celebris est, non est dubitandum.De origin eau - Origo. tem, Pliniusa pertèdicit concipivia Prenestina.Frontinus autem Collatina ad milliariumoctauum, quæ vtquidamputant,duorumcircitermilliariorü pore(vtipsememinit )cæpithuius aquæ fimulatqueMartiæpenuria: Ambitione inquit ac auaritia in vilas,acsuburbanadetorquentibuspublicamsa Artificium per Usurpatio. Herculews ipsam aquam volubilibus,et machinis) quæ eximo puteoads ummam planiciem. paffusexilitfonte,actantavbertate, vt non hortosfolùm,fed et totam quoque subiectam vrbis partemreddat irriguam. Cuiustam frugiope Agrippe. mu 4 OO 111 munitum, quod nuncquoque visitur aliqua parte. Iuxtà estriuus Herculaneus. quemtamen nonadmittit, tùm quia locus palustris humilisque est, acvligin e totus obsitus;nec aquæ est satis vtilis: tùm qui a satis fupe r q; adeam formamaquæductus Salonia est. Neceum riuum admisisse antiquos,satis apertè declarantea Plinij verbaiam allegata. Iuxtàest Herculaneus riuusqué A Salinisrefugiens Virginis nomen obtinuit. Nec secusdimittendaeorum sententia aqua.est,qui ad Salinas vocatas à Frontino aquas pro Salonia acceperint: cùm hælongiusinfluantà Salone, sinistrorsusàvia Præneftina, vcidem Frontinusinquit,passuum septingentorum octogint aquæ vel Appia aqua, vel AppixAppi&origo carestudeat, piètamen et public vtilitati consulens, opus tàmfrugiprofequu Vltimaper tusest, aquamqueVirginem, ad eotot seculis desideratam,hocanno, acmen se MDLxx. decimoseptimo Calen.Septembris, cummaximo totiusvrbisapplausu, ac gaudio perduxit in totum. Consultistamen prius (vt Sapientissimumdecet Principem) Medicis, àquibus et bonitatem aquæ, et vtilitatem, quampræbere posset huic almæ vrbì re latam comprobauit. Qua dere Naturaem hæc meaeft sententia: Sanè magnum argumentum bonitatis huius aquæ hoc Qualitatesesseexistimo, quòd hæcaquafueritinvsu, vt nunc quoqueeft, longiffimis seculis. Quippe hæc primas sempermeruit laudessimulcum aqua Martiain tercæteras vrbisaquas. PLINIO Quantum virgotactu(hocestfrigore)tantumpræstatMartia haustu: alternante hoc bo tactus intfrigidæ,easnonperinde(laudabiles) et haustuesse. Hæcs uccinctè Plin. Hác aquamMartialis cognominatcrudam, ilisuerlibus. Ritussi placeanttibi Laconum,Contentus potesaridovapore 30 te influentium, et tepidarum, et frigidarumaquarum; hanc specialiter vsu Ab experi- balnei comprobat frigore, et profrigida,metri causa dixitcrudam. Velcru mentis. Dam intelligas eum dixisse incomparatione aquæ Martiæ, quæ (vt dictúest) vtilior haultuerat, virgo tactu. Inexperimentis, tardius hæccoquit legu mina, accibariareliquaqueTyberisaquęlimpidę,& Cisternales aliquę.nimi rum quia fluuialeseiusmodi,inrespectu fontium, omni exutæsuntcrudita te,ac pluuiales magis aëreæ. Cæterùmhęcaquanullis fontium aquis vide- 40 turmeritò postponenda. Cætera verò quæ legunturaquarium vrbis nomina, aut variæduntaxatipso nomin e sunt, sicut iam plura alicuia quę adduximus nomina:a u t externę sunt Crabra. Sabatina Lacus Sabasaporem, inter vrbanas non adnumerant. Nec Crabram,quæ erataliaaqua, aquæ, nonvrbanæ.Quomodo quidam Alfietinam, ita vocatam obingratū tis. Amnis Tusculanis,vndeaduehebatur, relicta. NecSabatinam,quamàLacuSa Larus. batis, qui hodie estamnis Larus, nouissima momnium aquarum breuimo. Io ductio. Martialis. pars per Capenam portam, nuncSancti Sebastiani ducebatur in vrbem. Tota ergo virgo aqua Saloniaeft,multisvenarum, et riuulorum acquisitionibus vt Frontini verbisvtar obitervsqueinviamSalariamaucta'. Quam Pivs IIII. Pont. Max. vt delectabatur vrbem suam æternismonumentis, publi cisq; idgenus operibus adornare,destinauerat.Pivs verò V.Pont. Max.cũ fanèprimùm orthodoxam fidem noftram à tot seculihuiuserroribusvendino, vtquæ Cruda Virgine Martia quem ergi. Quo nomine haud quidemcruditatisvitioeāhic Poëta damnare voluit. Sed mirisex tollens laudibusHetrusci balneum, blandicie præsertim, et varieta dulo 20 qua quanıdiversæ à prædictis aquæ. Quod vsu cuenit in eternis id gen us operibus,perpetuams ibiquisque memoriamcomparare.ItaqueprimaTherma structuræ exemplo,nulloque integrèscriptoremandata literis, nisi obiteràmultis, et controuersè.Et quæ obfitaadeo vetustissimis iacetruinis, vt quanquàm peritissimi multihacętate antiquarij conquisitiffimè studuerint easinali quamlucem reuocare: nonminortamenadhucrelictafit,magnis etiamingenijsconfusio, vtquęsparsim dehisleguntur authoritates scriptorum,cum paucis quæ ipsarumapparentreliquijs concordentur. Inprimis describenda essetixvoypapíce, basisquetantiedificij, quam noftriadverbú Plan tamrectèappellant: at hæc diuersissima habeturabe aquam tradit Vitruuius, neceademdispositioin omnibus Thermis.Porrò, præterfpatiaplatearum, mina esse tantum autinstauratorum, aut insigniu meor undem constat, ha ud ac additos lucos,hortosque immensos, ac Lacus, distinguenda effentloca exercitationumàbalneis.Acloca propriacuique exercitij generiassignanda, vbicominus,acbreuicirco, vbi eminusfierent, sub Diuo, subtecto, in Xi stis. Et quæratiofuisset exercitiorum in Palestris, et quali aexercitia.Quis vsus præter e atotaliarum partium: et quæ dispositio, Corycęi Ephebi, El cothefij, Conisterij,Exhedrarum, Spheristerij, Xistorum. Etdebalneis, fi singulæ Thermæ plurahabebant balnea, at dubiumnonest,quæ naniratio 30 distinctionis, ancommoditati,an loco, an ordini, vtcunctis legitur fuisse consultum. An omnibus vnumessetcommune hypocaustum:& feu vnum commune omnibus, seu commune vnipartitioni, vt verisimile fit, quo loco maximècommodo.Anbinæ& ternæ, quæle gunturlauationes, eodem fie rentbalneo, andiuerso. Etsidiuerso, aneadempluribusferuiebat,ansin gulisnouaaqua.Velquæ ratiotàmmiriartificij calefaciendivnahora tantam aquæ quantitatem, quæ innumerabili populo sufficeret? Vnde et quocerto ductutantæ aquæ copia? Quæ ratio erat Pensilium Balnearum, quastantocúapplause Vrbis, et totius Italiæ quosdamintroduxisselegitur? Quibusadidvalibus, aut balneis, aut alueisvtebantur? Etsilabrislapideis vt quidam putantquæ videmus per Vrbem maximis: quæ eorum erant in balneis dispositiones, et quositu ad aquas accipiendas? Etdebalnearijsrebus, quæ fanis expedirent, et quæęgris.Quiddicam delauandirituperordines; perætates, perleges, peranni tempora,peripsa exercitia; acde innumerisdenique id genuscircunstantijs,quasvelnonscriptasabantiquarijs,velper coniectu ramduntax attentatasà iunioribus,merispotiùserroribus obscuratas, quàm explicatas invenimus? Quare nos dum hecaliqua ex parte revocare in lucem intendimus, et quævsuimaximè medicoopportunasunt, exponere,nullam Fos Veneris 1 rum instituta, atquemomentaAquarum ductuum habemus. is fchnographia Thermarum, &dehisque tractanda funt.Cap.v. Hermas verò per partesliterisinstaurare, haudquaquàm presentis munerisest. Nec facile esset, pro tantæ molis magnitudine, non vniusdulorestituit Hadrianus I. Pont. Max.quam et Ciminam interim appellariinuenio, àCiminoipsomonteinFaliscis, fonteVenerisdeducta.Drusaauté, CiminaaquiAnnia, Traiana, Antoniana, Seueriana, Alexandrina, et idgenusaliæ,no. ferèDubia in Ther. 2 Oov ferèiuniorum positionem fequemur: sedquátumexrationeillorumrituum, Spacia Thersimulatque locorum ipsorum diligenticonsideratione colligerepotuimus, percurremus. Spatia in primis Thermarumvidemus amplissima: atque ad eo vt quasdam vndeciesmilliespedumtotaareacontinere constet,authore Baptista Alberto in libris de Architectura. InDiocletianis, quæ inipsaareaapparentvestigia,præterspatiavndiqueplatearum,& prætermembra,quæinferiusacsuperius varijsThermarum ministerijsferuiebant, centum continentpartitiones, vario ac nobiliffim oordine. Nec mirum, siconsidereturpubliciçdificijmagnitudo,inquocommunis fueritratiomaximæciuitatisadexer 10 Magnitudo.citia corporis, ad balneas, ad disciplinas. In is enim communia ernt studia, tamanimi quàm corporis, necalia erantartium gymnasia, vndefæpèapud authores Gymnasia legimus pro balneis. Necminus addelicias: Nam ratioGymnasia acresipsaostendit, nonfolùmvsuiinpartibus Thermarumfuiffe consultum,verumetiamvtiuuentus faciliùsadea studiatraheretur, et delicijsmaximè, et ornamentocunctarum rerum. Propterea Thermæ neque digniores occupa bantvrbis locos,nequeintervilioresfiebantvicos, sed vbilocicapacitas, at Forma Ther marum, acpartitið. Queoperis maiestas requireret.Vitruuijtamenętatenon videturfuisseconsuetudinis Italicæ vtipsescribit magnificareadeo palæstrasac Gymnasia inThermis: vtquibus satisad exercitiafacerenttùm Campus ipfe Martius,tùmAgonalis, totCirci,totplatex,totaliaexercitationumlocapublica, et priuata. Sedper angustas fieri, et paruas quales Agrippæ Thermas meminit Pli nius.Pofteàveroperductoimperiovrbisad luxuriam Principum,non modò Græcorum moreconstitutæ, sed dilatatæfuêreamplius,distinctaquem e liusloca exercitationum,ac Gynınaliaà balneis. QualesAntonianæ, acDio cletianædemaioribusextant,acmeliusdispositis:quarum sinunc præsumná describeremagnitudinem, non tam describere, quàm maiorem partem di gnitatis earum mihividebor minuere: sedharum maximè, ad notitiam tanti ritus, fequarvestigia. Inhis edificationis eratvaria forma, ac varia dispositio partium: sedare aamplissima, quæ in quadrum clausa, tribus vel uti perpetuiscircuitionibusdiuisaesset. In primovndiq; ambitu, quæ męniorumin ftar lib. s.6. 11. totum edificium claudebant, errant gymnasia exercitationum, varioordine,quædicemus. In secundo, longèlat eque spatia platearum, Xista, acPlatano nes,ad exercitiasub diuo. In medio,tota ipfa moles Thermarum, quæ sunt membrabalnearum, Atria,simul atq; Xifti, et Palęstrarum amplissimæ porti cus,vbi VITRUVIOathletæ perhyberna tempora intectisstadijsexer cerentur, actranfirentstatim adbalneas, vt delineata primùm ipfa rumbasi, distinctèmagissingula explanabimus,4marum. Thermæ. Ther. Diocl. 1 Oo vj Hexedra Lalitudopal. 200 choricenCalidaria FOхNATMC) V R a THERMARVM DIOCLE Longitudo Platego Atriolum DieScola riú BВ Spheriferti H Tostring 71 Apod TOD Schola Longitudo ΡΙΑΤΑLaconica Hexedra Basilica Fngida Topida n u" Agaagiâetlume ORIINS HexedmaHephebri ATRIVM nPoarttaitciuosnis la карэхэн Spheristerium 200 HaceraLpatlitudo. 2 Hemicyclus Condste platego Porucus Tres Stadiate TheatricSETVN M M HT NONES Hexedra A triolum sperifleriâ Laconicü ConisteHephebell Hexedra pal. Kesedara LongituPdloa. odyterium Hypocau Dico EngdaHexedra 'Jių rium Porticus Staduatę Aquagiấetlume pal. OCCIDENS OS Tres saloирэхэн ATIOTES TIANARVM ICON. ATRIVM n Paotrattiicounsis Spenfterum IOOO.Basilica Tepida Frigidai Calidariú Tõstrina A 5oC Hemicjclus sefala ridiumPTENTRIO Scola 1Departibus Thermarum, acexercitationum locis. N PRIMAergo facie, quæestadmeridiem, tertiam ferè partem mediamoc cupabat Theatridium.Quæparseratprincipalis,& tang caputtotiushuius ædificij: vndeduplicem vtquibusdam videtur habebatvsum;alterum extrinsecus, alterum intrinsecus. Ambitumenim exterioré ponunt fuisse arcuato opere distinctum,& apertum,quo exéplopatet, circūcolumnium poftbafilicam Posticã. ecclesiæ Lateranen.Vnde.f.ingrederenturquafiper Posticum, fiuedextrâverte rentur, fiuefiniftrâ perporticus, apertèvenirentinampliffimam plateam,ac exindè quò vellent, fiue inpalæstras, fiue in balneas. In conspectu verò interiori ergaplateas,eratTheatrispeciedistinctumcũsedibus, vbi.f.populus,& maximè nobilessubvmbrameridiei sederetadludorū spectacula, quiinplateisexercitij causafierent. Partes verò quæ vt rinqueà Theatri dio plures sunt, aliqui balneaputant. Ná quod rotunda forma est vt rinque inversuris vnum,pinguntessecalidarium, et consequenterponunt vnú Tepidarium,vnum Frigidarium,& vnumlib.5.c.1 Apodyterium. Nec equidem nega uerim debuisse quæ d ã balnea seorfum,et quali extra palestras constitui: partimmulieribus,partim artificibus,&hisquivenien tesàciuitate,statimintrarent, et quasiextràcon spectumpopularemlauarétur,et abirent. Verütamen hæcnonfuifle balnea, hauddubièvidetur:nam iuxtàeá riaSacella. appictionem,nullus hicvidetur Hypocaufti locus: quoddebuiteffeinmedio, et commune vtriqueordini balnearum, tefte Vitruuio, atinmediohiceftThea tridiummaximum. Nec eratconsentaneum, vtmébraspectaculieffentStuphæ. Deestet laconicum,nisifortasse hæc opinio confundat laconicum cũ calidario.Saterat& vnum Apodyterium comune, vtpotevnum vestibulum balnearum: hicduoponuntur. EtprætereaTepidariaduo,cùm tamenidemfitTepidarium, quodApodyterium.Melius ergomihi videtur dicendū, hæc fuiffepartimipfius Theatridij membra, et partimlocaadvsumAthletarum.i.eorum, quiexercendi essentcoram Theatridio, vtpote Conisteria,Elçotesia, et quædam apertè in pla team, forsane quorum carceres. Duo pofthæcPeristiliaquadracaoblonga, hinc (vt scribit Plin. Lunior de villa sua)exercitationú generibus.Vel Sacella, vt notaturperædiculasæquisvndiquespatiisstaruarum. hæceratprimæfacieipartitio. Porròinalterafacie, quæabaquiloneeodem comensuhuic refpondet, videntur Gymna fuiffe maioriex parte Gymnasia, FILOSOFI dicata, ac Rhetoribus, reliquisq; q studiisliterarum de dissent operam.Vtpot epars magis remota àftrepituAthle tarum,&litucômodiffimo, tùm propteramenitatévnibrarum erant.n.inhac plarea Platanones,vt dicemus tùm proptergratafontium murmuria, inNataa tionéipsamcadentiū.Quaproptervisum est pluribus antiquariis, inmediohoc Vestibulu. SpatioåSeptétrione fuifleprincipale vestibule totius huiusæ dificij. Ex quo per40Hexedre medios Platanones patebat aditus ad Natationem, et hinc, et hinc inporticus, in et Hemi-basilicas, Diętas, et atria, quæ pofteà dicemus. Primùmverò àd extra vestibuli, cycli. et àsinistraerant Ex hedræ plures clausæ anteplateam, &cusedibus Hemicycli forma, vt disputantes, et tam loquentes, quàmaudientes sese omnes afpicerent: et aliquæpatentes, cellscholænoftræad leuiorastudia. Maioremverò citer 10 Peristilia fia. atq; hinc vnum àTheatridiq, quasipalestræbreues,veldeābulationes.AcinverSpheriste surisvtrinque,vnum Sphærifterium, quod diximus rotunda forma,cumplurib. 30 Schola. exercitationum. Gymnasticarum continebant partem duævtrinque facies laterales, hinc, atquehinchabebantpartitiones.Acfuisseeasadexerci quæ conformes tiadicatas videtur: tùmquiaplatexhælateraleserant liberæ,& amplæmillecir, citer pedum spatio.Tùm quia membr a ipsa partim erant Hemicycli aperti cũsedibus,acvarioornamento,quod apparet,lignorum,acpicturarum:& partim conisteria,Elæothesia,aliaquemembra advsumAthletarum oppor tuna. Totam hanc autem primamcircunferentiam circundabant continua porticus,ducentiscolumnisvnostylo.Subinde erantPlatex,amplæ,&.Nam siædificiorum perfectio proportionibushumanicorporis responderedebet,vtVitruuiustradit,perfectisfimèresponder in ThermisDiocletianis, ac melius quàm constituat ex Græcis VITRUVIO eniminhisTheatridium, vbieratvestibulum, tanquàmcaput: Apodyteriū, pectus: Hyppocaustum,Stomachus: vmbilicus, maxima, acregalisbasili-Diocletiana cainmedio: venter,Natatio. Membrorum veròvtrinque, quæfuntbalnea, rummirifica atria, palæstræ,porticus, Diętæ, basilicæ; æquaratio, ac mensura eft, vt braars et de chiorum,acfæmorum. itavtquæ exvnatr ad etur parte,cadem ex alterapa basilicaameniffima,vbiconuenirentomnes, quivelin palæstras venturi Basilica. essent, velinbalneas.Idcircosatisampla,ornatuplastices,acpicturis adhucnitet antiquiflimis. Hincrectâ in Diętam, quæ erat eadem capacitate, fed latiortamen basilica, duplicicolumnarum stylotripartita: nam media par teceuatriolum, erat ad itusinatriummaximum,et inpalestras: capitaverò hincatquehinc deunebantinhemicyclis,vbifortasseAthletarum ferrentur iudicia Circuncolí - liberæ, vt dixi, t à m quæ antè Theatr idium Stadium, nia.,erant xistum, Platanones, et autem, quæeratanteNatationem enim Xista (authoreVi maximè estiuas idonea. Fiebantadexercitationes Platani, virentes queidgenusXista,&Syl)interduasporticusSylux,quæerant caperentre-ua. truuio situantè Natationem, vndeaquarumarboresconfitæ, aptissimo autemStadium,itafiguratum, inquit Vitruuius, vtpoffrigeria. PoftXiftum, Athletarum cursus, variaque alia sent hominum copiæ fineimpedimento hæ omnes errant partitionesquoquo latere,& gym:spectarecertamina.Atque veròoperismaiestas,erattotamolesinme Stadium nasiorum,et platearum. Summa,acmultimodisearúmē dio,quæ communes habebatpalæstrascumbalneis bris, acmiriartificij, quàm vtræquelaterales. Inea Porticusriterintelligendafit. Incipiemusautem àNatatione, quæ patentiffima parsaspiciebatAquilonem: et exeaàlatereperbasilicas,acdiệtasveniemusin atria,exindein palæstras interiores, acmaximam bafilicam,& demum ad balnearummembra. Erat in quam Natatio in recessum e dio ab aquilone, lon Natatio.Gitudinedu centorum pedum, latitudinedimidiominus, ponte, acarcubus bipartite adinteriores aditus, vbinunc facta estmaiorisaltaris basilica. Habebatautemàcastelloproximo Aquæ Martiæ emiffarium, quod per occultos tubosferebatad Natationem ipfam aquas.Habebat& supernèadlongitudi-Emissarium nemfontesvaria specie, ac Musxa,quæ teftePlinio,expumicibus, acero-aqua Marfisvetustatefaxis extructa vt hodie quoque Romæ sunt in vsu specusima-tię.ginem referebant, ac fiftulis modò apertis, modò clausis, vario, blandislimoque salientium aquarumlusu, recentessemperaquasinnatationéipfam Fontes,acfundebant. Miris circùm ad hibitis ornamentis, quorum etiamnumapparetMufaaædiculæfignorum,& statuarum, fontiumque vestigia, et columnarum bases. ANatatione plura, ac nobilissimamembra: primùm ab vt roquecapiteerant Porticusnaamplissimæ porticus conformes, nimirùm et adspectaculaNatationum,&tationis. Ad refrigeria constitutæ. Etaliæadaltioremprospectumporticuspensiles,mi noristylo. Exeuntibus veròàporticu, tamdextrâ,quamsinistra,eratprimùm fcriptio. 30 Platanones. Dięta. iudicia. I n Atriisera nt Peristilia, hoc est circü columnia, quæ faciebant atrium oblongumtrecentis pedibus, latitudine dimidiominus. vbiin Porticu, orie simacumsedibus, quæ tertiaitem parte longior quàm lata, eratad exercitia Corticum.iuuenumdicata. Sub dextra Ephebei erat Corticeum, seu Coryceum à Co. Coryceum.ryco, quod videtur pilæ genus in Galeno 11. de San. tuenda. Seu ChoriceumChoriceum dictum, Choreisnimirùm, ac saltationibus locus proprius. ProximèFrigidarium, locus ventis per flatus, feneftris amplis. Ab eoqueiterinSpheristeriú ro oblongum, et fimplex, ad pilæ ludum aptissimum. AdsinistramElçothesium, Spherifleritquæeratad vnctiones faciendascellaolearia.SubhocConisterium, vbificcó Elçothelium.puluere,velharenaluctaturiseseconspergerent. Ab eoqueiterinPropni. Conisteriú. geum,vbi erat in ver u r a porticus Laconicum, quod referemus suo loco p oPropnigeú. iteà. A Peristilioautem, atrioqueintrantibus ad interioresPalæstras, erant Talastre in Porticus tres stadiatæ,quas hodie occupatlongitudo ecclesiæ.Ex quibus m e teriores. diaparsamplissima, centumpedumlatitudine,superingentescolumnas,al Porticusftatissima prominettestudine,cæterùmitafactasecundum Vitruuium, vtilate Frigidariit. diate. Xistus. ra, quæsuntvtrinqueadcolumnasmargineshaberent,& qualeshabethodie via ab Hadrianimole ad Vaticanumsemitas, nonminuspedum denûm,reliquaqueplaniciesoctogintapedúm. Ita qui vestiti ambularent circùm inmar 20ginibus, non impediebanturàcunctisfeexercentibus. Hæc autemPorticus ziso'sapudGręcos vocitatur,in quo Athletæ in tectis stadijs exercerentur. Quęquoniamexacteeratinmedio,& velutiincorde totius edificij, vbimaximèconuenire solebat nobilitas ad exercitia hyberna, ad ambulationes, et adspectacula; cæterasmeritò exceditpartes, tùm magnitudine, tùmregalimaiestateoperis, altiffimis fuperbiffimis que prominens columnis, et patentissimavndiqueinperistilia, inbalneas,in Hypocaustum,in Natationein, acfuper nèfeneftris illustrator latissimis. præualereassuesceret: deinde adsanitatemtuendam,quiduofuerant fines præcipui:& demum ad delicias. Inquibus omnibus mutua Balnearum,atq; Exercitationum errant beneficia. Namquantum conferebant balnea lassatis rumque similiter coniunctaeratvtilitas,acmutuaerantinuicembe Thermarumneficia. Nempe Thermarum ratioduos,imòtreshabebat fines: primum ad instituta, ac disciplinam iuuentutis,quæfic viribus corporis, honestis que vitæ conatibus fines et Exercitaexercitatione, aclabore corporibus ad robur virium reparandum, et admuntionummuditiam. Tantundem rependebant vtilitatis exercitia, fine quibus balnea nontuo beneficia possuntesse vtilia, maximèsanis. Itaque GalenusinlibrisdetuendaSan.mo Non pila, non sollis, non t e paganica Thermis Prz. tali parte,eranthæcmembra,situaliquantifperdiuerfoabeo,quem assignat €phębeum Vitruuius. PrimòEphæbeum, in medio, hoc autem erat Hexædraamplif Balnearum 1 Bal. RecurelAtria. De exercitatio num generibus, ac preparationibus ad balnea. Cap. vir.CONSTAT ergo hactenus,balnearum locain Thermis, at que Exercitationumfuisseconiuncta. Idqueoptimaratione, quoniam vtro dobalnea Recuratoriavirium esse dixit; modò Exercitia Præparatoriaadbal toria. Exerci nea.Quodfrequenter inalijs authoribuslegimus, et succinctèeoEpigram tatio,Praparatoria. mate colligiturMartialis vnde dieta existimat D. Augustinusinconfessionibus, quòd Bénestaisdivíes,idestquòdan xietatestollat. Ergo vtproveteriinstituto generosæ Ciuitatis, quam diximus in laboribusnatam&educatam, magnaeratomniuminThermiscelebritas; itapro tempore, et proconditionibus personarum,Exercitationeserantva- Exercitatio riæ,&invarijslocis. Quippealiæin Palestris fiebant, aliæinXistis, aliæinnumloca.Hexedris, subdioalię,instadio,& platearumlibero fpatio; alięin pluribusfiebantlocis. Necsecus quædam eran tcommunes exercitationes,pueris,senibus,& iuuenibus, vteo carminenotaturà Martiale. tereolusuumgenera,quorum (vt cætera rumrerum viciffitudincs sunt) vix nomi. IuuenumDe fatu. Præparat, aut nudis tipitisictushebes. Vara nec iniecto ceromatebrachia tendis, Folle decet pueros ludere, follesenes. Quædam propriæ.Iunioresautlucta, autcursu, autfaltu, autpilaludicriss; Personarum 20 idgenusexercitij scepissentaf suescerein Ephebęis. Quemplanèmoremre exercitatio-presentauit Plautusin Bacchidibus, vbi in personam seuerisenis indicat pue-nes.Rosprimis vigintianniscum Pedagogo in Palestramantè Solem exorientemveniffefolitos, d. Βαλανέα Romanorum Puerorum Non harpaftamanupuluerulentarapis. Vidiffes igiturtum frequentem civitatem,nonfecusatq;hodienossolemus Vite ratio facrasEcclefiasfestissolennibus, frequentareThermas. Alios quidem adho nestos, quos primo instituto proposuimus vitæconatus.Alios ad sanitatem Ther. tuendam. Et alios ad oblectamenta tamanimi,quàm corporis capienda, pro celebritate illa populi, pro variarum rerum,ac ludorum spectaculis. Et denique pro amænitate loci deliciosissimi: vndebarevéesidcirco dictas græca voce Ibi cursu, luctando, hasta, disco, pugilatu,pila, Saliendo se exercebant, magis quam scorto, aut fauijs. Fortioriautemiuuentaiis dem quidemexercebantur, velacrioribusetiáplerunqueludis,halteribus,harpafto,& aliquandocęstu.Velarmorum varijsgeneribus in Palestris. Vel in Hippodromis cursu equì, vel agitatu. Athle -Caftus. tæ vel stadium spectante populo de cusrrissent, vela c ri pugilatudimicassent, Halteres. cum cęstibusplumbeis,acbaltheis implicatismanibus,quograuiùs percu terent. Alijsaltusimul et halteribus, item plumbeis globulis.Alijinsphę risterijslusifsent pila, vel foliinplateis, vel Harpasto,pilamaxima. Senio-Harpastum. resquidam, quorum erat ad sanitatempræcipuastudia, vtrecensuit Galenus, ambulatione duntaxatantè balneumcontentierant.Alijclaralectione, vel Senumexer disputatione in Hemicyclis, velde clamationeoratoria, vel cantumusico. Alijcitationes. modòvnovtebantur, modò alio per occasionem,exercitij genere. Id circos. Defa. tu. nec mirum septies quosdamaliquadielauari solitos, quod apud Plinium le gitur. Alexander Seuerus,vt meminit Lampridiuspostlectionemoperam Palęftræ, aut Sphæristerio, autcursui,aut luctaminibus mollioribus dabat, m o x venieba t in balneum. Aliissupplebant diurni operris labores, quia d r e Operari j. creandum lassatumviriumr oburvsuriessent balneo. Cæterùm lenis exercitationis modus erat ambulatio,quamSenes, et Virigraues, et imbecilles potiffimùmobibant. Dignior adl audem,acdisciplinam,eratexercitatioin Palestris et armiseorum, quirobustisessentviribus. Etquam oriquazíar, hoc 2. Desa.cu. est vmbra til empugnam, vtinterpretatur GELLIO Græci appellant, divodepce Teu Tirl, ob salubritatem agymnasticis dictam, Galeno teste. Innumera præ Рp nomina ad posteras ætates transiêre. Nec nostræ professionis estexercitatio Nostrisecunum singulosmodos,aut genera: quibusiliveteresvterentur,recensê. livita dif ferensaban tiquis. re, quam partemà Hieronymo Mercuriali,Medico atque Philosopho scientissimo elucubratam, propediem in luce meditamvidebimus.Verùm exco rum exercitiorum censu, quem fecimus, hanc præcipuamhabebimus vtili tatem, considerantes quàm longè differathic præsens nostriseculi viuendi modus,& maximèPrincipum,necopportuno pofterosdestituemusconfi lio. Sanèvbiillorumtemporumvitaaffiduisdeditaeratexercitijs,vtpote 10 quæ et fanitatem conseruarent,&promptiores redderentviresad singula, tàm animi, quam corporis munera o b eunda; è contra hodie in continuo ocio degitur. Età Principibus maximè, quiobdecorum, ac ampliffimi ordinis maiestatem, semotam à communi consuetudinedegentes vitam;aut curis animi grauibus iugiter tenentur. Aut siad ludicraaliqui tranfire foleant, ea Exercitianoinertiasunt, tabellæ, alex, velTrochinouus modus hàc illuc supermensam stritemporisagitati: in quo vitæ generetandem ob defidia in, et anxietatem,totam breui inertia, cursu vitædeficiant.Quapropter generalisfimum hoc ac saluberrimum sibiExercitijnequisqueproponeredebet institutum, exercitium necessarium esse adsusten cesitas ad vitationem vitæ: inquire omnes sapientes, variorumquenationum ritussum moconsensu conueniunt. Verùin quoniam hoc tempore nonsolùm pluri maveterum exercitiorum generanon funtinvsu, imòvelipsorum nomina (ut diximus) suntobscura; necadeoilisvtiessetpoffibile, quinec Palestras habemus, nec Thermas, proptereàingratiamnoftrorunPrincipum,aliquot particularium exercitation numgenera proponemus ex Galeno, atq; alijsan tiquisauthoribus, quarum multas si non in campis et plateisobirepoterit; licebitfaltem et incameris et inatrijs, acviridarijsfuis, seruataetiainpersonægrauitate, percommodèexerceri. Exercitationuminquit Galenus com Exercitatio-pluresdifferentiæinueniuntur. Aliærobustæsunt, et violentę, fiuevehemen num dife-tes; aliæ mediocres, &lenes. Aliæ singulares, aliæcumalio fiunt. Etaliæ rētiæex Gavni uersassimul corporis exercent partes, aliævnam magis, et aliæalteram. le.2.desan. Vehemens exercitatiodicitur, quę&robusta, et celerissit: atque hæc multer graue quod uistelum iaculari, et continuatisia et tibusoneremaximosubla tame, perverteretemperaturam coguntur. Vnde non mirum est, qui præ properam accelerant senectam, incurrantque facile autin morbos renales, autinpoda gram, autin Hemicraniam, alios queidgenus affectus, medioquevelutiinfum tuen to, tash abet differentias.Quædam enim fiuntocylimèagitatis, quædamrobore, acnixu, quædamfinehis, quædam cum roborepariter et celeritate, et quæ Exercitatio damlente. Fodererobustaest, et singularis exercitatio, remigare, discum nugenera. mittere, mouericeleriter, saltare; idquefineintermissionemaximè. Similiet ac clivis ambulare. Grauiarmaturatectumceleriteragitari.Continuatusdiucursus.Et iterfacere.Perfunem manibus apprehensum scandere, modo in Palestris quo solitum eratpuerosexerceri.Velèfune, velperticamanuapprehensa sublimenpendere, acdiutenere.Manibusinpugnum redu: &tis, iisdemqueprolatis, velinaltumsublatis. Halteribus, feuglobisplus minusgrauibusleorsumpositis, vtraquese inflectensmanu attollere. Quærobustior erit exercitatio, si qui adsinistram manum fuerit dextrâ coneturat tollere, et sinistrà qui ad dexteram. Diuq;, acsępiusidentidemfacere. Potest et foliscruribuserectusacvno lococõsistensceleriter exerceri, modò retrora suminsiliens, modóinanterioravicifsimcrurumvtrunquereferens. Solus fimiliterexerceriest, summis pedibus ingredi, tensasqueinsublimemanus, hancantrorsum, illamretrorsum celerrimèmouere. Sehumiceleritercir cumuoluere, velsolum, velcumalijs.Cum alijsverò& citràrobur, et violen tiammultæ exercitationes peraguntur.Vtcursus admetam constitutam.Vel vibratilisar morum meditatio. Summisinuicemmanibusconcertare.Cones cú alijs. ryco, et paruapilaludere. Stare, nec finereseloco dimoueri;quo exercitijgenereMilo Crotoniates celebratur. Velseerectum, et circumactum10astantemmutare. Complecti quempiam manibus, digitisquepectinatimiun ctis, isque diuellereseadnitens. Medium appræhendere, ac sublatum ceù magnumonus protendere, &reducere.Luctaytrius queluctatorisrobur maximèvtipoterunt Seniores, et quiadmotum suntimbecilles.Ambula.Vltimò Fri &tiones suppleant. His omnibus ex ercitationum generibus,imòinfinitis alijs vt Galenusinquit docebant Pædotribæ exercendumesse:&velinPa læstris, velextrà, velinaltopuluere, velconculcato, et firmosolo, et omni noantèbalneum. Quibus et nosiuxtàpræsentemviuendimodum, siuepro præparatione, fiquis velit ad balneum, feusinebalneo, vt pleriquehodiefa tecdicere, quæ situborealifrigidas, acpurasstatimàfontibusadmittebataquas.EratenimNatatio (vtidiximus) separataà partibus balnearum: citationes, le cimus, percommodè vtipoterimus. Sed de exercitationum emolumentis 40alio loco occurretdicere: nunc ad describendas balnearum partesin Thermisredibimụs, acaliaineisrequisitaexplicabimus. De Natatione. Ne i principesautemThermarum partes, primùm deNatatione opor Cap. vii. Рp ij nimi. Exercitatio. prope rium membrorum.exercet. Luctaricum roboreest, ambobus cruribus alter alteriu scrus complecti, minibus intersesecollatis, et collo. Manua lteratanquamfunecol loalteriusiniecta,ipsumqueretrorsumtrahere, acreuellere.Pectoribusex aduers oinnixi, magn o se conat uin uicem retrudere. Adsingulares porrò universalis, attinetelectionem, qua parte corporis quisvtivelit, aut indigeat exerci- particulatatione. Aliæ enim vniuersas simul exercent corporis partes;quo nomineludusparuæpilæà Galeno prætercæteracommendatur. Aliæ vnam magis, aliæalteram exercentpartem, lumbos, crura, brachia, spinam,pulmonē, Deparuepi thoracem. Itatio,cursusquecrurum exercitationes sunt. Acrocorisini, hoclxludo. Est festiuæsaltationes et Sciamachiæ, crurum, brachiorum,& manuum pro pria. Lumborumautem, affiduèse inclinare,autpondusaliquod àterra tollere,autassiduèmanibussustinere, Spinam transuersim exercet, atollere vt dictum estalternatimhalteres. Thoracis vero et pulmonis suntpro priæ, maximæRespirationes. Cor. Celsus inter exercitationes imbecillisto lib.2. c.8. machoconferentes,claramcommendatlectionem. Maximaverò voxvocis quoqueinstrumentaomniapermouet, dilatatque:naturalemexcitatcalo-Clarale&tio. rem,et quo magis fitafsidua, eomagisvniuersis corporis partibus communicatur,vtinnostris concionatoribus experimur et in libro de voceà Gale noestproditum.Hoc genere exercitationum per vocem, quælenessunt, Lenesexer Lufta. Etio,&amo tioneetiam quimagis validi. Velequitationessufficiantur,gestationesquebulatio. seucurru, seuproægrotantibusin Scimpodio,&Sellaportatili Nimirùmquia singularis eiuserat, acpropriusvsus, non tàmquidemadlaua Varzac efttionem,quàm ad exercitium. Eftenim Natare laboriosum,quòd itaiacta quoddam e rerectè Aristoteles in Probleumatibus, Natationem,oblaborem, cursuico parat, aquarum periculaexercerentur. Et Galenus testator desuo tempore, pue 1, Defa.tu,rosin aquis qumasina's Feudasfacere consueuiffe,idest,quòd prima fiebantin of Pifcina, Piscina Pu aquis pueritiæ rudimenta. Itaquepræter Tyberis commoditatem,propria adhuncritum locaconstitutafuisseinvrbediximus,quæ diuersisexplicata nominibusinuenimus, Natationes,Piscinas, Stagna, atque etiam naumachias, Piscinædi&tæ, quòd et pisceshauddubiècontinerent, nontamenad vsum piscium, nam ad hocpropriaerantviuaria,sed ad munditiam seruanda aquarum,& amoenitatem. Videturautem exercitatio numhuiusmodi causa, primùmconstituta fuiffe Piscina publica dieta sub cliuo Capitolino, ad veniebatpopulus. Exca& piscinæaliquandofuntdictæparticularesNata tiones,& labralapidea, qualia Romæ videmus maxima, nec non portatilia, ac lignea advsum etiamcalidarum aquarum. Quod authoritate constatM. 08 Tullij CICERONE ad Q.Fratremdesuisbalneis, Latiorem inquit piscinamvoluissem, vbiiactatabrachianonoffenderentur. Hasà Galeno, acalijs Græcisautho xanu puso 'n ga ribus, modòxodua krízsas, mod ò Bari i su poe edicta s legimus. Parva autem Solia,Capesupulco peluesquequercus; quam differentiam planamfaciuot Galeni verbalib.7. Mé πυελοι. Stagna. thodi, vbi ad ventriculis iccitatem curandam, quæHecticamminetur, nata tioneminbalneo factam consulitivteīsno numerisus, id eftin piscinis natandocó stitutis, quàmivtotspixpsīsavenoīs. Memorantur porrò et NeronisStagna, vbi Amphitheatrum à Martiale poniturinprimis Epigrammatis d. Hic,vbiconspicui venerabilis Amphitheatri Erigitur moles Stagna Neronis erant. Quodtamen stagnumnon plane constatanad natationis usum, anpro Nau stagnocircumpofuit, conseuiffe. Stagnihuiusin Vaticano Naumachiæno Navale Staminememinit Egelippus Græcus author, in D. Petri et Pauli martyrologijs.Cæterùm NaumachiapostNatationes& balneas, altiorisfuitinstit utiquàmNaumachia adnatationem,nec, nifipoftimperiaprincipuminuenta. Nempe inquanautici certaminis fieret spectaculum, vel ad disciplinam militarem, quò faciof Finis duplex liùsmilites pericula Aluminum, vel naualis belli, cùın opusfuisset, possent Naumachię euadere. Sic Polybius refert Romanos primo belloPunico, quod aduersus Chartaginienses gesturierant,militessuosinnaualidisciplina exercuisse. Et SuetoniusAugustumcúm effetcótràPompeiumiturus, inportuIulioapud Baias milites in nauali exercitatione tota vnahieme detinuiffe. Vel erat N a ujucundunfpe Etaculum. Machiævsusad delectationem populi, vt cætera spectacula. Pluraenimerãtquæ præberent animo delectationem:primò aluei magnitudo, ac Cyrcicu 1vivarium. blica. Quam (ut Festus Pompeius est author) et natatum etexercitationis caussas duo. rat, gnum. xercitium, tismanibus,accruribusaffiduè, vniuerfæcorporis exercentur partes.Qua EtOribasiuseaminteraliaexercitationum generaadnumerat. Imò Natationis in vrbefuitprimus,acantiquissimus vsus ante balnea:quando scilicet conftitutæ fueruntexercitationes in Campo Martio,vbiiuuenes (te ste Vegetio) puluerem,sudoremque detergerent, simulatque ad obennda machiafuerità Neroneconstitutum.Vsumtamen vtrunquepræftarepote Neronis no- sicut& de alteroeius nominis meminit Tacitus,claufifle Neronem in mine stagna valle Vaticanispatium, in quo equos regeret, apud quenemus, quod navali iusdam OZjusdamamplissimiforma, editaadcommoditatem tantiludi,inconspectumaximæciuitatis. Deindeclassisineam, et iam magnarum nauium introdu Etio, et ludusipsecertaminis.Etdemum populicelebritas, et velipsaaqua r u m copia, atque amænitas, marisinstar tranquillissimi. Et quæ apertis eu ripistantamvimaquarunvnohaustureciperet,laxaretquefinitospectaculo.Martialis inquo mouetadmirationem aduenæ Martialis,dum sicadulatur Domitiano.locus. Cui lux primasacrimunerisipsafuit. Ne tedecipiatratibus naualis Enyo (Paruamora est) dices,hicmodò Pontuserat. Ex quo plane authoritate colligitur, in Cyrcotammarisquàmterræcelebra In Cyrco rispectaculadebuisse: vbimodòterra (inquit)modòPontuserat. Quod Naumachia. Cyrci Maximisitus confirmatinter Auentinnmmontem,& Palatinum de pressus, inquem Gabiusæaquæriuus,quemMarianamposteridixerunt,per Gabiusaa petuòinfluit na. na aqua,vtFrontinuseftauthor, quæfapore,& crafficiemari namaquam Augusti Na æmulabatur, in q u a faciliùsnatat r, t efte quo que Aristotele in Problemati - u m achia: sub colleHortulorum, ademiffarium aquæ Virginis. Authore Sueto Domitiani.nio,quiasseritDomitianum circunstructoiuxtà Tyberinilacu (inter Cain pumMartium scilicet& ipsum collem Hortulorum, vbi nunc iuxtà Sanctitopluresessentqui exercerentur et quifrequentarent Thermas adca,quă Balspectaculaquàm quilauarentur. Eteodemtemporemagnahominum co-nearum.piaexercebatur, &quivno,& quialioexercitiigenere. Atadbalneasintrantiumcontinuaficbatsuccessio, nam cùm priores occupassentloca, reli qui (vtscribit Vitruuius) circunstabant, dum lauarentur. Pleriquesani,ac robusti,poftquàm in exercitijs incaluissent, nullisferè alijsvtebantur bal neis vtinfràmonftrabiturnisinatatione. Quæ parsidcircoeratamplissi ma, et exercitationibustamsubdialibus;quàm interniscommodissima. Vel Balnearum transiffentdunt axat ad balneascalidas, atque illico egrelliinsili ebantin frigisitus. dam. Summa ergoartificijin balneishæc fuissevidetur, vt in locoessentquả commodo omnibusseseexercentibus; acmirandiplanè artificijministerijs totaquarum,calidarumsimul,& tepidarum, quæ continụèexse funderen turin balneas. Procommoditate, ac ratione lauationum, erant omnes ad Рpij meri Et parvndafreti, hic modò terrafuit. Non credis?spectes dumlaxent æquora Martem. ropriè verò ad vsum naualis certaminis, duæ fueruntcertiffiqua Mariainæ Naumachiæ. Priina Augustitrans Tyberim, adductâobidineamAlfieti Sylueftriædes apparentvestigia naualespugnasineo, penè iustarum Claffiume didisse. Luxuosissimus Heliogabalus, euripis vino plenis, naumachiaHeliogabali. exhibuisse. Tradit Lampridius. Sed nuncad partes balnearumproprias acMilanius. De partibus balnearum, esde Milliariis vafisin Hyppocausto.BÀLNEARVM veròin Thermisnoneam videmuscopiam, quamde BВ exercitationum locis iam diximus. Ex quo planè videtur, quod mulnumpluralo Exercitatio Siquisades longis serus spectatoraboris, bus. Alteraverò etmagis celebris, fuit naumachia, quam Domitianidixi. mus Apodyteriú seuTepidarium. meridiem, vnde folissemperi llustrarentur, acfouerenturaspectu. Namtó: taeafaciesanteriorerat distincta in duos ordines balnearum, vnusàdextrisHypocausti, &alteràfiniftris. Etvterqueordo distinguebaturinquatuor Cameras,conformes vtrinque, ac ita collocatas, vt ex una in aliam Etuplatearumàsitumeridionali proposuimus, progressuferèad media pla eratceù vestibulumregale Apodyterium, seu Tepidarium. Quem lo mirabilem, meritò alterum noftræætatis Trimegistum dixerim. Hinc fini Hypocaustús tror sumn modicus introitusin Hypocaustum. Sive vt meliusdicam super Hypocaustilocum, quirotundaforma,cumopportunishincatquehincmē Cryptoportibris, nuncprimis Nouæ Ecclesiæ facelis dicatuseft.Totaeniminfràmoles res. Aftuaria. darum, aliæ frigidarum aquarum ductus, alięcalorum æstuaria, aliægrandes tores vt vocabulo vtar Iure consulti curamsuccédendi ignem habebant in Thermis. Eratautem vnicum, teste etiam Vitruuio:collocatum tamenin medio, vt communis eiusesset vsus vtrisque caldarijs, exvnapartevirilibus, exaltera muliebribus. Id que per opportune æstuaria, quierantmeatusab Hypocausto perpetui, vndecalores occulti in cameras caldariorumipsorumpenetrabant. Quod tetigit in primo Syluarum Papinius Statiusd. Vbi languidus ignisinerratdioplacet æneatamenpatinasubiecta. Quorum idemeratnomencum ca merisprædictis,vnum caldarium, alterum tepidarium, tertium frigidarių. Legitur item Milliaria, a magna fortasse capacitate, qualiplus millelibrarú aquæ caperent. Quippeidgenusvasa, teste Vitruuio, maximiaheni inftar, actestudinataadcircinum, itaerantcollocata, utex tepidarioincaldarium quantum quæ calidæ exisset, infueret, de frigidario in tepidariumadeundem modum. Atque hinc planum artificium est, in quotant opere laborauimus,quomodo ad communeinvsumtantaaquarum copia exvafisfuppedi tareturinbalneas.Quod restituo in lucem ex Seneca, quidum ad Lucillum mira deliciaruminuentasui temporisdetrectat,hocafferitobiter. Construiteam, huiusædificij, concameratainuenitur, acdistinctaaddiuerfosvsus.Aliæ Fornacato. Criptoporticus erant patentes ad refrigeria in magniscaloribus. Aliä сali IO CUS. cum laxum, et hilaremdescribitPliniusadApollinarem, hocest, amænum, acmollisteporis, tùmsolaribusradijsàmeridie illustratum;tùm proximi Hypocausti vapore laxum:vbinimirùm ingressuri ad balneas exuebát vestes. Qux quoniamprimaerat,acnobiliffima Thermarum pars, nobilissimietiá numapparetartificij. Figurainquadrumoblonga, achemicyclis quaquefa ciedistinctum,cum aditis vndiqueinter columniorum,columnisque super nætestudinis altissimis, quætàm authoris, quàmoperissummammaiestate ostendunt. Vnde sapienter hæc pars, proposita est pro prima porticuEcclesiæà Michaele Angelo Bonaroto, quem pictura, sculptura et rchitecturacloacæ vnde lauationes exonerarentur, et aliadenique Hypocaustum,atq;Lib.s.c.10 Hypocaustimembra.EratergoHypocaustum fornaxinferior, vbifornacaAedibus,& tenuem voluunt hypocausta vaporem. Vasariatria SuperHypocaustotriaerant compositavasariaænea, velplumbea (ut Palla Mincepice Græcishæc Mirsapíe, Latinis vt apud CATONE, Senecam, atque Palladium folitumaditus.Inmedio quidemerat Hypocaustum, vtrinqueveròinversuris La conicum,deinde consequenter Calidarium,Frigidarium,& tepidarium,vt planèsingulaexplicabimus. Principio contram Theatridium, quodinprospe pateret solituminipsis milliarijs dracones, quæerant fistulatavasatubæ instarære tenui,perdecliuemilliariocircundata,vtaquadum ados draconis con lis canales occultos,quorum aliquæ visæ sunt reliquię in eruendis ad nouam ecclesiam m a c e r ijs:atque ex hinc aquas de duci solitas in Natationes, in Fonsicis organis nonabsimiles. Quia d firmitatem quidem, ac robur faciebant Tubi etepi ipsisvalibus: simulatque artificio ferès i miliquonos hodie Romæ nymph eiss tomia.acviridarijsdamus velarcemusaquas, habebantfiftulasinfra parietes occul tas,quæ in cameras balnearum,vbi opportunis locis essent epistomia, infundebantaquas. Quod ex eodem Seneca non est dubium, dum nimiæ la uti ti æ adscribit,quod continue aqua calida ex sefunderetur in balneas,acrecens semper, veluti excalido fonte per cameras transcurreret. Et ex Galeno, vë iam decamerarumdispositionibus dicemus. De Laconico, esde Solis Balnearum. RDINESquidembalnearumin Thermisduosdiximus,vtrinque scilicetabhypocausto vnum teste Vitruuio,alterumvirilium,alte Balnea viri. rum muliebrium. Nam vtscribitGelliuslib.io.cap.3.authoritateVar ronis 2. de Analogia, Pudornonpatiebaturvtrunquesexum simullauari,sed do liadoMu aquarкт epis tomijs,fundebantur. Vbi nota harum ductuum in Balneas alterum arti 30fícium.Eranttubięne ierecti, tresàdextera et tresàsinistra milliarijs, mu glomeratispecie plurieseundem ignemambiret, pertantumfueretspatij, vasis. quantumacquirendo calorisatisesset. Quare triplex semper aqua invalis,acinfinitæcopiæ, calida, tepida, frigida, nam successiuas vasexvase Caldariumpiebataquas.primum quidem,quod caldarium dicebatur,superprimavas. Hypocaustistraturacollocatum, tanquam omnium vasorumvalis, calfa tes, Dracones i 10 са.Etasperdraconisinuo lucra fundebat aquas. Secundumsuperhoc erat tepidarium,quod a primi vasis vaporibus modicè incalescebat. Tertium Fri- Frigidariú.gidarium: vtpotequod frigidass tatimab emissario aquas capiebat et quan tumsubiecta vasa vacuabantur, tantum hoc nouarum aquarum infunde- batfinefine.Emissarij verò huius obscura quoque ratio est. Nam vide-Emisariaa mus quidemadThermas ipsas propria aquarum Castella constituta: qualequarum· extatinDiocletianis poft palestras orientali parte. Etin Antonianisàt ergo Theatridijadmeridiein. Horum tamen altitude nullibi excedit planiciem bal nearum. Necvllus est modus, neque artificij vllius vestigium, insummis Thermarumtestudinibus, vndetam altè deduci potuissent aquæ.Videturita que mihià proximisiliscaftellis cóstructosfuiffeinf ràpauimentatotiusm o Tepidariumlib.io.administris balnearijs veletiam iumento alligato, subleuatæ aquæinsuipsihypocausto piscinam infundebantur, quæs ponteposteàinsubie pernamn rursusinTepidarium, et conse ĉtumFrigidariumcaderent,et exFrigidario,quenterinCaldarium,velutidiximus. Vnde plenas emper vasa suis aquis imumcalida,medium temperata, supremum frigida, quæ per fistulasencas hinc atque hinc inquolibet vase compactas, versis ad vnum quenque actum Tympana Fistulę aqua acalias piscinas. Hinc, tanquam a communi fonte, per rotas ac tymparo teacna, acid genus alias machinas aquæ hau storias, quas describit Vitruuius commoditasconiungi desiderabat. Quanquam in hisque post Varronis et post Vitruvi j ętátemf a ett æ sunt, hæc distinctio non sit mihi ve risimili. Qanrum. liebria.do auctoritu exercitationum,ac lautitia inThermis,vix publicas potuisse virorumfrequentiæ sufficere videtur.Itaquepromiscuas potius ex eo tempo refuissereor, achonestismulieribussatisfecissepriuatas,velquasprincipes Matronas constituisse iamscripsimus, Agrippinæ Neronis matris balneas, terke inbalOlympiadis,atquealias. Cameræ in quoque ordine quaternæ, Laconicum, Calidarium,Frigidarium et Tepidarium. Velternæ adminus:hoc enim non videturdubitandum,nonfuisseThermas vno stylo vbique,nequevno ordinepartium et tam in publicis quamin priuatis. Et hinc in authoribus Celsus. Tanta earum inuenitur varietas.Quaternas point Celsus lib. 1. cap. 4. dum scribit, Sub veste primùm paululuminTepidario sudare folitos: tùmtranfi- Galenus. re ad Calidarium, vbi sudabaturlargiùs, quod ponitpro Laconico: tumque aut in calidamdefcendere,autinTepidam;deinde in Frigidam. Easdem C.i72ero qua λουτρόνPyriateriit. Hypocaustü point Galenus lib.10..Methodi, a Laconico incipiens: Primùmenim inquit ingredientis inaë reversantur calido:hinc secundò in aquam Calidamdefcé dunt,quod propriè aoutcovait appellari. Ab hac mox in tertiam Frigidaibár: et tandem in quarta sudoren detergebant, quod erat tepidarium, seu Apodyterium græce dictum. Inquoet Celsusdicit,fenouissimèquiselauissentabstergere,et vngereconsueuisse. Quem planèordinem et inhis Thermis, quarumvidemus vestigia, seruatum inuenimus. Extat Laconicum adsuda tiones in quoque primæfacieiangulovnum, idquenonadeomagnum, hu- iusenim partis noneratvsus communis, nequeadeo necessariesomnibus, vtquibus fatis ad sudandum exercitiafeciffent. Sed imbecillis propriuset quiminus validiadexercitia, sudoreshocloco excitabant:subindeintrabátadcæterasbalneas. Nomen autemdeduxità Laconibus: quos huncritum rium, Laconicumveròc ommuniter omnibus, et Ciceroni quodam loco ad Sphærifte- Atticum.Suetoniusin Vespasiani Cæs. Vita Sphærifterium hanc partemap- 30 rium. pellat àfiguræ rotunditate. Locus quippe concameratus ac rotunda fpecie,Lib.5.c.10.habens,authore Vitruuio, inhemisphæriolumen,exeoqueclypeumæneúcathenispendens,percuiusreductiones,acdemissiones perficeretur Suda ClypeusLationum temperatura, vaporibusnimirùm ficretentis,veldifflatis. Erat autemhuius institutiratio, vtfcribit Dion in Annalibus, vtfus è intrantesinhac parvfus: t e sudaret et sub i n d e unctione ad hibita, statim descenderent infrigida. Quod planè clarius ex Galeno fiet pofteà, ac à Martiali obitertangitur in Hetrusci Thermis, ad Oppianuin tribus versibus. tepidum tamenaquarum vaporem potuisse suscipere. Proinde Celsusineo, affus dixit sudationeslib.z. cap.27. alibi exiccari dixit corpora: Seneca exani tos .primòinstituise, Plutarchusin Alcybiadis Lacedemonijvitaeftteftis. Græ Calidarium.cialiquando Ilupice Supo's,et nonnullisuTorw50sdictum,ob igneum ineovaSudatorium. porem: Latinis modo Calidarium,inodò Cella calidaria,Senecæ SudatoLaconici coni, ncis. mari, ritus si placeant tibi Laconum Contentus potes aridovapore CrudaVirgine, Martiaquemergi. Vaporíqua Virginem dixit, etMartiaminhisbalneis Romanasaquas, blandissimifrigo litas in Laco ris. Videturautem Laconici aërem,siccum quidem fuisse, atque igneum, Bico. Galenus etalijmediciinterdum elixari, Oribafius planè aëreferuidu dixit, ac præhumidum inLaconico. Quod rationi consonum sit. Nam ex æstuarijs, partim quidem siccis, exquibusiaindiximusab hypocaustooccul 10 su tenui calore, diceba tGalenus x. Methodi, reservatis vniquem eatibus, liquatisque per totum corpussuperfluis,sudores, vtilesquemadores clicere, quæ inęqualias untęquare,cutimlaxare et multa quæsubhac detenta erant, vacuare. Ex Laconico patet aditusi n Calidarium, quod proprie Calidum So aoutpór, hocestlauacruindicitur,eodemteste,et calidum Solium. Patetau-lium. tem hæc pars,duplex magnitudine adcęteras cameras:vt cuius in balreis maior erat necessitas, longior in e o f iebat mora, ac usus frequentior, præsertim minusvalidis ac imbecillis. Vbimeminisse oportetex Celli verbis, quæ pau Halat et immodicosexta Nerone calet.Mox tertiolocoerat Frigidarium,seuFrigidumSoliuminquo aquaexquisi.acviresdensatacutifirmarentur. Qui enim, subdit, hoc modo àcalidislaua- Vlus.tionibus, sudationibus que laconicis ftatim in frigidam non descendissent,Paulo post transpirato immoderatius calido innato,totum corpus frigidiuseuafiffe sentiebant. Quodfanè frigidælauatiofieri prohibebat,totum semelcorpusconftringendo, etconstipando,nonsecusatqueaccideresoletcalen tiferro, quodquùm infrigidammittitur, et refrigeratur,et induratur. Atque huius rei causapotissimum constatinuenta fuisse balna, pro imbecilliu vm i delicet corporum robore:hoc eft vtimbecilla corporapræcalfacerent, itaque ad frigidumSoliumpræpararent. Adeoquepræualuit semper frigidarũvsus, Frigidarum vt vixquidamalijsbalneis vterentur. Carmis Maffiliensis Medicus, etate Neronis prerogativa,scribit PLINIO damnatis prioribus Medicis, ac balneis, frigidalauarihybernisetiam algoribus persuasit. Merficęgrosin Lacus.Vide bamussenes consularesinostentationem vsquerigentes. Ex frigido tandem Solio erat exitus in Tepidarium,tepidiscilicetaëris,q uod diximus apodyterium, sive spoliatorium.Etcratfinisinbalnco.Ancè Tepidarium tamen Cella olearia in Diocletianis commodèest ut videtur Cella Olearia, eademque Tonstrinæ na. tôs penetrare ignesin cameras, partim aqueis per suostubos ac spiracula, v a pores misti adhemisperium Laconicipetentes,sub curuatura magni clypei intenuiffimasconuertebanturaspergines, quæimbrium modò super capita Facultates. corum,quimorabantur in Laconico depluebant. Potest autem hæc prima pars lo anteretulimus,vel in calidam fieridescensum, vel in tepidam, et quali ad uno,tenore vtentis arbitrium potuisse temperari. Et Galenus in 3. de an,tuend a idem videtur asserere, nimirùmquòd in Calido Solioaqua, exvafisquædiximus Miliariorum calidis, tepidis,ac frigidis, poteratadvsum trifariamtèfrigida, ad hunc videlicet vsu minquit Galenusx. Methodi; vtquæfuerantFrigidum.So fòexcalfacta fiue'in lium., anterioribus Solijs, fiucinexercitijs, hicrefrigerarentur, An balnea calida. fieri, tepidam, aciustocalidiorem. Quam tamenva ri, nempè temperatam lauationibus, sed in priuatis,velnon videopotuissefieriinpublicis rietatem, parabatur à Balneatore aqua advsumpu adpriuatosvsus. Nam in Thermis compara LO Aeftiuo serues vbi piscem temporequæris. fortas selocus,vbinimirùmoleaseruarentur,atquevnguenta doTonstri,aliique odo blicum,vnotenorecalidaomnibus. Quod declarant authoritatesscripto-frigidæ, alia rum, quialias Thermas appellant frigidas, alias blandas,alias fervidas. Vei frigidas significauit Martialisinprimo Epigrammatum. InThermisferua Cecilianetuis. Idem inx. Neronianas indicat fuisse calidiffimas,eo epigrammate. Temperat hæc Termas nimios priorhoravapores res cal d a Thermealię resad opportunosvsus,et quivellentbarbæ,et capillorumcultuivacarent. Unetiones in Eratautem hæc pars vn ade necessarijs,acessentialibus ut ita loquuntur in Thermis, toto ritu Thermarum, quando hiçmoseratcommunissimus, vtquisque lo tus,simplicis faltem oleivnctionevteretur, tùmvtsudoresinhiberet,tùmvt feabextrinsecùs ambientis iniuriavendicarepofset. Hunc enim tenorem inomnibus ferè,quę hùc sparsim adductæ sunt,authoritatibus obseruabis: primùm legiturexercitium, deindebalneum, vbifrictiofiebat,et detersio, inoxstatim frigidælauatio, pofteavnctio,posteacibuset potus,vltimòso mnus. Proinderecolomelegissepluriesinvitis Principum, ficuti ntermu..10 Oleimunus nerapublica eratCongiarium,erat Recta, erat Sportula,itaoleum aliquan publicum. do publicèdonatum, quoin communi velutigaudio,quisque frueretur in balneis.Nimirùm velThermis cùmprimùmdicatis,velfaftualiquo Principis.vnctionum verò, quasquis quesibipriuatim deferebatadbalneum, luxus legiturinestimabilis. Quidelicatèviuerent,velimbecilles, odoratisvnguen Balnea contis refouebant spiritus. Quosdamlegimus iuffisse spargi parietes unguento. spersa vn-Vtfimul equidem puto etlauarentur, proiectisinalueositaimbutosaquis ipfis, et vngerentur, ficpenetrante exactiùs vnguento, et odorem, virtu temquesuam diutiusseruante incorpore. At queita Caium Principemsoli tum lauari, testisest Suetonius. ScribitLampridius Heliogabalum nunquá inPiscinislauarisolitum, nisiillæcroco, alii súepreciosisvnguentisperfusæ fuissent. Velplanè conspersiseo modoadluxumparietibus vtebantur,vedu quis se parieti confricaret (quod aliqui facerefolebant, vt apud Spartianum in Hadrianoleginus)sineministris,acetiamproprijsmanibusperungilice Balneton ret. Neroautem profusissimus non folùmcalidis balneass pargebatodorib. guentipre-sed et frigidis quoquevnguentislauabatur, fcribit PLINIO. Recensenturau ciosi. tem hoc ingenerepræciolamulta, quæ Galeno teste Romanorum lauritia Olea, etvn-inueniffevidetur: vt Mendelium, Cyprinum, Narcissinum, Susinum, M e guenta pre-galium factum ex balsamo, Regale apud Reges Parthos primò comparatum. ciofa.Nardinumquoque, quodet Foliatumdicebatur, Plinio:et alterum Spicatú, Quodidem Nardipisticæpræciosivnguentumlegiturin Euangelio. Etitem Iasminum oleum,quododoriscaufla vtteftis eft Dioscoridesnon inbal neissolùm, verumetiaminterepulandum apud Persas, vsurpari consueue. Unguenta in r a t. Dono, equidem opinor, et in Xenijs. Quemmorem diu Spartanos, at conuiuijs. Quelonasretin uiffe narrat Valerius quę,Plinio teste, Diapasmata,quasi conspersoria dixeris, Cyprini pulueris instar,quo hodievtimurodoratissimi; dequoebriam,putidamq;Felceniam illuditMartialis inprimo Epigrammatum, eo carmine. Quid?quod oletgrauiusmiftumdiapasmatevirus?Apodyterií Vt redeamus ergo ad cameras, Apodyteriumerat principium, etfinisinbal gues. Max. vnguenti, coronarumq uein conuiuio dandarum,secundismensis. Eratet Oenanthinuminter præciosa. Quorum similia aliqua apudPaul. Aeginetam legimus vnguenta, atqueolea. Multaquei d genu salia apud PLINIOinalabastrisferuari solita:nunc omnia rarissima, aut que dam subdititi a, veladulterata, tantæ verò e a tempestate copiæ, vevsuscorum ad vulgares quoquedefuxerit, quodserioarguit Iuuenalis. Moechis Foliataparantur. Diapasmara Adsudores autem propri cohibendos, quæda m ficcis constabnt odoribu, neo;eôdem nimirùm reuertentes, vbiantèbalnearum vestimentacõsignal sent.IdemqueexGaleni verbis plane intelligiturx. Methodi: hicenim dum cunctarentur,actergerentur, corpusadhucpersudorem,innoxiè, accitrà refrigerationemvacuabatur,acinnaturalem redibat mediocritatem. Porrò vana quorundamcontrouersia est, ponere Auicen.trescasas(itaenim interpretantur) in balneo,easque long è aliter dispositas, quam diximus. Cui bil. cnim dubium non fuissebalneas vnost ylovbiquenequevno ordine? Defijf setamen pariterapud Arabes huncritum, testator Auerroes in Canticis, ac Balnearum nonmirùmimperfectastùmeoshabuiffebalneas, Nequein antiquiffimisa nidemsły 10 exempliseadistinction quærendaeft: quando Hippocratisætatenon adeori tè balneaparabantur,quod et ipseinnuit 3. De ratione victus in morbis acutis. Neque in priuatismulto minus, quas Galenus aliquando perinde damnat, acin commodas, Depensilibusbalneis, ac balneariis rebus. Uenire potuirationem. Nam si Pensiles balncasintellexeris sublime salueos, Pensile quid et quæ fu per solario locatæessent,idmagnuninoneft: ficut et Hortospensi lesvidemus, atquehorrea, acmaiusopus,Thębas Aegyptias pensiles fcribit Plinius. Audiuiqui id artificiumattribuantLaconico, ècuiussuspensura lusvbique. ENSILIVM veròbalnearum,celebreduntaxatnomen peruenitad nos, fuis se eas inter maiora illius seculiblandimenta: cæterùm Cap. xi. namearum fuerit ratio, non facilè ex aut horibuscolligitur. Ponit Valerius Max,interluxuriæexemplalib.9. CaiumSergiumOratamPensiliabal quæ Auicenna neaprimum facereinstituiffe. Idquet raditPlinius lib. 9.cap: Pensilibal 54.L. Crafsi Ora- neurum inui torisetate,parumanterempub.occupatam.Queminteraliasvoluptates,et torSergius Ostrearumafferitinueniffe viuaria, nec tamgulæ causaa, quàm auaritiæ, vt Orata.Quiitamangonizatas vendebat villas. Eadem testator Macrobius 3. Saturna liumcap.15. Porrò venisse eas in gratiam popularem planè oftendit PLINIO AsclepiadisNeronis Mediciçtate: vrbe, inquit, imòveròtota Italia imperatrice, tum primùmvsu balnearum pensiliadinfinitumblandien te. Extat et Annei Senecę censura adLucillum, dePensilibusbalneis:qua vapores conuersosintenues aspergines,imbriummodo Aqua pensi supercapitacorum, lis. q u i lauabantur, depluere diximus. Vel quem ad modum Aqua Pensilis dicitur z Fluvius p e n et Auuius Pensilis,ita id balneum Pensile fortasse intelligendum, exquodi-filis. ximus authoreSeneca, atque Galeno calidas perpetuò aquas, vel quales quisquevellet ettepidas et frigidas, velut ex calido fonte depluere, actran {currerepercameras.Verùm nihililliusblandimentivideoinhis,quam ob rem populus eascum tantoapplausu receperit, et quæ ad authorem adscri: bantur voluptuosiffimum.Pensiles ergo balneę haud publici videntur fuisse vera balnea instituti, sed inpriuatis extitiffe. Vtquæ priuatum habuêre authorem, et pri-rum Pensi uatamcaussam,nempèinuentæaddelicias. Necvllumvestigium,nulladeliurnrutio. HisinThermis publicis mention habetur, Earumveròrationem, inquatanto.perehesitaui,elicioexeodem Plinio, cuidererumanti quarummemoriapri malaussupercæteros scriptores, meritòtribuendaest.Pensileenim dicitur rum inqnitsuspensura inuentaest, vtnequid deesset adlautitiam. Hæc ha 3 benturdeinuentione, atquedelicijs Pensilium, quarum tamen non facilèin Psuspensuspenfum,et mobile: qualesipfememinit Tyberij Cesaris hortosPensilesmiræ voluptatis, quoshaud quaquam ponitsupersolariolocatos,sedsuspensos,et mobiles, quos inquit singulis diebuspromouerentadsolemrotisolitores. Quod idem clarainbalneis authoritate exposuit lib.26.сар.3.dum Cleophantum Medicum commemorat, authore M. Varrone, alia quoqueblandimenta ex cogitaffe, iam inquit suspendendo lectulos, quo rumiactatuautmorbosextenuaret,autsomnosalliceret. Iambalneasaui disfima hominumcupiditate instituendo: easdemscilicet,etsuspensas,vtdi xitlectulos.Quamfententiam confirmant quæm oxpaulòsubiunxitverba, quæ allegauimus; Anxiam nimisfuisse Asclepiadis, et quorundam eum sequentium curan,tum primùm Pensilibalnearum vsu ad infinitum blandien te. Easdem et balnearumsuspensurasdixitSeneca. Et ValeriusMax.impen faleuibusinitijscępta, suspensiscalidæaquæ balneis. Vnde fiiam mente co cipiasvidere hominem inbalneoPensili,velęgritudine debilem,vel volu ptuofævitæ, çuiusdulcitepore,acleniiactaræ,et nęnijs, et dulciconcentu tibiarum,somnoet quietiindulgeretur,iamnihilpoterisexcogitaresuauius. Leftuli non Ex quibus intelligitur, nequelectulorum ritum in publicisextitisse: sed ho erấtin Therrumquoq;, vt Pensiliumbalnearum, priuataratio effedebuit, maximèegris. mis. Vtensilia in Neque particulariumquorundamvtensilium,quorum in balneis aliquando xandrinus Pedagogij consueuiffenobilesante ferreadbalneasva sainnumerabilia, aurea,atqueargentea, quorumhęcquidem adlauandum, illa ad vescendum, alia ad propinandum. Quin etiamcarbonum craticulas, Syndones. etcathedras. Syndonestergendosudoripræparatas,maximèægris,memi-. nusfitpedesdenos, vt gradus inferior indeauferat,et puluinusduos pedes. Labrainvr-Hactenus Vitruuius. Quare, vtarbitror, labraistalapidea,quæmultavide bemarmo-muspervrbemmaxima, vicenoset ampliuspedeslongitudine,erantfortaf- se in priuatis balne s. Vel aliqua fort af f e in Thermis admagnificentiam potius operis, ac ornamentum, quàm advsum. Alioquia d publicumvsum nó videolocum, nequeadeofuiffevidenturcapaciapopulo. Pofteàvitroquæ damextructafuiffe conftat. Pauimentorumautem, ac Lythoftrotorum, quibus alveos,atque ipsas cameras adornabant, luxus erat inæstimabilis. Quod certe inuentumAgrippæ tefte Plinio lib. 36. cap. 25. In Thermis, inquit, quas Romæ fecitAgrippa, figlinum opus encaustopinxit, in reliquis albarioadorSufpenfabal nea, Thermis. mentio fit, quæ pueris voquisque domino ad balneumante ferebant. Ut de strigili, quo sudore in detergebant;meminit Persius eo carmineIronico. Strigiles Ipuer, et STRIGILES Crispiniadbalneadefer. Inęgristamenprostrigilibus, quierantvelofsei, velferrei, velargentei, spongiavtebantur,Galeno testex.Metho. Idgenuseratet Guttus,quodLe cythum quoquelegitur,inquoferuabanturoleuni,velaliavnguenta præ 20 30 rea, ciosa ad balneum. Hydriæ,pelues, alabastri, aliaqueid genusvasa, exau Vasaaurea.ro,argento, ferro,velinterdum lapidibus quibusdam. Refert Clemens Ale Labra, nit Galenusx.Methodi. Labraautem ex Vitruuio,et vestigijsipsorumal ueorum videntur fuiffeextructa in cameris signino opere, atque albario: sic enimlegitur Labrumsubluminefaciendum videtur, nestan tes circumsuisvmbriso bscurentlucem. Scholasautemlabrorum itafieri oportetspaciosas, vtcùm prioreso ccupauerintloca,circumspectantes reli quirectèftare poffint. Aluei autem latitude inter parieten etpluteumnemi nauit. O nauit. Non dubi èvitreas facturus cameras, fipriusidinuentum fuisset. Visasolimscribit Balineasgemmis, acargentostraras,vtnevitresca vestigio quidem locus esset. Argento fæminas lauari solitas, argenteisfolijs, meræge m Afiaticori sum missem perin delicijs fuisse apud omnesnationes oftenditur, hanc par mirans, hydrias, pelues, vnguentorum odores, et alabastros,cunctaauromaditißimg lita, ac miroornamento instructa; ad socios conuersus, et quasi nimiunı ilDeritibusantiquisinThermisvrbis. Primis ergoThermarum,ac Palæstraruminstitutis,jam partium earum principalium distinctiones,necnon requisitaadearum vsum magis necessaria tetigimus. De Ritibus verò in eis, atque ordinepublicaemolumentum, quoniam per hæc oblectamenta, assiduafiebatin gymnasijsfrequentia, ac varijs, quasdiximus corporis exercitationibus af suefiebatiuuentusad armorum industriam,vnde faciliùs posset militiæ labo res,quando hæcerantprimaillius feculiftudia, sustinere. Hûc accesserat et alia causa, quoniamqui tepidescere quodammodo ab honeftis conatibus cepiffent,perhas deliciasretrahebaturà vitijsanimi, sicqueocium, quod eftomnium malorum fomes,tollebantur, feditionesarcebantur, et omnes populares corruptelæ. Ex quibustriainter communes ritus videnturesse manifesta. Primùm si vetustam illamverecundiam, ac Romanum decusrespicias, summam in Thermishonestatemfuisse feruatam.Simaiestatem populi, omnia ineis fuisse magnifica et splendida, velutidiximus,et quæ nolentes allicerent, atque etiam traherent. Sid enique communem causam.Communem, ac liberum earum vnicuique fuiffe usum. Erat autem hæc balnea-Thermecó. Rum condition communissima, vtsinguli balneum ingressuri Quadrantem solmunes. Uerent balneatori. Quodplanèali quæpræclaræ declarant authoritates: pri Quadrantis mùm M. Tullii proCælio, vbi quadrantariam vocat permutationem balnea em concludam. Asiaticosdurante suo imperio luxuofiflimos fuisse, acexeis Thermalu A Fines, etvti&, probrisseruisse. Pauper fibiquisquevide eandeinque materiam et cibisseexercentium,aclauationum,haudmirum est hæc instituta semper maioré mis,acarlitatesprin habuisse progressum; siconsideremus non folùm hincvitæ cip.ilesTher seruare consueuiffe, fanitatem elegantiam eos, et roburcorporis;sedquodmaius eftinre ز gëtostratę. Baturacsordidus (scribit Seneca ad Lucillum)nisiparietes balnearūmagnis, a c preciocis orbibus refulsissent. Alexandrinamarmor a Numidicis crustis distincta, operose vndique, et picturæmodovariataçircunlitio, Vitroconditæ cameræ. Aquainper argenteaeffundebant epistomia,et adhuc (inquit) ple beiasfiftulasloquor. Relinquocumhisstatuasillicęternitatidestinatas, operatectoria, picturas,speculariorumlapidumluxus, quiantècameras præbe bantlumina, et columnarnmingentium numerum, alia quetantioperisor namentasinefine. Atque hocvnotantùmPlutarchiexemplo,quobalneas primùm ad Gręcos, et exindeadRomanos huncmorembalnearumema nafse,apud veterum historiarummonumenta clarum est. Cùm ergo Alexader Magnusdeuicto Dariorerumtandem Persię, ac imperijeius potitusesset,balneumque, vt sudorem pugnæ leuaret, ingrederetur; aquarum ductusad-Darij Therludens luxum, Hoccine (inquit) imperare erat. Torifieri solitam. Indicat et cocarmineHoratius, folutio. 1. Saty.3. Qq dum xuofiffima. Nuditas in Redde pilam, sonatæsThermarum,luderepergis? Verecundi ase nudum quisque in balneas exhibere,&etiamin exercitationes. Cuiusreiinteraliafidem faciuntstatuæ, præsertimvirotum,inqui bus videtur minuere potuisse corporis gratiam, ac venustatem, si nonpudenda etiam fimpliciterenudataessent. Nonnullitameninter exercitationes,autfuccincta fibulaprodiresolebant,autsubligaculis,quæ et subligariavo nihilfoluiffe videntur:teste Iuuenali Satir. Nec pueri credunt, nisiquinondumærelauantur. Quorum tamen priuatafieret lauatio, hora extraordinaria quæerat poftdecimā, ij pluri precio lauabant, quod indicate o carmine MartialisBalneapostdecimanılafo, centumq; petuntur Quadrantes, &c. incommunitamengaudio, erataliquandohocmunus interalia Principum, ut gratis lavaretur.Antonini Pij exemplo, quem balneum sinemercede prestitisse, meminitIul.Capitolinus. Sive ergo proveter iinstituto, fiueproso Sub ligaculo cabant.Authore CICERONE (si veda) offi.Scenicorum mostantamhabetveterisdi rumvfus.Sciplinæ verecundiam, vtin Scenasinesubligaculo prodeat nemo. Tecta tamen nonhac,qua debes partelauaris..promi-Cæterùm cumhaclicentiabalnei,videturdiuadmodum perdurassemulie. Eal. Mulierum verecundiam,quænon promiscuècumvirisintrarentinbalneas,nisi perabusum. Hinctotpriuatarumbalnearum numerus. Etquædam viden uerecunda. Subligar. E.. dum tuquadrante lauatumannum, Lauari. Cædere Syluano porcum, et quadrantelauari. Pueri tamen antèFibula. Bal Rexibis,&c. Vituperanseum Principem, quivtvnusde multisquadrāte lauaretur. Idem Iuuen.authoritate confirmatur in 6.ybi mulieres quasdamarguit impudentiæ, quæ communiter cum viris auderent, inquit ips e, lutamercede,hocmanifestumest, commune,acperpetuum fuissein Ther Locai Thermisindultum,vtlocus inbalneo, cuicunque tam primati,quàm plebeio co mis commumunis esset, atque indifferens. Ex quo intelligitur Tertulliani similitudo nia.aduersusMarchionem, QUASI LOCVS IN BALNEIS: quiavidelicetnul li e x meritodatur, nectollitur locus in balneis, iam gratuito constitutis, et T intinnabu -ad usum publicum. Erant autem tintinnabula in Thermis summo quo p i a m fastigi oposita, fære factitio conflata, quorum sonitu populum, sicut i hodie ad facra;conuocari lauandihoraeratsolitum.Tintinnabuluminter Xenias exhibuit Martialis,eo disticho. Virgine visfolalotusabire domum? Facitadeandem licentiamSuetonijauthoritas, D. Titum Cæs. admissaple Secum plebebenonnunquaminThermissuis lavisse. Et Aelij Spartianialia, Hadrianum Cæs. tamprobatævitæ,publicè frequenterselaui consueuiffecum multis, verecundia etiam priuatis.Inuafiffe enim consuetudo videtur,ex affiduis il lisexercitijs, inbalneis.vndefolutohabitu, acseminudiplerunque homines degebant, vtnonesset Idemaffirmatquodamloco Clemens Alexandrinus de athletis et martialis si pudor est,transfer subl igar in faciem. 10 la. Reges lauif. invil. bres. uaret.d. Dumludit media populospectantepalæstra Delapsa est misero fibula verpus erat. Etlib.3. Chionemnotat verecundiæ, quæmuliebriainbalneis contectala turpublicæ fuisse muliebres, ut Agrippinæ Augustæ Neronis matris. Olym piadisitembalneæ in Suburra. EtquastransTyberim, quasiextràconspe čtum hominum habuisseAmpelidem,& Priscilianam ex P.Victorerecensui mus. Conqueritur hac decaussa insuis Amatorijs Propertiusnon eam esse tum Romanis virginibusin balneislibertatem, quibuscum more Spartano publice liceretcertare, et lauari,hisversibus. Sed magè virgine itot bona gymnasij. Quòd noninfamesexercet corporelaudes cepsbeneinstitutę Reip.lapsus) totos singulis diebus lauari cepisse. Invniuer20sum, qui cunquein exercitijsfuis, aut laboribus defatigati effent, vix fanamvitam putassent, nisibalneasstatimintrarent, vbisudoré, fordespulueremq;detergerent,acintotum semolliaquarumfoturecrearent. Quoplanèfit, ve Septiesquosdam lauari. Mirum ese non debeat, nequeluxuiadscribendum,quodquidamseptieseadem dietum lauari consueu erint, quod Plinius in primis refert. Ac posteriscriprores Commodum Cęf. et Gordianum idasseruntfactitasse. Sicenim intellexêrequotienscunqueexercerentur, laffitudini sacrefrictionisvitare pericula,obstructionestollere, cutis afperitateinlenire, faciei, manuum,ac vniuersicorporis decorem conciliare. Erant tamen lauandi horæ constitutæ. ScribitLauandiho I ul. Capitolinus antem Alexandri Severi tempora numquamTherinasantèau 30 roram apertas fuisse, et semper antè solis occasum claudiconsueuiffe. Communiterv erò lauandihora erat ameridie ad vesperum, quando, inquit Vitruvius, maxime calidæ auræ a spirareincipiunt. Cuiomnesaliæ authoritates consentiunt. Hadrianus Cęs. inquit AeliusSpartianus ante horam octauam inpublico neminem, nisiçgrum, lauaripassus est:quod erat duashoras poftmeridiem.Vbi operæ præciumest Horarum apudantiquos Horologirirationemhabere,quidiemartificialem quolibetanni temporedistinguebanttusapudanhorisduodecim, &no&teni per vigilias. Horæergoerantinęquales,maiorestiquos. estate, quialongiorestuncdies; minoreshieme, et proportionecæteristemporibus.Haud tamen intelligendumest cosà prandiovsosbalneis fuise: PrădijetcęNam communiter vir Romanus impransus, autientaculo tantùm primoma-navfus.nerefectus, bonam dieipartemimpendissetnegocijs: mox àmeridie,àsexta nimirùm addecimam horam,exercitijs et balneo;à balneo autem, circa vigesimamscilicet& secundamhoram, cenabatopiparè.Quam dieiatqueho rarumpartitionem conquisitèin eo Martialis epigrammate comprehensam habemus.Primasalutantes, atquealteracontinethora, Exercet raucos tertiacausidicos.Martialis ma 10 CO, Multa tuæ Spartemiramur iura Palæstræ, Interluctantes n uda puella viros. Refert Plutarc husinterlaudabiles CatonisilliusCenforij mores, hocsum- verecundiă ma:laudiilicefliffe,quodcùmfilionunquàmlauisset. Imò Val. Max. fcribitinterafines. Deinstitutisantiquis, necpatercum filiopubere, necsočercum generis lauabatur. Quiainterista fancta Vincula, non magis quàm in aliquo sacra tolo nudare se ne fasessecredebatur. Sed transeamusiamadeosritus, qui com inunivsuretinebanturinThermis. Perinitia institutihuius, narratSenecaad Lucillum consueuifse veteresquotidiebrachia,et cruralauare, totosnundi nisfolùm. Cæterùm poft Magni Pompei ętatē(cuiusmemoria notatur præra. Qa ij Ad quintam variosextendit Roma labores,Sexta quieslafis,septimafiniserit. Sufficitinnonam nitidisoctaua palæstris,Imperat extructos frangerenonatoros. Hora libellorum decimaest Euphememeorum,Temperat ambrosias cùm tuacuradapes. Octavam verò dieihoram fuisselauationibuspropriam,tùm publica,tùm pri M. Tullius CICERONE, uata testantur exempla. M.Tullius scribit ad Atticum de Cesare: Ambulavit inquitinlittore,pofthoramoctauamin balneum, vnctusest, accubuit, edit, bibitq;opiparè. Horam et distinctionemtemporum aliquamadnotamusex Galenus, Galeno v.de Sa.tuen.d. ANTONINO Imp.cognomento Pius, ad curam corporis promptifsimus, subbrumabreuibus, f.diebus,sole Occidente in palestram ingressus, sub indeole operun et tus lauarieratsolitus: in Solstitio autemhora Thermehie-nona, autfummumdecima. Porrò quodlegitur apud aliquos authores,Ther males, eteftimasaliquasfuise Hiemales,aliquasAestiuas;hæcnoneratcommunisom niumdistinctio, sedquarundam àcerto coelisitudispositio. Quales Hiema lesfecissetraditVopiscusAurelianum Cæs.inTranstyberina regione; nimi rum ad meridiem expositæ,apertè solis fouebanturaspectu, itaq; ad hie males exercitationes aptissimæ. A e quaratione A estivasin Gordiano Iunior e meminitIul. Capitolinus, quæ in opaco fit uinter montemCelium et Esqui Bal.vfuspe-lias,gratas estate exercitationibus præftabantvmbras. Alioquî penes anni nesannitem tempora, vix vllaeratlauandidistinctio,sed benèpersonarum. Nam qui cun que lavabantura d exercitium, in differentertam hiem e, quam estate lauissent, quando cunquescilicetexercerentur.Sanitatisverò&mundicieicauf sa: quando cunque opusfuisset,velad priuatamcuique consuetudinem,vt de Telep o Grammaticom emin it Galen. v. de San. t u. qui lauari consueverathieme bis mense, estate quater,medijs verò temporibus ter. Et de Primigenequodam FILOSOFO, quiquadie non lauisset, febricitabatomnino. Adde liciasautemacvoluptates, velme tacente, priuataquoqueratio essedebuit, et citràvllamaut regulam, autmensuram. VndeMeridianæ lauaționes le Lychniinguntur, atqueetiam antemeridianę, et vespertinæ.Necnon Medicine introductio.xi,trimixi,polymixi, idest angulorum et luminum,vnius, duorum,trium, plurium,Devrilitatibus Balnearum es quando primum Dalnceinvfum Medicina venêre.seruatur; nonaliam legimus fuiffe Rome Medicinam sexcenti sannis, quàm balnea.Quod teftatur PLINIO Receptos primùm è Græcia Medicos L. Aemilio, M. Licinio Coff. vxxxv. Vrbis Romæ anno.Quádoqui dempetrari erant, nisi quiob cæliinclementiam crassarentur morbi. Namquæ ex malo vitæregimine, ac ex termis causise ueni rep. Andrea Baccius. AndreaBacci. Keywords: i bagni dei romani, De thermis – thermal baths – philosophy ofthermal baths – implicatura ginnastica – le xii pietro pretiose – storianaturale del vino, bacco – terme romane – il vino e la filosofia, bacco edApollo, le xii pietre pretiose per ordine di dio I sardio II topatio IIIsmeraldo IV barconchio IV saphhiro VI diaspro VII lingurio VIII agata IXamethisto X berillo XI chrisolito XII onice – tevere, le tibre au louvre, ivini. Thermopolium romanum – illustrazione – incisione terme romanae – natatio– piscina – ginnasio, mercurial, arte ginnastica. -- Refs.: Luigi Speranza,“Grice e Bacci” – The Swimming-Pool Library
Luigi Speranza -- Grice e Badaloni: laragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della colloquenza – lascuola di Livorno – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Livorno). Filosofo toscano. Filosofoitaliano. Livorno, Toscana. Grice: “I like Badaloni; he never took the ROMANstory of philosophy – I say story since history, as every Italian knows, is toopretentious! – seriously until he had to teach it! “Storia del pensierofilosofico – l’antichita’ is my favourite – because he does his best tounderstand Plato’s pragmatics of dialogue as misunderstood by Cicero!” -- Nicola Badaloni, Sindaco di Livorno PredecessoreDiaz Successore Raugi Nicola B. (detto Marco). Di spiccateconvinzioni marxiste, è stato uno studioso di Bruno, Campanella, Vico, Marx, eGramsci. All'attività di ricerca e didocenza a Pisa, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofiae occupa e la cattedra di filosofia, B.ha affiancato un'imponente attività politica nelle file del movimento operaio,ricoprendo per molti anni la carica di sindaco di Livorno, di presidentedell'Istituto Gramsci, nonché di membro del Comitato centrale del PCI. I suoicontributi storiografici, salutati fin dall'esordio dall'apprezzamento diBenedetto Croce hanno messo in luce autori considerati minori e pensatoriinattuali (Franco, Fracastoro, Porta, Cherbury, Conti) rinnovando radicalmente,attraverso una collocazione nel contesto storico, grandi figure viste dallastoriografia idealistica precedente come immerse in una «solitudinemetastorica». Storicismo e filosofiaNella presentazione dell'ultima pubblicazione di B., Bodei ha sostenuto che ilmarxismo, lontano da ogni vulgata, conserva, per lo storico della filosofiatoscano, la sua capacità di strumento di comprensione del mondo, di erogatoredi energie di cambiamento, di guida per lo sviluppo di una prassi razionale,ancora validi dopo le esperienze del cosiddetto "socialismorealizzato". B. ha incessantemente ricercato un legame, nella storia, trapensiero e azione sociale e sviluppato uno storicismo di impronta marxista cheraccordasse autori lontani nel tempo (come Bruno, Vico, e Labriola), maaccomunati dalla tensione al rinnovamento e alla trasformazione progressivadegli assetti sociali in una data situazione storica determinata. Così come c'èalterità profonda, ma non rottura senza legame, tra Hegel e Marx e similmentetra Croce e Gramsci. Altre saggi: “Retoricae storicità in Vico” -- “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimentoitaliano” (ETS, Pisa); “Appunti intorno alla fama del Bruno”; “Introduzione aGiambattista Vico, Feltrinelli); “Marxismo come storicismo, Feltrinelli); “TommasoCampanella” (Feltrinelli, 'Istituto Poligrafico dello Stato); “Conti. Un abatelibero pensatore tra Newton e Voltaire” (Feltrinelli); “Il marxismo italianodegli anni Sessanta” (Editori Riuniti); “Labriola politico e filosofo, sta inCritica marxista, Roma); “Per il comunismo. Questioni di teoria, Einaudi); “Fermentidi vita intellettuale a Napoli, Storia di Napoli, Società Editrice Storia diNapoli); “Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Laterza); “Lastoria della cultura, sta in Storia d'Italia, III -(Dal primo Settecento all'Unità),Einaudi); “Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica,Einaudi); “Libertà individuale e uomo collettivo in Gramsci, in Politica estoria in Gramsci, F. Ferri, 1, Roma,Editori Riuniti-Istituto Gramsci); “Labriola, Croce e Gentile” (Laterza); “Dialetticadel capitale, Editori Riuniti); “Gramsci: la filosofia della prassi, sta inAntonio Gramsci. La filosofia della prassi come previsione, in Hobsbawm, E. H.,Storia del marxismo” (Torino, Einaudi); “Teoria della società e dell'economiain Labriola, I e II, in Dimensioni”; Forme della politica e teorie delcambiamento. Scritti e polemiche” (ETS); Movimento operaio e lotta politica aLivorno”; “Democratici e socialisti in Livorno” (Nuova Fortezza); “Filosofiadella praxis, sta in Gramsci. Le sueidee nel nostro tempo, Editrice l'Unità); “Labriola nella cultura europeadell'Ottocento, Lacaita); “Il problema dell'immanenza nella filosofia politicadi Gramsci, Quaderni della FondazioneIstituto Gramsci Veneto, Venezia, Arsenale); “ Bruno. Tra cosmologia ed etica,De Donato); “Laici credenti all'alba del moderno. La linea Herbert-Vico, LeMonnier-Mondadori); “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimentoitaliano, Edizioni ETS, Pisa, B. è inoltre coautore di due importantimanuali: Storia della pedagogia,(Laterza); “Il pensiero filosofico. Storia. Testi. Per le Scuole superiori” (SignorelliEditore). Notizia della morte sul settimanale Macchianera, su macchianera. Giuliano Campioni, Addio a B., maestro difilosofia, Athenet, Sistema bibliotecario di ateneo, Pisa. La lezione di NicolaBadaloni di Giuliano Campioni, professore del Dipartimento di Filosofiadell'Pisa, 20 gennaio,, in Pisanotizie. B. in Treccani Istituto dell'EnciclopediaItaliana. Predecessore Sindaco diLivornoSuccessore Livorno Stemma.svg Diaz Raugi Filosofia Politica Politica Categorie: Politici italianiPolitici italiani Filosofi italiani Filosofi. Nicola Badaloni. Badaloni Keywords:colloquenza, la retorica di Vico. La storia di Vico, storia e storicita,campanella, lingua utopica. Bruno, Campanella, Gentile, Croce, Labriola,Gramsci. badaloni — implicatura vichiana — libero — biologia filosofica telesio — vallisneri — lingua utopica dicampanella — “retorica e storicità” — laico — bruno — comune — comunismo —marchetti — vignoli —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Badaloni” – TheSwimming-Pool Library. Badaloni.
Luigi Speranza -- Gricee Baglietto: la ragione conversazionle e l’implicatura conversazionale della dialettica– filosofia ligure – la scuola di Varazze -- filosofia italiana – LuigiSperanza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Varazze). Filosofoligure. Filosofo italiano. Varazze, Liguria. Grice: “I like Baglietto; unlikeme, he was a consceinious objector, but then we were fighting on differentcamps! I love the fact that his first tract is on ‘il problema del linguaggio’in Mazzoni – but then he turned from ‘la bella lingua’ to Dutch! Andspecialized in Kant, but most notably Heidegger – ‘mitsein und sprache.’ But healso wrote on ‘eros’ and ‘love,’ – which is very Platonic of him! And of me,since the ground for my theory of conversation is on the balance between what Icall a principle of conversational self-LOVE (or egoism, if you mustn’t) and acorresponding principle of conversational OTHER-love (or altruism, if you must,since I prefer tu-ism – ‘thou-ism’).” Claudio Baglietto (Varazze), filosofo. Di origini modeste, dopo gli studi licealipresso il Liceo "Chiabrera"di Savona, studiò Filosofia all'Pisa e siperfezionò presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, allora diretta daGiovanni Gentile. Baglietto fu assistente del filosofo Armando Carlini. Neglianni pisani sviluppò idee di riforma religiosa e morale, in contrapposizione alCattolicesimo e al Fascismo. Insieme a Capitini, B. organizzava riunioni seraliin una camera della Normale, cui partecipavano giovani studenti, divenuti inseguito affermati intellettuali, come Binni, Dessì, Ragghianti, Varese. Così Capitini ricordava l'amico nel suosaggio Antifascismo tra i giovani (Trapani): "era una mente limpida eforte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una coscienzasobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, conun'evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee diriforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Sudue punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in unlavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e kantiano;il metodo Gandhiano della noncollaborazione col male. Si aggiungeva,strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che B. venneconcretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendocircolare i dattiloscritti, cominciando quell'uso di diffondere paginedattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodoclandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibilie implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioniperiodiche in una camera della stessa Normale [...]". Ottenuta una borsa per perfezionarsi pressol'Friburgo in Germania, dove allora insegnava Heidegger, in coerenza con i suoiideali di nonviolenza incompatibili col Fascismo, B. decide di non rientrarepiù in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizza Gentile (che avevagarantito per lui presso le autorità per il visto). Anche Cantimori criticòanimatamente la scelta di B., in particolare nel suo carteggio con Capitini econ Varese, accusando i colleghi normalisti dissidenti dal Fascismo di mancanzadi senso di realismo politico, nonché di senso dello Stato (fu poi lo stessoCantimori ad avvisare Gentile della morte di B.). Lasciata Friburgo, B. si trasfere quindi aBasilea, dove visse da esule, proseguendo gli studi e dando lezioni private. Sepoltonel cimitero di Basilea. Il cammino della filosofia, “Annali della ScuolaNormale di Pisa”, Scritti religiosi. Antifascismo tra i giovani, Celebres,Trapani); "Kant e l'antifascismo", in Fontanari e Pievatolo,Bollettino italiano di filosofia politica, Pisa, Ospitato suarchiviomarini.sp.unipi. (Saggio inedito di Baglietto, composto a Basilea e daanni depositato nell'Archivio Marini dell'Pisa) Note. A. Capitini,L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); Chiantera Stutte, Cantimori.Un intellettuale del Novecento, Carocci, Roma, che rinvia soprattutto a Simoncelli,La Normale di Pisa. Tensioni e consenso; Angeli, Milano); Capitini. CapitiniMahatma Gandhi Nonviolenza B. e laquestione morale -- "PhenomologyLab", B., Kant e l'antifascismo di Fontanari, nel "ArchivioMarini". Filosofia UniversitàUniversità Filosofo Professore Varazze Basilea Nonviolenza Antifascistiitaliani Studenti dell'Pisa. Claudio Baglietto. Baglietto. Keywords. dialettica, filosofia ligure, baglietto — ilkantismo di heidegger — manzoni — filosofia dell’amore — dialettica — Refs.: Luigi Speranza,“Grice e Baglietto” – The Swimming-Pool Library. Baglietto.
Luigi Speranza -- Grice e Balbillo: il filosofopersonale di Nerone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofoitaliano. A man of learning, he is much admired by Seneca. He is the personalphilosopher of NERONE and writes a long book on astrology. Tiberio ClaudioBalbillo. Balbillo.
Luigi Speranza -- Grice e Balbo: il tutore difilosofia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofoitaliano. Scolaro di SCEVOLA (si veda) pontefice, e soprattutto un giurista. Ishall say but little of some other Balbus's, mentioned by ancient Authors. DiscipleSCEVOLA, and preceptor of Servio Sulpizio, an excellent philosopher of law.CICERONE says that Sulpizio did exceed his master, who, by the addition of amature judgment to his learning, was something slow, whereas his disciple is quickand expeditious. B.’s essays are lost, to which perhaps his disciple Sulpiziodid not a little contribute by inserting most of them in his own. Lucio Lucilio Balbo.Balbo.
Luigi Sperana -- Grice e Balbo: gl’ortelani – Romaantica – filosofa italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofoitaliano. Portico. Consul. Friend of CICERONE, who successfully defended him ina legal action. Comments made by Cicero suggest he was a member of L’ORTO. Lucio Cornelio Balbo.Balbo.
Luigi Speranza -- Grice e Balbo: il portico a Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Chiamato ‘dalportico’ da CICERONE che nel De natura Deorum gli assegna l’esposizione delledottrine teologiche stoiche. Ivi B.dichiara di avere familiarità con Posidonio.Antioco dedica a B. un saggio. Secondo CICERONE, B. e pari ai più insignistoici. A Stoic philosopher and a pupil of Panezio. B. appears to CICERONEas comparable to the best philosophers. He is introduced by CICERONE in hisdialogue De natura deorum as the expositor of the opinions of the Portch onthat subject. B.’s arguments are represented as of considerable weight. Hisname appears in the extant fragments of CICERONE’s Ortensio, but it is nolonger thought that B. is a speaker in the dialogue. Cicero, De Divinatione. Griffin,"Composition of the Academica, in Inwood and Mansfield, Assent andArgument: Studies in Cicero's Academic Books. Brill. Smith, Dictionary of RomanBiography. Categories: Philosophers of Roman Italy Roman-era Stoic philosophersLucilii Ancient Roman people GRICE E BALBO We must not, as Glandorpius hasdone, confound this Balbus with *Quintus* Lucilius BALBUS, the philosopher, andone of Cicero's interlocutors in the books de Natura Deor. A member of thePortch. Cicero uses him as a spokesmn for the Porch in De natura deorum. Lucio Lucilio Balbo. QuintoLucilio Balbo. Balbo.
Luigi Speranza-- Gricee Baldini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dellinguaggio – la scuola di Greve – filosofia fiorentina – la scuola di Firenze –filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Giocodi H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Greve). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. FilosofoItaliano. Greve, Firenze, Toscana. Grice: “I like Baldini, but more so doesAustin! In his collectionof ‘lessons’ (lezioni) on ‘filosofia del linguaggio’ (not just ‘sematnica’ or‘semiotica’) for the distinguished Firenze-based publisher Nardini, he dealswith Austin, but not me!” Grice: “Baldini fails to realise that I refutedAustdin – when Baldini opposes ‘filosofese,’ I am reminded of mynon-conventional non-conversational implicata – and Austin’s less happy idea ofa felicity condition for a perlocutionary effect!” Grice: “But what I likeabout Baldini is that being Italian, he refers to ‘amore’ in his ‘natural’history of AMicizia – which is all that my conversational pragmatics is about:Achilles and Ayax must share a lot of common ground to be able to play the gameof conversation, and they do!” Si dedica alla filosofia del linguaggio. Figlio dellostorico Carlo B., laureato a Firenze, insegna a Firenze, Siena, Perugia, Bari, eRoma. Diversi sono gli’ambiti di ricerca che più di altri B. coltiva: lafilosofia della scienza (con una particolare attenzione al pensierodell'epistemologo Popper, di cui hacurato anche alcune opere), la filosofia del linguaggio, e la semiotica dellemode filosofiche. Dedicato saggi all'epistemologia, cogliendone le possibiliapplicazioni alla medicina, alla storia della scienza, alla pedagogia e,infine, alla filosofia politica. Parallelamente, ha rivolto i suoi interessianche alla storia della scienza e, in particolare, alla storia della medicina.Un'attenzione particolare è stata dedicata ai nessi che intercorrono tral'epistemologia e la filosofia della politica: sulla scorta delle riflessionipopperiane, ha riletto il pensiero utopico sia nella sua dimensione storica chein quella teorica. L'altro grande interesse filosofico di B. è stata lafilosofia del linguaggio. In particolare ha studiato le tesi dei semanticistigenerali, un movimento nato negli Stati Uniti tra le due guerre mondiali e dicui si era occupato per primo in Italia negli anni Cinquanta Francesco Barone.L'interesse per la filosofia del linguaggio si è declinato anche in chiavestorica: e alla storia della comunicazione Massimo Baldini ha dedicato numeroseopere. Inoltre, gli studi sulla filosofia del linguaggio si sono incentratisull'analisi di alcuni linguaggi specialistici: quello della pubblicità, quellodei mistici, quello della pubblica amministrazione, quello dei giornalisti,nonché il tema correlato del silenzio. Tutti questi linguaggi, sono statistudiati nelle prospettive dell'oscurità e della chiarezza, e dell'oggettività(soprattutto con riferimento al contesto dell'informazione). Labiblioteca comunale "B." di Greve in Chianti A partire dalla finedegli anni Novanta, infine, gli interessi di B. si sono incentrati sul temadella moda, che egli ha studiato dal punto di vista storico e semiotico, enelle diverse componenti della moda vestimentaria e della moda capelli. Tuttal'attività di ricerca di B. è confluita in numerose opere individuali ecollettive, curatele, introduzioni e prefazioni a testi italiani e stranieri,traduzioni, nonché nella collaborazione stabile con alcune case editrici eriviste scientifiche. In particolare, presso l'editore Armando (Roma) hadiretto le collane Temi del nostro tempo, I maestri del liberalismo, Moda emode, I linguaggi della comunicazione; presso l'editore Rubbettino (SoveriaMannelli) la collana Biblioteca austriaca (con Antiseri, Infantino eRicossa). Menzione a parte merita poi il ricordare che B. è stato ed èrimasto nel corso dei decenni un grande estimatore e diffusore dell'opera delconcittadino grevigiano Giuliotti, il "poeta-mistico"o"profeta" Giuliotti, del quale il nostro ha riedito alcune delle suemaggiori opere per lo più per conto delle edizioni Logos di Roma, oltre adedicare al medesimo alcune raccolte di saggi come "Il più santo deiribelli. Scritti su Domenico Giuliotti" oppure "Giuliotti. Cristianocontrocorrente" (ed. EMP), senza contare i volumetti preparati per contodella preziosa casa editrice La Locusta di Vicenza, in consonanza agliinteressi espressisi e sviluppatisi soprattutto a partire dagli anni ottanta,quelli che afferivano ai connotati e alle 'modalità' del linguaggio deimistici, o alle relazioni intercorrenti fra le dimensioni delsilenzio-parola-Parola di Dio-ascolto. È stato altresì membro delComitato Nazionale per la Bioetica; membro del comitato scientifico delleriviste L'Arco di Giano, 'Nuova civiltà delle macchine, Desk. Morì acausa di un infarto mentre si trovava a cena con alcuni colleghi universitari.Nel per la casa editrice Rubbettino èuscito il libro La responsabilità del filosofo. Studi in onore di B. Antisericon saggi di amici, colleghi, collaboratori e studenti per ricordare la figuraintellettuale e morale di Massimo Baldini a quattro anni dalla scomparsa.Partecipano all'antologia Mauro e Kerckhove. Il primo maggio è stata inaugurata a Greve in Chianti laBiblioteca B. Sulla filosofia del linguaggio «È chiaro che devopreoccuparmi di essere inteso da tutti perché penso che la chiarezza sia lacortesia del filosofo» (Gasset, Cos'è la filosofia?) Secondo Baldiniscopo del filosofo e della sua filosofia è essere chiari: scrisse infatti«l'accusa che più frequentemente viene rivolta alle opere dei filosofi è quelladell'illegibilità». I filosofi come dimostra nel suo Contro il filosofese e nelElogio dell'oscurità e della chiarezza non seguono sempre questa missione ed inalcuni casi sembra usino volutamente un linguaggio oscuro ed incomprensibile.Tre dei filosofi più oscuri secondo Baldini, che ricalca in questo anche ilgiudizio di Schopenhauer, sono stati Fichte, Hegel e Schelling. Parlando diHegel, Baldini riporta il giudizio di uno scritto di Koyré che definisce lalingua di Hegel "incomprensibile e intraducibile". Citandoinoltre il giudizio di Popper scrive: «Troppo spesso, secondo Popper, ifilosofi vengono meno alla virtù della chiarezza. Con l'oscurità soventemascherano le tautologie e le banalità che infiorettano i loro discorsi». Bergson cita l'esempio di Cartesio, di Malebranchee di molti altri filosofi francesi mostrando che idee molto raffinate eprofonde possono essere espresse nel linguaggio ordinario anziché concirconlocuzioni e ridondanze e termini che sono causa di equivoci. B. affermache l'oscurità in filosofia è, dunque, il modo migliore per fingere dispacciare pensieri, mentre si sta solo spacciando parole, è una maschera checela spesso il vuoto di pensiero o la banalità dei pensieri. Nonostante tuttosecondo B., non bisogna giudicare frettolosamente un filosofo, definendolooscuro, a volte può essere una carenza della nostra conoscenza che ci porta arespingere come vuoto suono, parole che invece, hanno il loro precisosignificato. Filosofare in maniera chiara può avere le sue difficoltà,Nietzsche infatti afferma che ci vuole meno tempo ad imparare a scriverenobilmente che chiaramente eWittgenstein che celebra a più riprese la chiarezza, fa autocriticaammettendo in una sua lettera a Russell che il suo Tractatuslogico-philosophicus è tremendamente oscuro. Quanti celebrano la chiarezza infilosofia, sanno bene che ogni lettore di testi filosofici deve fare proprio ilconsiglio che Wittgenstein da a Russell, quando questi si lamenta con luidell'oscurità del trattato, gli scrive. Non credere che tutto ciò in cui tu seicapace di capire consista di stupidaggini. Invece, un personaggio chevolutamente, secondo B., tende a non farsi capire e a sopraffarelinguisticamente fra gli applausi di ammirazione i suoi ascoltatori, èVerdiglione. Chi si avventura nelle sue opere, fa rilevare il filosofo,si imbatteva in frasi tipo questa. Sono tratto da un demone a dire, a fare, ascrivere sempre fra oriente e occidente e fra nord e sud. Senza luogo dellaparola. Questo demone è il colore del punto, dello specchio, dello sguardo,della voce: la moneta stessa. Punto, sembiante, oggetto scientifico, è indottodalla pulsione, dall'instaurazione della domanda, dove l'offerta è ilpleonasmo», ed ancora: «Ecco questo primo rinascimento. Primo in quanto procededal secondo, ovvero dall'originario. Secondo dunque non in senso ordinale, nonin nome del nome. Non è neppure nuovo, perché non parte dalla corruzione perarrivare all'utopia». "Oscuro superlinguaggio" e "gargarismilinguistici e semantici" sono secondo B. il risultato della verdiglioniteovvero di chi si muove sui sentieri del filosofese. Secondo B. quindi ladifficoltà di esprimere alcuni profondi pensieri filosofici non dovrebbe essereamplificata, è vero che ci sono pensieri filosofici difficili da esprimere inmodo semplice, ma è pur vero che il filosofo che desidera trasmettere lapropria filosofia, dove fare un onesto sforzo affinché essa sia quanto piùpossibile comprensibile al proprio uditorio. Sociologi: è morto B.,semiologo e filosofo, Adnkronos, Contro il filosofese I filosofi e l'abusodelle parole; Contro il filosofeseFichte, Schelling, ed Hegel: i professionistidell'oscurità; Koyré, Note sulla lingua e la terminologia hegeliana,Interpretazioni hegeliane, La Nuova Italia, Firenze; Russel. L'autobiografiaLonganesi, Milano Verdiglione, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli,Milano. Altre saggi: “Epistemologia e storia della scienza” (Città di vita,Firenze); “Campanella ed il linguaggio dell’utopia” – “Utopia e ideologia: unarilettura epistemologica” Ed. Studium, Roma); “Epistemologia contemporanea eclinica medica” (Città di vita, Firenze); “Teoria e storia della scienza” (Armando,Roma); “I fondamenti epistemologici dell'educazione scientifica” (Armando,Roma); “La semantica generale” (Città nuova, Roma); “Gli scienziati ipocritisinceri: metodologia e storia della scienza” (Armando, Roma); “La tirannia e ilpotere delle parole: saggi sulla semantica generale” (Armando, Roma); “Congetturesull'epistemologia e sulla storia della scienza” (Armando, Roma); “Epistemologiae pedagogia dell'errore” (Scuola, Brescia); “Il linguaggio dei mistici” (Queriniana,Brescia); “Il linguaggio della pubblicità” “La fantaparola” (Armando, Roma); “Educareall'ascolto, Scuola, Brescia); “Parlar chiaro, parlar oscuro” (Ed. Laterza,Roma Bari); “Lezioni di filosofia del linguaggio” (Nardini, Firenze); “Antologiafilosofica, Scuola, Brescia); “Contro il filosofese” (Laterza, Roma); “Storiadella comunicazione, Newton et Compton, Roma); “La storia delle utopie, ArmandoEditore, Roma); “Il proverbi italiano” (Newton et Compton., Milano); “KarlPopper e Sherlock Holmes: l'epistemologo, il detective, il medico, lo storico elo scienziato” (Armando, Roma); “La medicina: gli uomini e le teorie, CLUEB,Bologna); “Il liberalismo, Dio e il mercato” (Armando, Roma); “L’amicizia”(Armando, Roma); “Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma); “Capelli:moda, seduzione, simbologia” Peliti, Roma); “Popper e Benetton: epistemologiaper gli imprenditori e gli economisti” (Armando, Roma); “Elogio dell'oscurità edella chiarezza, LUISS University Press e Armando Editore, Roma); “Elogio delsilenzio e della parola: i filosofi, i mistici, i poeti, Rubettino, SoveriaMannelli); “I filosofi, le bionde e le rosse, Armando Editore, Roma); “L'invenzionedella moda: le teorie, gli stilisti, la storia. Armando Editore, Roma); “L'artedella coiffure: i parrucchieri, la moda e i pittori, Armando Editore, Roma); Popper,Ottone, Scalfari, LUISS University Press, Roma. Citazionio su B. Schedadell'Università LUISS, su docenti. luiss. Filosofia Filosofo Filosofi italianiAccademici italiani Accademici italiani Professore Greve in Chianti Roma Professoridella Libera università internazionale degli studi sociali Carli Professoridella Sapienza Roma Perugia Siena Bari Firenze. Intendo concentrarmi qui sualcuni aspetti della teoria aristotelica dell’amicizia: il metodo di indagineattraverso cui è articolata e acquisita, e il suo significato dialettico eteorico. Il processo conoscitivo per Aristotele è una transizione da ciòche è primo per noi a ciò che è primo per sé, e l’indagine sull’amicizia non faeccezione. Il primo per noi contempla la nostra esperienza della cosa intesa insenso ampio, tale da includere: le prassi linguistiche e ascrittive diffuse, leopinioni notevoli (ἔνδοξα) condivise da tutti o dai più o dai sapienti o daalcuni di essi, i topoi o luoghi comuni consegnati dalla tradizione, i fenomeniintesi come fatti della vita, ovverosia le ordinarie prassi umane, icomportamenti concreti implicati nelle relazioni di amicizia. Si tratta di unmateriale eterogeneo, variegato, opaco, bisognoso di sintesi e di articolazioneconcettuale. Il suo trattamento dialettico preliminare e orientato anzitutto aevidenziare le contraddizioni che tale materiale ospita, per poi cercare disuperarle entro una sintesi superiore la quale, attraverso una teorizzazionepositiva ˗ materiata di distinzioni semantiche e concettuali, argomenti,definizioni ˗ ne salvi gli elementi genuini nella misura del possibile, mostril’apparenza delle contraddizioni, e produca così una sorta d’equilibrioriflettuto fra il primo per noi, da cui pure si sono prese le mosse, e il primoper sé, punto d’arrivo dell’indagine. Una buona teoria dovrà fare giustizia deicaratteri manifesti dell’oggetto, renderli cioè intellegibili e inferibili. Unateoria che nega questi caratteri, e ipso facto una teoria deficitaria,insoddisfacente: non ci riconcilierebbe coi φαινόμενα, che pure sono il suooriginario explanandum. Questa cifra metodologica va tenuta presente, sesi vuole apprezzare in modo non superficiale la trattazione aristotelicadell’amicizia nelle Etiche. Perciò è opportuno partire non da Aristotele, bensìdall’orizzonte teorico-culturale cui egli si rapporta dialetticamente, nonchédai suoi obbiettivi polemici. Il significato ordinario di «φιλία» haun’estensione ben più ampia della nostra nozione di «amicizia»: oltreall’amicizia propriamente intesa, può denotare anche l’alleanza politica, lavasta gamma dei rapporti sociali, dalle relazioni parentali e matrimoniali aquelle commerciali, quelle cameratistiche, quelle amorose ed erotiche; insomma,qualunque interazione umana positiva e non ostile, fra individui o fra gruppi –ma anche fra uomini e dei– è denotabile come φιλία. Nella caratterizzazionepreliminare che ne offre, Aristotele attinge ai grandi modelli omerico edesiodeo, così come ai Sette Savi, ai tragici, nonché al sapere filosofico deipredecessori (Empedocle, Eraclito, etc.); ma il punto di riferimento dialetticoche, sottotraccia, orienta l’intera trattazione, è il Liside platonico, laprima indagine filosofica sistematica dedicata alla φιλία[8], nelle cui noteaporie sono peraltro condensate e portate a tematizzazione le contraddizioniinsite nelle istanze della tradizione pre-filosofica globalmente intesa. IlLiside dunque, fra gli ἔνδοξα e i λεγόμενα, riveste un ruolodialettico-polemico primario, anche se non se ne fa alcun riferimentoesplicito. È impossibile in questa sede tentarne anche solo una cursoriasintesi, ma è necessario individuare perlomeno quelle aporie di fondo intornoalla φιλία che Aristotele riprende in maniera puntuale. Una importanteaporia radicata nella dicotomia attivo/passivo, è articolata intorno allaquestione: chi dei due, in una relazione amicale, è l’amico? Chi ama o chi èamato? Si sonda tutto lo spazio logico delle possibilità, producendo esitiparadossali (di qui, appunto, lo status di aporia): se è chi ama, ad essereamico di chi è amato, allora nel caso che chi è amato odiasse chi lo ama, unosarebbe amico di chi lo odia! se è chi è amato, ad essere amico, sarà anche ilcaso che chi è odiato è nemico, dunque se qualcuno ama qualcuno che lo odia,allora sarà nemico di un suo amico! se sono amici o chi ama o chi è amato,indifferentemente, resta fermo che uno potrebbe essere amico di chi lo odia sesono amici necessariamente entrambi, allora non potremmo essere “amici” dientità che non ci amano, come la scienza, o il vino, o i cavalli. L’aporiapresuppone l’ampia estensione semantica di φιλία e di φίλος, che da un lato puòavere significato passivo (esser caro a qualcuno), attivo (essere amico oreciproco, dall’altro come prefisso (φίλο-) può comporre termini denotantiamore, passione o apprezzamento per entità impersonali, che non reciprocano. Mal’aporia è filosofica, non meramente linguistica. Una seconda aporiamuove dalla questione se l’amicizia si dia fra simili o fra dissimili. Se si dàfra simili, allora anche i malvagi sarebbero amici, ma fra malvagi non si dàvera amicizia (assunzione qui data per vera); se si dà non fra similisimpliciter ma fra simili nell’esser buoni, sorge il problema di come il buono– il quale basta a se stesso – possa trarre utilità da un altro buono, eviceversa, quando si era precedentemente stabilito che nessun amico è inutileall’amico se si dà fra dissimili contrari, come povero/ricco,sapiente/ignorante etc., allora, daccapo, l’amico sarà amico del nemico, ilmalvagio del buono etc.: amico/nemico e malvagio/buono sono contrari; 4) forsesi dà fra certi dissimili non contrari: chi è intermedio fra buono e cattivopuò amare il buono in virtù della presenza in sé di un “male”, cioè dellaprivazione di bene di cui è conscio e che lo rende intermedio; così l’amiciziadiventa un caso particolare del desiderio, volto strutturalmente a ciò di cuisi è privi. Ma anche qui si ricadrebbe nel caso 1 della Prima aporia: pare chel’amare unidirezionale e non ricambiato non sia sufficiente all’amicizia,inoltre il buono sarebbe amato senza amare a sua volta (infatti l’altro gli èinutile giacché egli ha già il bene presso di sé). A questo punto vieneintrodotta l’idea che, se noi cerchiamo nell’amico il bene ma nessun amico puòavere il bene pienamente presso di sé, allora ciò che cerchiamo negli amici èil «Primo Amico», qualcosa che trascende sia noi che gli amici stessi, di cuiquesti ultimi sono apparenze (εἰδώλα). Le relazioni amicali sono da ultimoorientate verso qualcosa che trascende entrambi i relati, secondo una dinamica“ascensionale” segnatamente platonica: ma così l’amico in carne e ossa parrebberidotto a mero luogo di transito di una tensione desiderante che ascende indirezione di un assoluto ideale. Riesaminando poi la relazione “orizzontale”,si introduce la nozione di «affine» (οἰκεῖος): forse la φιλία è rapporto colsimile in quanto affine, o familiare; ma l’affinità pare essere reciproca (se Aè affine a B, B è affine ad A), dunque il buono risulta inservibile a chi è giàaffine al buono; inoltre, sono affini anche i malvagi. Anche se latrattazione appare un poco schematica e talora verbalistica, essa toccaproblemi speculativi genuini. Come ci si aspetta da un dialogo “socratico” diPlatone, le aporie non trovano uno scioglimento, se non la paradossaleacquisizione che né amanti né amati, né simili né dissimili né contrari, néaffini, né buoni, possono essere amici! Teniamo dunque a mente questi nodiproblematici.L’amicizia è studiata nell’Etiche Eudemia e Nicomachea.Mentre la trattazione dell’Etica Eudemia risulta più logica e astratta, quelladell’Etica Nicomachea è più orientata a salvare i fenomeni, è più empirica einclusiva: per cogliere i nuclei teorici di fondo, è sensato muovere dallaprima, e valutare criticamente quando e perché la seconda propone integrazionio discostamenti teorici da quella. Sia la Eudemia precedente alla Nicomachea omeno, in essa appare più nitidamente come la trattazione aristotelicacostituisca una sorta di virtuale controcanto filosofico del Liside platonico.Etica Eudemia VII introduce il soggetto come specialmente degno di essereindagato: gli ἔνδοξα universalmente diffusi pongono la φιλία come il finestesso della politica, come antidoto all’ingiustizia, come habitus caratterialerivolto ai buoni, pongono l’amico come il più grande dei beni esterni (anche inquanto volontariamente scelto) e l’assenza di amici come il male più terribile.La φιλία è aspetto centrale dell’etica – soprattutto entro un’eticaeudemonistica imperniata sul bene e sulla felicità – dunque non sorprende chela sua trattazione occupi quasi un quinto degli scritti eticiaristotelici. Ma altre opinioni notevoli non sono universalmentecondivise: per alcuni il simile è amico del simile (Omero, Empedocle), peraltri lo è il contrario del contrario (Esiodo, Euripide, Eraclito): sono leopzioni 1 e 3 della Seconda Aporia del Liside, che pure non viene citato. Siricordano poi altre opinioni, topoi tradizionali già ripresi dal Liside: peralcuni non c’è amicizia fra malvagi ma solo fra buoni (cfr. opzione 1 dellaPrima Aporia), per altri solo chi è utile può essere amico (cfr. opzione 2della Seconda Aporia). Prima di passare alla pars construens, Aristoteleenuncia candidamente il criterio metodologico e lo scopo dell’indagine: Occorre trovare un’argomentazione che insieme renda conto (ἀποδώσει) almassimo grado delle opinioni (τά δοκοῦντα) intorno a queste cose, e anche chesciolga le aporie e le contraddizioni. Ciò avverrà qualora appaia che leopinioni contrarie sono sostenute con buone ragioni: una tale argomentazionesarà nel massimo accordo coi fenomeni. E le tesi in contraddizione risultanomantenersi, se quel che affermano è vero in un senso, ma in un altro no. (Et.Eud.). Le opinioni diffuse e notevolinon vanno accolte in modo supino e acritico, ma comprese nelle loro buoneragioni e, nella misura del possibile, salvate entro una sintesi teorica chesuperi le aporie e mostri che le affermazioni apparentemente incompatibilipossano essere vere entrambe, in sensi diversi; così vi sarà anche il massimoaccordo coi φαινόμενα. Questi, i desiderata da soddisfare. Se l’amiciziaè desiderio (altra acquisizione del Liside[25]), il desiderio può essere delpiacevole (appetito) o del buono (volontà)[26], dunque ciascuno di essi ci è«amico» o caro (φίλον); comunque il piacere si presenta come un bene (o apparetale o è creduto tale[27]): la prima distinzione da fare è perciò fra bene ebene apparente (φαινόμενον ἀγαθόν), oggetti del desiderio[28]. La seconda èquella fra bene incondizionato (ἁπλῶς) e bene per qualcuno[29]: ciò che è buonosimpliciter lo è per l’essere umano in generale, ciò che è tale «per qualcuno»lo è per certi individui particolari in certe circostanze (per esempio,un’operazione per un malato); parimenti, vi è un piacevole incondizionato e unpiacevole «per qualcuno» (per esempio, in condizioni fisiche o moralialterate); Aristotele sostiene che il piacevole incondizionato coincida colbuono incondizionato[30]: ciò che è buono per l’uomo in generale, è anchepiacevole per l’uomo in generale, invece un individuo malato o corrotto troveràpiacevoli cose non oggettivamente buone; né coincideranno il piacevole «perlui» e il buono «per lui». Un uomo saggio e virtuoso troverà piacevole ciò cheè buono, dunque nel suo caso si identificano bene apparente e bene reale (èbuono ciò che gli appare tale), bene «per lui» e bene incondizionato (ciò che èbene per lui è buono in generale per l’uomo), nonché bene e piacere: egli ènorma rispetto a ciò che per l’uomo in generale è e deve essere buono epiacevole, in quanto esprime l’eccellenza della stessa natura umana. A ognimodo, ciò che motiva un soggetto S deve apparire un bene a S (che lo sia omeno), e apparire a S un bene per lui (che sia o meno anche un bene in sensoincondizionato). Ci sono cose per noi buone in quanto le riteniamo dotate divalore intrinseco, cose per noi buone in quanto le riteniamo utili, e cose pernoi buone in quanto le troviamo piacevoli. Poiché l’amico è un bene scelto edesiderato ˗ il φιλεῖν è un caso particolare di desiderio ˗ potrà esserlo perquesti tre motivi: come bene in sé, e cioè in quanto è ciò che è e «per lavirtù», o in quanto è ci è utile, o in quanto sia piacevole, «per il piacere».Chiariremo successivamente perché il buono in quanto buono, quando il bene sial’amico stesso, si identifichi con la sua virtù. Colui che è amato inbase a uno dei tre aspetti suddetti (bene-virtù, utilità, piacevolezza) diventaun amico ˗ si aggiunge ˗ quando contraccambia l’affetto: dunque la reciprocitàdiviene un tratto essenziale dell’amicizia, una sua condizione necessaria;Aristotele sceglie l’opzione 4 della Prima Aporia del Liside, ma replicaall’obiezione ivi contenuta, secondo cui cose amate come il vino, i cavalli ela scienza non possono ricambiare, mediante la distinzione fra φιλία eφίλησις[33]: la seconda è un affetto/desiderio per le cose inanimate, la primaimplica un simile affetto come componente, ma include necessariamente lareciprocità. Talvolta, una nozione vaga può essere disambiguata mediante unadistinzione semantica, in modo da sciogliere apparenti contraddizioni e insieme“salvare i fenomeni”. Tuttavia, l’affetto reciproco sulla base di uno dei treamabili non è ancora sufficiente perché ci sia φιλία; tale reciprocità deveessere esplicita, non celata, nota ai due amici: se amo qualcuno che non lo sa,non siamo amici, nemmeno nel caso lui ami me e io lo sappia; entrambi devonoamarsi l’un l’altro, ed entrambi lo devono fare in modo manifesto, tale che sianoto all’uno e all’altro. La coscienza di essere amici è essenziale all’essereamici: qualcuno può credere di essere amico senza esserlo[34], però nessuno puòessere amico di qualcuno senza credere di esserlo. Se manca la reciprocità, nonsi ha amicizia ma «benevolenza» (εὔνοια), cioè desiderio del bene dell’altro;quando quest’ultima è reciproca e non è celata, allora può divenireamicizia. Le tre forme di amicizia, rispettivamente basate su virtù,utilità, piacere, secondo l’Eudemia intrattengono la relazione asimmetrica cheAristotele chiama πρὸς ἓν, in cui vi è un significato primario o focal meaningcui gli altri, secondari e derivati, rimandano[36]: l’amicizia a causa dellavirtù e fondata sul bene è posta come πρώτη φιλία, «prima amicizia», da cui lealtre dipendono dal punto di vista definitorio. Quindi «φιλία» non denota trespecie di un unico genere, né è un termine equivoco che denota realtàcompletamente diverse; è termine “multivoco”, giacché l’amicizia si dice inmolti modi ma in riferimento a un senso che illumina tutti gli altri, e a cuigli altri si rapportano necessariamente. Molti critici ritengono che, siccomel’amicizia “utilitaristica” e quella “edonistica” possono darsiindipendentemente da quella “virtuosa”, l’idea che esse rimandinonecessariamente a quella “virtuosa” non sarebbe convincente, e proprio perquesto sarebbe poi abbandonata nella Nicomachea. Ma la gerarchizzazione πρὸς ἓνè anzitutto definitoria: il piacere è un bene apparente (dunque, unadeclinazione del bene), l’utile è tale in quanto foriero di bene[38] o dipiacere (che, daccapo, è un bene apparente); dunque i tre amabili sono un bene,un modo di apparire del bene, una via che porta al bene. Al modo in cui ilpiacere e l’utilità si definiscono in rapporto al bene[39] (ma, per Aristotele,non viceversa), così le amicizie basate sul piacere e l’utile si definiscono inrapporto a quella basata sul bene come tale: e infatti, come vedremo, ne sonoforme imperfette e difettive. Si noti la pur generica assonanza fra laπρώτη φιλία e il πρῶτον φίλον, il Primo Amico del Liside: se Platone radica ilsenso delle relazioni amicali in un anelito a qualcosa che trascende leamicizie e gli amici stessi illuminandole, per così dire, dall’alto, Aristoteleimmanentizza il bene entro gli amici stessi e le loro relazioni; c’è unaamicizia prima, ma non un Amico primo che si distingua dagli amici empirici econcreti. Il bene che è in gioco nell’amicizia è ubicato negli amici stessi, èimmanente. Qual è la ragione profonda di questa tripartizione? Si puòmostrare in modo puntuale che si tratta di una risposta alle aporie platoniche:se i platonici pongono come amicizia solo quella virtuosa, «non riescono a dareconto dei fenomeni»[40], ove per fenomeni si devono intendere non solo leprassi umane, ma anche gli ἔνδοξα e i λεγόμενα. Se vi sono tre forme di amicizia,può darsi che alcune opinioni notevoli e intuizioni siano vere dell’una mafalse dell’altra, altre siano vere dell’altra ma false dell’una, come affermail passo metodologico succitato. Se poi a partire da ciascuna delle trecaratterizzazioni si potessero inferire o congetturare dei rispettivi propria,che coincidano coi rispettivi tratti manifesti dell’amicizia che parevanoaporetici in quanto incompatibili, allora grazie a questa tassonomiatricotomica le aporie potrebbero essere sciolte, poiché alcuni di questi tratticaratterizzeranno un tipo di amicizia, alcuni altri un altro tipo diamicizia. L’amicizia virtuosa, fondata sul bene, è fra simili in quantobuoni[41]: essa cattura l’opzione 2 della Seconda Aporia del Liside, nonchél’ideale arcaico, omerico ma anche teognideo e in generale aristocratico, dellaφιλία come sodalizio elettivo fra ἀγαθοί; a questo topos tradizionale, ilSocrate del Liside replica che esso è incompatibile con un’altra idea benradicata (basata su altri due topoi tradizionali): il buono è autosufficiente,e un amico gli sarebbe inutile, ma l’amicizia è fondata proprio sull’utilitàreciproca; quest’ultima idea, di matrice esiodea[42] ma anche un luogo comuneconfermato dalle prassi umane, non può essere negata, per Aristotele: sono glistessi φαινόμενα a mostrare che coloro che intrattengono relazioni continuativedi utilità e soccorso reciproco, si chiamano amici e si ritengono tali, ecosì sono dagli altri chiamati e ritenuti. La contraddizione è apparente, se sipostula che l’utilità reciproca è un prerequisito di una forma di amicizia(quella basata sull’utile) e non dell’altra (quella basata sul bene). Lerelazioni utilitaristiche sono amicizia, sebbene di un certo tipo; sia questeche quelle fondate sul piacere, possono sussistere anche fra individui nonbuoni, persino fra malvagi, sebbene in forma estremamente labile e instabile:l’opzione 1 della Seconda Aporia del Liside è anch’essa percorribile, in quantodue individui non “buoni” possono essere amici sulla base del piacere, e sonosimili nella misura in cui condividono certi tipi di piacere; inoltre,l’intuizione per cui l’amicizia si dà fra contrari come povero/ricco,sapiente/ignorante etc. ˗ opzione 3 della Seconda Aporia del Liside ˗ èanch’essa fatta salva, in quanto viene posta come peculiare all’amiciziautilitaristica, che tipicamente è intrattenuta da individui in qualche sensocontrari (l’uno ha qualcosa che l’altro non ha). Aristotele riesce a salvare ifenomeni attraverso una distinzione tassonomica fondamentale, che deveconciliare certe apparenti incompatibilità ma al tempo stesso preservare unacerta unitarietà dell’oggetto: quella di amicizia è una nozione originariamenteospitale, plurale e polivoca, tanto internamente differenziata da implicare unademarcazione netta fra l’amicizia virtuosa e le altre, ma non tanto monoliticada implicare che si escludano dal novero delle amicizie quelle forme direlazione (utilitaria, edonistica) ordinariamente denominate così: altrimentisi farebbe violenza al linguaggio e alle “cose stesse”: a quel “primo per noi”che è lo stesso explanandum originario. Una delle ragioni per cuil’amicizia virtuosa è detta «prima» nella Eudemia e poi «perfetta» (τέλεια)nella Nicomachea[44], è che essa è costitutivamente piacevole, benché non siafondata sul piacere, e implica la disposizione alla mutua utilità quando serva,benché non sia fondata sull’utile: dunque contiene in sé, in certo modo, lealtre due. Tuttavia, il piacere che consegue al bene ed è persino costitutivodi esso, non è lo stesso piacere che fonda le amicizie edonistiche; il primo èinseparabile dal bene cui consegue[45], quindi l’integrazione di piacere eutilità nell’amicizia virtuosa non è da concepirsi come una somma estrinseca ogiustapposizione di aspetti positivi (bene + utilità + piacere). La perfezionedi questa amicizia non è una somma di amicizie imperfette, è originariacompletezza. Nella Nicomachea non vi è traccia della relazione πρὸς ἓν, ela πρώτη φιλία diventa τέλεια φιλία[46]. Le altre amicizie qui sono dette tali«secondo somiglianza» a quella perfetta: a mio avviso, al netto delladifferenza di linguaggio, la posizione di Aristotele non muta in modo sensibilefra le due opere; la somiglianza delle amicizie edonistica e utilitaristica aquella perfetta consiste anche qui nel fatto che quest’ultima è, per entrambigli amici, utile e piacevole, dunque contiene quegli aspetti che fondano leamicizie imperfette, ma non ne è simmetricamente contenuta. Infatti, ciò che èbuono è anche utile e piacevole, mentre ciò che è utile può non esserepiacevole e può non essere buono (né simpliciter, né per l’individuo) – peresempio, se l’individuo è corrotto e trova per sé utile qualcosa che loapprossima a ciò che non è il suo bene (anche se egli magari crede che sia ilsuo bene[48]) – e ciò che è piacevole può essere inutile o persino dannoso.Questo vale in generale, e a fortiori vale per gli amici buoni, utili,piacevoli. In realtà, lo stesso “compito” etico implicitamente affidatoall’uomo, gli è affidato anche in rapporto all’amicizia: l’ideale umano,incarnato dal saggio che ne è norma ed esempio, è quello di far coincidere ciòche è bene per sé con ciò che è bene in generale, e ciò che è piacevole per sécon ciò che lo è in generale; si realizza così anche la coincidenza di bene epiacere, visto che il buono in generale e il piacevole in generale siidentificano per natura[49]. Ciò importa che occorra anzitutto essere buoni(saggi e virtuosi) e, essendolo, prediligere le amicizie virtuose (che sono appannaggiodei buoni): esse non ospitano conflitti strutturali, soprattutto il bene e ilpiacere – il confliggere dei quali sopraffà l’acratico – sono adeguati aborigine, nell’amicizia perfetta, giacché essa è piacevole proprio in quantobuona. Ma ciò non esclude che i buoni possano intrattenere anche amiciziefondate sul piacere, o sull’utile[50]: esse però, nell’economia della lorovita, risulteranno marginali, sia nella quantità che nella qualità. Puòsorprenderci il fatto che alla forma di amicizia più rara e più “inarrivabile”delle tre (i buoni sono pochi, gli amici a causa del bene ancora meno) vengaascritta una priorità definitoria, sia essa del tipo πρὸς ἓν o «persomiglianza». Ma per Aristotele qualunque capacità umana – l’amicizia è unavirtù, le virtù sono capacità acquisite – viene individuata e definita sullabase della sua eccellenza: è il caso eccellente, in cui un tratto umano è piùpienamente realizzato, che funge da essenza normativa rispetto ai casidifettivi, deficitari, degradati, imperfetti; per definire, occorre guardare aicasi migliori, alla modalità in cui una potenzialità è dispiegata ed espressapiù compiutamente, e che misura gli altri casi quasi costituendone un virtualedover-essere rispetto a cui essi mostrano la loro manchevolezza. Perciò lateoria aristotelica presenta al contempo una dimensione descrittiva e unanormativa, fra le quali sussiste una sorta di tensione dialettica. E in effettile amicizie fondate sul piacere e sull’utile sono incomplete: vengonocaratterizzate addirittura come amicizie per accidens[51], il che sembra sulleprime vanificare l’atteggiamento inclusivo adottato da Aristotele come ciframetodologica, non solo praticata ma persino esplicitata in modoprogrammatico[52]. È come se in sede di definizione generale Aristotele fosseinteressato a preservare l’unità della nozione di amicizia nonostante ledifferenze, ma in sede di caratterizzazione sinottico-comparativa dei diversitipi, ponesse invece l’enfasi sullo iato che separa l’amicizia prima o perfettadalle altre, fino a trattare le altre come solo accidentalmente tali. Perchéesse sono caratterizzate come «accidentali»? Chi si ama per l’utile o peril piacere lo fa «non perché l’individuo amato sia quello che è, ma in quanto èutile o in quanto è piacevole»[53]: l’utilità e la piacevolezza sono proprietàrelazionali esterne all’essenza dell’amico amato, determinate dagli effetti cheesso ha su chi lo ama, «perché gli uni ne traggono un qualche bene, gli altriun piacere»[54]; invece l’amicizia basata sulla virtù e la bontà dell’amicoamato, è basata su proprietà intrinseche all’amato, su ciò che da ultimol’amato è. Noi siamo il nostro carattere, il nostro carattere è l’insiemeunificato delle nostre virtù, una seconda natura che è frutto prima dell’educazionee poi delle nostre scelte: noi siamo un sé che sceglie, e i nostri pensieri,discorsi e azioni manifestano il nostro “sé”. Pertanto, nell’amicizia perfettail bene che è in gioco è l’amico stesso che è amato, per ciò che egliessenzialmente è, mentre il bene che è in gioco nelle altre amicizie è il bene– nella forma dell’utile o del piacevole – dell’amico che ama. Anche sel’amicizia è sempre reciproca, resta fermo che nell’amicizia perfetta ilfondamento è, per ciascuno degli amici, l’altro come buono, nelle altre èinvece il proprio bene in quanto utilità o piacere[56]. Nelle amicizieimperfette la ragione per cui si vuole e persegue il bene dell’altro, restaradicata nell’interesse proprio come diverso dal bene elargito all’altro ediverso dall’altro stesso come dotato di valore intrinseco. È questa differenzaradicale a rendere le amicizie imperfette amicizie per accidens: ciò nonimplica, si badi, che non siano amicizie, bensì che lo sono solo in virtù delloro somigliare all’amicizia perfetta, seppure in modo difettivo. Mal’amicizia fondata sul bene dell’amico non rischia così di risultare“disinteressata” in un modo psicologicamente implausibile? Solo in apparenza,in quanto il bene di chi ama è in gioco, ma lo è in quanto coincide col bene dell’amico:se siamo amici perfetti, siamo entrambi buoni e virtuosi, e il nostro beneindividuale coincide col bene simpliciter: noi, come amici perfetti, cooperiamoper realizzare il bene in generale[58]; il bene mio e dell’amico sono voluti –rispettivamente, dall’amico e da me – in conseguenza del fatto che anzitutto ioe l’amico siamo dei beni: se lo siamo l’uno per l’altro, è perché siamo buoni,siamo dotati di valore intrinseco, e lo riconosciamo reciprocamente. Non sitratta di una implausibile relazione puramente altruistica e disinteressata,perché non si fonda – ribadiamolo – solo sul volere il bene dell’altro, maanzitutto sull’altro come bene in sé: voglio e perseguo il bene dell’altro nonper altruismo astratto, ma perché l’altro è un bene. Una nozione comune con cuiforse potremmo rendere più chiaro questo aspetto, è quella di stima. L’amiciziaperfetta è fondata sulla stima reciproca: un amico che stimo per ciò che è eper come è, esemplifica in sé ciò che è buono, a prescindere da ciò che io possotrarre da lei/lui: «se uno non gioisce perché l’altro è buono, non c’è la primaamicizia» (1237b4-5). La stima reciproca presuppone una consonanza di valori,un’intesa su ciò che vale e ciò che è degno: e visto che i due amici sonovirtuosi e buoni, essi valgono e sanno di valere, per questo valgono anchel’uno per l’altro. Si tratta di una amicizia in cui coltivare il proprio benecoincide col coltivare l’altro e il suo bene, e questo coincidere non èaccidentale – come accade nelle altre amicizie – bensì è costitutivo. Inveceposso trarre vantaggio da un amico utile senza stimarlo affatto, così comeposso trarre piacere – per esempio, divertendomici insieme – da qualcuno chenon stimo, che non ritengo una persona buona, degna, valida. L’accidentalitàdelle amicizie non perfette si rende perspicua nella loro strutturaleinstabilità: un rapporto fondato sull’utilità non avrà più ragion d’essere,qualora uno dei due amici smetta di essere utile all’altro; i bisogni umanisono cangianti, e tali sono le risorse altrui per farvi fronte, cosicché anchele relazioni utilitarie sono essenzialmente mutevoli; lo stesso accade per gliamici secondo il piacere: cambiano, nel tempo, le fonti del piacere, i “gusti”,e cambiano anche le capacità altrui di procurarci piacere; l’amiciziapiacevole, poi, è precaria anche perché riguarda tipicamente i giovani, i qualisono di per sé in continuo cambiamento[59]. Invece la virtù del carattereè cosa stabile: le amicizie complete sono stabili perché sono fondate sul benecome virtù, che è costante e non facile a mutare[60]. Il tempo può rendereinutile un amico che prima era utile, o non più piacevole un amico che lo era,ma difficilmente può sottrarre a un carattere le virtù, far diventare malvagi ibuoni, stolti i saggi, e dunque minare le basi su cui le relazioni virtuose frabuoni sono costruite. Per questo l’amicizia completa è specialmente solida,quasi incrollabile[61], e l’amico virtuoso è un amico «al massimo grado», unamico «vero»[63]. Un tale amico si renderà utile se può e quando sianecessario, ma sarà utile perché è un amico, piuttosto che essere amico perchéè utile; e sarà piacevole all’amico, giacché ci risulta tendenzialmentepiacevole frequentare chi stimiamo[64]. Così Aristotele, forte della suatassonomia tripartita, deriva dei propria (dei caratteri distintivi) diciascuna amicizia, spiegando i fenomeni e riconciliandoci con le comunipratiche ascrittive: alcune intuizioni, luoghi comuni e opinioni notevoli sonovere di un’amicizia, alcune dell’altra. Parlando coi giovani Liside eMenesseno, Socrate nel Liside si dice desideroso di amicizia più di ogni cosaal mondo – con una Priamel che restituisce in modo icastico l’ideadell’amicizia come il più grande dei beni esterni, fatta anch’essa propria daAristotele – e invidia ironicamente la loro felicità, visto che sono giovani esono diventati amici «in modo facile e rapido». Si tratta di caustica ironia,visto che la φιλία che ha a cuore Socrate non è né facile né rapida: ciò che èdissimulato, è che quella non è verace amicizia, ma altro. Qui c’è un’aporia innuce, visto che i giovani che si frequentano, pur con una certa leggerezza euna conoscenza reciproca non profonda, paiono amici e sono detti tali, eppurenon soddisfano i requisiti della “vera” amicizia non solo secondo l’ideasocratica, ma anche secondo l’opinione diffusa per cui la vera amicizia èdurevole, lenta e difficile a darsi. Aristotele distingue i soggetti delleattribuzioni incompatibili, salvando la verità di entrambe: l’amicizia giovanile(per esempio, quella di Liside e Menesseno) è fondata sul piacere, e ha certitratti distintivi quali la facilità a prodursi e a decadere, l’intensitàemotiva, e così via; l’amicizia perfetta, tipica degli uomini maturi (è quellaper cui Socrate dice di ardere di desiderio), necessita di una lungaconsuetudine e di una conoscenza reciproca profonda[66], è rara e appannaggiodi pochi, è difficilissima a nascere ma altrettanto difficile a morire,fondandosi su ciò che in noi vi è di più stabile. Invece, quella utilecaratterizza tipicamente gli anziani, particolarmente bisognosi d’aiuto esensibili, per debolezza, al beneficio che può arrecare il mutuo soccorso[67];inoltre, essa si riscontra nei più, nelle masse, le quali sono più preoccupatedei benefici personali che del bene e del bello. Fra le amicizie incomplete,Aristotele ascrive una superiore nobiltà a quella fondata sul piacere, mentrequella fondata sull’utile è «da bottegai»[68]. In effetti, la condivisione delpiacere è qualcosa di meno strumentale rispetto al trarre vantaggi da qualcuno:perlomeno il piacere è un fine, non un mezzo; inoltre, il piacere appartienealla frequentazione stessa dell’amico, mentre l’utile è a questa completamenteestrinseco: dunque il fondamento dell’amicizia utile è più esteriore e piùcontingente di quello dell’amicizia piacevole. Un altro aspettoproblematico del Liside emerge in particolare nella Prima Aporia rispetto allapolarità attivo/passivo (amante/amato), ma soggiace implicitamente anche adaltre aporie: l’amicizia sembra implicare uguaglianza e comunanza da un lato, edifferenza e asimmetria dall’altro; si mescolano aspetti tipici del rapportopederastico-erotico (amante e amato non sono intercambiabili), aspetti delrapporto genitoriale, anch’essi per definizione asimmetrici, e relazioni “frabuoni” simili, potenzialmente simmetriche. Aristotele cerca di articolarequeste istanze entro un quadro più sistematico: la tassonomia delle treamicizie si arricchisce di una distinzione trasversale, fra amicizie simmetrichee amicizie asimmetriche in cui uno è superiore e l’altro inferiore[69]; laφιλία deve essere reciproca, ma tale reciprocità può essere simmetrica oasimmetrica (fra superiore e inferiore). I tipi di amicizia sono dunque sei,giacché si può essere superiori quanto a virtù, a utilità, e apiacevolezza. La ulteriore distinzione fra amicizie simmetriche easimmetriche consente ad Aristotele una esplorazione straordinariamente riccadei legami sociali più eterogenei, che assimila alla φιλία e alle sue declinazionii rapporti familiari (padre-figlio, marito-moglie, figlio-figlio), i rapportipolitici fra città (in vista dell’utile)[70], gli stessi rapporti fra icittadini in rapporto alla loro comunità, i rapporti fra governanti egovernati, le relazioni commerciali, e così via, e indaga le relazioni profondefra amicizia, giustizia, concordia, comunità. Non è possibile restituirenemmeno sommariamente la ricchezza di tali analisi in questo contributo, ilquale si focalizza piuttosto sul significato filosofico e dialettico dellatripartizione in generale: ma fa d’uopo rilevare che le applicazioni di questateoria generale sono molteplici e fecondissime. 3. Amiciziae autosufficienza La tripartizione (con ulteriore dicotomia trasversale)non scioglie di per sé un nodo aporetico concernente la stessa amiciziaperfetta fra buoni: è l’idea espressa entro il punto 2 della Seconda Aporia delLiside, per cui chi ha il bene presso di sé è autosufficiente e non ha bisognodi nulla, dunque l’amicizia di chicchessia gli sarebbe inutile. È vero cheAristotele ha distinto l’amicizia perfetta da quella utile, ma resta ilproblema di comprendere come mai colui che è saggio, virtuoso e buono, bastandoa sé stesso, abbia una qualche motivazione a coltivare un amico, foss’anche unamico perfetto: «se è felice chi ha la virtù, che bisogno avrà di unamico?»[71]. L’idea dell’autosufficienza di chi è saggio, virtuoso, felice ebeato, ripresa dal Liside, è un topos tradizionale, quindi ha lo status di ἔνδοξονben radicato, di cui va dato conto e di cui va mostrata la compatibilità con lateoria positiva proposta nonché con altri ἔνδοξα altrettanto benattestati. Il problema è affrontato in Etica Eudemia VII 12 e in EticaNicomachea IX 9, in maniere parzialmente differenti. L’Eudemia muovedall’analogia con la condizione divina, paradigma dell’autosufficienza. Ma lacondizione umana può assurgere all’autosufficienza solo nella misura in cui loconsente la natura dell’uomo, che è animale sociale-politico[72] e può/deverealizzare questa natura, non quella divina[73]: il bene umano contempla sempreil rapporto a un’alterità – è καθ’ ἕτερον[74] ˗ quello divino è assolutorapporto a sé[75]. L’autosufficienza divina funge da “idea regolativa”, danorma ideale: l’uomo felice minimizzerà il numero degli amici e si limiterà aquelli virtuosi, degni di accompagnarsi a lui; proprio il caso di chi non èobnubilato da bisogni e mancanze, evidenzia il valore intrinseco dell’amiciziaperfetta, perseguita non già per ricevere benefici bensì per fare, dare econdividere il bene che si possiede. Ma l’argomento successivo – che è moltocomplesso e possiamo solo sintetizzare[76] – chiarisce che non si tratta di unaltruismo generico e astratto, in quanto l’amicizia è ingrediente essenziale,non accessorio, della felicità individuale. Vivere, per l’uomo, èpercepire e conoscere[77], e – prosegue Aristotele ˗ l’aspirazione massima diciascuno di noi è, da ultimo, quella di conoscere noi stessi (tesi che rivisitail celebre monito delfico-socratico); la felicità è costituita dalla conoscenzadi sé in quanto attivi come buoni e virtuosi[78], e la conoscenza di sé passaper la conoscenza reciproca fra amici: l’amico è «un altro sé»[79], «percepirel’amico necessariamente è percepire in certo modo sé stesso e conoscere incerto modo sé stesso»[80]. Condividendo con l’amico i beni, i piaceri e leattività della vita felice, incrementiamo dunque la conoscenza di noi stessi edella nostra stessa felicità. La Nicomachea chiarisce la relazione fra ilriconoscimento reciproco degli amici virtuosi e la loro felicità, soprattuttoin un passo speculativamente densissimo: Se l’essere feliciconsiste nel vivere e nell’agire, e l’attività dell’uomo dabbene ed eccellenteè per sé virtuosa [..], se poi anche ciò che è familiare/affine (οἰκεῖον) aqualcuno è tra le cose che lui trova piacevoli, se noi possiamo osservare ilnostro prossimo meglio di noi stessi, e le sue azioni più che le nostre, se leazioni degli uomini superiori, che siano anche amici, sono fonte di piacere peri buoni, dato che hanno tutte e due le caratteristiche piacevoli per natura,allora l’uomo beato avrà bisogno di amici simili a lui, posto che davveropreferisca osservare azioni buone, e che gli sono proprie, come lo sono leazioni dell’amico, quando è buono. (Et. Nic.) Le attività di un’esistenzavirtuosa e felice sono obbiettivamente piacevoli agli occhi di un uomo buono,virtuoso e felice a sua volta: vi si rispecchia, sentendocisi “a casa propria”,e la familiarità determinata da affinità e prossimità, gli è in sé piacevole.Come si evincerà, la nozione platonica di οἰκεῖον, introdotta sul finire delLiside come cifra stessa della φιλία, trova una ripresa puntuale e unavalorizzazione speculativa nella teoria aristotelica. Il prossimo si offre allanostra conoscenza in modo più trasparente che noi stessi, giacché la sua distanzada noi lo rende meglio oggettivabile. I due tratti umani piacevoli per naturasono da un lato la felicità di cui la virtù è costitutiva, dall’altro lafamiliarità, che chi è felice è virtuoso riscontra ed esperisce nel contemplaree cooperare con un’altra esistenza felice e virtuosa. Le azioni di un nostroamico “perfetto” sono buone e nel contempo ci sono proprie, cosicchécontemplarle è come trovare in esse lo stesso bene che noi siamo. Potrebbestupire il riferimento reiterato al tema del piacevole, quasi che si trattassedi una delle due amicizie non perfette: ma occorre tenere a mente che ilpiacevole per natura o ἁπλῶς coincide col bene ἁπλῶς, e che si tratta di un piacerecostitutivo del bene e inseparabile da esso, piuttosto che di un piacereaddizionale ed esteriore rispetto al bene cui consegue. Se l’altro èsufficientemente prossimo a me, posso de-situarmi e oggettivarmi riconoscendominelle sue azioni, secondo una dialettica complessa e chiastica diriconoscimento reciproco. «Se l’uomo eccellente si comporta verso l’amico comesi comporta verso di sé, dato che l’amico è un altro se stesso, allora, cosìcome è desiderabile per ciascuno il suo proprio esserci, così è desiderabilel’esserci dell’amico, o quasi» (EN IX 9, 1170b5-8). In questo gioco specularedi identificazioni reciproche, il mio rapporto con l’altro è mediato del miorapporto con me stesso[82], l’altro è un «altro me» e perseguo il suo bene inmaniera pressoché equivalente a come perseguo il mio (quel «quasi» è unaconcessione al realismo empirico, da cui questa idealizzazione non vuoledisancorarsi); ma è altrettanto vero che il mio rapporto con me stesso è a suavolta mediato dal mio rapporto con l’altro, giacché conosco genuinamente mestesso non già con un qualche misterioso atto introspettivo[83], bensìconoscendo persone simili a me che a loro volta mi riconoscono simili a sé:questa è la ragione perché v’è bisogno di amici buoni e virtuosi entro relazionidi amicizia “perfetta”; se la felicità implica autosufficienza, si tratta diun’autosufficienza umana e non divina, che passa per l’inclusione del prossimonella nostra esistenza, e per la cooperazione con chi scegliamo come degnoincarnare il bene e la virtù[84]. Come l’essere amici non si dà senza il saperedi esserlo anche se si può credere di essere amici senza esserlo, così l’esserefelici (in quanto buoni e virtuosi in attività) non si dà senza la coscienza diessere felici (in quanto buoni e virtuosi), anche se è possibile credere diessere felici senza esserlo davvero. E per sapere chi sono, devo rispecchiarmiin amici simili a me[85]. Ciò importa che l’uomo beato non avrà bisogno diamici “meramente utili” e “meramente piacevoli”, invece dovrà avere amici buonie virtuosi: il topos tradizionale è riscattato nella sua verità profonda, maanche oltrepassato in virtù della tripartizione; in un senso è vero, in unaltro no. Essere felici insieme è diverso dal semplice divertirsi insieme,anche se lo include, ed è diverso dal semplice aiutarsi l’un l’altro, anche sepuò includerlo. L’amico perfetto ˗ come ogni altro autentico bene ˗ èoggetto di scelta razionale[86]. Anche per questo la teoria aristotelica sidistanzia da quella platonica[87]: la φιλία erotica, già ben presente nelLiside sin dalla sua ambientazione scenica – una palestra, ove Liside è il«bello del momento» di cui Ippotale è innamorato – viene relegata da Aristotelea una delle tante forme di φιλία, degna di pochi accenni espliciti, mentre nelSimposio e nel Fedro, dialoghi ben più elaborati e costruttivi del Liside,l’eros è la forma di φιλία che viene eletta a oggetto di indagineparadigmatico. Ma le componenti mistico-estatiche della φιλία erotica come«follia divina» e frutto di invasamento[88], risultano completamentemarginalizzate entro la teoria aristotelica. L’amicizia più degna e verace èattività derivante da scelta come desiderio razionale; se la felicità èattività e i beni che la materiano sono oggetto di scelta, allora anchel’amicizia, ingrediente costitutivo della vita felice, sarà espressione diattività, piuttosto che passivo invasamento consistente nell’esser “posseduti”da uomini o dèi. Il primato etico, fisico e metafisico dell’azione sullapassione, è anche il primato di un certo tipo d’amore su un cert’altro.L’amicizia è riportata fra gli amici, e la sua declinazione più eccellente,normante rispetto alle altre, è caratterizzata secondo la dimensione eticamentepiù elevata dell’umano: la ragione che sceglie e governa il desiderio,piuttosto che esserne governata. L’eros platonico, così bellamente edenfaticamente rappresentato nel Simposio e nel Fedro, diventa per Aristotelesolo una delle tante declinazioni possibili di un tipo di amicizia – quellafondata sul piacere – che è già di per sé incompleta e deficitaria[89].Secondo l’aporetico excipit del Liside, né amanti né amati, né simili nédissimili, né contrari né affini, né buoni, possono essere amici[90]; le Etichearistoteliche presentano una teoria la quale non solo consente ma anche prevedeche amanti, amati, simili, dissimili, contrari, affini, buoni, e perfinomalvagi possano essere amici; inoltre tale teoria offre le risorse concettualiper chiarire quali coppie di amici possano e/o debbano avere questo o quelcarattere distintivo, e perché. Spero di avere almeno approssimato ilduplice obbiettivo prefissatomi: mostrare in modo dettagliato e sistematico ladipendenza polemico-dialettica della teoria aristotelica dal Liside platonico,e mettere in luce il significato filosofico generale della tripartizione dellaφιλία in Aristotele.Adkins, ‘Friendship’and ‘Self-sufficiency’ in Homer and Aristotle, «Classical Quarterly», Annas,Plato and Aristotle on Friendship and Altruism, «Mind»: 532-554. Berti, E. (1995), Il concetto di amicizia inAristotele, in AA.VV., Il concetto di amicizia nella storia europea, Merano:Istituto di Studi italo-tedesco, 102-135. Bordt, Platon. Lysys, Übersetzung undKommentar, Göttingen: Vandenhoeck et Ruprecht Verlag. Calvo Martinez, La unidadde la nocion de philia en Aristoteles, «Methexis», 20: 63-82 Cooper, J.(1976-1977), Aristotle on the Forms of Friendship, «Review of Metaphysics»,Dirlmeier, F. (1967), Aristoteles Nikomachische Ethik. Überseztz undKommentiert, Berlin: Akademie Verlag. Donini, P. (traduzione, introduzione enote a cura di), Aristotele. Etica Eudemia, Roma-Bari: Laterza. Ferejohn, M. (1980), Aristotle onfocal meaning and the unity of science, «Phronesis», 25: 117-128 Fortenbaugh,W.W. (1975), Aristotle’s Analysis of Friendship: Function and Analogy,Resemblance, Focal Meaning, «Phronesis», 20: 51-62. Fraisse, J.C. (1974), Philia. Lanotion d’amitiè dans la philosophie antique, Paris: Vrin. Gomperz, Th. (1903), Griechische Denker, Veit:Leipzig; trad. it. Pensatori greci (2013), Milano: Bompiani. Kahn, Ch. (1981), Aristotleand Altruism, «Mind», 90: 20-40. Kahn, Ch. (1996), Plato and the SocraticDialogue, Oxford: Oxford University Press. Kosman, A. (2004), Aristotle on theDesirability of Friends, «Ancient Philosophy», 24, 1: 135-154. Lualdi, M. (1974), Il problema della philia e ilLiside platonico, Milano: CELUC. Natali, C. (traduzione, introduzione e note acura di) (1999), Aristotele. Etica Nicomachea, Roma-Bari: Laterza. Natali,L’amicizia secondo Aristotele, «Bollettino della società filosofica italiana»:13-28. Nussbaum, TheVulnerability of the good human life, in Id., The Fragility of Goodness,Cambridge Mass.: Cambridge University Press, 343-370. Nussbaum, M.C. (1986b),Saving Aristotle’s Appearances, in Id., The Fragility of Goodness, CambridgeMass.: Cambridge University Press, 240-261. O’Connor, D.K. (1990), Two Idealsof Friendship, «History of Philosophy Quarterly», 7: 109-122. Owen, G.E.L.(1960), Logic and Metaphysics in Some Earlier Works of Aristotle, in Barnes, J.(ed.), Articles on Aristotle (1979), vol. 3 (Metaphysics), London: Duckworth,1-31. Owen, G.E.L. (1967), ΤΙΘÉΝAΙ ΤΑ ΦΑIΝÓΜΕΝΑ, in Moravcsic, J. (ed.),Aristotle. A Collection of Critical Essays, New York: Garden City, 183-190.Pakaluk, M. (1998), Aristotle. Nicomachean Ethics. Books VIII and IX, Pakaluk,M. (trans. and with a comm.), Oxford: Clarendon Aristotle Series. Payne, A.(2000), Character and the Forms of Friendship in Aristotle, «Apeiron», 1:53-74. Pizzolato, L. (1993), L’idea di amicizianel mondo classico e Cristiano, Torino: Einaudi. Price, A.W. (1989), Love and Friendship in Plato andAristotle, Oxford: Clarendon Press. Reale,G. (a cura di) (2015), Introduzione, in Platone, Liside, Milano: Bompiani.Ruggiu, L., Il ΠΡΟΤΕΡΟΝ ΠΡΟΣ ΗΜΑΣ. L’ΑΡΧΗ del filosofare in Aristotele,«Rivista di filosofia neoscolastica», 57: 22-66. Trabattoni, F. (a cura di)(2004), Il Liside: un’introduzione all’etica socratica, in Platone, Liside,vol. II, Milano: LED:47-171. Versenyi, L. (1975), Plato’s Lysis, «Phronesis», 20: 185-198. Vlastos,G. (1981), The Individual Love in Plato, in Id., Platonic Studies, Princeton:Princeton University Press, 3-34. von Willamowitz, U. (1959), Platon. SeinLeben und seine Werke, (Auslage 5 mit Bruno Snell), Berlin: WeidmannscheBuchhandlung. Walker, A.D.M. (1979), Aristotle’s Account of Friendship in theNicomachean Ethics, «Phronesis», 24: 180-196. Ward, J.W. (1995), FocalReference in Aristotle’s Account of Philia, «Apeiron», 28: 83-205. Wieland, W.(1970), Die aristotelische Physik, Göttingen: Vandenhoek et Ruprecht; trad. it.La Fisica di Aristotele (1993), Bologna: Il Mulino. Williams, R.R. (2010),Aristotle and Hegel on Recognition and Friendship, in Seymour, M. (ed.), ThePlural States of Recognition, London: Palgrave Macmillan. Zucca, L’anima del vivente. Vita, cognizione e azionenella psicologia aristotelica, Milano-Brescia: Morcelliana. Note al testo [1] Cfr. Phys. I 1: la conoscenza procede daciò che è più prossimo e più conoscibile per noi, a ciò che è primo per se oper natura; se tale “risalita” verso i principi a partire da ciò che ci èimmediatamente più vicino è il metodo della fisica, a fortiori esso si applicaall’ambito etico, che è ambito segnatamente umano: cfr. Et. Nic. I 2,1095a31-b4, ma anche De An. II 2, 413a11-17 e Met. VII 3, 1029a35-b12. Sulvalore epistemologico di questa differenza, resta decisivo Ruggiu (1965). [2]Per esempio: quando diciamo, tipicamente, qualcuno «amico» di qualcun altro?Sul rapporto costitutivo fra il primo-per-noi e il linguaggio, cfr.Wieland. Cfr. Top. I 1, 100 b 21-23;intendo questa definizione di ἔνδοξον come una disgiunzione inclusiva: seun’opinione è condivisa almeno da uno degli insiemi indicati (tutti, i più, isapienti, qualcuno di essi), è un ἔνδοξον, e ciò che lo rende tale può esserequantitativo, o qualitativo, o entrambi: per esempio, se è condiviso da tutti,lo sarà anche dai sapienti. [4] Sulla intima connessione fra δοκοῦντα, λεγόμεναe φαινόμενα, cfr. Owen (1967), Nussbaum (1986b). Cfr. De An. I 1, 402b 16-403a8. [6] Cfr.Herod. III 82, 35 e Tucid. I 137, 4, in cui si trova l’endiadi «συμμαχίᾳ καὶφιλία». [7] Nei poemi omerici non vi è il termine φιλία – le prime occorrenzesi trovano in Teognide (Teog. I, 31-38, 53-60, 323-28) – ma termini analoghicome φιλότης, φίλος sono utilizzati sia a proposito del rapporto fra uomini chedi quello fra uomini e dèi. Sulla φιλία nel mondo antico, cfr. Pizzolato(1993), Fraisse (1974). [8] Nel Fedro platonico (228a-e), Socrate confuta undiscorso di Lisia sulla φιλία, che Fedro custodiva sotto il mantello: quindi èverosimile che anche prima della data di composizione del Liside la φιλία fosseimportante oggetto di dibattito e di riflessione critica. Del resto Giamblico(De Pythagorica Vita, 229-30) e Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, VIII, 10)attribuiscono già a Pitagora la prima trattazione filosofica della φιλία. [9]Anche il Fedro e il Simposio si occupano lungamente della φιλία – l’eros è unaforma della φιλία, per Platone quella più significativa – ma, come cercherò dimostrare, l’indagine aristotelica dipende sistematicamente dal Liside: per cosìdire, essa articola una differente risposta a quelle aporie, rispetto a quellache propone Platone nel Simposio e nel Fedro. [10] Meglio: se qualcuno sia amicodi qualcun altro in quanto ami o, piuttosto, in quanto sia amato. [11] φίλος +dativo significa “caro a qualcuno”, φίλος + genitivo indica colui a cuiqualcuno è caro, due individui sono φίλοι, quando sono l’uno “caro” all’altro.[12] Alcuni interpreti leggono il Liside come un esercizio dialettico,filosoficamente debole [Versenyi (1975)] o più retorico-sofistico chefilosofico [Bordt (1988)], o dal significato prolettico-introduttivo rispettoai maturi Simposio e Fedro [Kahn (1996), ma già Gomperz (2013), Auslage 5, eWillamovitz (1959)]; benché questi due dialoghi successivi ne possano a buondiritto adombrare il valore intrinseco, tuttavia i temi sollevati dal Lisidesono nodi aporetici sostanziali, e non deve fuorviare il fatto che Socratemutui il linguaggio e lo stile argomentativo dal tipo di interlocutore cheaffronta (per esempio, “facendo” il sofista col sofista Menesseno, e così via).Per una interpretazione non riduttiva del Liside e del suo valore speculativo,è illuminante Trabattoni (2004). [13] Un altro topos tradizionale – per cui lavera amicizia è fra ἀγαθοί – ricorrente in Platone: per restare all’esempio piùnoto, in Resp. I, 351a-e Socrate replica a Trasimaco che fra malvagi e ingiustinon può esserci alcuna cooperazione né amicizia; era comunque un temaessenziale per Socrate (cfr. Senofonte, Mem., 2.6 1-7). [14] Sull’ascendenzaomerica di questo topos tradizionale, e sulla sua importanza per Aristotele(cfr. infra: Par. III), cfr. Adkins (1963). [15] La coscienza del male cometale è sintomo del fatto che il male è relativo e non assoluto. [16] Qui nelLiside si tratta di ἐπιθυμία (cfr. 217c). [17] Tralascio qui la questione dellapossibile identificazione del Primo Amico col Bene: ciò che rileva, qui, è ilfatto che esso trascenda gli amici concreti, i quali sono tali solo «a parole»e stanno al Primo amico – che è tale «in realtà» (τῷ ὄντι) – come i mezzi alfine (cfr. Lys. 220b1-4). [18] Lys 222e1-7. [19] La letteratura sull’amiciziain Aristotele è sterminata: in luogo di proporre una lunga lista di studi checomunque sarebbe tutt’altro che esaustiva, nel seguito mi limiterò a citarealcuni contributi che sono particolarmente pertinenti agli aspetti chetratterò. Un commento sintetico e preciso a Et. Nic. VIII e IX è Pakaluk(1998). [20] È il giudizio nettamente prevalente, anche se non unanime. [21]Sul rapporto fra il Liside e le Etiche aristoteliche riguardo l’amicizia, buonispunti si trovano in Annas (1986). [22] Et. Eud. VII 1, 1234b18-1235a4; cfr. anche Et. Nic.VIII 1. [23] Et. Eud.. [24] Trad. it. modificata. [25] Cfr. supra: nota 16.[26] Et. Eud. VII 2, 1235b22-23. [27] C’è chi crede cheil piacere sia un bene, ma c’è anche chi crede che non lo sia eppure gli appare– porto dalla φαντασία – come se lo fosse. Nell’acratico la forza dellaφαντασία sopravanza, nelle scelte pratiche, quella della δόξα. [28] Il «beneapparente» è qualcosa che appare come bene; ma può anche non esserlo: tuttavia,anche il bene reale motiva il desiderio solo apparendo come bene. Dunque«apparente» qui non va affatto interpretato come falsa apparenza. [29] Et. Eud.VII 2, 1235b30-1236a1. [30] Il piacevole non è l’immediato, ma anche ciò chenon procura dispiacere futuro; Aristotele sa bene che molte cose dannosepossono procurare del piacere immediato. Ma chi non è acratico, conscio delleconseguenze negative, accorderà il suo desiderio con la sua ragione, e lamotivazione data dall’ipotetico piacere immediato sarà soverchiata dallamotivazione a evitare danni futuri. [31] Questo punto è più chiaro per come èpresentato in Et. Nic. VIII 2, 1155b23-27. [32] Nelle espressioni δι’ ἀρετὴν,διὰ τὸ χρήσιμον, δι’ ἡδονήν, la preposizione significa a un tempo «in base a»,«a causa di», «al fine di»: il rispettivo amabile è ciò che causaquell’amicizia, ciò che ne costituisce il fondamento o ragion d’essere, ciò chene rappresenta il fine [su un’idea analoga, cfr. Nussbaum (1986a)]; nei terminidella nota teoria delle quattro cause (dei quattro sensi del διὰ τί, cfr. Phys.II 3), potremmo plausibilmente intendere il tipo di amabile come causaefficiente, formale e finale della rispettiva relazione amicale. [33] Cfr. Et.Nic. VIII 2, 1155b26-31. Mentre la φίλησις è una passione o affezione (πάθος),la φιλία è uno stato abituale (ἕξις, 1557b28-29). [34] Cfr. Et. Eud. VII 2,1237b17-23; Et. Nic. VIII 4, 1156b30-33. [35] Vi è discussione sul fatto chequesta caratterizzazione definitoria offra condizioni sufficienti perchéqualcosa sia amicizia, oppure solo condizioni necessarie; propenderei per laseconda opzione: per esempio, Aristotele ritiene che per diventare amici devepassare del tempo, e molti scambiano il desiderio di essere amici conl’amicizia stessa (Et. Eud. VII 2, 1237b12-22); ma se il desiderio è reciproco,sussiste già benevolenza reciproca non celata, che non è ancora amicizia. [36]Sul focal meaning cfr. Owen (1963), Ferejohn (1980). L’exemplum princeps èquello della Metafisica: la sostanza è il focal meaning dell’essere, tutto ciòche è o è sostanza o rimanda a una sostanza, al modo in cui tutto ciò che è«sano» rimanda alla salute e tutto ciò che è «medico» alla medicina (cfr. Met.IV 2, 1003a32-1003b11). [37] Cfr. Fortenbaugh (1975). Può esserlo in modomediato, come foriero di un altro utile, al modo in cui qualcosa è mezzo di unaltro mezzo, ma in ultima istanza l’utile è tale perché porta al bene e i mezzisono tali perché portano al fine. [39] Per esempio, in De An. III 7, 431a10-13il piacere è definito come l’essere percettivamente attivi nei confronti delbene in quanto bene; l’utilità è indefinibile se non come capacità diavvicinarci a un qualche bene; l’utile sta al bene come il mezzo al fine, e nonvi è modo di definire cosa sia un mezzo, senza chiamare in causa la nozione difine. [40] Et. Eud. VII 2,1236a25-26. [41] Et. Eud. VII 2, 1236b1-2; Et. Nic. VIII 4, 1156b7-8. [42] Cfr. Esiodo, Opera et dies,342-360; 707-723. [43] Chiamare amicizia solo quella prima, equivarrebbe a«violentare i fenomeni» (βιάζεσθαι τὰ φαινόμενα, Et. Eud. VII 2, 1236b 22).[44] Et. Nic. VIII 4, 1156b7. [45] La prima amicizia, infatti è quella «secondovirtù e a causa del piacere della virtù» (EE VII 1238a31-32). [46] SecondoAspasio (164.3-11), Owen (1960) e Dirlmeier (1967) vi sarebbe comunque focalmeaning e relazione πρὸς ἓν, ancorché non esplicitata. [47] Et. Nic. VIII 5,1157a32. [48] Se poi l’individuo è acratico, potrebbe anche non credere chequalcosa sia il suo bene, ma perseguirlo perché gli “appare” bene e frequentareindividui utili a qualcosa che egli cerca di procurarsi pur sapendo che non èil suo bene: come uno che frequentasse un pusher in modo costante perprocurarsi della droga, sapendo di farsi del male ma perseverando nel suocomportamento autodistruttivo (e nelle frequentazioni relative) per debolezza.[49] Sulla rilevanza della distinzione fra «bene per qualcuno» e «beneincondizionato» in rapporto alla teoria delle tre amicizie, insistedoverosamente O’Connor (1990). [50] Et. Nic. [51] Così, nella Nicomachea (Et.Nic. VIII 2, 1156a17), non nella Eudemia. [52] Cfr. supra: Par. II, 3. [53] ENVIII 3, 1156 a 16-17. [54] EN VIII 3, 1156a18-19 [55] Cooper (1977) sostieneche le amicizie accidentali siano tali perché dipendano da tratti accidentalidel carattere dell’amico amato; Payne (2000) replica che anche i tratti invirtù di cui qualcuno risulta piacevole o utile possono essere altrettantoessenziali di quelli che lo rendono virtuoso: gli amici perfetti sarebberoscelti «per sé stessi» in quanto i loro caratteri virtuosi sono scelti comefine e non come mezzo (per altro). Ma le letture sono forse componibili:l’esser utile o piacevole, anche se sopravviene a tratti essenziali delcarattere altrui, restano esterni all’altro, in quanto relazionali in un sensodiverso dalla virtù; l’esser buono è sia essenziale e intrinseco all’amico, chescelto per sé stesso e non per altro, e rende anche l’amico stesso, che ha quelcarattere virtuoso, scelto per sé stesso e non per altro. Cfr. supra: nota 31.[56] In Et. Eud. VII 7, 1241a5-7 si afferma che «se uno vuole per un altro ibeni perché costui gli è utile, li vorrebbe allora non per quello ma per séstesso; mentre invece la benevolenza, proprio come l’amicizia, si ritiene chesia rivolta non a quello che la prova, ma a colui per il quale la si prova.Pertanto, è chiaro che la benevolenza è in relazione con l’amicizia etica». Quipare che solo l’amicizia etica (=virtuosa) implichi la benevolenza, che però èun costituente della definizione generale di amicizia. Da passi di questotenore pare che le amicizie incomplete non siano amicizie in senso proprio, vistoche non soddisfano la definizione; Aristotele è oscillante, è innegabile che visia una tensione irrisolta fra la sua vocazione inclusiva e lo sforzo dienucleazione della “vera” amicizia come tipologia normante e assiologicamentesovraordinata, che non è semplicemente una delle tre amicizie ma quella parexcellence, di cui le altre sono approssimazioni manchevoli. Si può accoglierela lettura di Walker, per cui l’amicizia perfetta soddisfa criteri più severi,le altre criteri più laschi. [57] Si pensi alla percezione per accidente (DeAn. II 6, III 1): essa è comunque studiata come una modalità genuina dipercezione: le ragioni per cui essa è percezione per accidente non inficiano ilfatto di essere genuinamente un tipo di percezione. [58] I due amici perfetti,in quanto buoni e virtuosi, realizzano l’eccellenza della natura umana, sonoesempi del bene incondizionato e del piacere incondizionato. [59] Et. Nic. VIII 3,1156a31-1156b1. [60] Et. Eud. VII 2, 1238a11-30; Et. Nic. VIII 3, 1156b17-32. [61] Può succedere che l’altrocambi, peggiori, o impazzisca, ma non accade per lo più. Cfr. Et. Nic. IX 3. [62] Et.Nic. VIII 4, 1156b10. [63] Et. Eud. VII2, 1236b31. [64] La sventura, poi, può rivelare che un’amicizia che parevaperfetta era in realtà in vista dell’utile (Et. Eud. VII 2, 1238a19-21). [65] Lys.211e-212a. [66] Et. Eud. VII 2, 1237b13-27. [67] Et. Nic. VIII 3, 1156a24-31.[68] Et. Nic. VIII 7, 1158a21. [69] Et. Eud. VII 4; Et. Nic. VIII 8. [70] Et.Eud. VII 9-11, Et. Nic. VIII 12-14. [71] Et. Eud. VII 12, 1244b4-5. [72] Cfr.Pol. I 1, 1253a10-12; Et. Nic. IX 12, 1169b18-19. [73] Et. Eud. VII 12, 1245b15-16. [74] Et. Nic. 1245b18. [75] Et.Eud. VII 12, 1245b18-19. [76] Si tratta di una complessità anche filologica,dovuta a corruzioni del testo. Su ciò, cfr. Kosman (2004). [77] Delle tre anime– nutritivo-riproduttiva, percettiva, razionale – la percettiva e la razionalesono quelle che discriminano la realtà (cfr. De An. III 3, 427a17-23); lapercettiva, poi, è intimamente connessa col desiderio e, quindi, con l’azione(cfr. De An. III 9-11). Vivere significa realizzare le proprie capacitànaturali e acquisite, il che per l’uomo implica anzitutto l’esercizio dipercezione e pensiero (ove entrambe vanno concepite come connesse all’azione,in quanto coinvolgono anche desiderio e intelletto pratico). Su ciò, mipermetto di rimandare a Zucca (2015), Capp. II e VI. [78] La felicità è «unacerta attività dell’anima secondo virtù completa» (Et. Nic. II 13, 1102a5-6). [79] Et. Eud.VII 12, 1245a30; Et. Nic. IX 9, 1166 a 32, 1170 b 6. [80] Et. Eud. VII 12,1245a35-7. [81] Trad. it. modificata. [82] In Et. Eud. VII 6 e in Et. Nic. si argomenta che i tipi direlazione che si hanno con gli altri dipendono dal rapporto che si ha con séstessi: chi è buono e virtuoso sarà anche amico di sé stesso in modo armonico ecostante – sebbene si possa parlare di amicizia solo κατὰ ἀναλογίαν (1240a13),nel caso dell’auto-rapporto – chi è malvagio sarà incostante e in conflitto consé stesso, e in senso analogico sarà nemico di sé stesso. Questa idea noncontraddice l’idea per cui la conoscenza di sé passa per la conoscenzadell’altro (Et. Nic. IX 9), ma anzi la completa: il buono e virtuoso è feliceanzitutto in quanto ha un “sano” rapporto con sé, ma si conosce e realizza comefelice solo in quanto ha un rapporto di riconoscimento reciproco con amici chehanno, a loro volta, un altrettanto “sano” rapporto con sé stessi. [83] L’ideadi un accesso introspettivo infallibile ed essenzialmente privato ai nostripropri atti mentali, così tipicamente moderna, è affatto estranea adAristotele. [84] Come è naturale porre l’enfasi sul valore speculativointrinseco della teoria, così è altrettanto opportuno ricordare che l’amiciziaperfetta aristotelica resta prerogativa di un sottoinsieme dei maschi adultiliberi; tuttavia, questa tara storica affetta la teoria dell’amicizia, per cosìdire, mediatamente: in quanto restringe a quel sottoinsieme la capacità direalizzare l’eccellenza morale, precondizione della relazione d’amiciziaperfetta. [85] Non uso la locuzione «sapere chi sono», anacronisticamente, comeil coglimento di me stesso in quanto individualità irriducibile, magariineffabile e inaccessibile ad altri – non è certo questa sorta di soggettività“novecentesca”, che secondo Aristotele giungerebbe alla coscienza di sénell’amicizia – bensì come il venire a conoscenza di che tipo di persona sono.[86] Come bene intrinseco che trascende il livello del piacevole, è un amabileoggetto di volontà piuttosto che di appetito (Et. Eud. VII 2, 1235b22-23), e lavolontà è desiderio razionale di beni scelti. [87] Un’analisi sistematica ecomparativa delle nozioni di amicizia e amore in Platone e Aristotele, è Price(1989). Cfr. anche Kahn (1981). [88] Cfr. Phaedr. 265b-c. [89] La relazioneerotica amante/amato, peraltro, è anche meno significativa e più instabile dialtre relazioni fondate sul piacere – dunque, già di per sé instabili – inquanto in questo caso il piacere «non deriva dalla stessa fonte» (l’uno godenell’esser corteggiato, l’altro nel contemplare l’altro, Et. Nic. VIII 5,1157a2-10). [90] Lys. 222a3-7. Proverbi, impicatura proverbiale. A Errarehumanum est.jpg Ab amico reconciliato cave. Guardati da un amicoriconciliato.Absit reverentia vero. Bando ai pudori di fronte alla verità. (Ovidio)Abusus non tollit usum. L'abuso non esclude l'uso.[2] Accidere ex una scintillaincendia passim. A volte da una sola scintilla scoppia un incendio.Adimpossibilia nemo tenetur. Nessuno è obbligato a fare l'impossibile.[4]Adulator propriis commodis tantum suadet L'adulatore tiene di mira solo i suoiinteressi.[5] (Giulio Cesare) Amantis ius iurandum poenam non habet. Ilgiuramento dell'innamorato non si può punire.[6] Amicus certus in re incertacernitur. Il vero amico si rivela nelle situazioni difficili.[7] (Quinto Ennio)Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di nessuno.Amicus Plato,sed magis amica veritas. Amo Platone, ma amo di più la verità.[9] (Aristotele)Amor arma ministrat. L'amore procura le armi [agli amanti perché possano esseregrati alla persona amata].[10] (proverbio medievale) Amor caecus. L'amore ècieco.[11] Amor gignit amorem.[10] Amore genera amore. Amor tussisque noncelatur. L'amore e la tosse non si possono nascondere.[12] Amoris vulnus sanatidem qui facit. La ferita d'amore la risana chi la fa.[12] Anceps fortunabelli. Le sorti della guerra sono incerte.[9] (Cicerone) Aquila non captatmuscas. L'aquila non prende mosche.[13] Athenas noctuas mittere.[14] Mandarenottole ad Atene. Fare cosa inutile e superflua. Ars est celare artem.[15] Laperfezione dell'arte sta nel celarla. Audi, vide, tace, si vis vivere inpace.Ascolta, guarda e taci, se vuoi vivere in pace. B Barba virile decus, etsine barba pecus.[17] La barba è decoro dell'uomo e chi è senza barba è pecoro.Bene qui latuit, bene vixit. Ben visse chi seppe vivere nell'oscurità.[18](Ovidio) Beati monoculi in terra caecorum. Beati i monòcoli nel paese deiciechi. Bis dat qui cito dat. Dà due volte chi dà presto.[19] Bis peccat quicrimen negat.[20] È due volte colpevole chi nega la propria colpa. Bis puerissenes. Il vecchio è due volte fanciullo. Bonis nocet qui malis parcet. Chirisparmia i malvagi danneggia i buoni.[22] Bonum nomen, bonum omen.[23] Buonnome, buon augurio. C Caecus non judicat de colore.[24] Il cieco non giudica icolori. Non si può giudicare ciò che si sottrae alle nostre attitudini. Caesarnon supra grammaticos.[25] Cesare non (ha autorità) sopra i grammatici. Lepersone più altolocate non possono avere autorità se non su quelle cose di cuis'intendono. Canis caninam non est.[26] Cane non mangia cane. Carpe diem. Cogliil giorno. (Quinto Orazio Flacco) Caseus est sanus, quem dat avara manus. Fabene quel formaggio servito da una mano avara.[27] Causa patrocinio non bonapeior erit. La causa cattiva diventa peggiore col volerla difendere.[28](Ovidio) Causa perit iusta, si dextera non sit onusta.[29] La giusta causasoccombe se la destra non è piena [di denaro]. Cave a signatis. Guàrdati daisegnati.[28] Antico adagio in odio a coloro che sono affetti da qualcheimperfezione fisica: guerci, zoppi, ecc. Cave tibi ab acquis silentibus.Guàrdati dalle acque chete.[28] Cavendo tutus.[30] Se sarai cauto, saraisicuro. Cogito ergo sum. Penso dunque sono. (Cartesio) Commendatoria verba nonobligant.[31] Le parole di raccomandazione non obbligano. Commune periculumconcordiam paret.[32] Il comune pericolo prepari la concordia. Consuetudo estaltera natura. L'abitudine è una seconda natura.[33] D De gustibus non estdisputandum. Sui gusti non si discute.[34] Difficilis in otio quies. Èdifficile esser tranquilli nell'ozio. Dulce bellum inexpertis, expertus metuit.La guerra è dolce per chi non ne ha esperienza, l'esperto la teme. (proverbiomedievale) Dum caput dolet, caetera membra languent. Quando duole il capo,tutte le membra languono.[37] Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentrea Roma si delibera, Sagunto è espugnata.[38] Dum vinum intrat exitsapientia.[39] Mentre il vino entra, esce la sapienza. Duo cum faciunt idem,non est idem.[35] Quando due fanno la stessa cosa, non è più la stessa cosa. EErrare humanum est, perseverare autem diabolicum.[40] L'errare è cosa umana, ilperseverare nella colpa invece è diabolico. Error hesternus sit tibi doctorhodiernus.[41] L'errore di ieri ti sia maestro oggi. Est in canitie ridiculaVenus. È ridicolo l'amore di un vecchio.[42] (Proverbio medievale) Est modus inrebus, sunt certi denique fines | quos ultra citraque nequit consistere rectum.C'è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di làdei quali non può sussistere la cosa giusta. (Quinto Orazio Flacco) Ex ungueleonem.[43] Dall'unghia si conosce il leone. Da un atto compiuto si rivela laforza dell'autore, morale o materiale. Excusatio non petita fit accusatio manifesta(proverbio medievale)[44] Chi si scusa senza esserne richiesto s'accusa. FFabas indulcat fames.[45] La fame addolcisce le fave. Facile est inventisaddere.[46] È facile aggiungere a ciò che è stato inventato. Facile peritamicitia coacta.[47] Facilmente muore un'amicizia forzata. Facit experientiacautos.[48] L'esperienza rende cauti. Fac sapias et liber eris.[49] Fa' disapere e sarai libero. Felicium omnes sunt cognati. Tutti sono parenti deifortunati.[8] Fiat iustitia et pereat mundus. Sia fatta giustizia e periscapure il mondo. Frangitur ira gravis cum sit responsio suavis.[50] Una dolcerisposta infrange l'ira. Frustra sapiens qui sibi non sapet.[51] Inutilmente sachi non sa per sé. G Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. H Homolongus raro sapiens; sed si sapiens, sapientissimus. Un uomo lungo (ossia alto)di rado è sapiente; ma se è sapiente, è sapientissimo.[52] Homo sine pecunia,imago mortis. L'uomo senza danaro è l'immagine della morte.[53] I Ianuensisergo mercator. Genovese quindi mercante.[54] Imperare sibi maximum imperiumest. Comandare a sé stessi è la forma più grande di comando. (Seneca, Lettere aLucilio, CXIII.30) In magno mari capiuntur flumine pisces.[55] Nei grandi fiumisi pescano i grandi pesci. Nei grandi affari si fanno i grossi guadagni. Inmedio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. (Orazio) In vino veritas. Nel vinoc'è la verità. L M Magnum vectigal parsimonia.[56] La parsimonia è un grancapitale. (Cicerone) Major e longiquo reverentia.[56] La riverenza è maggioreda lontano. (Tacito) Mala gallina, malum ovum.[57] Gallina cattiva, uovocattivo. Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo.[58] Per me val piùla mia coscienza che il discorso di tutti. (Cicerone) Medicus curat, naturasanat. Il medico cura ma è la natura che guarisce.[59] Melius est abundare quamdeficere. Meglio abbondare che trovarsi in scarsezza.[60] Mors tua vitamea.[56] La tua morte è la mia vita. Mortui non mordent. I morti nonmordono[61] [truismo] Mortuo leoni et lepores insultant. Anche le lepriinsultano un leone morto.[62] Multi multa, nemo omnia novit. Molti sanno molto,nessuno sa tutto.[63] N Natura non facit saltus. La natura non procede persalti.[64] Naturalia non sunt turpia.[65] Le cose naturali non sono turpi. Nemonon formosus filius matri. Nessun figlio non è bello per sua madre.[66] Nepulsato portam alterius, nisi velis pulsetur et tua.[67] Non bussare alla portaaltrui se non vuoi che bussino alla tua. Nihil est in intellectu quod nonfuerit in sensu. Nulla è nell'intelligenza che prima non fosse nel senso[68]Non omne quod licet honestum est.[69] Non tutto ciò che è lecito è onesto. Nonomnibus dormio. Non dormo per tutti.[70] Nomen omen Il nome è un presagio (v.anche nomina sunt consequentia rerum e conveniunt rebus nomina saepe suis)(Plauto, Persa, 625) Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono corrispondentialle cose. (Giustiniano, Institutiones, 2, 7, 3) O Omne animal post coitumtriste. Tutti gli animali sono mesti dopo il coito.[71] Omne ignotum proterribili.[72] Tutto ciò che è ignoto incute paura. Omnia munda mundis. Per chiè puro tutto è puro. (Paolo di Tarso) Omnia vincit amor. L'amore vince ognicosa. (Virgilio, Bucoliche X, 69) Omnia fert aetas. Il tempo porta via tutte lecose. (Virgilio) Omnis festinatio ex parte diaboli est.[73] Ogni fretta vienedal diavolo. P Panem et circenses. Pane e giochi [per distrarre il popolo].(Giovenale, X 81) Patere quam ipse fecisti legem.[74] Subisci la legge che tustesso hai fatta. Pectus est enim quod disertos facit È infatti il cuore cherende eloquenti (Quintiliano, 10,7,15) Pecunia non olet Il denaro non puzza(Vespasiano) Per aspera ad astra. Alle stelle [si giunge] attraverso asprisentieri.[75] Periculum in mora. Vi è pericolo nel ritardo. (Tito Livio, Aburbe condita; XXXVIII, 25) Philosophum non facit barbam.[76] La barba non fa ilfilosofo. Primum vivere deinde philosophari (Thomas Hobbes) Prima vivere, poifare della filosofia. Q Quando Sol est in Leone, bibe vinum cum pistone. Quandoil sole è in Leone [segno zodiacale], bevi il vino col pistone [agarganella].[77] Qui aquam Nili bibit rursus bibet.[78] Chi beve l'acqua delNilo la berrà di nuovo. È destinato a ritornarvi. Qui asinum non potest,stratum caedit.[79] Chi non può bastonare l'asino bastona la bardatura. Quigladio ferit gladio perit. Chi di spada ferisce di spada perisce.[80] Qui inpergula natus est, aedes non somniatur. Chi è nato in una capanna, i palazzinon li vede neanche in sogno. (Petronio, 74,14) Qui jacet in terra non habetunde cadat. Per chi giace in terra non c'è pericolo di cadere.[81] [truismo]Qui medice vivit, misere vivit. Chi vive sotto la guida del medico, vivemiseramente.Qui scribit, bis legit.[82] Quisque faber fortunae suae. Ognuno èartefice del proprio destino. (Appio Claudio Cieco) Quod differtur non auferturCiò che si dilaziona non lo si perde[83] Quod non potest diabolus mulierevincit. Ciò che non può il diavolo, l'ottiene la donna.[84] (proverbiomedievale) Quot homines tot sententiae. Tanti uomini, altrettante opinioni.[85]Quot servi tot hostes. Tanti servi, tanti nemici.[85] R Re opitulandum, nonverbis.[86] L'aiuto va dato con i fatti, non con le parole. Rem tene, verbasequentur Possiedi l'argomento e le parole seguiranno. (Marco Porcio Catone)Res satis est nota, plus foetent stercora mota.[87] È cosa nota: lo sterco piùè stuzzicato e più puzza. S Salus extra Ecclesiam non est[88] Al di fuori dellaChiesa non v'è salvezza (Tascio Cecilio Cipriano, Lettera, 73, 21) Sapiensnihil affirmat quod non probet.[89] Il saggio nulla afferma che non possaprovare. Satis quod sufficit.[90] Ciò che è sufficiente al bisogno, basta.Semel abas, semper abas.[91] Una volta abate, sempre abate. Proverbiomedioevale, affermante che chi ha vestito una volta l'abito sacerdotale non puòspogliarsi più delle idee e delle abitudini ecclesiastiche. Significa anche,per estensione, che si conservano sempre le idee una volta acquistate. Semel inanno licet insanire. Una volta all'anno è lecito fare follie. (Seneca)Senatores boni viri: senatus autem mala bestia.[92] I senatori sono bravagente; ma il senato è una cattiva bestia. Sero venientibus ossa.[93] Per chiviene troppo tardi restano le ossa. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la paceprepara la guerra. (Vegezio) Sicut mater, ita et filia eius. Quale la madre,tale anche la figlia.[94] Simia simia est, etiamsi aurea gestet insignia.[95]La scimmia resta sempre scimmia, anche se indossa ornamenti d'oro. Sol lucetomnibus.[96] Il sole splende per tutti. Vi sono delle cose di cui tutti gli uominipossono godere. Sorex suo perit indicio.[97] Il topo perisce per essersirivelato da sé. Sublata causa, tollitur effectum.[98] Soppressa la causa,scompare l'effetto. T Timeo Danaos et dona ferentes. Io temo comunque i Greci,anche se recano doni. (Publio Virgilio Marone) U Ubi maior, minor cessat.Dinanzi al più forte, il debole scompare.[8] Ubi opes, ibi amici. Dove sono lericchezze, lì sono anche gli amici.[8] Ubi uber, ibi tuber.[99] Dove è lamammella, ivi è il tumore. Dove c'è abbondanza, ivi si forma il marciume, lacorruzione. V Verba movent, exempla trahunt.[100] Le parole commuovono, ma gliesempi trascinano. Verba volant, scripta manent.[101] Le parole volano, gliscritti restano. Vigilantibus, non dormientibus, jura succurunt.[102] Le leggiforniscono aiuto ai vigilanti, non ai dormienti. Vinum lac senum.[103] Il vinoè il latte dei vecchi. Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. Il popolo (ilmondo) vuole essere ingannato, e allora sia ingannato.[104] Note Citato in Mastellaro, p. 21. Citato in Tosi 2017, n. 1408. Citato in Tosi 2017, n. 1010. Citato in 2005, p. 6. Citato in Mastellaro, p. 11. Citato in Mastellaro, p. 25. Citato in Mastellaro, p. 18. Citato in Mastellaro, p. 20. Citato e tradotto in 2005, p. 15. Citato in De Mauri, p. 27. Citato in Mastellaro, p. 24. Citato in Mastellaro, p. 23. Citato in Tosi 2017, n. 2265. Citato, con spiegazione, in Umberto Bosco,Lessico universale italiano, vol. XV, Istituto della Enciclopedia italiana,Roma, 1968, p. 59. Citato e tradotto in 2005,§ 169. Citato e tradotto in 2005, §188. Citato e tradotto in 2005, §215. Citato con traduzione in 2005, p.28. Citato in 1921, p. 43, § 161. Citato e tradotto in 2005, § 243. Citato e tradotto in Lo Forte, § 148. Citato con traduzione in 2005, p. 30. Citato e tradotto in 2005, § 256. Citato e tradotto in Lo Forte, § 154. Citato e tradotto in Lo Forte, § 155. Citato e tradotto in 2005, § 280. Citato in Andrea Perin e Francesca Tasso (acura di), Il sapore dell'arte, Skira, Milano, 2010, p. 41. Citato e tradotto in 2005, p. 37. Citato e tradotto in 2005, § 305. Citato e tradotto in 2005, § 312. Citato e tradotto in 2005, § 343. Citato e tradotto in 2005, § 344. Citato in Mastellaro, p. 9. Citato in 2005, p. 57. Citato in Arthur Schopenhauer, Aforismi sullasaggezza nella vita, traduzione di Oscar Chilesotti, Dumolard, Milano,1885. Citato in Marco Costa, Psicologiamilitare, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 645. ISBN 88-464-7966-1 Citato in 1876, p. 66. Citato in 1921, p. 496. (ES) Citato in Jesús Cantera Ortiz de Urbina,Refranero Latino, Ediciones Akal, Madrid, p. 68 § 773. ISBN 9788446012962 Citato e tradotto in 2005, § 645. Citato e tradotto in 2005, § 650. Citato in De Mauri, p. 29. Citato e tradotto in Lo Forte, § 366. Citato in Giuseppe Fumagalli, L'ape latina,Milano, 1975, p. 82 Citato e tradotto in2005, § 732. Citato e tradotto in 2005,§ 739. Citato e tradotto in 2005, §741. Citato e tradotto in 2005, §744. Citato e tradotto in 2005, §747. Citato e tradotto in 2005, §829. Citato e tradotto in 2005, §835. Citato in 2005, p. 108. Citato in 2005, p. 109, § 941. Citato in Filippo Ruschi, Questioni dispazio: la terra, il mare, il diritto secondo Carl Schmitt, G. GiappichelliEditore, Citato e tradotto in 2005, § 1072.Citato in 2005, p. 152. Citato etradotto in 2005, § 1313. Citato contraduzione in Jean Louis Burnouf, Metodo per studiare la lingua latina adottatodall'Università di Francia, presso Ricordi e Jouhaud, Firenze 1850, p.276. Citato in 2005, p. 158. Citato in 2005, p. 159. Citato in AA. VV., Dizionario delle sentenzelatine e greche, § 1509, Rizzoli, Milano, 2017.Citato in 2005, p. 166. Citato in2005, p. 168. Citato in 1921, p. 88, §319. Citato e tradotto in Lo Forte, §733. Citato in 2017, § 664. Citato in 1876, p. 58. Citato in 1921, p. 556. Citato e tradotto in Lo Forte, § 788. Citato in 1921, p. 536. Citato in Paul-Augustin-Olivier Mahon,Medicina legale e Polizia medica, vol. 4, a cura di Giuseppe Chiappari,Pirotta, Milano, 1820, p. 295. Citato inGuillaume Musso, Central Park, traduzione di Sergio Arecco, Bompiani, 2016, p.195. Citato in Ann Casement, Who OwnsJung?, Karnac Books, 2007, Londra, p.176 Anteprima Google Citato in L. De Mauri, Angelo Paredi eGabriele Nepi, p. 95. Citato in PeterOlman, Zwei Mädchen suchen ihr Glück: Caleidoscopio berlinese, Edizioni Mediterranee,Roma, 1966, p. 265. Citato e tradotto in2005, § 1970. Citato in 2005, p.248. (DE) Citato in Friedrich OttoBittrich, Ägypten und Libyen, Safari-Verlag, Berlino, 1953, p. 7. Citato e tradotto in 2005, § 2167. Dal Vangelo:... tutti quelli che mettono manoalla spada periranno di spada (Mt 26:52).Citato in 2005, p. 256. Citato in2005, p. 258. Citato in Tosi 2017, n.1174. Citato in De Mauri, p. 171. Citato in 2005, p. 266. Citato e tradotto in 2005, § 2342. Citato e tradotto in 2005, § 2363. Spesso la frase viene attribuita a Ciprianoin una forma diversa: Extra Ecclesiam nulla salus. Citato e tradotto in 2005, § 2415. Citato e tradotto in 2005, § 2421. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1034. Citato e tradotto in 2005, § 2457. Citato e tradotto in 2005, § 2472. Citato in 1921, p. 138, § 465. Citato e tradotto in 2005, § 2528. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1079. Citato e tradotto in 2005, § 2606. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1097. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1169. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1203. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1204. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1216. Citato in Proverbi siciliani raccolti econfrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, LuigiPedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.Traduzione in voce su Wikipedia. Bibliografia L. De Mauri, 5000 proverbie motti latini, seconda edizione, Hoepli, Milano, 2006. ISBN 978-88-203-0992-0Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921. Giuseppe Fumagalli,L'ape latina, Hoepli, Milano, 2005. ISBN 88-203-0033-8 Giacomo Lo Forte, Adhoc, Sandron, 1921. Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche,Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2. Gustavo Benelli, Raccolta diproverbi, massime morali, aneddoti, ed altro, Carnesecchi, Firenze, 1876. RenzoTosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 2017. Voci correlateModi di dire latini Lingua latina Palindromi latini Categorie: LingualatinaProverbi per nazione. Proverbi Exquisite-kfind.png Perapprofondire, vedi: Proverbi toscani. A A brigante brigante e mezzo. 1 A buoncavalier non manca lancia. 2 A buon cavallo non manca sella. 2 A buon cavallonon occorre dir trotta. 3 A buon intenditor poche parole.[1 2 A caldo autunnosegue lungo inverno. 4 A cane scottato l'acqua fredda par calda. 5 A canevecchio non dargli cuccia. 2 A carnevale ogni scherzo vale, ma che sia unoscherzo che sa di sale. 6 A caval che corre, non abbisognano speroni. 3 A cavaldonato non si guarda in bocca.[2 2 A cavalier novizio, cavallo senza vizio. 3 Acavallo d'altri non si dice zoppo. 3 A cavallo di fuoco, uomo di paglia, a uomodi paglia, cavallo di fuoco. 3 A cavallo giovane, cavalier vecchio. 3 A cavalnuovo cavaliere vecchio. 2 A chi batte forte, si apron le porte. 7 A chi Diovuole aiutare, niente gli può nuocere. 4 A chi fortuna zufola, ha un belballare. 4 A chi ha abbastanza, non manca nulla. 4 A chi mangia sempre pollivien voglia di polenta. 8 A chi non piace il vino, il Signore faccia mancarl'acqua. 8 A chi non può imparare l'abbicì, non si può dare in mano la Bibbia.4 A chi non vuol credere, poco valgono mille testimoni. 8 A chi non vuol crederesono inutili tutte le prove. 8 A chi non vuol far fatiche, il terreno produceortiche. 9 A chi prende moglie ci vogliono due cervelli. 4 A chi tanto e a chiniente. 2 A chi troppo e a chi niente. 10 A chi ti dà il cappone, dagli lacoscia e l'alone. 8 A chi ti porge un dito non prendere la mano. 2 A chi vuolefare del male non manca l'occasione. 4] A ciascun giorno basta la sua pena.[3]2] A ciascuno sta bene il proprio abito. 4] A donna di gran bellezza, dallapoca larghezza. 4] A duro ceppo, dura accetta. 4] A goccia a goccia si scava lapietra.[4] 11] A goccia a goccia s'incava la pietra. 2] A gran salita, grandiscesa. 4] A granello a granello si riempie lo staio e si fa il monte. 4] Agrassa cucina povertà vicina. 4] A lavar la testa all'asino si perde il ranno eil sapone. 12] A lume spento è pari ogni bellezza. 4] A mali estremi estremirimedi. 1] A muro basso ognuno ci si appoggia. 1] A nemico che fugge pontid'oro. 1] A ogni uccello suo nido è bello. 1] A padre avaro figliuol prodigo.13] A pancia piena si ragiona meglio. 8] A pagare e a morire c'è sempre tempo.14] A paragone del molto che ignoriamo, è meno di niente quanto noi sappiamo.4] A pazzo relatore, savio ascoltatore. 8] A pensar male, s'indovina sempre.15] A pensar male ci s'indovina. 2] A pentola che bolle, gatta non s'accosta.8] A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera. 1] A san Lorenzoil dente la noce già sente. 2] A san Martino [11 novembre], apri la botte eassaggia il vino. 8] A San Martino ogni mosto è vino. 16] A san Mattia la neveva via. 4] A scherzar con la fiamma, ci si scotta. 17] A tal fortezza, taltrincea. 4] A torto si lagna del mare chi due volte ci vuole tornare. 4] Atutto c'è rimedio fuorché alla morte. 1] A usanza nuova non correre. 2] Abbattutol'albero scompare l'ombra. 8] Accasa il figlio quando vuoi, e la figlia quandopuoi. 18] Acquista buona fama e mettiti a dormire. 4] Ai bugiardi e aglispacconi non è creduto. 8] Ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipiziesser vicini. 19] A voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esservicini. 2] Abate cupido, per un'offerta ne perde cento. 4] Abate rigoroso rendei frati penitenti. 4] Abbi piuttosto il piccolo per amico, che il grande pernemico. 8] Abiti stranieri, costumi stranieri; costumi stranieri, gentestraniera; la gente straniera sloggia gli antichi abitanti. 4] Abito troppoportato e donna troppo vista vengono presto a noia. 4] Abbondanza generabaldanza. 4] Accade in un'ora quel che non avviene in mill'anni. 2] Accade inun'ora quel che non avviene in cent'anni. 2] Accendere una candela ai Santi euna al diavolo. 4] Accendere una fiaccola per far lume al sole. 4] Acqua checorre non porta veleno. 4] Acqua cheta rompe i ponti. 16] Acqua di san Lorenzo[10 agosto] venuta per tempo; se alla Madonna viene va ancora bene; tardivasempre buona quando arriva. 2] Acqua e chiacchiere non fanno frittelle. 20]Acqua lontana non spegne il fuoco. 21] Acqua passata, non macina più. 22] Adalbero vecchio ed a muro cadente, non manca mai edera. 4] Ad ogni primaverasegue un autunno. 4] Ad ognuno la sua croce. 23] Ad ognuno pare bello il suo.4] Ad un grasso mezzogiorno spesso tien dietro una cena magra. 4] Agosto cimatura il grano e il mosto 16]. Agosto: moglie mia non ti conosco.[5][6] 1] Aimacelli van più bovi che vitelli. 2] Ai pazzi ed ai fanciulli, non si deveprometter nulla. 8] Ai pazzi si dà sempre ragione. 8] Aiutati che Dio t'aiuta.24] Aiutati che il ciel t'aiuta. 25] Aiutati che io ti aiuto. 16] Al baciarsipresto tien dietro il coricarsi. 4] Al bisogno si conosce l'amico. 1] Al buiola villana è bella quanto la dama. 2] Al buio, le donne sono tutte uguali. 8]Al buio tutti i gatti sono bigi. 16] Al confessor, medico e avvocato, nontenere il ver celato. 26] Al confessore, al medico e all'avvocato non si tieneil ver celato. 2] Al contadin non far sapere quanto è buono il formaggio con lepere. 1] Al cuore non si comanda. 1] Al cuor non si comanda. 27] Al cazzo nonsi comanda. 2] Al culo non si comanda. 28] Al destino non si comanda. 2] Altempo non si comanda. 2] Al tempo e al culo non si comanda. 2] Al debole ilforte sovente fa torto. 8] Al fratello piace più veder la sorella ricca, chefarla tale. 8] Al levar le tende si conosce il guadagno. 4] Al gatto che leccalo spiedo non affidar arrosto. 8] Al genio non si danno le ali, ma le sitagliano. 4] Al medico, al confessore e all'avvocato, bisogna dire ognipeccato. 8] Al povero manca il pane, al ricco l'appetito. 8] Al primo colpo noncade l'albero. 2] Al primo colpo non cade un albero. 2] Al suono si riconoscela pignata. 29] Al villano, se gli porgi il dito, si prende la mano. 30] All'Atien dietro il B nel nostro abbicì. 4] All'eco spetta l'ultima parola. 4]All'orsa paion belli i suoi orsacchiotti. 8] All'uccello ingordo crepa ilgozzo. 2] All'ultimo si contano le pecore. 1] All'umiltà felicità, all'orgogliocalamità. 8] Alla fame è presto ridotto chi s'imbarca senza biscotto. 4] Allafine anche le pernici allo spiedo vengono a noia. 8] Alla fine loda la vita ealla sera loda il giorno.[7] 4] Alla fine loda la vita e alla sera il giorno.2] Alla guerra si va pieno di denari e si torna pieni di vizi e di pidocchi. 4]Alle barbe dei pazzi, il barbiere impara a radere. 8] Alle volte si crede ditrovare il sole d'agosto e si trova la luna di marzo. 8] Altri tempi, altricostumi. 2] Alzati presto al mattino se vuoi gabbare il tuo vicino. 8]Ambasciator non porta pena. 2] Amare e non essere amato è tempo perso. 4]Ambasciatore che tarda notizia buona che porta. 2] Amicizia che cessa, non fumai vera. 4] Amico beneficato, nemico dichiarato. 4] Amico di buon tempo mutasicol vento. 4] Amico di ventura, molto briga e poco dura. 31] Ammogliarsi è unpiacere che costa caro. 4] Amor che nasce di malattia, quando si guarisce passavia. 8] Amor di nostra vita ultimo inganno.[8] 32] Amor, dispetto, rabbia egelosia, sul cuore della donna han signoria. 8] Amor nuovo va e viene, amorvecchio si mantiene. 8] Amor regge il suo regno senza spada. 32] Amore con amorsi paga. 2] Amore di parentato, amore interessato. 4] Amore di villeggiaturapoco vale e poco dura. 2] Amore di fratello, amore di coltello. 8] Amore è ilvero prezzo con che si compra amore. 33] Amore non si compra né si vende. 33]Amore onorato, né vergogna né peccato. 8] Amore scaccia amore. 4] Anche fra lespine nascono le rose. 34] Anche i fanciulli diventano uomini. 4] Anche il piùverde diventa fieno. 4] Anche il sole ha le sue macchie. 4] Anche l'abate fuprima frate. 4] Anche l'ambizione è una fame. 4] Anche la legna storta dà il fuocodiritto. 4] Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita. 35] Anchele bestie le ha fatte il Signore. 8] Anche le colombe hanno il fiele. 4] Anchele pulci hanno la tosse. 2] Anche le uova della gallina nera sono bianche; mastaremo a vedere se anche i suoi pulcini sono bianchi. 4] Anche un giogo doratopesa. 8] Andar presto a dormire e alzarsi presto chiude la porta a moltemalattie. 8] Andar bestia, e tornar bestia, dice il moro. 36] Anno nevoso annofruttuoso. 16] Anno nuovo vita nuova. 1] Approfitta degli errori degli altri,piuttosto che censurarli. 4] Aprile dolce dormire.[9] 2] Aprile e maggio sonola chiave di tutto l'anno. 4] Aprile ogni goccia un barile.[10] 2] Aprilepiovoso, maggio ventoso, anno fruttuoso. 4] Ara nel mare e nella rena semina,chi crede alle parole della femmina. 8] Arcobaleno porta il sereno. 2] Ariarossa o piscia o soffia. 2] Asino che ha fame mangia d'ogni strame. 2] Assaibene balla a chi fortuna suona. 4] Assai digiuna chi mal mangia. 8] Assaidomanda chi ben serve e tace. 37] Assai domanda chi si lamenta. 8] Assaltofrancese e ritirata spagnola. 2] Attacca l'asino dove vuole il padrone e, se sirompe il collo, suo danno. 1] Avuta la grazia, gabbato lo santo. 8] B Bacco,tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere. 2] Ballaremo secondo che voisuonerete. 4] Bandiera rotta onor di capitano. Bandiera vecchia onor dicapitano. 2] Basta un matto per casa. 8] Batti il ferro finché è caldo. Battiil ferro quando è caldo. 1] Bei gatti e grossi letamai mostrano il buon agricoltore.38] Bella cosa presto è rapita. 4] Bella in vista, dentro è trista. 4] Bellaostessa, conti traditori. 2] Bella ostessa, brutti conti. 39] Bell'ostessa,conto caro. 40] Bella vigna poca uva. 2] Bellezza di corpo non è eredità. 4]Bellezza e follia vanno spesso in compagnia. 41] Bello in fasce brutto inpiazza. 1] Ben sa la botte di qual vino è piena. 4] Ben si caccia il diavolo,ma Satana ritorna. 4] Bene per male è carità, male per bene è crudeltà. 8] Beneeducato, non mentì mai. 4] Bene perduto è conosciuto. 4] Beni di fortunapassano come la luna. 2] Bevi il vino e lascia andar l'acqua al mulino. 8]Bisogna dire pane al pane e vino al vino. 2] Bisogna far buon viso a cattivogioco. 1] Bisogna fare di necessità virtù. 2] Bisogna fare il pane con lafarina che si ha. 4] Bisogna fare la festa quando cade, e prendere il tempocome viene. 4] Bisogna fare la festa quando è il santo. 4] Bisogna mangiare pervivere e non vivere per mangiare. 2] Bisogna prendere gli avvenimenti quandoDio li manda. 4] Bocca che tace nessuno l'aiuta. 2] Bocca che tace mal si puòaiutare. 42] Bocca chiusa ed occhio aperto non fecero mai male a nessuno. 4]Botte buona fa buon vino. 2] Brutta cosa è il povero superbo e il ricco avaro.8] Brutta di viso ha sotto il paradiso. 2] Brutto in fasce bello in piazza. 1]Buca il marmo fin d'acqua una goccia. 8] Bue sciolto lecca per tutto. 8] Buefiacco stampa più forte il piede in terra. 4] Bue vecchio, solco diritto. 4]Buon fuoco e buon vino, scaldano il mio camino. 8] Buon sangue non mente. 2]Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo. 1] Buon vino e bravura, pocodura. 8] Buon vino fa buon sangue. 1] 8] Buon vino, favola lunga. 8] Buona famapresto è perduta. 4] Buona greppia, buona bestia. 8] Buona guardia giova amolte cose. 4] Buona la forza, migliore l'ingegno. 4] Buone parole e pere marcenon rompono la testa a nessuno. 31] Burlando si dice il vero. 4] C Cader nonpuò, chi ha la virtù per guida. 4] Cambiano i suonatori ma la musica è semprequella. 1] Cambiare e migliorare sono due cose; molto si cambia nel mondo, mapoco si migliora. 4] Campa cavallo che l'erba cresce. 2] Campa, cavallo mio,che l'erba cresce. 1] Can che abbaia non morde. 1] Cane affamato non temebastone.[11] 2] Cane e gatta tre ne porta e tre ne allatta. 8] Cane non mangiacane. 43] Cane ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle! 4] Capelli lunghi,cervello corto. 4] Carta canta e villan dorme. 1] Casa fatta e vigna posta, nonsi sa quello che costa. 44] Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu misembri una badia. 45] Casa mia, casa mia, benché piccola tu sia, tu mi sembriuna badia. 2] Casa mia, casa mia, pur piccina che tu sia mi sembri una badia.9] Castiga il buono e si emenderà; castiga il cattivo e peggiorerà. 4] Cattivocominciamento, fine peggiore. 8] Cavallo da vettura, poco costa e poco dura.46] Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura. 47] Cavolo riscaldato non fu maibuono. 2] Cavolo riscaldato, frate sfratato e serva ritornata non furon maibuoni. 2] Cento teste, cento cappelli. 48] Certe macchie ben si possonograttare ma non togliere. 4] Cessato il guadagno, cessata l'amicizia. 49] Chi atutti facilmente crede, ingannato si vede. 4] Chi accarezza la mula rimediacalci. 2] Chi accarezza la mula buscherà calci. 2] Chi accetta l'eredità accettianche i debiti. 4] Chi ad altri inganni tesse, poco bene per sé ordisce. 4] Chialza il piede per ogni paglia, si può rompere facilmente una gamba. 8] Chi amame, ama il mio cane. 50] Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.51] Chi asino nasce, asino muore. 4] Chi balla senza suono, come asino siritrova. 52] Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran tesoro. 47]Chi ben comincia è a metà dell'opera. 53] Chi ben comincia è alla metàdell'opera. 2] Chi ben comincia è alla metà dell'opra. 1] Chi bene semina, beneraccoglie. 4] Chi beve vin, campa cent'anni. 54] Chi beve birra campacent'anni.[12] 2] Chi biasima il suo prossimo che è morto, dica il vero, dicail falso, ha sempre torto. 4] Chi caccia volentieri trova presto la lepre. 4]Chi cade in povertà, perde ogni amico. 4] Chi cava e non mette, le possessionisi disfanno. 55] Chi cavalca o trotta alla china, o non è sua la bestia, o nonla stima. 8] Chi cento ne fa una ne aspetta. 1] Chi cerca di sapere ciò chebolle nella pentola d'altri, ha leccate le sue. 8] Chi cerca lealtà e fedeltànel mondo, non trova che ipocrisia. 4] Chi cerca, trova.[13] 2] Chi cerca trovae chi domanda intende. 2] Chi coglie acerbo il senno, maturo ha sempred'ignoranza il frutto. 8] Chi comincia in alto, finisce in basso. 8] Chi comprail superfluo, si prepara a vendere il necessario. 56] Chi compra sprezza e chiha comprato apprezza. 2] Chi conserva per l'indomani, conserva per il cane. 8]Chi contro Dio getta la pietra, in capo gli torna. 8] Chi d'estate secca serpi,nell'inverno mangia anguille. 4] Chi d'estate vuole stare al fresco, ci staràanche d'inverno. 4] Chi da gallina nasce, convien che razzoli. 8] Chi da saviooperare vuole, pensi al fine. 4] Chi dà ghiande non può riavere confetti. 4]Chi di gallina nasce convien che razzoli. 2] Chi dal lotto spera soccorso,mette il pelo come un orso. 8] Chi dà per ricevere, non dà nulla. 8] Chi delvino è amico, di se stesso è nemico. 8] Chi di spada ferisce di spadaperisce.[14] 1] Chi di speranza vive disperato muore. 1] Chi di una donnabrutta s'innamora, lieto con essa invecchia e l'ama ancora. 8] Chi di coltelferisce, di coltel perisce. 4] Chi di spirito e di talenti è pieno domina suquelli che ne hanno meno. 4] Chi dice A arrivi fino alla Z. 4] Chi dice A devedire anche B. 4] Chi dice donna dice danno. 1] Chi dice donna dice guai, chidice uomo peggio che mai. 8] Chi dice male, l'indovina quasi sempre. 4] Chidice quel che vuole sente quel che non vorrebbe. 1] Chi disprezza compra. 1]Chi disprezza vuol comprare e chi loda vuol lasciare. 2] Chi domanda ciò chenon dovrebbe, ode quel che non vorrebbe. 2] Chi domanda non erra. 2] Chidomanda non fa errore. 57] Chi dopo la polenta beve acqua, alza la gamba e lapolenta scappa. 8] Chi dorme d'agosto dorme a suo costo. 2] Chi dorme nonpiglia pesci.[15] 1] Chi è causa del suo mal pianga se stesso.[16] 1] Chi èbugiardo è ladro. 4] Chi è destinato alla forca non annega. 58] Chi è generosocon la bocca, è avaro col sacco. 4] Chi è in difetto è in sospetto. 1] Chi èmandato dai farisei è ingannato dai farisei. 4] Chi è morso dalla serpe, temela lucertola. 8] Chi non è savio, paziente e forte si lamenti di sé, non dellasorte. 8] Chi è schiavo delle ambizioni ha mille padroni. 4] Chi è statotrovato una volta in frode, si presume vi sia sempre. 4] Chi è svelto amangiare è svelto a lavorare. 1] Chi è tosato da un usuraio, non mette piùpelo. 8] Chi è uso all'impiccare, non teme la forca. 4] Chi fa da sé fa pertre.[17] 1] Chi fa come il prete dice, va in Paradiso: ma chi fa come il pretefa, a casa del diavolo se ne va.[18] Chi fa del bene agli ingrati, Dio loconsidera per male. 4] Chi fa il male odia la luce. 4] Chi fa l'altruimestiere, fa la zuppa nel paniere. 59] Chi fa la legge, deve conservarla. 4]Chi fa una legge, deve anche preoccuparsi che sia eseguita. 4] Chi fa le favesenza concime le raccoglie senza baccelli. 2] Chi fa falla e chi non fasfarfalla. 1] Chi fa un'ingiustizia, la dimentica; chi la riceve, se nericorda. 4] Chi fosse indovino, sarebbe ricco. 4] Chi fugge il giudizio, sicondanna. 4] Chi fugge un matto, ha fatto buona giornata. 8] Chi getta un semelo deve coltivare, se vuol vederlo con il tempo germogliare. 60] Chi gioca allotto, è un gran merlotto. 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di botto. 8] Chigioca al lotto, in rovina va di trotto. 8] Chi ha avuto ha avuto e chi ha datoha dato. 16]. Chi ha avuto il beneficio, se lo dimentica. 4] Chi ha da far conun incostante, tien l'anguilla per la coda. 4] Chi ha denti non ha pane e chiha pane non ha denti. 1] Chi ha farina non ha la sacca. 1] Chi ha fattoingiuria ad altri, da altri convien che la sopporti. 4] Chi ha il capo di cera,non vada al sole. 61] Chi ha imbarcato il diavolo, deve stare in sua compagnia.4] Chi ha ingegno, lo mostri. 62] Chi ha per letto la terra, deve coprirsi colcielo. 8] Chi ha polvere spara. 1] Chi ha portato la tonaca puzza sempre difrate. 2] Chi ha prete, o parente in corte, fontana gli risorge. 63] Chi hatempo, ha vita. 64] Chi ha tempo non aspetti tempo. 1] Chi ha terra, ha guerra.56] Chi ha tutto il suo in un loco l'ha nel fuoco. 2] Chi ha un mestiere inmano, dappertutto trova pane. 4] Chi il vasto mare intrepido ha solcato,talvolta in piccol rio muore annegato. 65] Chi la dura la vince. 1] Chi la fal'aspetti. 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma nonsa quel che trova. 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova peggio si trova.16] Chi lavora con diligenza, prega due volte. 4] Chi lavora, Dio gli dona. 4]Chi mal semina mal raccoglie. 1] Chi male una volta si marita, ne risente tuttala vita. 4] Chi male vive, male muore. 2] Chi maltratta le bestie, non la famai bene. 8] Chi mangia sempre pan bianco, spesso desidera il nero. 8] Chimangia sempre torta se ne sazia. 8] Chi mena per primo mena due volte.Chi moltoparla, spesso falla. Chi mordere non può non mostri i denti. 40] Chi muoregiace e chi vive si dà pace. 1] Chi nasce afflitto muore sconsolato. 1] Chinasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo. 1] Chi nasce matto nonguarisce mai. 8] Chi nasce tondo non può morir quadrato. 57] Chi non ama lebestie, non ama i cristiani. 8] Chi non apre la bocca, non le piove dentro. 4]Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una spia. 1] Chi non caccia nonprende. 4] Chi non comincia non finisce. 1] Chi non crede di esser matto, èmatto davvero. 8] Chi non crede in Dio, non crede nel diavolo. 67] Chi non dà aCristo, dà al fisco. 8] Chi non è con me è contro di me. 2] Chi non è volpe,dal lupo si guardi, perché ne sarà preda presto o tardi. 4] Chi non fu buonsoldato, non sarà buon capitano. 68] Chi non ha fede, non ne può dare. 8] Chinon ha il gatto mantiene i topi e chi ce l'ha li mantiene tutti e due. 8] Chinon ha imparato a ubbidire, non saprà mai comandare. 8] Chi non ha testa abbiagambe. 57] Chi non lavora non mangia. 2] Chi non mangia ha già mangiato. 2] Chinon muore si rivede. 2] Chi non naufragò in mare, può naufragare in porto. 8]Chi non può bastonare il cavallo, bastona la sella. 4] Chi non risica, non rosica.1] Chi non sa adulare non sa regnare. 4] Chi non sa fare non sa comandare. 68]Chi non sa leggere la sua scrittura è asino di natura. 69] Chi non sa nientenon è buono a niente. 4] Chi non sa tacere non sa parlare. 2] Chi non saubbidire, non sa comandare. 68] Chi non segue il consiglio dei genitori, tardise ne pente. 4] Chi non semina non raccoglie. 2] Chi non si innamora dagiovane, si innamora da vecchio. 8] Chi non trovò ombra nell'estate, la troverànell'inverno. 4] Chi non vuol essere consigliato, non può essere aiutato. 4]Chi parla due lingue è doppio uomo. 70] Chi pecca in segreto fa la penitenzapubblica. 8] Chi pecora si fa, il lupo se la mangia. 1] Chi per grazia prega,non ha mai bene. 4] Chi perde ha sempre torto. 1] Chi perdona senzadimenticare, non perdona che metà. 4] Chi pesca con l'amo d'oro, qualcosapiglia sempre. 8] Chi piglia leone in assenza, teme la talpa in presenza.8] Chi più ha più vuole. 1] Chi più ha più ne vorrebbe. 2] Chi più lavora, menomangia. 4] Chi più ne fa è fatto papa. 4] Chi più ne ha più ne metta. 2] Chipiù sa meno crede. 1] Chi più spende meno spende. 2] Chi poco sa presto parla.2] Chi porta fiori, porta amore. 8] Chi predica al deserto, perde il sermone.71] Chi prende l'anguilla per la coda, può dire di non tenere nulla. 4] Chiprima arriva meglio alloggia. 2] Chi prima nasce prima pasce. 1] Chi prima nonpensa dopo sospira. 2] Chi rende male per bene, non vedrà mai partire da casasua la sciagura. 8] Chi ricorda un beneficio, lo rinfaccia. 4] Chi ride ilvenerdì piange la domenica. 1] Chi rimane in umile stato, non ha da temercaduta. 8] Chi ringrazia non vuol obblighi. 8] Chi ringrazia per una spiga,riceve una manna. 8] Chi Roma non vede, nulla crede. 8] Chi ruba poco, rubaassai. 72] Chi rompe paga e i cocci sono suoi. 1] Chi ruba un regno è un ladroglorificato, e chi un fazzoletto, un ladro castigato. 4] Chi ruba una volta èsempre ladro. 4] Chi s'accapiglia si piglia.[19] Chi s'aiuta Iddio l'aiuta. 1]Chi sa fa e chi non sa insegna. 1] Chi sa fare fa e chi non sa fareinsegna.[20] Chi sa il gioco non l'insegni. 1] Chi sa il trucco non l'insegni.1] Chi sa senza Cristo non sa nulla. 8] Chi scopre il segreto perde la fede. 1]Chi semina buon grano avrà buon pane; chi semina lupino non avrà né pan né vino.2] Chi semina con l'acqua raccoglie col paniere. 2] Chi semina raccoglie. 2]Chi semina vento raccoglie tempesta.[21][22] 1] Chi serba serba al gatto. 1]Chi si contenta gode. 1] Chi si diletta di frodare gli altri, non si develamentare se gli altri lo ingannano. 4] Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni.57] Chi si fa un idolo del suo interesse, si fa un martire della sua integrità.73] Chi si fida nel lotto, non mangia di cotto. 8] Chi si fida di greco, non hail cervel seco. 74] Chi si guarda dal calcio della mosca, gli tocca quello delcavallo. 4] Chi si immagina di essere più di quello che è, si guardi nellospecchio. 4] Chi si loda si sbroda. 4] Chi si prende d'amore, si lascia dirabbia. 8] Chi si scusa si accusa. 1] Chi si somiglia si piglia. 2] Chi sisposa in fretta, stenta adagio. 75] Chi si umilia sarà esaltato, chi si esaltasarà umiliato. 8] Chi si vanta da solo non vale un fagiolo. 2] Chi si vanta deldelitto è due volte delinquente. 4] Chi siede in basso, siede bene. 8] Chi statra due selle si trova col culo in terra. 2] Chi tace acconsente. 1][23] Chitace davanti alla forza, perde il suo diritto. 4] Chi tanto e chi niente. 1]Chi troppo e chi niente. 1] Chi tardi arriva male alloggia. 1] Chi ti dà unosso non ti vorrebbe morto. 4] Chi ti vuol male, ti liscia il pelo. 8] Chitiene il letame nel suo letamaio, fa triste il suo pagliaio. 8] Chi tiene lascala non è meno reo del ladro. 76] Chi troppo comincia, poco finisce. 77] Chitroppo vuole nulla stringe.[24] 1] Chi trova un amico trova un tesoro. 1] Chiuccide i gatti fa male i suoi fatti. 38] Chi va a caccia non deve lasciare acasa il fucile. 4] Chi va a Roma perde la poltrona. 2] Chi va all'acquad'agosto, non beve o non vuol bere il mosto. 8] Chi va all'osto, perde ilposto. 78] Chi va al mulino s'infarina. 1] Chi va con lo zoppo, impara azoppicare. 79] Chi va piano va sano e va lontano. Chi va forte va allamorte.[25] 80] Chi ha più fretta, più tardi finisce. 4] Chi fa in fretta fa duevolte. 4] Chi pesca e ha fretta, spesse volte prende dei granchi. 4] Chi va viaperde il posto all'osteria. 81] Chi vanta se stesso e abbassa gli altri, glialtri abbasseranno lui. 4] Chi vende a credenza spaccia assai: perde gli amicie i quattrin non ha mai.[26] 2] Chi dà a credito spaccia assai perde gli amicie danar non ha mai. 2] Chi va alla festa e non è invitato, ben gli sta se ne èscacciato. 4] Chi vien di raro, gli si fa festa. 8] Chi vince ha sempreragione. 82] Chi vive in libertà non tenti il fato. 4] Chi vive sei giorninell'oasi, il settimo anela il deserto. 8] Chi vivrà vedrà. 2] Chi vuol d'avenaun granaio la semini di febbraio. 2] Chi vuol dell'acqua chiara vada allafonte. 4] Chi vuol udir novelle, dal barbier si dicon belle. 8] Chi vuol esserlibero, non metta il collo sotto il giogo. 8] Chi vuol essere pagato, nondev'essere ringraziato. 8] Chi vuol guarire deve soffrire. 4] Chi vuolimpetrare, la vergogna ha da levare. 83] Chi vuol lavoro degno assai ferro epoco legno. 2] Chi vuol pane, meni letame. 84] Chi vuol presto impoverire,chieda prestito all'usuraio. 8] Chi vuol provar le pene dell'inferno, la stiain Puglia e all'Aquila d'inverno. 8] Chi vuol saper cos'è l'inferno faccia ilcuoco d'estate e il carrettiere d'inverno. 8] Chi vuol un bel pagliaio lopianti di febbraio. 8] Chi vuol vedere Pisa vada a Genova. 85] Chi vuolearricchire in un anno, è impiccato in sei mesi. 4] Chi vuole assai, non domandipoco. 86] Chi vuole essere amato, divenga amabile. 9] Chi vuole essere sicurodella sua farina, deve portare egli stesso il sacco al mulino. 4] Chi vuole isanti se li preghi. 1] Chi vuole la figlia accarezzi la madre. 4] Chi vuolevada e chi non vuole mandi. 1] Chiara notte di capodanno, dà slancio a un buonanno. 8] Chiodo scaccia chiodo. 2] Chiodo schiaccia chiodo. 9] Chitarra e schioppofanno andare la casa a galoppo. 8] Ci vuole altro che un'accozzaglia di genteper fare un esercito. 4] Ci vuole ingegno per governare i pazzi. 4] Ciascuno èartefice della sua fortuna. 2][27] Ciascuno è artefice della propria fortuna.2] Ciascuno porta il suo ingegno al mercato. 4] Cielo a pecorelle acqua acatinelle. 1] Ciò che è male per uno, è bene per un altro. 4] Ciò che lo stoltofa in fine, il savio fa in principio. 87] Ciò che non si può cambiare bisognasaperlo sopportare. 4] Col fuoco non si scherza. 1] Col latino, con un ronzinoe con un fiorino si gira il mondo. 4] Col nulla non si fa nulla. 1] Col panetutti i guai sono dolci. 1] Col tempo e con la paglia maturano le nespole.[28]2] Col tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia. 2] Colla solalealtà, non si pagano i merletti della cuffia. 4] Come farai, così avrai. 4]Come i piedi portano il corpo, così la benevolenza porta l'anima. 4] Comincia,che Dio provvede al resto. 4] Compar di Puglia, l'un tiene e l'altro spoglia. 8]Comun servizio ingratitudine rende. 8] Con arte e con ingegno, si acquistamezzo regno; e con ingegno ed arte, si acquista l'altra parte. 4] Con gli annicrescono gli affanni. 8] Con i matti non ci son patti. 8] Con l'inchiostro, unamano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo. 8] Con la pazienzala foglia di gelso diventa seta. 88] Con la pietra si prova l'oro, con l'oro ladonna e con la donna l'uomo. 8] Con la più alta libertà, abita la più bassaservitù. 4] Con le buone maniere si ottiene tutto. 89] Con un bicchier di vinosi fa un amico. 8] Con un occhio si frigge il pesce e con l'altro si guarda ilgatto. 8] Conchiuder lega è facile, difficile il mantenerla. 4] Confidenzatoglie riverenza. 4] Conserva le monete bianche per le giornate nere. 8]Contadini, scarpe grosse e cervelli fini. 1] Contano più i fatti che le parole.90] Contro due donne neanche il diavolo può metterci il becco. 8] Contro duenon la potrebbe Orlando. 91] Contro la forza la ragion non vale. 1] Contro lanebbia forza no vale. 4] Coricarsi presto, alzarsi presto, danno salute,ricchezza e sapienza. 8] Corpo satollo anima consolata. 1] Corpo sazio noncrede a digiuno. 1] Cortesia schietta, domanda non aspetta. 92] Corre un pezzola lepre, un pezzo il cane; così s'alternano le vicende umane. 8] Cosa fattacapo ha.[29] 2] Cosa di rado veduta, più cara è tenuta. 8] Cosa rara, cosacara. 8] Cucina grassa, magra eredità. 4] Cuor contento gran talento. 93] Cuorcontento il ciel l'aiuta. 94] Cuor contento il ciel lo guarda. 2] Cuor contentonon sente stento. 2] D D'aprile ogni goccia val mille lire. 2] D'aquila nonnasce colomba. 4] Da colpa nasce colpa. 4] Da cosa nasce cosa. 95] Da falsalingua, cattiva arringa. 8] Da Lodi, tutti passan volentieri. 8] Da undisordine nasce un ordine. 8] Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici miguardo io. 2] Dàgli, dàgli, le cipolle diventano agli. 96] Riferito alleinsidie che l'amore riserva alle virtù delle fanciulle. Dai giudici siciliani,vacci coi polli nelle mani. 8] Dall'asino non cercar lana. 4] Dall'opera siconosce il maestro. 4] Dall'immagine si conosce il pittore. 4] Dalla mano siriconosce l'artista. 4] Dal canto si conosce l'uccello. 4] Dal passato è facilepredire il futuro. 4] Dalla casa si conosce il padrone. 4] Danaro e santità,metà della metà. 8] Denari e santità metà della metà. 97] Date a Cesare quelche è di Cesare.[30] 2] Davanti al cameriere non vi è Eccellenza. 4] Davantil'abisso e dietro i denti di un lupo. 4] Debole catena muover può gran peso. 8]Dei vizi è regina l'avarizia. 98] Del senno di poi son piene le fosse. 1] Dellecalende non me ne curo purché a san Paolo non faccia scuro.[31] 2] Detto senzafatto, ad ognuno pare un misfatto. 4] Di buone intenzioni è lastricatol'inferno. 99] Di chi è l'asino, lo pigli per la coda. 4] Di dolore non simuore, ma d'allegrezza sì. 8] Di maggio si dorme per assaggio.[32] 2] Dimalerba non si fa buon fieno. 4] Di notte si ritirano i galantuomini ed esconoi birbanti. 8] Di quello che non ti interessa, non dire né bene né male. 4] Ditutte le arti maestro è l'amore. 8] Dice la serpe: non mi toccar che non titocco. 8] Dicembre favaio. 16] Dicono che è mercante anche chi perde, ma questopresto ridurrassi al verde. 100] Dieci ne pensa il topo e cento il gatto. 101]Dietro il monte c'è la china. 2] Dietro il riso viene il pianto. 8] Dimmi conchi vai, e ti dirò che fai. 73] Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei. 102] Dioaiuti il povero, perché il ricco può aiutar se stesso. 8] Dio dà la piaga e dàanche la medicina. 4] Dio guarisce e il medico è ringraziato. 4] Dio li fa epoi li accoppia. 1] Dio manda il freddo secondo i panni. 1] Dio mi guardi dachi studia un libro solo. 4] Dio misura il vento all'agnello tosato. 4] Diovede e provvede. 2] Disse la volpe ai figli: "Quando a tordi, quando agrilli". 4] Dolore comunicato è subito scemato. 4] Domandando si va aRoma. 2] Domandare è lecito, rispondere è cortesia. 2] Donna al volante,pericolo costante. 103] Donna adorna, tardi esce e tardi torna. 8] Donnabaffuta sempre piaciuta. 2] Donna barbuta, sempre piaciuta. 103] Donna barbutacoi sassi si saluta. 2] Donna bianca, poco gli manca. 8] Donna rossa cosciagrossa. 8] Donna che canti dolcemente in scena, pei giovani inesperti è unasirena. 8] Donna che dona, di rado è buona. 8] Donna che piange, ovver chedolce canti, son due diversi, ambo possenti incanti. 8] Donna che sa il latinoè rara cosa, ma guardati dal prenderla in isposa. 8] Donna e fuoco, toccalipoco. 8] Donne e motori gioie e dolori. 104] Donna e vino ubriaca il grande e ilpiccolino. 8] Donna giovane e uomo anziano possono riempire la casa di figli.8] Donna io conosco, ch'è una santa a messa e che in casa è un'orribildiavolessa. 8] Donna nana tutta tana. 2] Donna nobil per natura è un tesorcheonna savia e bella è preziosa ancsempre dura. 8] Donna pelosa, donnavirtuosa. 2] Donna pregata nega, trascurata prega. 8] Donna prudente, gioiaeccellente. 8] Dhe in gonnella. 8] Donna si lagna, donna si duole, donnas'ammala quando lo vuole. 8] Donne e sardine, son buone piccoline. 8] Donne,danno, fanno gli uomini e li disfanno. 8] Dopo desinare non camminare; dopocena, con dolce lena. 4] Dopo e poi son parenti del mai. 2] Dopo il dolce vienl'amaro. 8] Dopo il fatto il consiglio non vale. 4] Dopo il fatto viene troppotardi il pentimento. 4] Dopo il giorno vien la notte. 8] Dopo la grazia di Dio,la miglior cosa è la libertà. 8] Dopo la tempesta, il sole. 8] Dopo le foschenuvole il sol splende più fulgido. 8] Dopo vendemmia, imbuto. 105] Non bisognalasciarsi sfuggire le occasioni favorevoli, chi ha tempo non aspetti tempo.Dove c'è l'amore, la gamba trascina il piede. 8] Dove è castigo è disciplina,dove è pace è gioia. 4] Dove entra la fortuna, esce l'umiltà. 8] Dove l'accidiaattecchisce ogni cosa deperisce. 4] Dove la fedeltà mette le radici, Dio facrescere un albero. 4] Dove non c'è amore, non c'è umanità. 8] Dove non c'èfieno, i cavalli mangiano paglia. 8] Dove non c'è ordine, c'è disordine. 8]Dove non si crede né all'inferno né al paradiso, il diavolo intasca tutte le entrate.8] Dove non vi è educazione, non vi è onore. 4] Dove non vi sono capelli, malesi pettina. 4] Dove può il vino non può il silenzio. 8] Dove regna Bacco eAmore, Minerva non si lascia vedere. 4] Dove regna il vino, non regna ilsilenzio. 8] Dove son carogne son corvi. 8] Dove sono i pulcini, ivi è l'occhiodella chioccia. 8] Dove vola il cuore, striscia la ragione. 8] Due cani che unsolo osso hanno, difficilmente in pace stanno. 4] Due noci in un sacco e duedonne in casa fanno un bel fracasso. 8] Due polente insieme non furon maiviste. 8] Dura più un carro rotto che uno nuovo. 4] Duro con duro non fa buonmuro. 106] E È cattivo sparviero quel che non torna al richiamo. 8] È difficilefar diventare bianco un moro. 4] È difficile guardarsi dai ladri di casa. 4] Èdifficile piegare un albero vecchio. 4] È difficile zoppicare bene davanti allosciancato. 8] È facile lamentarsi quando c'è chi ascolta. 8] È impossibile comecavalcare un raggio di sole. 4] È impossibile volare senza ali. 4] È inutilepiangere sul latte versato. 98] [truismo] È l'acqua che fa l'orto. 98] L'acquafa l'orto. 98] È la donna che fa l'uomo. 57] È lieve astuzia ingannar gelosia,che tutto crede quando è in frenesia. 4] È meglio avere la cura di un sacco dipulci che una donna. 4] È meglio contentarsi che lamentarsi. 8] È megliocorreggere i propri difetti, che riprendere quelli degli altri. 4] È meglioesser digiuno fuori, che satollo in prigione. 8] È meglio essere testad'anguilla che coda di storione. 8] È meglio essere uccel di bosco, che ucceldi gabbia. 8] È meglio essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi. 8] Èmeglio gelare nella nuda cameretta della verità, che crogiolarsi nellapelliccia della menzogna. 4] È meglio mangiarsi l'eredità, che conservarla peril convento. 4] È meglio meritar la lode che ottenerla. 4] È meglio sentircantare l'usignolo, che rodere il topo. 8] È meglio testa di lucertola che codadi drago. 8] È meglio un esercito di cervi sotto il comando di un leone, che unesercito di leoni sotto il comando di un cervo. 4] È meglio un leone che millemosche. 8] È più facile biasimare, che migliorare. 4] È più facile lagnarsi,che rimuovere gl'impedimenti. 8] È più facile prevenire una malattia cheguarirla. 8] È più facile trovar dolce l'assenzio, che in mezzo a poche donneil silenzio. 8] È un bel predicare il digiuno a corpo pieno. 4] È una bellarisposta quella che si attaglia ad ogni domanda. 8] Ebrei e rigattieri,spendono poco e gabbano volentieri. 4] Ecco il rimedio per l'ipocondria:mangiare e bere in buona compagnia. 8] Errare è umano, perseverare è diabolico.107] Errare è umano, perseverare diabolico. 2] Sbagliare è umano, perseverare èdiabolico. 108] Errore non è inganno. 4] Errore non paga debito. 4] Errorericonosciuto conduce alla verità. 4] Esser dotto poco vale, quando gli altrinon lo sanno. 8] Èssere più torbo che non è l'acqua dei maccheroni. 8] F Faquel che il prete dice, non quel che il prete fa. 1] Fa quello che fanno glialtri, e nessuno si farà beffe di te. 4] Faccia bella, anima bella. 4] Facile ècriticare, difficile è l'arte.[33] 109] Fare debiti non è vergogna, ma pagarliè questione d'onore. 4] Fare e disfare, è tutto un lavorare. 110] Fare l'amorefa bene all'amore. 111] Fate del bene al villano, dirà che gli fate del male.8] Fatta la legge trovato l'inganno.[34] 1] Fatti asino e tutti ti metterannola soma. 4] Fatti di miele e ti mangieranno le mosche. 4] Fatti le ali e poivola. 4] Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto.[35] 2] Felice non è, chid'esserlo non sa. 64] Femmine e galline, se giran troppo si perdono. 8] Feritad'amore non uccide. 8] Finché c'è vita c'è speranza. 1] Fino alla morte non sisa qual è la sorte. 8] Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. 1] Fidatidell'arte, ma non dell'artigiano. 4] Fino alla bara sempre s'impara. 112]Fortezza che parlamenta, è prossima ad arrendersi. 4] Fortuna cieca, i suoiacceca. 4] Fortuna instupidisce colui ch'ella favorisce. 4] Fortunato al gioco,sfortunato in amore. 4] Fra Modesto non fu mai priore. 8] Fra sepolto tesoro eocculta scienza, non vi conosco alcuna differenza. 8] Fra un usuraio e unassassino poco ci corre. 8] Frutto precoce facilmente si guasta. Fuggirel'acqua sotto la grondaia. 4] Funghi e poeti: per uno buono dieci cattivi. 8] GGallina che non razzola ha già razzolato. 113] Gallina vecchia fa buon brodo.114] Gallo senza cresta è un cappone, uomo senza barba è un minchione. Gattainguantata non prese mai topo. 8] Gattini sventati, fanno gatti posati. 115]Gatto e donna in casa, cane e uomo fuori. 38] Gatto rinchiuso diventa leone. 8]Gatto scottato dall'acqua calda, ha paura della fredda. 4] Gelosia non metteruga. Gioco di mano gioco di villano. 1]Gioia e sciagura sempre non dura. 8] Giovani di buon cuore, indoli buone,crescono cattivi per poca educazione. 4] Giugno la falce in pugno.[36] 2] Gliabiti e gli uomini presto invecchiano. Gli abiti e i costumi sono mutabili. 4]Gli abiti sono freddi, ma ricevono il calore da chi li porta. 4] Gli amorinuovi fanno dimenticare i vecchi. 4] Gli eredi dell'avaro sono onnipotenti,perché possono risuscitare i morti. 4] Gli eretici rubano la parola di Dio. 4]Gli errori degli altri sono i nostri migliori maestri. 4] Gli errori non siconoscono finché non siano commessi. 4] Gli errori si pagano. 8] Gli estremi sitoccano. 4] Gli idoli separano papa e imperatore. 4] Gli occhi s'hanno atoccare con le gomita. 91] Gli stolti fanno le feste e gli accorti se legodono. 116] Gli uccelli dalle stesse piume devono stare nello stesso nido. 8]Gli uomini onesti non temono né la luce, né il buio. 8] Gobba a ponente lunacrescente, gobba a levante luna calante. 2] Gola degli adulatori, sepolcroaperto. 117] Gotta inossota, mai fi sanata. 118] Gran giustizia, grande offesa.4] Grande amore, gran dolore. 8] Greco in mare, Greco in tavola, Greco non avera far seco. 74] Gru e donne fan volentieri il nido in alto. 8] Guardalo,figlia, guardalo tutto, l'uomo senza denari com'è brutto. 4] Guardare e nontoccare è una cosa da imparare. 2] Guardati da chi accende il fuoco e grida poicontro le fiamme. 4] Guardati da cane rabbioso e da uomo sospettoso. 8]Guardati da chi giura in coscienza. 8] Guardati da chi non ha cura della suareputazione. 8] Guardati da chi ride e guarda da un'altra parte. 8] Guardati datre cose: da cavallo focoso, da uomo infido e da donna svergognata. 8] Guardatida tutte quelle cose che possono nuocere all'anima e al corpo. 8] Guardati daifanciulli che ascoltano: anche i piccoli vasi hanno orecchie. 8] Guardati daimatti, dagli ubriachi, dagli ipocriti e dai minchioni. 8] Guardati dai tumulti,e non sarai né testimonio né parte. 8] Guardati dal diffamare, perché le provesono difficili. 8] Guardati dal vecchio turco e dal giovane serbo. 119]Guardati dall'ipocrisia, perché è una cattiva malattia. 8] Guardati dalla primaveradi gennaio. 8] Guardati in tua vita di non dare a niun smentita. 8] Guerra,peste e carestia, vanno sempre in compagnia. 120] H Ha cento volte un uomoflemma e giudizio, alla centuna corre al precipizio. 65] Ha bel mentir chi vienda lontano. 76] Ha la giustizia in mano bilancia e spada, perché il giustos'innalza e l'empio cada. 4] Ha più il ricco in un angolo, che il povero intutta la casa. 8] Ha un buon sapore l'odore del guadagno. 4] Ha un coraggio daleone, quello che non fa violenza ai deboli. 8] Ho veduto assai volte un piccolmale non rispettato, divenir mortale. 65] I I baci sono come le ciliegie: unotira l'altro. 2] I cani abbaiano come sono nutriti. 4] I capponi sono buoni intutte le stagioni. 8] I cattivi esempi si imitano facilmente, meno i buoni. 4]I debiti sono gli eredi più prossimi. 4] I denari del lotto se ne van digaloppo. 8] I denari servono al povero di beneficio, ed all'avaro di gransupplizio. 4] I desideri non riempiono il sacco. 4] I docili non hanno bisognodella verga. 8] I doni dei nemici sono pericolosi. 4] I fanciulli diventanouomini e le ragazze spose. 4] I fanciulli e gli ubriachi cadono nelle mani diDio. 4] I figli dei gatti mangiano i topi. 8] I figli sono la ricchezza deipoveri. 18] I figli sono pezzi di cuore. 2] I fiori tanto profumano per ipoveri come per i ricchi. 8] I frati non s'inchinano all'abate, ma al mazzodelle sue chiavi. 4] I gamberi son buoni nei mesi della erre. 8] I gatti e iveri uomini cadono sempre in piedi. 121] I genii si incontrano. 4] I genitoriamano i figli, più che i figli i genitori. 4] I genovesi risparmiano anche suinumeri: li usano due volte.[37] 122] I giovani vogliono essere più accorti deivecchi. 4] I giuramenti degli innamorati sono come quelli dei marinai. 4] Igranchi son pieni quando la luna è tonda. 8] I guai della pentola li sa ilmestolo che li rimescola. 8] I ladri grandi fanno impiccare i piccoli. 4] Iloquaci e i vantatori son mal veduti da tutti. 8] I matti ed i fanciulli hannoun angelo dalla loro. 8] I matti fanno le feste ed i savi le godono. 4] Imedici vogliono essere vecchi, i farmacisti ricchi ed i barbieri giovani. 4]"I miei datteri sono più dolci", dice il vischio che cresce sullapalma. 8] [wellerismo] I panni sporchi si lavano in casa. 123] I paperivogliono portare a bere le oche. 4] I parenti sono come le scarpe: più sonostretti, più fanno male. 2] I pazzi crescono senza innaffiarli. 8] I pazzi e ifanciulli possono dire quello che vogliono. 8] I pazzi per lettera sono imaggiori pazzi. 124] I pazzi si conoscono dai gesti. 8] I peccati di gioventùsi piangono in vecchiaia. 8] I poeti nascono, e gli oratori si formano. 8] Ipoveri cercano il mangiare per lo stomaco; e i ricchi lo stomaco per mangiare.8] I poveri hanno la salute e i ricchi le medicine. 8] I pulci di vendemmia litiene l'uomo e non le femmine. 125] I ricchi devono consolare i poveri. 8] Irimproveri del padre fanno più che le legnate della madre. 8] I soldi non fannola felicità. 2] I veri amici sono come le mosche bianche. 4] Il bel tempo nonviene mai a noia. 9] Il ben di un anno se ne va in una bestemmia. 4] Il benfare non è mai tardo. 4] Il bisognino fa trottar la vecchia. 2] Il bue dicecornuto all'asino. 126] Il bue mangia il fieno perché si ricorda che è statoerba. 2] Il buon ordine è figlio del disordine. 8] Il buon nocchiero muta vela,ma non tramontana. 8] Il caffè deve essere caldo come l'inferno, nero come ildiavolo, puro come un angelo e dolce come l'amore.[38] 127] Il caldo dellelenzuola non fa bollire la pentola. 128] Il cane che ho nutrito è quel che mimorde. 8] Il cane è il miglior amico dell'uomo. 2] Il cane pauroso abbaia piùforte. 4] Il cane rode l'osso perché non può inghiottirlo. 4] Il coccodrillomangia l'uomo e poi lo piange. 8] Il colombo che rimane in colombaia è al sicurodal falco. 8] Il colore più caro agli ebrei è il giallo. 4] Il coraggio coprel'eroe meglio che lo scudo il codardo. 8] Il corpo e l'anima ridono a chi sialza di buon mattino. 8] Il corvo piange la pecora e poi la mangia. 117] Ilcuor cattivo rende ingratitudine per beneficio. 8] Il cuor magnanimo si pigliacon poco amore, e il cuore dello stolto con poca adulazione. 8] Il cuore ha lesue ragioni e non intende ragione.[39] 129] Il dare è onore, il chiedere èdolore. 8] Il delitto non si deve tollerare, ma anche meno si deve approvare.4] Il denaro è il nervo della guerra. 4] Il denaro può molto, ma l'amore puòtutto. 4] Il diavolo ben si lascia pigliare per la coda, ma non se la lasciastrappare. 4] Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. 1] Il diavolo non ècosì brutto come lo si dipinge. 130] Il diavolo vuol farsi cappuccino. 2] Ildiavolo vuol farsi santo. 2] Il domandare è senno, il rispondere è obbligo. 8]Il dono del cattivo è simile al suo padrone. 56] Il dubbio è padre del sapere.4] Il fare insegna a fare. 4] Il fatto non si può disfare. 4] Il ferro dicavallo che risuona, ha bisogno di un chiodo. 8] Il ferro è duro, ma il fuocolo rende morbido. 4] Il figlio al padre s'assomiglia, alla madre la figlia. 4]Il filo sottile facilmente si strappa. 4] Il fuoco che non mi scalda, nonvoglio che mi scotti. 4] Il fuoco che non mi brucia, non lo spengo. 4] Il gattoama i pesci, ma non vuole bagnarsi le zampe. 131] Il gatto brontola sempre,anche quando gode. 8] Il gatto che si è bruciato, ha paura anche dell'acquafredda. 121] Il gatto è una tigre domestica. 8] Il gatto lecca oggi, domanigraffia. 132] Il gatto non è gatto se non è ladro. 133] Il gatto non tiaccarezza, si accarezza vicino a te. 134] Il generoso non ha mai abbastanzadenaro. 4] Il gentiluomo chiede solo il miele, ma la gentildonna vuol anche lacera. 8] Il gioco è bello quando dura poco. 2] Il gioco, il lotto, la donna eil fuoco non si contentan mai di poco. 8] Il giudizio è opera di Dio. 4] Ilgrano rado non fa vergogna all'aia. 135] Il Greco dice la verità solo una voltaall'anno. 4] Il lamentarsi non riempie camera vuota. 8] Il lavorare senzapregare, è una botte senza vino, e oro senza splendore. 4] Il lavoro nobilital'uomo. 136] Il letto si chiama rosa, se non si dorme si riposa. 137] Il lottoè la tassa degli imbecilli. 8] Il lotto è un inganno continuo. 8] Il lupo noncaca agnelli. 2] Il lupo perde il pelo ma non il vizio.[40] 1] Il lupo quandoacciuffa una pecora, ne guarda già un'altra. 4] Il magnanimo è superiore all'ingiuria,all'ingiustizia, al dolore. 8] Il magnanimo non ricorre all'astuzia. 8] Il maleche non ha riparo è bene tenerlo nascosto. 4] Il male peggiore dei mali è iltimore. 8] Il male viene in grandi quantità, e se ne va via a poco a poco. 4]Il matrimonio è la tomba dell'amore. 2] Il mattino ha l'oro in bocca. 138] Leore del mattino hanno l'oro in bocca. 139] Il medico pietoso fa la piagapuzzolente. 140] Il medico pietoso fa la piaga verminosa. 140] Il meglio ènemico del bene. 1] Il merlo ingrassa in gabbia, il leone muore di rabbia. 8]Il miele non è fatto per gli asini. 4] Il miglior tiro ai dadi è non giocarli.4] Il molto ringraziare significa chieder dell'altro. 8] Il mondo ricompensacome il caprone che dà cornate al suo padrone. 8] Il mulino di Dio macina pianoma sottile. 141] Il nano è piccolo anche se è sul campanile. 8] Il passato deveessere maestro dell'oggi. 4] Il passato non deve prendere a prestito dall'oggi.4] Il peggior passo è quello dell'uscio. 2] Il pesce puzza dalla testa. 1] IlPiemonte è la sepoltura dei francesi. 8] Il poeta ben trova le palme, ma non idatteri. 8] Il politico bacia con la bocca, e tira calci con i piedi. 8] IlPortogallo[41] è piccolo, ma è un pezzo di zucchero. 8] Il povero non può e ilricco non vuole. 8] Il prete, dove mangia, vi canta. 142] Il prete viencantando e va via zufolando. 143] Il prete vive ancor un anno dopo morte. 142]I suoi familiari continuano ad incassar per un anno i suoi redditi.[42] Ilprimo amore non si arrugginisce. 8] Il primo amore non si scorda mai. 8] Ilprimo anno ci si abbraccia, il secondo si fascia, il terzo anno si ha lamalattia e la cattiva Pasqua. 4] Il puledro non va all'ambio, se la cavallatrotta. 144] Il ramo assomiglia al tronco. 4] Il ricco ha tanto bisogno delpovero, quanto il povero del ricco. 8] Il ricco vive, il povero vivacchia. 8]Il ringraziare non fa male alla bocca. 8] Il ringraziare non paga debito. 8] Ilriso abbonda sulla bocca degli stolti. 2] Il riso abbonda sulla bocca deglisciocchi. 145] Il riso nasce nell'acqua ma deve morire nel vino. 8] Il sapere èdi tutti. 2] Il «se» e il «ma» sono due corbellerie da Adamo in qua. 4] Ilsilenzio è d'oro e la parola d'argento. 1] Il sospirar non vale. 8] Ilsuperfluo del ricco è il necessario del povero. 8] Il tatto è tattica. 8] Iltatto è tutto. 8] Il tempo è denaro. 146] Il tempo è un gran medico. 147] Iltempo scopre tutto, perché è galantuomo. 147] Il tempo vola. 147] Il terminedella notte è l'inizio del giorno. 8] Il timore fa trottare anche lo zoppo. 8]Il troppo gestire è da pazzi. 8] Il troppo tirare, l'arco fa spezzare. 4] Ilturco ben può divenir un dotto, ma un uomo giammai. 119] Il ventre non haorecchie. 2] Il vero infermo è quello che non vuol esser guarito. 8] Il vino alsapore, il pane al colore. 8] Il vino è buono per chi lo sa bere. 8] Il vino èforte ma il sonno lo vince, ma più forte d'ogni cosa è la donna. 8] Il vino èil latte dei vecchi. 8] Il vino è mezzo vitto. 8] Il vino fa ballare i vecchi.8] Il vino la mattina è piombo, a mezzodì argento, la sera oro. 8] Impara avivere lo sciocco a sue spese, il savio a quelle altrui. 4] Impara l'arte emettila da parte. 1] In amore e in guerra niente regole. 8] In bocca chiusa nonentran mosche. 2] In Campania si inganna persino il diavolo. 8] In casa del calzolaionon si hanno scarpe. 4] In cento libbre di legge, non v'è un'oncia di amore.148] In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. 1] In compagnia presemoglie un frate. 1] In febbraio la beccaccia fa il nido. 8] In Lazio si nascecoi sassi in mano. 8] In lunghi viaggi anche la paglia pesa. 8] In paradiso nonci si va in carrozza. 141] In Sardegna non vi son serpenti, né in Piemontebestemmie. 8] In tanta incostanza e quantità delle cose umane, nulla, se nonquello che è passato, è sicuro. 4] In terra di ciechi, beato chi ha un occhio.36] In terra di ladri, la valigia dinanzi. 8] In vaso mal lavato, il vino ètosto guastato. 8] Ingegno e capelli, crescono soltanto con gli anni. 4]Insieme non vanno la pudicizia e la beltà. 4] Inventare è poco, diffonderel'invenzione è tutto. 4] L L'abbaiare dei cani non arriva in cielo. 4]L'abbondanza non lascia dormire il ricco. 4] L'abete che fa ombra crede di farefrutti. 4] L'abete cresce in altezza, ma la felce cresce in larghezza. 4]L'abito non fa il monaco.[43] 2] L'abuso insegna il vero uso. 4] L'acqua chetarovina i ponti. 2] L'acqua corre al mare. 149] L'acqua e il fuoco sono buoniservitori, ma cattivi padroni. 4] L'acqua fa male e il vino fa cantare. 8]L'acqua fa marcire i pali. 5] L'acqua fa venire i ranocchi in corpo. 150]L'acqua di maggio inganna il villano: par che non piova e si bagna ilgabbano[44]. 2] L'acqua non è fatta per sposarsi. 9] L'allegria dei cattividura poco. 8] L'allegria è di ogni male il rimedio universale. 4] L'allegria èil balsamo della vita. 8] L'allegria fa campare, la passione fa crepare. 8]L'allegria piace anche a Dio. 8] L'allegria scaccia ogni male. 8] L'allodolavola in alto, ma fa il suo nido in terra. 8] L'altezza è mezza bellezza.[45] 2]L'ambizione e la vendetta muoiono sempre di fame. 4] L'ambizione è nemica dellaragione. 4] L'amore di carnevale muore in quaresima. 8] L'amore è cieco. 2]L'amore è cieco, ma vede lontano. 8] L'amore fa passare il tempo e il tempo fapassare l'amore. 8] L'amore non è bello se non è litigarello. 103] L'amore nonsi misura a metri. 8] L'amore passa dentro la cruna di un ago. 8] L'amorequanto più è bestia, tanto più sublime. 32] L'amore scalda il cuore e l'ira fail poeta. 8] L'amore senza baci è pane senza sale. 8] L'animo fa il nobile e nonil sangue. 8] L'anno produce il raccolto, non il campo. 4] L'apparenza inganna.1] L'appetito non vuol salsa. 151] L'appetito vien mangiando. 1] L'arancia lamattina è oro, il giorno argento, la sera è piombo. 2] Con riferimento a chi fafatica a digerire le arance. L'arcobaleno la mattina bagna il becco dellagallina; l'arcobaleno la sera buon tempo mena. 1] L'arte non ha maggior nemicodell'ignorante. 4] L'asino e il mulattiere non hanno lo stesso pensiero. 4]L'asino non conosce la coda, se non quando non l'ha più. 4] L'assai basta e iltroppo guasta. 1] L'avaro in punto di morte rimpiange i soldi spesi per labara. 8] L'avaro lascia eredi ridenti. 4] L'avaro non dorme. 4] L'avaro nonvive, vegeta. 4] L'avversità che fiacca i cuori deboli, ingagliardisce le animeforti. 8] L'eccesso degli obblighi può fare perdere un amico. 4] L'eccessodella gioia divien tristezza, e l'eccesso del vino ubriachezza. 8] L'eccezioneconferma la regola.[46] 1] L'eclissi di sole avviene di giorno e non di notte.4] L'edera taciturna si arrampica in cima alla quercia. 4] L'elefante non curail morso delle pulci. 8] L'elemosina non fa impoverire. 4] L'eloquenza delcattivo è falso acume. 8] L'Epifania tutte le feste porta via.[47] 1] L'erbadel vicino è sempre più verde.[48] 152] L'erba voglio non cresce nemmeno nelgiardino del re. 2] L'erba che non voglio, cresce nell'orto. 4] L'erba noncresce sulla strada maestra. 4] L'eredità paterna ai paterni, la materna aimaterni. 4] L'errore che si confessa è mezzo rimediato. 4] L'errore è uncocchiere che conduce sopra una falsa strada. 4] L'errore è umano, il perdonodivino. 153] L'esercizio è buon maestro. 4] L'esperienza nel mondo conduce alladiffidenza, la diffidenza conduce al sospetto, il sospetto all'astuzia,l'astuzia alla malvagità e la malvagità a tutto. L'esperienza senza il sapere èmeglio che il sapere senza sapienza. 70] L'estate ce la porta sant'Urbano el'autunno san Bartolomeo. 4] L'estate davanti e l'inverno dietro. 4] L'estatedi San Martino dura tre giorni e un pochinino.[49] 2] L'estate per chi lavora,l'inverno per chi dorme. 4] L'estate è una schiava, l'inverno un padrone. 4]L'estate per il povero è migliore dell'inverno. 4] L'eternità è una comperalunga. 4] L'eternità non ha capelli grigi. 4] L'eterno parlatore né ode néimpara. 4] L'idolo si adora finché non è infranto. 4] L'ignorante ha le ali diun'aquila e gli occhi di un gufo. 4] L'inchiostro è il mio campo, su cui possoscrivere valorosamente; la penna, il mio aratro; le parole, la mia semente. 8]L'inchiostro è nero, e tinge le dita e la reputazione. 8] L'inferno e itribunali son sempre aperti. 4] L'ingegno viene con gli anni, e se ne va congli anni. 4] L'ingratitudine converte in ghiaccio il caldo sangue. 8]L'ingratitudine è la mano sinistra dell'egoismo. 8] L'ingratitudine è un'amararadice da cui crescono amari frutti. 8] L'ingratitudine nuoce anche a chi non èreo. 8] L'ingratitudine taglia i nervi al beneficio. 8] L'intelletto è nellatesta e non negli anni. 4] L'intelletto non viene mai prima degli anni. 4]L'interesse acceca anche i galantuomini. 8] L'inverno al fuoco e l'estateall'ombra. 4] L'invidia è annessa alla felicità. 4] L'invidia è un gufo che nonpuò sopportare la luce della prosperità degli altri. 4] L'invidia è una bestiache rode le proprie gambe, quando non ha altro da rodere. 4] L'invidia somigliaalla gramigna, che mai non muore, e da per tutto alligna. 4] L'ipocrisiaintasca il denaro, e la verità va mendica. 4] L'ira senza forza, non vale unascorza. 4] L'ira turba la mente e acceca la ragione. 4] L'Italia è il paesedove corre latte e miele. 4] L'Italia è un paradiso abitato da demoni. 4]L'Italia per nascervi, la Francia per viverci e la Spagna per morirvi. 4]L'occasione fa l'uomo ladro. 1] L'occhio del padrone ingrassa il cavallo. 1]L'oggi non deve calunniare il passato. 4] L'olivo benedetto vuol trovar pulitoe netto.L'ombra di un principe dev'essere la liberalità. 4] L'ordine caccia ildisordine. 8] L'ordine è pane, il disordine è fame. 8] L'orgoglio crede che ilsuo uovo abbia due tuorli. 8] L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza. 8]L'orgoglio fa colazione con l'abbondanza, pranza con la povertà e cena con lavergogna. 154] L'orologio dell'amore ritarda sempre. 8] L'ospite è come ilpesce: dopo tre giorni puzza. 2] L'ospite e il pesce dopo tre dì rincresce. 1]L'ozio è il padre di tutti i vizi. 1] L'ozio in gioventù non è la via dellavirtù. 4] L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la legge dellamorte. 8] L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da bestia. 8] L'umiliazione vadietro al superbo. 8] L'umiltà è il miglior modo di evitare l'umiliazione. 8]L'umiltà è la corona di tutte le virtù. 8] L'umiltà è la madre dell'onore. 8]L'umiltà è una virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù. 8] L'umiltàottiene spesso più dell'alterigia. 8] L'umiltà sta bene a tutti. 8] L'umiltàsta bene con la castità. 8] L'unione fa la forza. 1] L'uomo avaro e l'occhiosono insaziabili. 4] L'uomo deve tenere aperta la bocca a lungo prima chec'entri un colombo arrostito. 4] L'uomo fu creato per lavorare, come l'uccelloper volare. 4] L'uomo ordisce e la fortuna tesse. 1] L'uomo politico accendeuna candela a Dio e un'altra al diavolo. 8] L'uomo per la parola e il bue perle corna. 1] L'uomo propone e Dio dispone. 1] L'uomo propone e la donnadispone. 2] L'uomo si conosce al bicchiere. 4] L'uomo si giudica maledall'aspetto. 4] L'usura arricchisce, ma non dura. 8] L'usura è il migliorapostolo del diavolo. 8] L'usura è la figlia primogenita dell'avarizia. 8]L'usura è un assassinio. 8] L'usura è vietata da Dio. 8] L'usura veglia quandol'uomo dorme. 8] L'usuraio arricchisce col sudor dei poveri. 8] L'usuraio ha untorchio a sangue. 8] L'usuraio ingrassa andando a spasso. 8] La bestemmia giragira torna addosso a chi la tira. 4] La buona cantina fa il buon vino. 8] Labuona mamma fa la buona figlia. 4] La buona sorte ogni vile cuore fa forte. 8]La calma è la virtù dei forti. 2] La capacità si vede nelle difficoltà. 4] Lacarestia è il pane dell'usuraio. 4] La carne migliore è quella intornoall'osso. 4] La carne senz'osso non fa brodo. 4] La carrucola non frulla, senon è unta. 4] La cattiva sorte porta spesso buona sorte. 8] La cicala primacanta e poi muore. 8] La coda è la più lunga da scorticare. 1] La comodità fa l'uomocattivo. 8] La compassione è la figlia dell'amore. 4] La concordia rende fortii deboli. 8] La contentezza viene dalle budella. 1] La corda troppo tesa sispezza. 1] La cupidigia rompe il sacco. 4] La dieta ogni mal quieta. 155] Ladifficoltà sta nell'iniziare. 4] La diffidenza aguzza gli occhi. La diffidenzaè la morte dell'amore. 4] La diffidenza porta più avanti della fiducia. 4] Ladonna a 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30 brama, a 35 sente, a 40vuole e a 50 paga. 8] La donna bisogna praticarla un giorno, un mese eun'estate per sapere che odore sa. 8] La donna buona vale una corona. 8] Ladonna deve avere tre m: matrona in strada, modesta in chiesa, massaia in casa.8] La donna e l'orto vogliono un sol padrone. 8] La donna ha più capricci chericci. 8] La donna oziosa non può essere virtuosa. 8] La donna per piccola chesia, vince il diavolo in furberia. 8] La donna più sciocca vale due uomini. 8]La donna troppo in vista, è di facile conquista. 8] La fame caccia il lupo dalbosco. 1] La fame caccia il lupo dalla tana. 4] La fame spinge il lupo nelvillaggio. 4] La fame condisce tutte le vivande. 4] La fame non vede la muffanel pane. 4] La fame è cattiva consigliera. 1] La fame, gran maestra, anche lebestie addestra. 4] La fame muta le fave in mandorle. 4] La farina del diavolova tutta in crusca. 1] La fedeltà non è mai rimeritata abbastanza, el'infedeltà mai abbastanza. 4] La femmina è cosa mobile per natura. 4] La finedella passione è il principio del pentimento. 129] La fortuna aiuta gli audaci.2] La fortuna del savio ha per figliola la modestia. 8] La fortuna è cieca. 2]La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. 108] La fretta fa rompere lapentola. 8] La fretta è una cattiva consigliera. 108] La furia non fu mai buona.4] La gallina del vicino sembra un fagiano. 152] La gatta frettolosa fece igattini ciechi. 1] La gatta grassa fa onore alla casa. 121] La gatta, mette ilpiede davanti alla vacca. 156] La gatta non s'accosta alla pentola che bolle.38] La gatta vorrebbe mangiar pesci, ma non pescare. 157] La gelosia dellamoglie è la via al suo divorzio. 4] La gelosia è il peggiore di tutti i mali.4] La gelosia è una passione che cerca avidamente quel che tormenta. 4] Lagenerosità è un muro che non si può alzare più alto di quello che arrivano imateriali.La gente ricca alleva male i suoi cani, e la gente povera i suoifiglioli. La gente savia non si cura di quel che non può avere. 87] La gioventùfugge, e la bellezza sfiorisce. 4] La gioventù vuol fare il suo corso. 4] Lalealtà se ne è andata dal mondo e la dirittura si è messa a dormire. 4] La legafa forte i deboli. 4] La liberalità è un muro che non si deve rizzare più altodi quello che comportino i materiali. 4] La liberalità non sta nel dare molto,ma saggiamente. 4] La libertà del povero è di lasciarlo mendicare. 4] Lalibertà è da Dio; le libertà, dal diavolo. 4] La libertà è più cara degli occhie della vita. 4] La libertà fila con le sue mani il filo della sua tenda. 4] Lalingua batte dove il dente duole. 1] La lingua non ha osso e sa rompere ildosso. 4] La lingua spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, leparlo in spagnolo. 8] La lode propria puzza, quella degli amici zoppica. 4] Laluna di gennaio è la luna del vino. 2] La luna è bugiarda: quando fa la Cdiminuisce, e quando fa la D cresce 158] La luna non cura l'abbaiar dei cani.2] La luna regge il lume ai ladri. 158] La luna, se non riscalda, illumina.158] La Lombardia è il giardino del mondo. 8] La madre del peggio è sempreincinta. 159] La madre degli imbecilli è sempre incinta. 160] La madre deifessi è sempre incinta. 160] La magnificenza spesso copre la povertà. 4] Lamala erba non muore mai. 1] La mala nuova la porta il vento. 1] La malerbacresce presto. 2] La malinconia e le cure fanno invecchiare anzitempo. 4] Lamercanzia rara è meglio che buona. 8] La miglior difesa è l'attacco. 1] Laminestra lunga sa di fumo. 8] La modestia è il dattero che matura raramentesull'albero della ricchezza. 8] La modestia è madre d'ogni creanza. 8] Lamoglie è la chiave di casa. 8] La morte ci rende uguali nella sepoltura,disuguali nell'eternità. 8] La necessità aguzza l'ingegno. 2] La necessità fapiù ladri che galantuomini. 8] La notte è fatta per gli allocchi. 8] La notteporta consiglio. 1] La novella non è bella, se non c'è la giuntarella. 8] Lapancia del buongustaio è il cimitero dei cibi buoni. 8] La parola del ricco èsimile al sole, e quella del povero è simile al vapore. 8] La pazienza è lavirtù dei forti. 9] La pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti gliorti. 88] La pecora che se ne va sola, il lupo la mangia. 91] La peggio ruota èquella che stride. 8] La peggior carne da conoscere è quella dell'uomo. 4] Lapenitenza corre dietro al peccato. 8] La pentola vuota è quella che suona. 8]La pianta si conosce dal frutto. 1] La pigrizia e l'impudicizia sono sorelle.8] La pittura è una poesia tacita, e la poesia una pittura loquace. 8] La piùbell'ora per il mangiare è quella in cui si ha fame. 8] La polenta è utile perquattro cose: serve da minestra, serve da pane, sazia e scalda le mani. 8] Lapovertà è priva di molte cose, l'avarizia è priva di tutto. 56] La prima acquaè quella che bagna. 1] La prima gallina che canta ha fatto l'uovo. 108] Laprima eredità al primo figlio, l'ultima eredità all'ultimo figlio. 4] Laprovvidenza quel che toglie rende. 4] La pulce che esce di dietro l'orecchiocon il diavolo si consiglia. 8] La puttana e la lattuga una stagione dura. 8]La rana è usa ai pantani, se non ci va oggi ci andrà domani. 8] La rana nonmorde, perché non ha denti. 8] La rana, o salta o piscia, ma mai non sbrana. 8]La razza comincia dalla bocca. 8] La roba dei pazzi è la prima ad andarsene. 8]La ruota della fortuna gira. 4] La ruota della fortuna non è sempre una. 4] Lascorza fa bella la castagna. 4] La scimmia è sempre scimmia, anche vestita diseta. 8] La semplicità senza accortezza è pura pazzia. 8] La sera leoni e lamattina coglioni. 2] La sorte è come ognuno se la fa. 8] La speranza è cattivodenaro. 161] La speranza è il pane dei poveri. 2] La speranza è il patrimoniodei poveri. 2] La speranza è il sogno dell'uomo desto. 2] La speranza èl'ultima a morire. 2] La speranza è la miglior consolazione nella miseria. 161]La speranza è la miglior musica del dolore. 161] La speranza è la ricchezza deipoveri. 2] La speranza è sempre verde. 2] La speranza è un balsamo per i cuorpiagati. 161] La speranza è un sogno nella veglia. 2] La speranza infondecoraggio anche al codardo. 161] La speranza ingrandisce, l'esperienzarimpicciolisce. 57] La superbia è figlia dell'ignoranza. 1] La superbia mostral'ignoranza. 162] La superbia va a cavallo e torna a piedi. 1] La terra è madredi tutti gli uomini ed anche sepoltura. 8] La troppa umiltà vien dallasuperbia. 8] La vanagloria è un fiore che mai non porta frutta. 163] La veralibertà è non servire al vizio. 4] La verità è nel vino. 8] La verità vienesempre a galla. 2] La veste copre gran difetti. 55] La via dell'inferno èlastricata di buone intenzioni. 1] La vipera morta non morde seno, ma pure famale coll'odor del veleno. 8] La virtù sta nel mezzo.[51] 164] La vita è brevee l'arte è lunga.[52] 55] La vita è già mezzo trascorsa anziché si sappia checosa sia. 165] La volpe si conosce dalla coda. 4] Lamentarsi, supplicare e bereacqua è lecito a tutti. 8] Latte e vino, tossico fino. 8] Lavora come se avessia campare ognora, adora come avessi a morire allora. 4] Lavoro non ingrassò maibue. 4] Le allegrezze non durano. 8] Le belle penne rendono bello l'uccello. 4]Le bellezze durano fino alle porte, la bontà fino alla morte. 4] Le braccia ele mani del povero appartengono al ricco. 8] Le bugie hanno le gambe corte. 1]Le bugie sono lo scudo degli uomini dappoco. 4] Le chiacchiere non fannofarina. 1] Le colombe che rimangono in colombaia, sono sicure dal nibbio. 8] Lecose lunghe diventano serpi. 1] Le cose lunghe prendono vizio. 1] Le dita dellamano sono disuguali. 8] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli. 4]Le donne hanno quattro malattie all'anno, e tre mesi dura ogni malanno. 8] Lebestie vanno trattate da bestie. 8] Le cattive nuove sono le prime ad arrivare.8] Le cattive nuove volano. 1] Le chiavi ed i lucchetti non si fanno per ledita fidate. 8] Le disgrazie non vengono mai sole. 1] Le disgrazie sono come leciliegie: una tira l'altra.[53] Le donne hanno lunghi i capelli e corti icervelli. 166] Le donne hanno sette anime... e mezza. 8] Le donne ne sanno unapiù del diavolo. 2] Le donne piglian bene le pulci. 8] Le lacrime sono le armidelle donne. 4] Le leghe e le corde fradice non durano a lungo. 4] Le malattieci dicono quel che siamo. 88] Le montagne stanno ferme, gli uominis'incontrano. 167] Le ore del mattino hanno l'oro in bocca. 1] Le parole sonofemmine e i fatti sono maschi. 1] Le piante che fruttano troppo presto, siseccano. 8] Le querce non fanno limoni. 2] Le ragazze sono d'oro, le sposated'argento, le vedove di rame e le vecchie di latta. 8] Le rane han perso lacoda perché non seppero chiedere aiuto. 8] Le rose cascano, le spine restano.168] Le teste di legno fan sempre del chiasso. 55] Le Trentine vengono giùpollastre e se ne vanno sù galline. 8] Le vie della provvidenza sono infinite.1] Le vie del Signore sono infinite. 1] Leggi, rileggi e pondera. 8] Linguacheta e fatti parlanti. 4] Lo sbadiglio non vuol mentire: o che ha sonno o chevorrebbe dormire, o che ha qualche cosa che non può dire. 8] Lo scarafaggiocorre sempre allo sterco. 8] Lo scimunito parla col dito. 8] Lo scorpione dormesotto ogni lastra. 8] Lo smargiasso ciancia in guerra, il valente combattemuto. 8] Loda il gran campo e il piccolo coltiva. 169] Loda il monte e tienitial piano. 2] Loda il pazzo e fallo saltare, se non è pazzo lo farai diventare.8] Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. 170] Lontan dagli occhi, lontan dalcuore. 2] Luna di grappoli a gennaio luna di racimoli a febbraio.[54] 2] Lungalingua, corta mano. 8] Lungo come la quaresima.[55] 2] Luglio dal gran caldo,bevi bene e batti saldo. 16] Lungo digiuno caccia la fame. 4] Lupo non mangialupo. 2] M Ma in premio d'amore amor si rende. 33] Maggio ortolano, moltapaglia e poco grano. 16] Maggiore il santo, maggiore la sua umiltà. 8] Mai gliuomini sanno essere abbastanza riconoscenti verso gli inventori. 4] Mal comunemezzo gaudio. 2] Mal può rendere ragion del proprio fatto chi lardo o pescelascia in guardia al gatto. 65] Mal si giudica il cavallo dalla sella. 3] Maleche si vuole non duole. 9] Male ignoto si teme doppiamente. 8] Male non fare,paura non avere. 2] Male voluto non fu mai troppo. 57] Maledetto il ventre chedel pan che mangia non si ricorda niente. 8] Manca tanto la pazienza ai poveri,quanto la compassione ai ricchi. 8] Mangiar molto e far buona digestione, è unprivilegio che han poche persone. 8] Mano dritta e bocca monda possono andareper tutto il mondo. 4] Marinaio genovese, mercante fiorentino. 8] Martellod'oro non rompe le porte del cielo. 47] Marzo è pazzo. 16] Marzo pazzerelloguarda il sole e prendi l'ombrello. 2] Marzo molle, gran per le zolle. 16]Mazza e pane fanno i figli belli; pane senza mazza fa i figli pazzi. 171]Medico vecchio e chirurgo giovane. 172] Medico vecchio e medicina nuova. 2]Chirurgo giovane e medico anziano.[56] Mediocre bestiame ben pasciuto è dimaggior vantaggio che molto bestiame mal mantenuto. 173] Meglio andare a lettosenza cena, che alzarsi con debiti. 4] Meglio aperto rimprovero, che odiosegreto. 8] Meglio dietro agli uccelli, che dietro ai signori. 8] Meglio essereben educato, che nascere nobile. 4] Meglio essere invidiati che compatiti. 174]Meglio fare la serva in casa propria, che la padrona in casa altrui. 4] Megliofave in libertà, che capponi in schiavitù. 8] Meglio fringuello in man chetordo in frasca. 2] Meglio fringuello in tasca che tordo in frasca. 2] Meglioil marito senz'amore, che con gelosia. 75] Meglio l'uovo oggi che la gallinadomani. 1] Meglio mangiar carote in pace che molte pietanze in disunione. 8]Meglio mendicante che ignorante. 124] Meglio pane con amore, che gallina condolore. 4] Meglio poco che niente. 1] Meglio soli che male accompagnati. 1]Meglio tardi che mai. 1] Meglio un asino vivo che un dottore morto. 1] Meglioun fiorino guadagnato, che cento ereditati. 4] Meglio un magro accordo che unagrassa sentenza. 2] Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio. 2] Megliouna festa che cento festicciole. 1] Meglio una volta arrossire che milleimpallidire. 8] Meglio vivere ben che vivere a lungo. 64] Meno siamo megliostiamo. 57] Mente lieta, vita quieta e moderata dieta. 2] Merito non conosciutopoco vale. 8] Milan può far, Milan può dir, ma non può far dell'acqua vin. 8]Mille errori sono più facilmente pronunciati che una verità. 4] Moglie e buoidei paesi tuoi. 1] Donne e buoi dei paesi tuoi. 2] Mogli che non contraddiconoe galline che facciano le uova d'oro, sono uccelli rari. 8] Moglie maglio. 1]Molte cose si giudicano impossibili a farsi prima che siano fatte. Molte manifanno l'opera leggera. Molte paglie unite possono legare un elefante. 8] Moltevolte la belleza più adorabile si unisce alla stupidaggine più insopportabile. Moltevolte si perde per negligenza quello che si è guadagnato con giustizia. 4]Molti hanno buone carte in mano, ma non le sanno giocare. 4] Molti inventanooro con la bocca ed hanno piombo alle mani e ai piedi. 4] Molti parlanod'Orlando anche se non videro mai il suo brando. 8] Molti sfuggono alla pena,ma non ai rimorsi della coscienza. 8] Molti si immaginano di avere il pulcino,che non hanno ancora l'uovo. 4] Molti si lamentano del buon tempo. 8] Moltisono i verseggiatori, pochi i poeti. 8] Molti squartano un gatto e giurano cheera un leone. 8] Molti voti fanno l'abate. 4] Molto denaro, molti amici. 4]Molto fumo e poco arrosto. 1] Molto può nuocere una piccola negligenza. 8]Morire di fame in una madia di pane. 4] Morta la serpe, spento il veleno. 8] Mortoun papa se ne fa un altro. 1] Mulo buon mulo, ma cattiva bestia. 8] Muore ilricco, gli fanno il funerale; muore il povero, nessuno gli dice: vale. 8] Muovela coda il cane non per te, ma per il pane. 4] N Natale con i tuoi, Pasqua conchi vuoi. Né col capretto né con l'agnello, si adopera il coltello. 8] Né divenere, né di marte non si sposa né si parte, né si dà principio all'arte. 2]Né donna né tela al lume di candela. 8] Ne uccide più la lingua che la spada.2] Ne uccide più la gola che la spada. 2] Necessità fa legge e tribunale. 2]Negli ordini pari, i pareri sono dispari. 8] Nel bere e nel camminare siconoscono le donne. 8] Nel bosco tagliato non ci stanno assassini. 8] Neldubbio astieniti. 2] Nel monte di Brianza, senza vin non si danza. 8] Nel paesedegli zoppi, zoppicar non è vergogna. 8] Nel regno dei ciechi anche un orbo ère. 175] Nel regno dei ciechi anche un guercio è re. 175] Nel regno di Dio,poveri e ricchi sono uguali. 8] Nell'autunno non bisogna più sognare di rose etulipani. 4] Nell'estate si deve pensare all'inverno, e nella gioventù allavecchiaia. 4] Nell'eternità si arriva sempre in tempo. Nell'inverno il pazzosogna rose, e nell'estate il savio le raccoglie. 4] Nella botte piccola c'è ilbuon vino. 8] Nella felicità ragione, nell'infelicità pazienza. 8] Nella gotta,il medico non vede gotta. 176] Nelle sventure si conosce l'amico. 1] Nessunacorona è più bella di quella dell'umiltà. 8] Nessuna fortezza è così salda chenon si lasci conquistare dall'oro. 4] Nessuna ingiustizia rimane impunita. 4]Nessuna mela è così bella che non abbia qualche difetto. 4] Nessuna nuova,buona nuova. Nessuno è profeta in patria. Nessuno può dare quello che non ha.4] Nessuno può difendersi dalla beffa. 4] Ne uccide più Bacco che Marte. 4]Neve di Dicembre dura fin che dura la brina. 8] Niente è più bello di unafaccia allegra. 8] Niuna guardia è migliore di quella che una donna fa a sestessa. 4] Non accettare i rimproveri o consigli da chi educare non seppe ipropri figli. Non aspettar che l'abete porti pomi. 4] Non basta essergalantuomo, bisogna anche esser conosciuto per tale. 8] Non bisogna fare ildiavolo più nero di quello che è. 8] Non bisogna fasciarsi il capo prima diromperselo. 8] Non bisogna mai usare due pesi e due misure. 8] Non bisognascuotere l'orzo dal sacco prima di avere il frumento. Non c'è alcuno cosìpovero che non possa aiutare, né alcuno così ricco che non abbia bisognod'aiuto. 8] Non c'è cosa più triste sulla terra dell'uomo ingrato.Non si muovefoglia che Dio non voglia. Non c'è affanno senza danno. 4] Non c'è Carnevalesenza luna di febbraio. Non c'è due senza tre. 1] Non c'è due senza tre e ilquarto vien da sé. 2] Non c'è cosa così cattiva che non sia buona a qualchecosa. 4] Non c'è eretico che non abbia la sua credenza. 4] Non c'è fumo senzaarrosto. 1] Non c'è gallina né gallinaccia che di gennaio l'uova non faccia. 2]Non c'è intoppo per avere, più che chiedere e temere. 178] Non c'è male senzabene. 4] Non c'è miglior cieco di quello che non vuole vedere. 4] Non c'è panesenza pena. 1] Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. 2] Non c'è regolasenza eccezioni. 1] Non c'è rosa senza spine.Non cade foglia che Dio nonvoglia. 1] Non ci fu mai frettoloso che non fosse pazzo. 8] Non ci rimanenessuna vigna da vendemmiare, e né meno nessuna donna da maritare. 179] Noncredere a donna, quand'anche sia morta. 4] Non destare il can che dorme. 1] Nondire quattro se non l'hai nel sacco. 2] Non dire gatto se non ce l'hai nelsacco. 180] Non è arte il giocare, ma lo smettere. 4] Non è bello ciò che èbello, ma è bello ciò che piace. 181] Non è bene esser poeta nel villaggio. 8]Non è bene riporre denaro in una cassa di cui non si ha la chiave. 4] Non è coldire "miel, miel," che la dolcezza viene in bocca. 117] Non ècontento quel che si lamenta. 8] Non è in nessun luogo chi è in ogni luogo. 4]Non è mai gran gagliardia, senza un ramo di pazzia. 8] Non è povero, se non chisi crede tale. 8] Non è sempre savio chi non sa esser qualche volta pazzo. 8]Non è sì tristo cane, che non meni la coda. 182] Non è tutto oro quel cheluccica. 183] Non è tutto oro quel che riluce. 183] Non esiste amore senzagelosia. 8] Non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone.8] Non facendo niente, più pena si sente. 4] Non far mai bene, non avrai maimale. 8] Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.[58] 2]Non fare il male ch'è peccato, non fare il bene ch'è sprecato. 1] Non fare ilpasso più lungo della gamba. 2] Non gira il corvo che non sia vicina la carogna.8] Non lodare il bel giorno prima di sera. 4] Non mettere il carro davanti aibuoi. 184] Non mettere il rasoio in mano a un pazzo. 8] Non mettere un rasoioin mano a un pazzo. 185] Non mi morse mai scorpione, ch'io non mi medicassi colsuo olio. 8] Non nominar la corda in casa dell'impiccato. 1] Non ogni abisso haun parapetto. 4] Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuolerisposta. 8] Non pensa il cuore quel che dice la bocca. 4] Non perde ilcervello se non chi l'ha. 8] Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.1] Non sempre va d'accordo la campana dell'orologio con la meridiana. 8] Nonserve dire «Di tal acqua non berrò». 4] Non si campa d'aria. 4] Non si cominciabene se non dal cielo. 4] Non si dà fumo senza fuoco. 4] Non si entra inParadiso a dispetto dei Santi. 1] Non si fa niente per niente. 1] Non si fannozze coi fichi secchi. 186] Non si finisce mai di imparare. 4] Non si insegnaa nuotare ai pesci. 4] Non si legge mai libro senza imparare qualcosa. 4] Nonsi possono cavar le castagne dal fuoco colla zampa del gatto. 187] Non si puòavere la botte piena e la moglie ubriaca. 1] Non si può bere e fischiare. 77]Non si sa mai per chi si lavora. 4] Non si sta mai tanto bene che non si possastar meglio, né tanto male che non si possa star meglio. 8] Non sono cacciatoritutti quelli che portano il fucile. 4] Non sono uguali tutti i giorni. 4] Nonti far povero a chi non ha da farti ricco. 8] Non ti fidar d'un tratto, digrazia o di bontà. 8] Non ti vantar farfalla, tuo padre era un bruco. 8] Nontutte le ciambelle riescono col buco. 1] Non tutte le lacrime vengono dal cuor.4] Non tutti i matti rompono i piatti. 8] Non tutti i pazzi stanno almanicomio. 8] Non tutti possiamo abitare in piazza. 8] Non tutti sono ammalatiquelli che sono in letto. 8] Non tutti sono infelici come credono. 8] Non tuttisono infermi quelli che gridano ahi! 8] Non tutti vedono la serpe che stanascosta sotto l'erba. 4] Non tutto il male vien per nuocere. 2] Non v'è maitanta pace in convento, come quando i frati portano tonache uguali. 8] Non vi èdonna senza amore. 8] Non vi è inganno che non si vinca con l'inganno. 4] Nonvi è lino senza resca, né donna senza pecca. 4] Non vi è nulla che ricercandonon si possa penetrare. 4] Non vi è peggior burla che la vera. 4] Non vi fu maigatta che non corresse ai topi. 8] Non vendere la pelle dell'orso prima diaverlo ucciso. 1] Non vo' dormire né fare la guardia. 4] Notte, amore e vinofanno spesso l'uomo meschino. 8] Novembre vinaio. 16] Nulla è così buono che alungo andare non venga a noia. 8] Nuovo padrone, nuova legge. 58] Nutri ilcorvo e ti caverà gli occhi. 8] Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno. 8] OO taci, o di' cosa migliore del silenzio.[59] 8] Occhio che piange cuore cheduole. 2] Occhio che piange cuore che sente. 2] Occhio non vede, cuore nonduole. 2] Occhio per occhio, dente per dente.[60] 2] Olio di lucerna ogni malgoverna. 2] Oggi a me domani a te. 2] Oggi allegria, domani malinconia. 8] Oggicreditore, domani debitore. 8] Oggi fresco e forte, domani nella morte. 8] Oggiin figura, domani in sepoltura. 8] Oggi in pace, domani in guerra. 8] Oggimercante, domani mendicante. 8] Oggi pioggia e doman vento, tutto cambia in unmomento. 8] Ogni Abele ha il suo Caino. 4] Ogni animale per non morir s'aiuta.188] Ogni bel gioco dura poco. 1] Ogni bella scarpa diventa ciabatta, ognibella donna diventa nonna. 8] Ogni bene infine svanisce, ma la fama nonperisce. 4] Ogni cosa ch'è rara, suol essere più cara. 8] Ogni disuguaglianza,l'amore uguaglia. 4] Ogni erba si conosce dal seme. 4] Ogni fatica meritaricompensa. 4] Ogni gatta ha il suo febbraio. 8] Ogni giorno non è festa. 4]Ogni giorno non si fanno nozze. 4] Ogni grillo si crede cavallo. 8] Ognilasciata è persa. 1] Ogni legno ha il suo tarlo. 1] Ogni lucciola non è unfuoco. 8] Ogni lumaca vede le corna delle altre. 189] Ogni matto fa il suoatto. 8] Ogni medaglia ha il suo rovescio. 1] Ogni pazzo vuol dar consiglio. 8]Ogni pelo ha la sua ombra. 4] Ogni popolo ha il governo che si merita. 190] Ognipromessa è debito. 1] Ogni rana si crede gran dama. 8] Ogni rana si crede unaDiana. 8] Ogni scimmia trova belli i suoi scimmiotti. 8] Ogni serpe ha il suoveleno. 8] Ogni simile ama il suo simile. 1] Ogni uccello fa il suo verso. 8]Ogni uccello canta il suo verso. 191] Ognun patisce del suo mestiere. 192]Ognuno trascura per sé i godimenti dell'arte sua, quasi venutigli a noia perchéci ha guardato dentro: il cuoco non è mai ghiotto, il calzolaio va colle scarperotte. Ognun per sé e Dio per tutti. 1] Ognun vede le proprie oche come cigni.8] Ognuno all'arte sua e il lupo alle pecore. 2] Ognuno ama sentirsi lodare. 4]Ognuno che ha un gran coltello, non è un boia. 4] Ognuno fa degli errori. 4]Ognuno faccia il suo mestiere. 2] Ognuno ha i suoi gusti. 193] Ognuno ha il suoaffanno. 8] Ognuno ha la sua croce. 1] Ognuno tira l'acqua al suo mulino. 2]Orto, uomo morto. 169] Orzo e paglia fanno il caval da battaglia. 8] Ospiteraro ospite caro. 1] Ottobre mostaio. 16] P Paese che vai usanza che trovi. 1]Paga il giusto per il peccatore. 1] Pancia affamata, vita disperata. 4] Panciapiena non crede a digiuno. 1] Pancia vuota non sente ragioni. 1] Parlaall'amico come se ti avesse a diventar nemico. 8] Pane finché dura, vino conmisura. 194] Parenti, amici, pioggia, dopo tre giorni vengono a noia. 8]Parenti serpenti. 1] Parenti serpenti, cugini assassini, fratelli coltelli. 2]Parere e non essere è come filare e non tessere. 2] Parlare francese come unavacca spagnola. 4] Passata la festa gabbato lo santo. 1] Passato il fiumescordato il santo. 4] Patti chiari, amici cari. 2] Patti chiari amicizia lunga.2] Pazzi e buffoni hanno pari libertà. 8] Pazzo è colui che bada ai fattialtrui. 8] Pazzo è quel prete che biasima le sue reliquie. 195] Pazzo pernatura, savio per scrittura. 8] Peccati vecchi, penitenza nuova. 8] Peccatocelato è mezzo perdonato.[61] 196] Peccato confessato è mezzo perdonato. 8] Peramore anche una donna onesta, può perdere la testa. 8] Per chi vuol esserlibero, non c'è catena che tenga. 8] Per essere amabili, bisogna amare. 9] Perfare l'elemosina non manca mai la borsa. 4] Per il galantuomo non ci sonoleggi. 8] Per il saggio le lacrime delle donne sono come gocce salate. 4] Perimparare qualche cosa, non è mai troppo tardi. 4] Per l'abbondanza del cuore labocca parla. 4] Per l'oro, l'abate vende il convento. 4] Per la santaCandelora[62] dell'inverno siamo fora, ma se piove o tira vento, dell'invernosiamo dentro. 2] Per la santa Candelora se tempesta o se gragnola dell'invernosiamo fora; ma se è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno. 2] Per naturatutti gli uomini sono simili; per l'educazione diventano interamente diversi.4] Per ogni civetta che si sente cantare sul tetto, non bisogna metter lutto.8] Per quanto alletti la bellezza di un fiore, nessuno lo coglie se ha cattivoodore. 4] Per san Lorenzo la noce è fatta. 2] Per San Lorenzo la noce si spaccanel mezzo. 197] Per san Lorenzo piove dal cielo carbone ardente. 2] Per SantaCaterina [25 novembre], le bestie fuori dalla cascina. 198] Per trovareingiustizie non occorrono lanterne. 4] Per un chiodo si perde un ferro, e perun ferro un cavallo. 8] Per un punto Martin perse la cappa.[63] 2] Per unascopa formano un mercato tre donne e assordan tutto il vicinato. 8] Perde lelacrime chi piange davanti al giudice. 4] Perdona a tutti, ma non a te. 199]Perdonare è da uomini, scordare è da bestie. 199] Pesce che va all'amo, cercad'esser gramo. 8] Pianta a cui spesso si muta luogo, non prende vigore. 4]Piccola fiamma non fa gran luce. 8] Piccola pietra rovesciar può il carro. 8]Piccola scintilla può bruciar la villa. 8] Piccole ruote portano gran pesi. 8]Piccolo ago scioglie stretto nodo. 8] Piglia il bene quando viene, ed il malequando conviene. 8] Piove sempre sul bagnato. 2] Pisa, pesa per chi posa. 8]Più alta la condizione, più si deve essere umili. 8] Più briccone, piùfortunato. 4] Più il fiume è profondo, più scorre il silenzio. 4] Più sichiacchiera, meno si ama. 8] Piuttosto un asino che porti, che un cavallo chebutti in terra. 87] Poca brigata vita beata. 1] Poeta si nasce, oratori sidiventa. 200] Poeti e Santi campano tutti quanti. 201] Poeti, pittori epellegrini a fare e a dire sono indovini. 8] Polenta e latte bollito, inquattro salti è digerito. 8] Portare frasconi a Vallombrosa. 4] Prendi la brunaper amante e la bionda per moglie. 8] Preghiera di gatto e brontolio di pulcenon arrivano in cielo. 131] Preghiera umile entra in cielo. 8] Presto e bene,raro avviene. 8] Prete spretato e cavolo riscaldato, non fu mai buono.[64]Prevedere per provvedere e prevenire. 202] Prima della morte non chiamarenessuno felice. 4] Prima di ammogliarsi bisogna fare il nido. 4] Prima diandare alla pesca esamina ben bene la tua rete. 8] Prima di domandare, pensaalla risposta. 203] Prima lusingare e poi graffiare, è arte dei gatti. 8]Prodigo e bevitor di vino, non fa né forno né mulino. 8] Pugliesi, cento perforca e un per paese. 8] Puoi ben drizzare il tenero virgulto, non l'albero giàfatto adulto. 4] Putto in vino e donna in latino non fecero mai buon fine. 4] QQual proposta tal risposta. 1] Qualche intervallo il pazzo ha di saviezza,qualche intervallo il savio ha di stoltezza. 8] Qualche volta anche Omerosonnecchia. 204] Quale uccello, tale il nido. 205] Quand'anche si trapiantasseroin paradiso, i cardi non porterebbero mai rose. 8] Quando arriva la gloriasvanisce la memoria. 2] Quando c'è l'esercito, si trova anche il generale. 4]Quando c'è la salute c'è tutto. 57] Quando canta la rana, la pioggia non èlontana. 8] Quando ci sono molti galli a cantare non si fa mai giorno. 16]Quando è alta la passione, è bassa la ragione. 206] Quando è finito il raccoltodei datteri, ciascuno trova da ridire alla palma. 8] Quandofischial'orecchio dritto, il cuore è afflitto; quando il manco, il cuoreè franco. 8]Quando gli eretici si accapigliano, la chiesa ha pace. 4]Quando il colombo ha il gozzo pieno, le vecce gli sembrano amare. 8] Quando ilculo è avvezzo al peto non si può tenerlo cheto. 2] Quando il fanciullo èsatollo anche il miele non ha più gusto. 4] Quando il fanciullo ha sette anni,la ragione spunta in lui. 207] Quando il gatto lecca il pelo viene acqua giùdal cielo. 38] Quando il gatto non c'è i topi ballano. 1] Quando il gatto nonpuò arrivare al lardo dice che è rancido. 8] Quando il gatto si lecca e sisfrega le orecchie con la zampina, pioverà prima che sia mattina. 8] Quando ilgozzo è pieno, le ciliegie sono acerbe. 8] Quando il grano ricasca, ilcontadino si rizza. 57] Quando il grano va a male, bisogna ringraziare Dio perla paglia. 8] Quando il lardo è divorato, poco val cacciare il gatto. 8] Quandoil mandorlo non frutta, la semente ci va tutta. 8] Quando il padrone zoppica,il servo non va diritto. 8] Quando il sole splende, non ti curar della luna. 8]Quando il tempo è chiaro in autunno, vento nell'inverno. 4] Quando in autunnosono grassi i tassi e le lepri, l'inverno è rigoroso. 4] Quando l'amore è apezzi non c'è alcuna colla che lo riappiccichi. 8] Quando l'angelo diventadiavolo, non c'è peggior diavolo. 4] Quando l'avaro muore, il danaro respira.4] Quando l'Italia suona la chitarra, la Spagna le nacchere, la Francia illiuto, l'Irlanda l'arpa, la Germania la tromba, l'Inghilterra il violino,l'Olanda il tamburo, nulla è uguale ad esse. 8] Quando la barba fa bianchino,lascia la donna e tienti al vino. 208] Quando la cicala canta in settembre, noncomprare gran da vendere. 8] Quando la fame entra dalla porta, l'amore escedalla finestra. 8] Quando la grazia di Dio è nel cuore, gli occhi nuotanonell'allegria. 4] Quando la guerra comincia s'apre l'inferno. 4] Quando la nevesi scioglie si scopre la mondezza. 1] Quando la pera è matura casca da sé. 1]Quando la pera è matura bisogna che caschi. 16] Quando la radice è tagliata, lefoglie se ne vanno. 8] Quando la ragione dorme, il cuore scappuccia. 8] Quandola luna è bianca il tempo è bello; se è rossa, vuole dire vento; se pallida,pioggia. 4] Quando la rana canta il tempo cambia. 8] Quando non dice niente,non è dal savio il pazzo differente. 8] Quando non sai, frequenta in domandare.209] Quando piove col sole le vecchie fanno l'amore. 1] Quando piove col soleil diavolo fa l'amore. 1] Quando piove col sole le streghe fanno l'amore. 2]Quando piove col sole si marita la volpe.[65] 2] Quando piove d'agosto, piovemiele e mosto. 8] Quando si è in ballo bisogna ballare. 1] Quando si è patitosi è inclini a compatire. 4] Quando si mangia non si parla. 57] Quando sonofidanzate hanno sette mani e una lingua, quando sono sposate hanno sette linguee una mano. Quando un amico chiede, non v'è domani. 210] Quando un povero dà alricco, Dio ride in cielo. 8] Quando una cosa è accaduta, poco vale lamentarsi.8] Quando viene la forza, il diritto è morto. 4] Quanto più è alto il monte,tanto più profonda la valle. 4] Quanto più la rana si gonfia, più presto crepa.Quanto più se n'ha, tanto più se ne vorrebbe. 4] Quattro lumi non s'accendono.2] Quattro nuove invenzioni vanta il mondo: scorticare senza coltello,arrostire senza fuoco, lavare senza sapone, e invece degli occhiali vedereattraverso le dita. 4] Quel ch'è innato per natura, si porta alla sepoltura. Quelch'è raro, è stimato. 8] Quel che con l'acqua mischia e guasta il vino, meritadi bere il mare a capo chino. 8] Quel che è disposto in cielo, conviene chesia. 4] Quel, che è fatto, è fatto, e non si può fare, che fatto non sia. 211]Quel che è fatto è reso. 2] Quel che non può l'ìngegno, può spesso la fortuna. Quelche non puoi pagare col denaro, pagalo almeno col ringraziamento. 8] Quel che ègioco per il forte per il debole è morte. 8] Quel che si dà al ricco, si rubaal povero. 8] Quel che si fa a fin di bene, non dispiace mai a Dio. 4] Quel chesi fa all'oscuro, appare al sole. 4] Quel che supera il mio intelletto, lolascio stare. 4] Quella bellezza l'uomo saggio apprezza che dura sempre, finoalla vecchiaia. 4] Quelli che hanno meno ingegno, ne hanno da vendere più deglialtri. 4] Quello che abbaia è il cane sdentato. 4] Quello che deve durare perl'eternità non si deve scrivere con l'acqua. 4] Quello che è accaduto ieri, puòaccadere oggi. 4] Quello che è passato, è scordato. 4] Quello che ha da essere,sarà. 4] Quello che non avviene oggi, può avvenire domani. 4] Quello che non èstato può essere. 4] Quello che non può l'intelletto, può spesso il caso. 4]Quello che puoi fare oggi, non rimandarlo a domani. Quello che si dice all'econel bosco, il bosco lo ripete. 4] Quello che si impara in gioventù, non sidimentica mai più. 4] Quello che si usa non si scusa. 212] Quello è mio zio,che vuole il bene mio. 4] Quello è un fanciullo accorto che conosce suo padre.4] Questo devi sapere che la gelosia di un Arabo è la stessa gelosia. 4] Quietanon muovere. 16] R Raglio d'asino non giunse mai al cielo. 2] Rana di paludesempre si salva. 8] Rane, malsane. 8] Render nuovi benefici all'ingratitudine èla virtù di Dio e dei veri uomini grandi. 8] Ricchezza mal disposta a povertàs'accosta. 8] Ricchezze nell'India, sapere in Europa, e pompa fra gli ottomani.8] Ricchi e poveri non portano che un lenzuolo all'altro mondo. 8] Ricco egrande fortuna potrà farti, ma mai il comune senso potrà darti. 4] Ricorda cheil nemico può diventarti amico. 8] Ride ben chi ride ultimo. 2] Ride ben chiride l'ultimo. 2] Roba calda il corpo non salda. 213] Roba d'altri, tuttiscaltri. 4] Roma, a chi nulla in cent'anni, a chi molto in tre dì. 8] Roma nonfu fatta in un giorno. 2] Roma santa, Aquila bella, Napoli galante. 214] Rossodi mattina, pioggia vicina. 215] Rosso di sera bel tempo si spera; rosso dimattina acqua vicina. 2] Rosso di sera, buon tempo si spera; rosso di mattinamal tempo si avvicina. 1] Rosso e giallaccio pare bello ad ogni faccia, verde eturchino si deve essere più che bellino. 216] Rovo, in buona terra covo. 169] SSalta chi può. 1] San Benedetto[66] la rondine sotto il tetto. 2] San Lorenzodalla gran calura. 2] San Pietro abbracciato, Cristo negato. 4] San Silvestro[31 dicembre] l'oliva nel canestro. 2] Sangue giovane sempre spavaldo. 8] Sassoche rotola non fa muschio. 47] Pietra che rotola non fa muschio. 2] Sbagliandos'impara. 1] Scalda più l'amore che mille fuochi. 8] Scherza coi fanti e lasciastare i Santi. 1] Scherzando intorno al lume che t'invita, farfalla perderail'ali e la vita. 65] Scherzo di mano, scherzo di villano. 1] Gioco di mano,gioco di villano. 1] Schiena di mulo, corso di barca, buon per chi n'accatta.8] Scusa non richiesta, accusa manifesta.[67] 217] Se ari male, peggiomieterai. 47] Se fossero buoni i nipoti non si leverebbero dalla vigna. 218] Segioventù sapesse, se vecchiaia potesse. 167] Se i gatti sapessero volare, lebeccacce sarebbero rare. 131] Se il coltivatore non è più forte della su' terraquesta finisce per divorarlo. 47] Se il ladro lasciasse il suo rubare, non cisarebbero più forche. 4] Se il giovane sapesse di quanto ha bisogno la vecchiaia,chiuderebbe spesso la borsa. 4] Se il padre di famiglia è miope, i servi sonociechi. 8] Se il piede destro è zoppo, Dio rafforza il sinistro. 8] Se il poetas'erige a oratore predicherà agli orecchi e non al cuore. 8] Se il primobottone hai fatto essere secondo, tutti sbagliati saranno da cima a fondo. 4]Se il re sputa sopra un abete si chiama subito abete reale. 4] Se il riccoconoscesse la fame del povero, gli darebbe del suo pane. 8] Se il ringraziarecostasse denaro, molti se lo terrebbero in tasca. 8] Se il tuo gatto è ladronon scacciarlo di casa. 8] Se il virtuoso è povero, il lodarlo non basta; ildovere primo è d'aiutarlo. 8] Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa sisentirebbe stridere. 8] Se le lattughe lasci in guardia alle oche, al ritornone troverai ben poche. 219] Se ne vanno gli amori e restano i dolori. 4] Senessuno sa quel che sai, a nulla serve il tuo sapere. 8] Se non è zuppa è panbagnato. 1] Se non hai mai rubato, la parola ladro non è per te un'ingiuria. 4]Se occhio non mira, cuor non sospira. 8] Se ognun spazzasse da casa sua, tuttala città sarebbe netta. 220] Se piovesse oro, la gente si stancherebbe araccoglierlo. 8] Se son rose fioriranno. 1] Se ti vuoi nutrire bene, faiballare i trentadue. 8] Se un fratello compie un omicidio, gli altri non sonoresponsabili. 4] Se vuoi che t'ami, fa' che ti brami. 8] Se vuoi portare l'uomoa incretinire, fallo ingelosire. 4] Segui il filo e troverai il gomitolo. 4]Senza denari non canta un cieco. 1] Senza denari non si canta messa. 1] Senzaumiltà tutte le virtù sono vizi. 8] Sempre ti graffierà chi nacque gatto. 8]Senza umanità non vi è né virtù, né vero coraggio, né gloria durevole. 8] Serend'inverno e nuvolo d'estate, non ti fidare. 4] Sette in un colpo! disse quelsarto che aveva ammazzato sette mosche. 8] [wellerismo] Settembre, l'uva èfatta e il fico pende. 16] Si bacia il fanciullo a causa della madre, e lamadre a causa del fanciullo. 4] Si deve alzare di buon'ora chi vuol contentarei suoi vicini. 8] Si dice il peccato, ma non il peccatore. 2] Si mantiene unesercito per mille giorni, e non se ne fa uso che per un momento. 4] Si parladel diavolo e spuntano le corna. 130] Si può conoscere la tua opinione dal tuosbadigliare. 8] Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.[68] Si stavameglio quando si stava peggio.[69] 2] Sia l'astrologo che l'indovina ti portanoalla rovina. 4] Sicuro come il pane. 4] Sin che si vive, s'impara sempre. 4]Sol gente di mal'affare, bestie e botte, van fuori di notte. 221] Son padrone delmondo oggi le donne e cedon toghe e spade a cuffie e gonne. 8] Sono megliocento beffe che un danno. 4] Sono sempre gli stracci che vanno all'aria. 1]Sopra l'albero caduto ognuno corre a fare legna. 4] Sopra ogni vino, il greco èdivino. 8] Sotto la neve pane, sotto l'acqua fame. 1] Spesso a chiaro mattino,v'è torbida sera. 222] Spesso chi commette un'ingiustizia, ne subisce unapeggiore. 4] Spesso vince più l'umiltà che il ferro. 8] Sposa bagnata sposafortunata. 223] Stretta la foglia, larga la via dite la vostra che ho detto lamia. 2] Larga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia. 2]Stringe più la camicia che la gonnella. 4] Studia non per sapere di più, ma persapere meglio degli altri. 224] Studio in gioventù, onore alla vecchiaia. 4]Sulla pelle della serpe nessuno guarda alle macchie. 8] Superbia povera spiaceanche al diavolo; umiltà ricca piace anche a Dio. 8] T T'annoia il tuo vicino?Prestagli uno zecchino. 4] Tagliare i capelli con la pentola. 225] Tagliarlimale. Tal lascia l'arrosto che poi brama il fumo. 4] Tale padre, talefiglio.[70] 2] Tanti galli a cantar non fa mai giorno. 1] Tanti idoli, tantitempli. 4] Tanti pochi fanno un assai. 226] Tanto fumo e poco arrosto. 2] Tantol'amore quanto il fuoco devono essere attizzati. 8] Tanto l'amore quanto laminestra di fagioli vogliono uno sfogo. 8] Tanto va la gatta al lardo che cilascia lo zampino. 1] Tempo chiaro e dolce a capodanno, assicura bel tempotutto l'anno. 8] Tenga bene a mente un bugiardo quando mente. 4] Tentar nonnuoce. 1] Terra assai, terra poca. 169] Terra bianca, tosto stanca. 227] Terracoltivata raccolta sperata. 2] Terra nera buon grano mena. 2] Testa dilucertola, collo di gru, gambe di ragno, pancia di vacca, groppa di baldracca.8] Testa di pazzo non incanutisce mai. 8] Tinca di maggio e luccio disettembre. 8] Tinca in camicia, luccio in pelliccia. 8] Tira più un pelo difica che cento paia di buoi. 2] Tira più un capello di donna che cento paia dibuoi. 8] Tolta la causa, cessato l'effetto. 8] Tondi l'agnello e lascia ilporcello. 8] Torinesi e Monferrini, pane, vino e tamburini. 8] Tra cani non simordono. 1] Tra i due litiganti il terzo gode. 1] Tra il dire e il fare c'è dimezzo il mare. 1] Tra l'incudine e il martello, mano non metta chi ha cervello.4] Tra moglie e marito non mettere il dito. 1] Tradimento piace assai, traditornon piace mai. 148] Trattar male il povero è il disonor del ricco. 8] Tre cosecacciano l'uomo di casa: fumo, goccia e femmina arrabbiata. 4] Tre cose fannol'uomo ammalato: amore, vino e bagno. 8] Tre cose simili: prete, avvocato emorte. Il prete toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e deltorto; e la morte vuole il debole e il forte. 142] Tre cose sono rare: un buonmelone, un buon amico e una buona moglie. 8] Tre sono le meraviglie, Napoli,Roma e la faccia tua. 228] Trenta monaci e un abate non farebbero bere un asinoper forza. 4] Triste e guai, chi crede troppo e chi non crede mai. 8] Tristequel cane che si lascia prendere la coda in mano. 8] Triste quell'estate, cheha saggina e rape. 8] Tromba di culo, sanità di corpo. 213] Troppa manna,nausea. 8] Troppa modestia è orgoglio mascherato. 8] Troppe soddisfazionitolgono ogni voglia. 8] Troppi cuochi guastano la cucina. 1] Troppo povero etroppo ricco fa ugual disgrazia. 8] Tu scherzi col tuo gatto e l'accarezzi, maso ben io qual fine avran quei vezzi. 8] Turchi e Tartari, flagelli dei popoli.229] Tutta la strada non fallisce il saggio che, accortosi a metà, corregge ilviaggio. 4] Tutte le cose sono difficili prima di diventar facili. 70] Tutte lestrade portano a Roma. 1] Tutte le volpi si ritrovano in pellicceria. 2] Tuttele volpi si rivedono in pellicceria. 2] Tutte le volte che si ride si toglie unchiodo dalla cassa. 230] Tutti del pazzo tronco abbiamo un ramo. 8] Tutti ifiumi vanno al mare. 1] Tutti i giorni sono buoni per andare a caccia. ma nonper prendere uccelli. 4] Tutti i guai son guai, ma il guaio senza pane è il piùgrosso. 1] Tutti i gusti son gusti. 1] Tutti i mestieri danno il pane. 231]Tutti i nodi vengono al pettine. 1] Tutti i peccati mortali sono femmine. 8]Tutti i salmi finiscono in gloria. 1] Tutti siamo figli di Adamo ed Eva. 190]Tutto ciò che dura a lungo annoia. 8] Tutto è bene quel che finisce bene.[71]1] Tutto il cervello non è in una testa. 4] Tutto il mondo è paese. Tuttoquello che è bianco non è farina. 4] Tutto s'accomoda fuorché l'osso del collo.31] U Uccellin che mette coda vuol mangiare a tutte l'ore. 2] Uccello raro hanido raro. 8] Ucci ucci, sento odor di cristianucci. 2] Umiltà e cortesiaadornano più di una veste tessuta d'oro. 8] Un bel tacer non fu maiscritto.[73] 2] Un'anima magnanima consulta le altre; un'anima volgaredisprezza i consigli. 8] Un'oncia di allegria vale più di una libbra di tristezza.232] Un'ora di contento sconta cent'anni di tormento. 233] Un abete non faforesta. 4] Un bell'abito è una lettera di raccomandazione. 4] Un buon abateloda sempre il suo convento. 4] Un buon principio va sempre a buon fine. 4] Uncattivo libro ha spesso un buon titolo, ed una fronte onesta, un cervelloribaldo. 4] Un cuor magnanimo vuol sempre il bene, anche se il premio mai nonottiene. 8] Un esercito senza generale è come un corpo senz'anima. 4] Un fidoamico, e ricchezze ben acquistate son due cose rare. 8] Un fratello aiutal'altro. 4] Un granello fa traboccare la bilancia. 4] Un granello di polvere fascoppiare tutta la bomba. 4] Un ladro non ruba sempre, ma bisogna guardarsi dalui. 4] Un lume è più presto spento che acceso. 4] Un male tira l'altro. 4] Unpadre campa cento figli e cento figli non campano un padre. 2] Un pazzo ne facento. 8] Un piccolo buco fa affondare un gran bastimento. Un povero virtuosoval più di un ricco vizioso. 8] Una bella barba e un cuor valente adornanol'uomo. 4] Una bella giornata non fa estate. 4] Una bella lacrima trovafacilmente un fazzoletto che la asciughi. 4] Una bugia ha bisogno di settebugie. 4] Una buona risata si trasforma tutta in buon sangue. 232] Una ciliegiatira l'altra. 2] Una cosa tira l'altra. 16] Una estate vale più di dieciinverni. 4] Una parola tira l'altra. 2] Una e buona. 16] Una ma buona. 16] Unafa, due stentano, ma a tre ci vuol la serva. 8] Una Fenice fra le donne èquella, che altra donna confessa essere bella. 8] Una mano lava l'altra e tuttee due lavano il viso. 1] Una mela al giorno leva il medico di torno. 2] Una nepaga cento. 1] Una ne paga tutte. 1] Una rondine non fa primavera. 1] Un fiorenon fa giardino. 4] Un fiore non fa primavera. 4] Una volta corre il cane e unavolta la lepre. 1] Una volta per uno non fa male a nessuno. 1] Uno semina,l'altro raccoglie. 72] Uno si fa la sorte da sé, l'altro la riceve bell'efatta. 8] Uomo a cavallo, sepoltura aperta. 2] Uomo avvisato mezzo salvato. 1]Uomo da nessuno invidiato, è uomo non fortunato. 4] Uomo di vino, non vale unquattrino. 8] Uomo morto non fa più guerra. 234] Uomo senza quattrini è unmorto che cammina. 2] Uomo solitario, o angelo o demone. 235] Uomo zelante,uomo amante. 4] L'uomo misero è un morto che cammina. 2] Uovo di un'ora, panedi un giorno, vino di un anno, donna di quindici e amici di trent'anni. 8] VVa' in piazza vedi e odi, torna a casa bevi e godi. 236] Va più di un asino almercato. 4] Val più un piacere da farsi che cento di quelli fatti. 8] Val piùuna messa in vita che cento in morte. 4] Vale più la pratica che la grammatica.1] Vale più un fatto che cento parole. 237] Vale più un gusto che un casale. 1]Vale più un testimone di vista che cento d'udito. 2] Vale più uno a fare. 16]Vanga e zappa non vuol digiuno. 47] Vanga piatta poco attacca, vanga rittaterra ricca, vanga sotto ricca il doppio. 2] Vecchi doni vogliono nuoviringraziamenti. 8] Vecchiaia d'aquila, giovinezza d'allodola. 4] Vedere e nontoccare è una cosa da crepare. 2] Vedere per credere. 238] Vento fresco marecrespo. 239] Ventre pieno non crede a digiuno. 16] Ventre vuoto non senteragioni. 16] Vesti un legno, pare un regno. 41] Vi sono dei matti savi, e deisavi matti. 8] Vicino alla chiesa lontano da Dio. 2] Vicino alla serpe c'è ilbiacco. 8] Vigna nel sasso e orto in terren grasso. 240] Vincere un ambo allotto è un malefizio, che più accresce la speranza al vizio. 8] Vino amaro,tienilo caro. 8] Vino battezzato non vale un fiato. 8] Vino battezzato, non vaal palato. 8] Vino dentro, senno fuori. 8] Vino di fiasco la sera buono e lamattina guasto. 8] Vino e sdegno fan palese ogni disegno. 8] Vino non è buonoche non rallegra l'uomo. 8] Violenza non dura a lungo. 241] Vivi e lasciavivere. 1] Vizio di natura fino alla fossa dura. 2] Vizio di natura, fino allamorte dura. 242] Voglia di lavorar saltami addosso, lavora tu per me che io nonposso. 243] Voglio piuttosto un asino che mi porti, che un cavallo che mi gettiin terra. 4] Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange, malizie sopraffinecolle frange. 4] Note Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. vocededicata su Wikipedia. Cfr. Matteo, 6, 34. La locuzione latinagutta cavat lapidem (letteralmente "la goccia perfora la pietra")venne utilizzata da Tito Lucrezio Caro, Publio Ovidio Nasone e Albio Tibullo.Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia.Titolo di un'opera di Achille Campanile del 1930, passato a proverbio e modo didire comune. Cfr. Petrarca: «La vita el fin, e 'l dí loda la sera».Cfr. Giacomo Leopardi: «Amore, | amor, di nostra vita ultimo inganno, |t'abbandonava». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicatasu Wikipedia. Cfr. Giovanni Verga, I Malavoglia. Sloganpubblicitario degli anni Ottanta. Cfr. Gesù, Discorso della Montagna:«Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve,e chi cerca trova». Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rimetti la spadanel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno dispada». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata suWikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Citato in GiovanniBattista Rossi, Conferenze popolari per gli uomini nel tempo degli esercizispirituali, Tappi, Torino, Citato nel film Riso amaro. Citato inDizionario Italiano Olivetti, dizionario-italiano.it. Cfr. voce dedicatasu Wikipedia. Cfr. Libro di Osea: «E poiché hanno seminato vento |raccoglieranno tempesta». Cfr. attribuite a Papa Bonifacio VIII: «Quitacet, consentire videtur». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr.voce dedicata. Cfr. Cristoforo Poggiali, Proverbj, motti e sentenze aduso ed istruzione del popolo: Chi dà a credenza, molte merci spaccia; | Ma unpresto fallimento si procaccia». Cfr. Appio Claudio Cieco, Sententiae:«Quisque faber fortunae suae.» Cfr. voce dedicata. La frase èattribuita (MACHIAVELLO MACHIAVELLI (si veda0, Istorie fiorentine, II, 3;Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 38) a Mosca dei Lamberti che a Firenze,convinse così gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti; dal delittonacquero le fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Citato anche nella DivinaCommedia di Dante Alighieri (Inferno): Gridò: "Ricordera' ti anche delMosca, | che disse, lasso!, 'Capo ha cosa fatta', | che fu mal seme per lagente tosca". È possibile che Mosca dei Lamberti adattò al momento unproverbio già noto ai suoi tempi (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli,1921); secondo l'Accademia della Crusca (Dizionario della lingua italiana)corrisponderebbe al latino «Factum infectum fieri nequit». Cfr. Gesù,Vangelo secondo Matteo: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dioquel che è di Dio». Cfr. vocededicata. Cfr. voce dedicata. Cfr. Philippe Néricault Destouches,Le Glorieux, atto II, scena V: «La critique est aisée, et l'art estdifficile.». Cfr. «Facta lex inventa fraus.» Cfr. vocededicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Riferitoall'uso di numeri civici di colore nero per le abitazioni e rosso per gliesercizi commerciali. Cfr. Michail Aleksandrovič Bakunin: «Il caffè, peresser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l'amore e caldo comel'inferno». Cfr. Blaise Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che laragione non conosce». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Nei dialettisiciliani e nel napoletano l'arancia viene chiamata portogallo. Laspiegazione è in Strafforello. Cfr. voce dedicata suWikipedia.Veste da lavoro usata, specialmente in Toscana, da contadini eoperai. Cfr. voce dedicata su Wikipedia.Cfr. voce dedicata suWikipedia.Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata suWikipedia.Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. vocededicata. Cfr. voce dedicata. Cfr. Ippocrate: «La vita è breve,l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio èdifficile». Citato in Dizionario Italiano, dizionario-italiano.it.Cfr. voce dedicata Cfr. voce dedicata. itato in Dizionario ItalianoOlivetti. Cfr. Gesù, Vangelo secondo Luca: «Nessun profeta è ben accettoin patria». Cfr. Etica della reciprocità. Cfr. anche Salvator Rosa,iscrizione riportato su un autoritratto: «Aut tace | aut loquere meliora |silentio.». Questo detto, ripreso dal Libro dell'Esodo («occhio perocchio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura perbruciatura, ferita per ferita, livido per livido»), è chiamato Legge deltaglione. Il proverbio compare in una novella del Decameron di GiovanniBoccaccio (la quarta della prima giornata). Cfr. Focus storia in tale giorno laChiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù (Luca),popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno sibenedicono le candele, simbolo di Cristo. La festa è anche detta dellaPurificazione di Maria, perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerataimpura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di unmaschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto40 giorni dopo il 25 dicembre. Cfr. voce dedicata su Wikipedia.Citato in Vocabolario degli accademici della Crusca, Tipografia Galileiana diM. Cellini e c., Firenze, Una leggenda simile esiste anche in Giappone: idemoni-volpe (le kitsune) preferirebbero celebrare i loro matrimoni sotto lapioggia mentre splende il sole; il regista Akira Kurosawa ne prese spunto peril primo episodio (Raggi di sole nella pioggia) del film Sogni prima dellariforma del calendario liturgico Cfr. Proverbio latino medievale: Excusatio nonpetita, accusatio manifesta. Citato in Macfarlane, Attribuita a FrancescoDomenico Guerrazzi. Cfr. Libro di Ezechiele: «Ecco, ogni esperto diproverbi dovrà dire questo proverbio a tuo riguardo: Quale la madre, tale lafiglia». Titolo di una commedia di Shakespeare. Cfr. PetronioArbitro, Satyricon, Cfr. Badoer: «Un bel tacer | mai scritto fu». FontiCitato ne Il nuovo Zingarelli. Citato in Lapucci. Citato in CarloVolpini, proverbi sul cavallo, Cisalpino-Goliardica, Citato in Donato.Citato in Max Pfister, Lessico etimologico italiano, Reichert, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Selene. Citato in MarinoFerrini, I proverbi dei nonni, Il Leccio, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Vocabolario della linguaitaliana. Citato in Schwamenthal, Citato in Macfarlane, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, § 235. Citato in Schwamenthal, Citatoin Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Castagna Citato in Schwamenthal, Citato in VezioMelegari, Manuale della barzelletta, Mondadori, Milano, Citato in Macfarlane,p. 352. Citato in Francesco Protonotari, Nuova antologia di scienze,lettere ed arti, volume settimo, Direzione della nuova antologia, Firenze,Citato in Grisi, Citato in Daniela Schembri Volpe, 101 perché sulla storia diTorino che non puoi non sapere, Newton Compton Editori, Citato in Pescetti,Citato in Grisi, Citato in Paronuzzi, Citato in Schwamenthal, Citato in GiulioFranceschi, Proverbi e modi proverbiali italiani, Hoepli, Citato in Macfarlane,Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Volpini, Citato in Francesco Picchianti, Proverbiitaliani, A. Salani, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Castagna Citato in Grisi,Citato in Schwamenthal, Citato in Augusto Arthaber, Dizionario comparato diproverbi e modi proverbiali, Hoepli, Citato in Macfarlane, Citato in TemistocleFranceschi, Atlante paremiologico italiano, Edizioni dell'Orso, Citato inMacfarlane, Citato in Schwamenthal, § 1066. Citato in Grisi, Citato inMacfarlane, Citato in Amadeus Voldben, Il giardino della saggezza, AmedeoRotondi, Citato in Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini, Dizionario della linguaitaliana, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Citato in Macfarlane, Citato inGrisi, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in GiuseppeFumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Citato in Grisi, Citato in Macfarlane. Citatoin Schwamenthal, Citato in EmanuelStrauss, Concise Dictionary of European Proverbs, Routledge, Citato inMacfarlane, Citato in Giuseppe Giusti, Dizionario dei proverbi italiani.Citato in Macfarlane, p. 364. Citato in Macfarlane, Citato in Macfarlane,Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citatoin Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Filippo Moisè, Storia della Toscana dalla fondazione diFirenze fino ai nostri giorni, V. Batelli e compagni, Citato in Schwamenthal,Citato in Macfarlane, Citato in Macfarlane, Citato in Schwamenthal, Citato inAlfani, Citato in Macfarlane, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, §2034. Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in CastagnaCitato in Schwamenthal, Citato in Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, IlGrande dizionario dei proverbi italiani, Zanichelli, Citato in Schwamenthal, Citatoin Grisi, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in ValterBoggione, Chi dice donna, POMBA, Citato in Schwamenthal. Citato in SalvatoreBattaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, VII Grav - Ing, UnioneTipografico-Editrice Torinese, Torino, Citato in Macfarlane, Citato in Grisi,Citato in Donalda Feroldi, Elena Dal Pra, Dizionario analogico della linguaitaliana, Zanichelli, Bologna, Citato in Giuseppe Pittàno, Frase fatta capo ha.Dizionario dei modi di dire, proverbi e locuzioni, Zanichelli,Citato inSchwamenthal, Citato in Piero Angela, Ti amerò per sempre: La scienzadell'amore, Mondadori, Milano, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal,Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Macfarlane, Citato inMacfarlane, Citato in Florio, lettera G. Citato in Gutta cavat lapidem.Indagini fraseologiche e paremiologiche, a cura di Elena Dal Maso, CarmenNavarro, Universitas Studiorum, Mantova, Citato in Gustavo Strafforello, Lasapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi, A.F. Negro,Citato in Paronuzzi, Citato in Silvia Merialdo, Genova. Una guida, OdòsLibreria Editrice, Udine, Citato in Castagna Citato in Macfarlane, Citato inCastagna Citato in Schwamenthal, Citato in Anna Fata, Lo zen e l'arte dicucinare, Edizioni Il Punto d'Incontro, Vicenza, Citato in Salvatore Battaglia,Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, UnioneTipografico-Editrice Torinese, Torino, Citato in Macfarlane, p. 389.Citato in Dizionario di Italiano, corriere.it, diavolo. Citato inParonuzzi, Citato in Roberto Allegri, 1001 cose da sapere e da fare con il tuogatto, Newton Compton, Roma, Citato in Brigitte Bulard-Cordeau, Il piccololibro dei gatti, traduzione di Giovanni Zucca, Fabbri Editori, Milano, Citatoin Schwamenthal, Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal, Citato in Castagna Citatoin Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, § 4058. Citato in Schwamenthal, Citatoin Macfarlane, Citato in Strafforello, Citato in Grisi, Citato in Volpini,Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Castagna Citato inMacfarlane, Citato in Schwamenthal, Citato in Paola Guazzotti, Maria FedericaOddera, Il grande dizionario dei proverbi italiani, in riga edizioni, Bologna,Citato in Schwamenthal, Citato in Paolo De Nardis, L'invidia. Un rompicapo perle scienze sociali, Meltemi Citato in Schwamenthal, Citato in Macfarlane,Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citatoin Grisi, p. 130. Citato in Luigi Pozzoli, Sul respiro di Dio. Commentoalle letture festive. Anno B, Paoline, Milano, Citato in Schwamenthal, Citatoin Grisi, Citato in Grisi, Citato in Macfarlane, Citato in Grisi, Citato inMacfarlane, Citato in Schwamenthal, Citato in Ann H. Swenson, Proverbi e modiproverbiali, Nerbini, Citato in Grisi, p. 109. Citato in UgoRossi-Ferrini, Proverbi agricoli, I Fermenti, Citato in Grisi, Citato inSchwamenthal, Citato in Castagna Citato in Carlo Giuseppe Sisti, Agricolturapratica della Lombardia, Milano, Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Florio, lettera N. Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, § 3630. Citatoin Castagna Citato in Paronuzzi, Citato in Schwamenthal, Citato in Pescetti,Anche in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, Parenesi emassime, 29. Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato inGrisi, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Grisi, Citatoin Schwamenthal, Citato in Macfarlane, p. 310. Citato in Schwamenthal,Citato in Alfani, Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Lascienza pratica: dizionario di proverbi e sentenze che a utile sociale raccolseil padre Lorenzo da Volturino, Quaracchi: Tipografia del Collegio diS.Bonaventura, Firenze, Citato in Focus storia Citato in Schwamenthal, §4306. Citato in Schwamenthal, Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal,Citato in Schwamenthal, Citato in Piero Angela, A cosa serve la politica?,Mondadori, Milano, Citato in Schwamenthal, Citato in Macfarlane, Citato inSchwamenthal, Citato in Macfarlane, Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal, §4698. Citato in Schwamenthal, Citato in Macfarlane, Citato in Pescetti,Citato in Schwamenthal, Citato in Augusta Forconi, Le parole del corpo. Modi didire, frasi proverbiali, proverbi antichi e moderni del corpo umano, SugarCo,Citato in Castagna Citato in Castagna Citato in Castagna Citato inSchwamenthal, Citato in Castagna Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal,Citato in Schwamenthal, Citato in Grisi, Citato in Schwamenthal, Citato inGrisi, Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana,Orad - Pere, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Castagna Citato in GustavoStrafforello, La sapienza del mondo, ovvero, Dizionario universale deiproverbi, Negro, Citato in Schwamenthal, § 5620. Citato in Schwamenthal,Citato in Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi. Dall'antica saggezzapopolare detti e massime per ogni occasione, Piemme, Citato in Gluski,Proverbs. Proverbes. Sprichworter. Proverbi. Proverbios.Poslovitsy. A comparative book of English, French, German, Italian, Spanish andRussian proverbs with a Latin appendix, Elsevier Citato in Schwamenthal, Citatoin Macfarlane, p. 267. Citato in Novo vocabolario della linguaitaliana, coi tipi di M. Cellini e C., Citato in Schwamenthal, Citato inSchwamenthal, Citato in Schwamenthal, Citato in Castagna Citato in Macfarlane,Citato in Schwamenthal, Citato in Schwamenthal, § 5932. Bibliografia AugustoAlfani, Proverbi e modi proverbiali, Tipografia e Libreria Salesiana, Torino,1882. Niccola Castagna, Proverbi italiani, Antonio Metitiero, Napoli, Castagna,Proverbi italiani, pe' tipi del Commend. Gaetano Nobile, Napoli, Donato, GianniPalitta, Dizionario dei proverbi, L.I.BER. progetti editoriali, Genova, 1998.John Florio, Giardino di ricreatione, appresso Thomaso Woodcock, Londra, Grisi,Il grande libro dei proverbi, Piemme, Lapucci, Dizionario dei proverbiitaliani, Mondadori, Macfarlane, The Little Giant Encyclopedia of Proverbs,Sterling, New York, Paronuzzi, José e Renzo Kollmann, Non dire gatto..., ÀncoraEditrice, Milano, Pescetti, Proverbi italiani. Raccolti, e ridotti sotto acerti capi, e luoghi comuni per ordine d'alfabeto, Compagnia degli Aspiranti,Verona, Schwamenthal e Straniero, Dizionario dei proverbi italiani edialettali, Selene, Dizionario dei proverbi, Pan libri, Volpini, proverbi sulcavallo, Ulrico Hoepli, Milano, Il nuovo Zingarelli, Zanichelli, Zingarelli,Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli Editore, Bologna, Strafforello,La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi di tutti ipopoli,, vol. III, Augusto Federico Negro, Torino, stampa Voci correlate Modidi dire italiani Scioglilingua italiani Categoria: Proverbi dell'Italia. Massimo Baldini. Keywords: linguaggio,Campanellese, lingua utopica, fantaparola – phanta-parabola, il proverbioitaliano, amici, implicatura proverbiale, proverbi romani, proverbi italiani,lezioni di filosofia del linguaggio, con D. Antiseri, indice, grice – filosofiaanalica, parte I: filosofia analitica Austin e Grice, parte II tipi dilinguaggio. baldini — implicaturaproverbiale — i amici — das mystisch — filosofia italiana della moda maschileitaliana — haircuts — journalese — journal of the Royal Association ofPhilosophy — lingua utopica — Campanellese — Empedocle filosofo poeta —Lucrezio filosofo poeta — Parmenide filosofo poeta — Eraclito l’oscuro —vallisneri — fantaparola — gargarismo — trabocchetta — rumore — ingorgo —aforismo — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldini” – The Swimming-PoolLibrary. Baldini.
Luigi Speranza -- Gricee Baldinotti: all’isola – la scuola di Palermo -- filosofia italiana – filosofiasiciliana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofosiciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Baldinotti;Speranza thinks he is a Griceian, just to oppose to the Italian received viewthat he is Lockeian! But I say, he is MORE than either! Baldinotti can quotefrom Rousseau, and the French authorsthat Locke never cared about! And most importantly, he can SIMPLIFY and neednot appeal to Anglo-Saxonisms as Locke does (what does it mean that a ‘word’STANDS for ‘an idea’?” --.” Grice: “In fact, as Speranza showed at Oxford, onecan organize a tutorial on the philosophy of language (he won’t though – hehardly organises!) just usingBalidonotti’s rough Latin of first chapter of ‘De vocibus’!” “All the material I rely on in my Oxford 1948talk on ‘meaning’ for the Philosophical Society can be found there: ‘vox’significat affectus animae artificialiter, lachrymal significat affectum animaenaturaliter --.” Grice:“Unless she is a crocodile, as Speranza remarks!” Tutore di metafisica nelginnasio di Mantova, pavia, padova. Altre saggi: “Derecta humanae mentis institutione”; Historiae philosphica prima, etexpeditissima adumbratio, Operationum mentis analysis . De elementis humanarumcognitionum -- de perceptione et ideas, earumque adnexis -- de idearumaffectionibus, et in primis de realitate, abstractione, universalitate earumdem-- de simplicitate, compositione, relatione idearum -- de idearum clartitate,et distinctione, veritate, et perfectione, DE VOCIBUS, DE SYNONIMIS, ETINVERSIONIBUS, DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM, ET IDEARUM IFLUXU, DEUSU, ET ABUSU VERBORUM, DE VERBORUM INTERPRETATIONE, DE MULTIPLICITI SCRIBENDIRATIONE. De humana cognition. Humana cognitionis analysis, de PROPOSITIONIBUS-- de gradibus humana cognitionis --De cognitione probabili --Decognitionum realitate --De extensione humanarum cognitionum --Deimpedimentis humanarum cognitionum -- de humanarum cognitionum instrumentis--De mentis magnitudine, et perspicacitate augenda --Deanalysi, et definitione -- de ratiocinio et demonstratione --De nonnullisargumentorum generibus --De inductione et analogia --De methodogeneratim --De methodo analytica --De methodo synthetica --Deprincipiis -- De hypothesibus --De ratione coniectandi probabilia--De fontibus humanarum cognitionum -- de conscientia -- de ratione--De concursu rationis, et revelationis--De sensibus, dequerecto eorum usu --De cognitionibus, et erroribus sensuum --Deobservatione, et experientia -- de auctoritate--De testibusoculatis, et auritis -- De traditione et monumentis --De historia--De librorum authenticitate,sinceritate, suppositione, interpolatione,corruptione, et de interpretationibus -- de arte hermeneutica -- “Tentamen”;“De metaphysca generali liber unicum” De existente et possibili, et deiis, quae qua tenus taleest, ad utrumque pertinent -- De identitate, similitudine, distinctione -- Decomposito, simplici, uno -- De infinito. De spatio. De tempore. De causa. Denon nullis impropriis causarum generibus. De Kantii philosophandi ratione etplacitis, ut ad metaphysicam generalem referuntur. S. Gori Savellini,Cesare B. in "Dizionario Biografico degli Italiani", Istitutodell'Enciclpopedia Italiana, Roma. Troilo, Un maestro di Rosmini a Padova,Cesare B. in: "Memorie e documenti per la storia della Padova",Padova. Cesare B., Dizionario biografico degli italiani, Istitutodell'Enciclopedia Italiana. DEVOCIBUS.Voces nostrum studium,et operam expostulare,fuit iam suo locoobservatum.Quae cum sint idearum nostrarum signa, horum tradenda prima divisioest', qua in naturalia, et artifi cialia distinguuntur. Signum naturale cum resignificata habet nexum ex eius natura derivatum; artificiale vero ex hominuminstitutione, et arbitrio aliquam rem significat: lacrymae sunt doloris signumnaturale, voces signum idearum artificiale.Non erit porro alienum denaturalibus signis advertere, homines non raro ad errorem trahi, dum exillisrem significatam inferunt: sunt enim haec signa, vel effectus, quicaussas, vel caussae quae effectus indicant,ut in signis rerum futurarum. Iidemautem effectus nunc ab una,nunc ab alia caussa oriun tur;neceadem caussa eosdemsemper effectusgignit; sed multa sunt, quae causarum actionem determinant,suspendunt, et etiam omnino mutant. Non igitur necessario, et semper SIGNUMNATURALE rem certam innuit; sed a multi spendet, quod eo una potius,quam aliaostendatur. SIGNA AFFECTUUM ANIMI SUNT NATURALIA. Eos tamen non semperdenotant,et ille in perpetuo errore versaretur, qui de affectibus ex eorumsignis statueret. Sed ad voces revertamur, quarum origo, indoles, vis, in ideaset mentis operationes, influxus, usus, abusus, interpretatio leviterattingenda. Quin imo Reid Rech. sur. l'Entend. arbitratur, eas, quas dicimuscausas, esse tantum RERUM SIGNA.Videmus dumtaxat, quae dam hunc inter se nexumhabere, ut si unum praecedat, aliud illico subsequatur. Id tantum statuerepossumus; non vero in eo, quod prae cedit respectu illius, quod subsequitur,causalitatem, ut aiunt, inesse, cum haec nullaratione ostendatur.Intereas quae non prorsus inutiliter attinguntur, commemorari possunt potissimumnominum divisiones, ad quarum normam nomen in enunciatione, vel est subiectumde quo aliquid effertur, vel est praedicatum quod effertur, vel est concretum,remque significat cum sua forma, vel est ab. Voces INSTITUTIONIS esse signanempe ARTIFICIALIA, nec necessarium habereNEXUM CUM REBUS, ad evidentiamprobantmuti, et linguarum varietas. Nam si haberent, organo tantum vocisimpedito, sermonis nullus esset usus, et quae apud omnes eadem sunt, iisdemetiam nominibus appellarentum. Mira autem est non rerum, sed verborum diversitas; etmuti sunt ii, qui surditat elaborant. Nunc vero videamus, an facultates humanaevocibus AD RES SIGNIFICANDAS INSTITUENDIS sint pares. An videlicet possinthomines linguam aliquam condere. Animi affectus, sensusque vividi doloris etvoluptatis naturalibus quibusdam signis coniunguntur, iisdemque manifestantur:homines haec facile possunt artificialia reddere, sinempe observent affectus,quos indicant, nec ea tantum edant impellente natura, sed consulto, ut quaeexperiuntur, ceteris manifestent. Quae signa clamoribus non articulatis, habituvultus, et gestibus continentur, atque actionis, quam vocant, linguamconficiunt. Usu autem constat facilem, expeditamsecretam idearum COMMUNICATIONEM hac lingua non obtineri, distantia, etinterposito corpore impediri. Sensim igitur ab ea recedere coguntur homines, adeamque feruntur, quae vocis distinctionibus pititur. Hanc ut instituantclamores naturales in primis pro stractum solamque formam exprimit, vel estcategorematicum quod solum et per se aliquid notat, vel est syncatagorematicumquod ab alio avulsum nihil certi repraesentat, vel categoricum quod rem categoriacomprehensam obiicit. Sed de his satis, sapiens est non qui multa, sed qui utilia novit. NegatLamy in Trat. de Ar. log.; et Rousseau disc. sur. l’ineg. parmi les Hom. parumabesse censet, quin demonstratum sit, fieri numquam posse, ut lingua ulla suamab hominibus originem habeat. Itaetiam A. Encycl. A. lang. His e diametro se se oppouunt Epicurei, quorum hacsuper re doctrinam LUCREZIO (si veda) de Nat. rerum exposuit. Diodorus Siculus Bibl.quod nobis possibile, et hypotheticum est, factum habet, omnesque linguashumanum fuisse inventum putat. Nuperrime in Diss. de ling. orig. ab A. Berol.an. praemio donata Herder contendit linguas in universum non divinae, sedhumanae prorsus esse institutionis. De hac lingua V. Condil. Gram. Sinensiumlingua hanc videtur originem habuisse, ea constat ex monosyllabis., quaepronunciationo variata otficiunt SIGNA, (V. Condil.-- trahunt, et simuliungunt, rerum etiam externarum sonos referunt, et imitantur, unde vocesoriuntur, quae elevatione et depressione multum distantes aliquo modo gestuumet clamorum vim exprimunt. Atque ita verborum dstinctioni consultum, quantum patiturvocis et auditus organum rude adhuc et inexercitatum. Subtilius, qui haecdisputant, quorum etiam aures delicatiores, similitudinem quamdam inveniuntinter impressionem a rebus, et a verbis excitatam. Eamque prolatis ex. gr.vocibus "crux", "mel", "vepres","furens", "turbidus", "languidus" distinctesentiunt. Hinc multae voces. Multae etiam facultate, qua pollemus, permetaphoras sive transferentiam omnia explicandi, et associandi insensibilesideas sensibilibus. Revera verba, quae res insensibiles referunt, metaphoricasive transrelata omnino sunt. Perpetuoautem usu nomina propria evasere, et vetustate multorum etymologia sensibilisita evanuit, ut res pror sus in sua SPIRITUALITATE relinquant. Quin immo eademverba solum confugiendo ad metaphoras sive transferentiam poterant fabricari.Externa namque forma carent, etsono res insensibiles, unde earum no minadesumantur. Ac certe perimagines solum et similitudines id, quod experimur, aliis, qui illud ipsum nonexperiuntur, possumus explicare. Traité des connois. hum.) Alii monosyllabaSinensium numerant. Freret sur la lang, des Chin., et signa inde componunt54509. et 80000. Haec loquendi ratio supponit iudicium aurium subtilissimum.SOAVE (si veda), Compendio di Lock. Ap. al c.I. Hoc facile sibi suadeatquisquis rerum, quae sonorae sunt, nomina advertat ex gr. "ululare","hinnire", "sibilus", "tonitrus","stridor", "murmur". Observat Warburthon Ess. sus lesHierogl. actionis lingua, inventis iam vocibus, homines usos fuisse, Orientalespraesertim, quorum alacritas, et imaginatio vehemens hunc exitum etiamrequirit. Atque exempla permulta ex historia tum sacra, tum profana hanc in remprofert. Ut recte nomina rebus IMPOSITA sint, quamdam esse debere rerum, etnominum convenientiam ex ipsa earumdem rerum natura ortam in Cratylo contenditPlato. Sunt enim, ait ipse, nomina IMITAMENTUM, quemadmodum etiam pictura, etqui rei speciem in litieras, ac syllabas referre nonnovit, is ineptus nominumopifexest. Erecentioribus Ioannes Baptista Vico, principii d'una scienza ec.,de similitudine verborum cum forma rerum multis disseruit. Horum nominumexempla sint cogitatio, voluntas, desiderium, aliaque huiusmodi. V. Traité dela Formation mechan. etc. Ch.XII. Quod vero homines, ut boc aliisquemodis ad sermonem formandum aptisutantur, fortius incitat, indigentia est,maxima rerum omnium magistra. Sermonis etiam utilitas, atque necessitas vixpaucis inventis vocibus sub oculos posita. Hinc multi conatus, ut verborumnumerus augeatur, quos felices reddit cognitionum, et idearum COMMERCIUMhomines inter initum. Haec enim se mutuo fovent, et,ut verba commercium illudamplificant, ita ex commercio novae vires additae, et nova suppeditataistrumenta, quibus ars faciendorum et deligendorum verborum perficiatur. Necvero sunt verba hominum opus, in quo ipsi nihil aliud, quam arbitrium rectesequantur. Est enim illa analogia im pressionis, etsoni imitatio, quam pulcherrime in fingendis vocibus sequimur. Est forma, etaffectio orgaai vo eis, a qua earumdem elementa, literae praesertim vocalesdeterminantnr. Sunt denique derivata, et voces artium, et technicae in hominumlibertate haud repositae, cum illae derivationis naturam imitentur. Hac verovim, et EFFECTUS RERUM SIGNIFICENT significent. Duo sunt, quae videntur iamasserta impugnare. Primum scilicet sermonis institutionem requirere, ut designificatu verborum conveniatur. Conveniri autem inter eos non posse, qui omnisermone destituti sunt. Quasi vero nulla alia praeter voces ratio suppetat. Quaexplicetur quid ipsae SIGNIFICENT Percipi enim id. Modum transferendi verbanecessitas genuit inopia coactaet augustiis, post autem delectatioiucunditasque celebravit. Cic. de Orat. III. 38. Notat et illuminat marimeorationem tamquem stellis qui. busdam verbum translatum Idem ib. 48. Hucfaciunt quae de linguarum analogia subtiliter disserunt Valcke naerius inobservatt. academicis, Lennep inpraelett. academicis et Scheidius in orat. delinguarum analogia ex analogicis mentis actionibus probata. Sed est etiam undemoveantur homines ad res alias per multas metaphorice appellandas, eas scilicetquas primum obscure, et confuse percipiunt. Et enim has meditando earum quamdamsimilitudinem cum aliis distincte perceptis intelligunt, quorum proinde nominaad illa transferunt. Atque in hoc mirifice dele ctantur luce, quae ex rebus claris, etdistinctis in alias obscuras, et confusas diffunditur. potest excircumstantiis, in quibus adhibentur, et ex gestibus, qui pronunciatisnominibus res indicarent. Ineamdem etiam rem conferet illa imitatio, atque similitudo. Aliud vero erathuiusmodi. Summis virisdifficultas maxima se semper obiecit in linguis ornandis, et perficiendis. Quiergo fieri potuit, ut homines plane rudes, atque ferini, communione scilicetcum aliis non exculti ex integro sermonem con dant? Fieri istud quidem non posset, si de perfecto sermonecontenderetur, in quo non tantum apte expressa, quae ad necessitatem pertinent,sed etiam, quae ad cultum vitae, et oblectationem. In quo multae orationis partes,multae leges syntaxis, et inflexionum, multa denique, ut numerus, et varietasobtineatur. Haec sermoni non absolute necessaria sunt, et vix nomina, utaiunt,substantiva, et signum aliquod numquam variatum ad verbum auxiliare sumexprimendum. Quae quidem hominis licet sylvestris facultates non superant.Multa in qualibet lingua videntur esse synonima, voces scilicet, quae unam,eamdemque ideam referunt. Dubitariautem iure potest, an revera sint. Quin potius statuerem ea, quae di cuntursynonima, eamdem ideam principalem reddere, accessoria vero differre plerumque.Atque hoc modo interse differunt "amo", et "diligo"; "peto", et"postulo", "timeo", et "vereor" Condill. Gram.Traité de la form. mechan. du langage; Condillac Traité des connois. hum.; Grammaire,Maupertuis Diss.sur les moyens etc. pour exprimer leurs idées; Sulzer del'influence recipr. de la raison, etc. extat in Ac. Ber. et Vol. IV. opusc.Select. Mediol. Soave Comp. etc. Ap. al C.I. Receptum apud logicos novimus, utnomina tribuant in synonima, quae secundum unam eamdem que rationem de pluribususurpantur, et in homonyma quae rationem naturamque diversam in iisSIGNIFICANT, de quibus adhibentur, Iam vero homonyma alia dicuntur casu etcitra rationem ac temere im. Synonimastricto sensu accepta, quae nulla idea accessoria differrent, linguae vitiumindicarent. D'Alemb. Elem. dePhil. XIII. Hac de re notandum est, vocibus duplicem illam ideam subesse.Et, ut praeteream exempla, quis est, qui non noverit, vocabula quaeque loco, ettempori, et generi s u scepto orationis non convenire? Quod profecto maxime oritur ex idea accessoria, quaenon solum verba eamdem principalem exprimentia distinguit, sed eorum etiamopportunitatem deter minat. Quae ergo synonima habentur, ea profecto non iure; namquediscrepant accessoriis illis ideis, quae rerum diversos aspectus, gradus, etrelationes, et adiuncta exprimunt. Imperiti haec apprime synonima reputant,quorum levia discrimina lin guarum cultores notant. In eo frequenter peccant exlexicis pene omnia, quae adolescentes, misere decipiunt. Duplex distinguitur ordoverborum, et conformatio, naturalis, et artificialis; seu inversa. Porro quemordinem habent ideae, idem etiam verborum est: ordo autem idearum, fertur admodum, quo in mente sibi succedunt, vel ad earum dependentiam mutuam,ex quafit, utaliaealias regant, et explicent, aliae explicentur, atque regantur. Si primum, ordo, quo exprimuntur ideae, naturaliserit, quando idem, ac ille, qui in earum successione servatur. Qui quidem in singulis diversusest. Si secundum, ut ordo sit naturalis, quae alias regunt, vel ab aliisexplicantur praemittendae sunt. Quae reguntur, et alias explicant postponendae.Secus erit artificialis, seu inversus. Sed unde oritur, quod ordo inversusorationi vim addat,et siteius quasi lumen quoddam nosque voluptate perfundat?Scilicet posita, et alia dicuntur ratione, quod rebus tribuantur aliqua interse similitudine cohaerentibus. Posteriora haec aptius vocantur analoga, siveattributionis, quum uni quidem rei primario conveniunt, reliquis secundario,sive proportionis,quae pluribus rebus propter proportionem aliquamaccommodantur. Ex hoc fonte methaphorae pleraeque omnesdimanant.Nonnullarum rerum, atque actionum voces quaedam ex ideis hisce accessoriisinhonestae, et turpes evadunt; quae ideae si in aliis vocibus omittantur, velmutentur,nulla amplius est turpitudo. Unde fit, quod eae. dem res, etverecunde,etobscoene dicifpossint,etquod ea,quae turpia re non sunt, nominibus, ac verbisflagitiosa ducamus. vel re. D'Alembert loc. cit. Traité de la form. mech. dulang. ch. IX n.161. quia eum, quem Rethores MODUM appellant, et numerumparit; quia imaginationem exercet;quia ideas nimis disiunctas coniungit. Reveravoces ordine inverso positas ad se mutuo referi m u s, ut postulat idearumratio. Atque si in periodo multae sint ideae, quae a quadam principalipendeant,et exiis aliquaehuic praeponantur, postponantur vero aliae, arctius omnes cumea coniunguntur. In quo nexu illud praesertimadmirabile,quod uno verbo ad integram sententiam animus revocetur. ET IDEARUMINFLUXU. Varietatem linguarum,et nos ad confusionem Babylonicam referimus:simul autem liceat statuere,ex diverso hominum ingenio, et indole,eorumqueexternis circumstantiis oriri potuisse, et magna ex parte ortum esse,utsingulae suum -co lorem habeant. Ac ex confusione illa vocum origines potius,quam ipsaelinguae;quae perfici sensim debuerunt,etaugeri verborum copia, atquesyntaxi, et inflexionibus moderari. Non una autem in hoc fuit omnium gentiumratio, quod multis causis tum physicis, cum moralibus tribuendum est. Atqueinter eas recenserem caeli temperiem, non eamdem ubique faciem naturae, rerumaspectus multiplices, diversas opiniones sive ad civitatem sive ad religionempertinentes, regiminis formam, educationem, mores denique et studia. Reverasermonis vis, copia,et harmonia, et inflexio nationum exprimitcharacterem,ingenium,atque culturam;ac eadem linguarum, et gentium fuere semperfata, et vicissitu dines. QUOD IN ROMANI IMPERII, ET LINGUAE LATINAE ORTU,progressu, et occasu velut sub oculos positum est. Iunctam, cohaerentem, levem,et aequabiliter fluentem orationem facit verborum collocatio. de Orat.D'Alembert Eclair cis. Condill. Gram.; Art.d'Ecrire; Traité de la form. mechan.etc.INSTITUTIONE DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM. Sed exiisdem quoque caussis fit, ut nationes singulae suas habeant idearumcompositiones, et vocibus, quibus aliae carent, utantur. Inde in interpretando necessitas verborum circuitumsaepius adhibendi, cum non semper verbum e verbo exprimi possit. Indeadeodifficile, libros ex una in aliam linguam convertere. Atque in hoc lice tomniscura, et studium ponatur, adeo singulis linguis suum quoddam inest ingenium, utnullae fere sint interpretationes, quae authographi vim, et elegantiam, etnativum splendorem nequaquam desiderent. Quae quidem eo nos adducunt, ut intelligamus, quem damesse posse sermonem, edisci, et percipi omnino facilem. Quem si universalemveluti linguam cunctae gentes amplecterentur, eo possent mutuum idearum, etcognitionum commercium inire. Ac difficultas, qua ab hoc impediuntur, ex linguarum varietate, et multitudine orta, alia etiam ratione vinci posset,characteristicam nempe aliquam linguam adhibendo, quae res ipsas, non rerumvoces exprimeret. De bac sermo erit inferius. Interim cum nullus ex hisce modisadhuc suppetat. Nec ulla spessit, ut in unum, V. Clericum Art. Crit. Linguarum varietas non leve incommodumaffert societati, et progressui scientiarum. Nec enim consultum, ut facileedisci possent, sed casu magna ex parte conditae, et procurata copia, etornatus. Sublatis declinationibus, coniugationibus, et generibus, sisubstantiva unam immutabilem terminationem haberent, suam adiectiva, et verbapariter, quae adverbiorum ope temporibus, et modis distinguerentur. Pullaesuperessent regulae grammaticorum, et solius lexici auxilio linguam quam libetperciperemus. Cumque insuper esset prima illa lingua absurda, et egestate,atque uniformitatis squalore sordesceret. Maxime erit optandum, ut LATINI SERMONISUSU conservetur. Locupletissimus namque est hic sermo, electissimis, etpraeclaris verbis abundat, communis hactenus fere fuit omnium eruditorum; quieo abiecto, si suam singuli linguam in scribendo usurparent, iam, vel alienaomnia nescirent, vel in omnium gentium, quae doctrinae laude vel aliumconveniant omnes. Splendescunt, perdiscendis linguis curam,et operam compellerentur insumere, quam ad rerum cognitionem adipiscendam contulissent. Quae hactenus devocibus dicta sunt, satis ostendunt, easabideis, et cogitandi modo non parumpendere. Sed magnus etiam est verborum in ideas, et mentis operationesinfluxus. Atque in psychologia, si fortasse adveritatem plane non sua detur, nullas fere absque verborum usu nos exequiposse. Illud profecto demonstratur, eo foveri multum, et perfici. Quod probarinunc potest exemplo mutorum. Earum etiam gentium, quibus signa numerica promaioribus quantitatibus deficiant, cetera sint nimis composita. Illi quidem multis omnino ideisdestituuntur, mentisque facultates obtusas habent, nec ad operandum faciles etexpeditas. Hae vero gentes in rebus ARITHMETICIS ne vix quidem progressæ sunt.Tantum signa valent ad humanas cognitiones promovendas vel impediendas. Equidem arbitror, a veritate abesse longius, quicrederet verba communicationi cum aliis tantum inservire. Ea menti sistuntobiecta. Nimis compositadividunt. Si magnifica sint et nobilia, res amplificant, et extollunt. Sihumilia, imminuunt, et deprimunt. Mosheim DISSERT. DE LINGUÆ LATINÆ CVLTVRA ETNECESSITATE V. etiam quæ nuperrime Ferrius, et Tiraboschius, Gorius, et VANNETTI(si veda) in eam habent Alamberti sententiam, Melang., statuentem bene LATINEscribi non posse, et LATINITATE abiecta studium omne ad patriam linguamtransferentem. Refert Condaminius, quosdam Americæ populos, cum ocesnume rorumsupra ternarium non habeant, in hoc arithmeticam eorum consistere: certevixpaucis huiusmodi signis utuntur, iisque ad modum compositis, ex quofit, utmaiores numeros mente haud comprehendant, et quem libet ultra vicesimu in indefiniteconcipiant, atque capillorum numero comparent.V. De la Condamine Voy. Paw Rech.sur les Americ. Cogitatio, ait ACCADEMIA in Theæteto, est sermo,quem mens apudse volvit circa illa, quæ considerat. Cum enim cogitat, secum ipsa disserit adeo,ut cogitatio sit sine strepitu vocis oratio, aut interior collocutio. Verbasunt veluti signa algebrica idearum. Brevitati proinde consulunt, multarumidearum comparationem faciliorem reddunt, mentenique sublevant inconsideratione multarum rerum, atque compositarum: quæ verborum utilitatesmaxime elucentin modorum mixtorum ideis, quas in nullo exemplari iunctasvidemus, sed verbis exhibentur et comprehenduntur. Verba denique nexus interideas augent, eas facilius, et promptius exsuscitant, distinguunt, quæ vixconfuse percipe rentur. Sic technicæ in arte pingendi voces omnia alicuiustabulæ vitia, omnemque præstantiam indicant. Quæ eos prorsus fugerent, quiillas voces nequaquam callerent. Quare scientiæ, omnesque artes multum debentverborum inventoribus, ut Linnæo Botanica; et Ontologia, licet nomenclationetantum contineretur, non esset penitus contemnenda. De verborum usu, et abusu hæcfere a Lokio, aliisque melioris notæ Logicis accepimus. In primis duplicem esse usumverborum. Vel enim eo cogitationes nobiscum cooferimus, vel aliis exprimimus.Illum jam attigimus capite superiore, in quo osten debam, maximas utilitates exhoc interno sermone profluere. Cum aliis autem utimur verbis,aut in vitæcivilis consuetudine,vel in studio Scientiarum. Inquo præsertim distinctioni,et perspicuitati. Ideæ in primis connexæ inter se sunt ex analogia rerum, et excircumstantiis, in quibus acquiruntur. Sed insuper verbis etiam unæ cum aliiscolligantur. Quot ideas unum verbum sæpius excitat? Atque ex verbis hæc aliautilitas provenit, ut in ideiş revocandis, et disponendis ordini, quo a nobiscomparatæ fuere,non adstringamur, sed illum qui magis placeat, magisqueconveniat iisdem tribuimus. Bonnet Ess. Analyt. Sulzer. Micheælis de l'influ. desopin. sur le lang. etc. Condil. Art. depenser; STELLINI OSSERVAZIONE SULLE LINGUE; Soave Comp. di Locke Iap. al cap.XI. Scilicet, si circa ideas maxime compositas, sertim versemus,iisdem nomina, quibus appellantur, substituimus. Nimis enimesset operosum,eetiam impossibile, omnes ideas simplices illas componentes mente revolvere. Quod etiam confusionem afferret,et, ne idearum relationes viderentur, obstaret. Hæc habitualis, non actualisdistincta perceptio est idea coeca, et symbolica Leibnitii. circa notiones præ1 litandum est, ne per se difficilia reddantur difficiliora. Et ne rerumINVESTIGATIONES in æternas quæstiones de nomine abeant. Locutionisperspicuitas, atque distinctio maxime optanda idearum claritatem, etdistinctionem desiderat: quomodo enim, quæ confuse percipimus, aliis distincteexplicarentur? ad eam confert brevitas, in qua tamen habendus modus;nam utnimia verborum copia res obruit, ita eorum egestas tenebras rebus offundit.Denique cum iis, qui loquuntur confuse, vitanda fa miliaritas est,qua nihilfortius ad idem vitium contrahendum. Ita autem verbis utamur, ut unicuique ideadeterminata re spondeat;dequo,sinobiscum tantum colloquimur, nos ipsos debemusinterrogare; si vero cum aliis,et dubium sit, an verba ideasclaras,etdistinctas in aliorum mentem immittant, tunc ea dilucide explicandasunt. Id quidem de nominibus idea rum simplicium præstari potest (vix autemerit necesse), si observanda proponantur obiecta,quæ significant,etmodus,etcircumstantiæ indicentur, in quibus eorum ideæ acquiruntur. Nomina veroidearum, quæ sint compositæ, decla rantur earum obiectis exhibitis, et additaipsorum definitione; nec enim omnia attributa patent sensibus, et multa indolempotentiæ habent. Quod si hæc obiecta non existant.Verborum universalium magnusest usus, et maxima utilitas; innumera enim individua una tantum vocecomprehendi mus, quæ esset impossibile omnia suis nominibus distinguere. Essetetiam inutile, quia necii, quibus cum loquimur, multoque minus illi, quibusaliquid scriptum relinquimus, eadem indivi dua agnoscunt. ergo. Sed quæcirca rectum verborum usum,et eorum inter pretationem, de qua inferius, præcipiendasunt, separari vix possunt ab idearum doctrina iam tradita; utrisque enim idemfinis, avocationempe ab erroribus. Inter eætiam intimus nexus, quantus intervoces, et ideas. Nunc lum, quæ propius ad verba pertinent, quæque eo lociexplicata non sunt. ne actum agam, so meratio idearum, quas simul reflexione,aut pro arbitrio con iunximus. fiat enu Vocibus demum abutimur, si quæ incertamsignifica tionem habent, non definiantur; si definitus sensus mPombaur. Si inrebus scientiarum artes consectemur oratorias. Namque delectant, et movent,mentemque avertunt a philosophico rerum examine,quas non accurate,sed adsimilitudinem exprimunt. In verborum sensu commutando peccarunt vehementerscholastici. V. Gassendum in Exerc. Arist. Exerc. Hic cum Logicis fere omnibusnon præcipio, abstinendum esse a tropis atque figuris:rebus enim permultisvocabula metaphorica necessario imposita sunt, aliis utiliter, cum ex iisorationi splen dor accedere videatur. Condil. Art. d' écrire. Translationespropter similitudinem transferunt animos,etre. Neque vero minor utilitas exverbis notionum;.harum nullum archetypum extra nos invenitur iunctas exhibensideas, ex quibus componuntur. Id vero præstant nomina, quæ illas comprehendunt.Sunt denique voces, quas particulas appellant Grammatici; his utimur, ut ideas,et periodi membra, et periodos ipsas interse coniungamus. Quisaneusus mirificusest, et ex eo maxime vis tota orationis derivat. Rectus erit,si m u tuamrerumdependentiam, et relationes diligenter consideremus. Hæcdeusu. Nuncde abusu,quirestat,dicendumest. Iam vero abutimur verbis, si iis, nullam ideam,aut obscuram associemus, adeo ut inania sint, et ambigua: in quo non rarumestlabi;etmaxime verba notionum virtutis,honoris,et simi lium multo pluribussunt meri soni; obiectum namque non referunt, quod sensus moveat, nec illudquod referunt in in fantia, percipimus. Hinc ea absque ulla significationeusurpandi longam consuetudinem iam contraximus, a qua ut reMilanius, reflexionevehementer nitendum est. Sed abusus verborum etiam ex ignorantia, et malitia. Scilicet, qui partium studio, vel anticipata opinionemoventur. Qui vulgo avent imponere. Qui difficultatum pondere hærent et idearumdefectu impediuntur. Tunc enim vero ii obscuritatem affectant, verbis inanibusse se involvunt, nova etiam fundunt, atque sesquipedalia. Optimum ergo erit,mentem parumper a verbis abstrabere, eamque in ideas intendere, ne verborum sonitu hallucinemur. Ut verba recte interpretemur, advertendum in primis,notiones eius, a quo adhibentur,'significare. Non igitur suppo natur, omnesiisdem verbis adnectere easdem ideas, et ipsis rerum realitatem apprimerespondere. Quæ qui supponunt, de rebus perperam ex verbis iudicant, et expropriis aliorum ideas non bene copiiciunt. Hisce per summa capita indicatis,advertam in primis, duplicem distingui sensum verborum, proprium scilicet,ettran slatum;namque verba,aut illam rem exprimunt,cui primum fuere assignata.Vel ex quadam similitudine cum re ipsis propria eadem verba ad aliamsignificandam transferimus. Quod si fiat, sensum habent translatum, secus autemproprium. Nisi quis sensum proprium alicuius vocabuli accurate perceperit,numquam fieri poterit, ut translatum assequatur; hic siquidem ad illumrefertur. Rerum præterea conditionem inspiciet,ex qua oritur, ut quædam vocespotius, quam aliæ, ad res sensu translato exprimendas, electæ fuerint. Inde clarius is sensus patebitferunt, ac movent huc, et illuc, qui motus cogitationis celeriter agi tatus perse ipse delectat. de Orat. Translatio est, cum verbum in quamdam remtransfertur ex alia; quod propter similitudinem recte videturposse transferri.Cic. ad Heren.; Alembert Eclaircis., sur les Elém. de phil. Quam vero quisquevocibus notionem subiicit, arguere tuto possumus, si multa nobis nota sint,eaque invicem conferamus; loquentis scilicet ingenium,et characterem; affectus,oris habitum; linguæ, quautitur, vim, etindolem; rem,quam tractat;circumstantias, in quibus versatur; opiniones, religionem, quam sequitur;demumpopularium eiusmores, ritus, consuetudines. Haac enim omnia efficiunt, ut licetverba sint eadem, non tamen eumdem significatum, eamdemque vim habeant. Nuncvero singula verborum genera persequar, deque Difficilius assequimursensum verborum, quæ notionibus respondent; siquidem præter caussas nominibusrerum existentium communes, peculiares etiam concurrunt, ex quibus efficitur,ut singuli fere has ideas diverso modo componant. Nec eadem semper significatioest vocibus orationis par ticulas exprimentibus; loquentium igitur, vel scribentiumaffe ctus, et præcipue contextus consulatur,cum ex iis sit dedu cenda. Denominibus relativis, quid advertendum in præsen tiarum,ut recte explicentur?Porro id muneris iam explevi dum agebam de eiusdem generis ideis. Quid denominibus uni versalibus,quod paritereoloci, traditum non sit? Illudsubiungam,voces particulares,aliquis,quidem etc. obscuras esse etindeterminatas, nec denotare, quæ, et quanta subiecta sint; universales veroaliquando particulariter esse sumendas, aliquando non omnia individuagenerum,sed individuorum omnia siores esse, iisnonnulla admoneam,ad quæsemper in eorum interpretatione spectemus. Qualitatum sensibilium nomina,colorum nempe, saporum, aliarumque huiuscemodi, sensationum etiam doloris, etvoluptatis, non ita accipienda sunt, quasi explicent id, quod est in rebusextranos positis. Nostras affectiones, sensationesque upice indicant, nec verovim,et quantitatem earumdem. Hanc experimur, non autem accurate possumusefferre. Fit autem sæ pius,ut in singulis maior,vel minor multiplici gradu sit.Dubitari quidem potest,quin ipsæ sensationes apud aliquos prorsus differant,licet omnes iisdem verbis utantur. Omnes arborum folia viridia appellant; sedadhuc videndum, utrum hæc vox eamdem omnibus ideam excitet. Quam dubitationemingerit di versa corporis temperies, et habitus, nec eadem omnino fabricasensuum;unde certo oritur,affectiones easdem aliquibus inten aliislanguidiores. Nomina idearum compositarum non idem apud omnes. Maxime siveteres cum recentioribus confe rantur.Ne eas igitur ex nostris notionibusinterpretemur, sed ex illis quæ ampliores fortasse, vel angustiores. Nominibussubstantiarum easdem qualitates non omnes complectimur. Nulli essentiamprimariam,a qua eæ nascuntur,et quam nemo novit. generasignificare. Quæ quidem ex circumstantiis, linguarumindole, ingenio, loquendi consuetudine patent dilucide. His fere,quæ adhuc devocibus disserebam, continentur potiora,ex quibus Grammatica philosophicaconficitur: linguarum singulæ suam habent, eaque particularis Grammaticadicitur. Est vero etiam Grammatica universalis,quæ principia constituit omnibuslinguis communia. Notandum superest,syntaxim totam legibus concordantiæ, etregiminis moderari. Illæ principio identitatis, hæ principio diversitatisinnituntur. Verborum disputatio manca videretur, si de scribendi rationibushaudquaquam dissererem. Non igitur una fuit hæc ratio apud omnes,nec omnibustemporibus;tamen in eo con veniebant, quod signis non ore,sed manu expressis,quæmente revolvimus, manifestarent. Ac, quæ fuere adhibitæ, pictura, symbolisallegoricis, denique signis arbitrariis continentur. Pictura, aut unam figuram, autplures exhibet, signa arbitraria, aut ideas,aut syllabas,aut litteras verborumsignificant. Scripturæ, licet ab ea, qua nunc omnes fere gentes utuntur, longedissimilis,specimen aliquod hominibus innotuit per imagines, quæ sui resexhibent, et quas conamur exprimere gestibus, et clamoribus, ut iis longinquadesignemus. Ad has imagines adumbrandas urgebat necessitas communicandi cumabsentibus, et præsentibus explicandi id, quod verbis efferri non poterat. Indescripturæ origo potius, quam ex cura committendi nostras cognitionesposteritati. Ac homines ex rerumimaginibusidconsiliicepisse,ut illas ad suoscogitationes enuntiandas delinearent, omnium pene De usu, abusu,interpretatione verborum videantur Locke Ess, etc. Leibnitz Nouv. Ess, etc.Clericus art.crit., Du Marsais princip. de gram. Condillac gram. D'AlembertElem.de Phil. et Eclaircis. sur les Elem. etc, Hinc sensim crescereCONVENTIONIS SIGNA, etomniatan. dem huiusmodi evadere. Quae sola notiones reflexioneperceptas possunt exprimere;quae ob multos rerum aspectus sunt neces saria.Namque notiones illae nullam imaginem praeseferunt, nec ulla imago diversasrelationes comprehendit, sub quibus res, ut lubet, consideramus. Signa autem, quae exCONVENTIONES sunt, optime quidem ab eo constituta fuissent, qui singulasingulis ideis simplicibus destinasset, suaideis universalibus, aliademumdeterminationibus individua constituentibus. Enim vero simul iungendo, et aptecomponendo haec signa, res omnes possent distincte explicari. Hoc scribendimodo philosophus tantum uti potest, nempe ille solus, qui probe noverit,quaenam ideae simplices illas substantiarum, et notionum componant. Quiqueetiam adeo individua observaverit, ut ea possit plane describere. Illum PawRecher. sur les Americ. Quemadmodum artis typographicae occasio fuit arscaelatoria et sculptoria, ita occasio scripturae non inepte ex picturaderivatur. Praesertim quum non aliter pictura sit obiectorum in oculosincurrentium scriptura, quam scriptură sit obiectorum quae aures feriuntpictura. Videsis Augustum Heumannum in conspectu reipublicae literariae Signahuiusmodi spectant ad linguae universalis institutionem. Alia ratio, qua adeamdem possumus pervenire, indicata, vix est N. LXXII., LXXXII. V. Soave Comp.di Locke, qui etiam celebriores scriptores recenset, a quibus ea institutiosuscepta fuit. Leibnitii historiam, et commend. characteristicae linguaeunivers. Traité de la Form. etc. Mémoires de l'Acad.de Berl., ibi Thiebaultvidetur succensere Michaelis, et non ita difficilem, nec vero inutilem, etmulto minus perniciosam, quemadmodum ille, censet linguae universalisinstitutionem, quae primo illo modo conti. neretur. Sepositis iis,quae deuniversali lingua instituenda excogitari subti. vetustarum nationummonumenta, et gentium sylvestrium usus confirmant. Quae scribendi ratiopicturae affinis, cum auctis cogni tionibus, relationibus, et indigentiis adomnia exprimenda non non satis esset apta, paulatim a signis discessum estrerum i m a ginem referentibus, et huius pars tantum depicta, et plures ideaeuno signo manifestatae. nenses adhibent; proindeque mirum non est, si tantiapud illos sit literas scire. Quae difficultas effecit, ut nationes pene omneseum scribendi m o d u m probaverint, quo non obiecta, non ideas, sed sonosverborum reddunt; ad quem duplici via perveniri posse declarabam liter possent,splendideque proponi; multo fuerit satius consilio adquie scere Ludovici Vivis,cuius haec sunt (De tradendis disciplinis lib.III. verba. Sacrarium esteruditionis lingua,et sive quid recondendum est,sive promendum velut promaquaedam conda.Et quando aerarium est eruditionis, ac instrumentum societatishominum,e re esset generis humani unam esse linguam, qua omnes nationescommuniter ute rentur: si perfici hoc non posset, saltem qua gentes ac nationesplurimae, certe qua nos christiani initiati eisdem sacris, et ad commercia etad peritiam rerumpropagandam. Peccati enim poenaesttot esse linguas. Eam veroipsam linguam oporteret esse cum suavem, tum etiam doctam et facundam. Suavitas est in sono sivé simplicium verborum acseparatorum, sive coniunctorum. Doctrina est in apta proprietate appellandarumrerum. Facundia in verborum et formularum varietate ac copia. Quae omnia efficerent, ut libenter ea loquerentur homines,et aptissime possent explicare quaesentirent, multumque per eam accresceret iudicii. Talis videtur mihi latinalingua ex iis certe quas homines usurpant, quaeque nobis sunt cognitae. Quodcontinuo diligenter, ostendit, eaque tradit quae merito cum disputationecomponantur ab Aloisio Lanzio libris inscriptionum et carminum praefixa. Sinensium alphabetumTypographicum ex 50000. signis constat. V. Mémoir, concernant l'histoire etc.des Chinois parles mission. tom.X1., Mopertuis ius auget ad 80000. Iaponenses,licetomnino diversa linguautan tur, quae tamen Sinenses literis consignant,probeintelligunt; adeo verum est haec signa non rerum voces, sed earum conceptusdelineare. V. Marpertuis loc. Iam. cit. Cesare Baldinotti.Keywords: signum, genere, segno, genere, segno naturale, lacrima, segnoartificiale, ‘homo’, conventione, imposizione, idea, ideazionismo, ‘Locki’ –enciclopedismo, illuminismo, ‘discorso sulle lingue’, propositione,articulazione, logica, grammatica, forma logica, modus significandi,imitatmento, il Cratilo di Platone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldinotti”– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Gricee Balduino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del vestigiodell’angelo al Campidoglio – la scuoladi Montesardo – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pelGruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Montesardo). Filosofopugliese. Filosofo italiano. Montesardo, Alessano, Lecce, Puglia. Grice: “It isamusing that when we were lecturing with Sir Peter at Oxford on ‘Categoriae’and ‘De Interpretatione,’ Girolamo Balduino had done precisely that – AGESbefore, in a beautiful beach town of Italy! ‘vir Montesardis,’ –“ Grice:“Strawson and I, following an advice by Paulello, drew a lot from Balduino’scommentary – especially of the Peri Hermeneias, the section on the ‘oratio,’since we were looking for ordinary-language ways to render all the modaldistinctions (indicative, imperative, optative, interrogative, vocative, …)that Balduino finds so easy to digest – but our Oxonian tutees didn’t!” -- Girolamo Balduino (Montesardo),filosofo. Studiò all'Padova sottoMarco Antonio Passeri (detto il Genua) e Sperone Speroni, formandosinell'eclettismo aristotelico proprio di quella scuola. Insegna sofistica inquello Studio; passò poi all'Salerno e all'Napoli. Nella seconda metà del Cinquecento le sueopere furono occasione di vivaci dibattiti. Alle sue dottrine si oppose, inparticolare, il filosofo padovano Jacopo Zabarella. Altre opere: “Perìhermeneias”, “De interpretation, “Dell’interpretazione”; “Quaesita tumnaturalia, tum logicalia”. StudiGiovanni Papuli, B.: ricerche sulla logica della Scuola di Padova nelRinascimento, Manduria, Lacaita, Papuli, B. e la logica scotistica, in ActaCongressus Scotistici, Roma, Papuli, Da B. allo Zabarella e al giovane Galilei:scienza e dimostrazioni, in « Bollettino di storia e filosofia », RaffaeleColapietra, recensione di Ricerche sulla logica della scuola di Padova nelRinascimento, Emeroteca della Provincia di Brindisi. B.. “De signis”. It. segnare, notare, segnificare,notificare. Primum oportet ponere quid sit nomen et quiddam in proæmio, utpropositum suæ considerationis ante quid verbum cognovit et infra aborationibus rethoricis et poeticis, atque his quæ affectus explicant, illam selegit. Item tes cum iste liber cum tota logicae undem modum cong ordine lintconsiderandæ quo, ex processu resolvente com, siderandi participet, qui ut antemonstrani est instrumen monstrat cum inquit primum bum etc. vers tum seuorganum notificandi. Quid inter hunc librum quid nomen quid alios differt?Respondetur. Id interesse et, inter diversos primum, non intentione, cum libroseandem rem eodem. Sed quod primo exequi instituimus dicit opor versa prædicatapropria, de illa cognoscantur. Q dis eaq. præs cipia quæ ut deus, et prima inomni tempore, loco, et subiecto dicata ex fine libri facile inveniri possuntdemostrationis prin sunt nes mus, extremum nam ut posuis cellaria. Sedsuppositione in hoc libro et finis, rum conceptarum res et secundum quid. namtuimus dicata quinq vocem SIGNIficativam stag are, ut toto, necessario traverlrum etc. Hæc verbi, orationis, enunciationis nominis, nis quibus eædemlibro poeticorum est præceptionem tradere finiendo considerant alterum utaspernetur et um metrum formandum, bi etc. ponere ergo sumetur non tanquam resdubia inquirendum sum, verum et constans ponendum primo mento magno exemploexplicatur artificum idem ligna ut lignum, sit sed ut per seno post incos unusartifex statua malter, referet tæ, cum suo proprio monius inquiens est, admetria positi oest. Ita que non nisi ut enunciativa. Sed de subiecto do postsecund infine. Regulem logicem ponuntur ut notæ orator et poeta enunciativa orationis codem modo istades:ante et SIGNIficativas intendit idenim definitionem nomini suer, sitioneSIGNIficantes tionis tantum urilitatem declarat apo demonstra, ad impossibileprimo prior de tione simplici et hæc porest. Sed demonstratio viriali cuius,extranea autem quod licer hæc omnia demonstrationis Postremo scientiarum. neviam atrium et iuxtaponitur uerbo. Magentinus positionis modos modoconsiderantes est interpretario posis ab instituto, nomen, aim. Ponere seuconstituere. Ammonius has tres particulas legit cum ergo sunt prædicatapropria, affirmationis et negatio mum ponendum constituat, alterum appetendumexplicaretur oportet definire et fugiat. Poeta ad cocinnum orator veroadornatum. Id, quasi istorum quid nominis ad efficiendam. Huic quam retuli reiconfidera Averrois, definitio enim inquit Aristotele ingeo navem, alteradarchamconsiderandi modo, assentit, Amonius definitiones positiones in arte dicuntur.Metafisicae in hoc libro confiderari de oratione, in magno com cuiusratio estprimopoft. quam per voces clariores mo prior primo, syllogismus est positis etconcessis et concesso, pri oratio in quaquibusdam attingit. Magentinus syllogism ducente hactenus. Paul e re niam fiunt. Quos cis nunc. De utilitate dicimus ab anima, quæfacile opus suum inquitex proposito patet: ad de et ex inscriptione cepit ergotertium modorum quos Ammonius attulit. Su subiceti interpretationem refertur. Quam miturenim gratia quæri retulimus nam enunciatio ad ins ponere, primo prosuppositotendatur tet non simpliciter sic enunciatio in to, propositum quas per vocesclariores NOTIFICARE nostrum esse, de oratione enunciativa. Hic autem finishaberino potest, nisi per hæc præ tertio ait igitur de partibus tractandum est,quid nomen et quid verbum inquiens et Aristotele verba conne fit ita restractatæ alibi differunt. Requires et ens quia propositum Aristotele quam,necessario. Quona igitur modo sei ungi simplicium essential cognoscendadifferentia locus, tamen hic nomen quid ferme omnis explicatur ex proprio finequoniam et uerbum. Juult ergo cum cæteris ista considerat utg syllogism partesefficiantur logicus bus ponere sumendum fore pro definire et definit, ut verumstrationi deseruiant, grammaticus vero voces tis compositas incongruum sermonemex elemen, ut congruum, siue oportet ponere, id est definire et falsumdeclarant. Et novissime ut demons dissentio latina ac sensum accedens abAristotele sidiceret. Sed ab his ad Aristotele verba græca et. namcommitteretur nugatio possunt? ideo dixit primum est erfide hoc infra fitproprius considerandi oportet ponere idest definire, magis ut iudico. Hæc ut bene Ammonius cognoscit. Ac.p finepropositis nullo modo tamen, ut omnia moveri commune commodum est id muniterposito primo top. nono.Tertio et concello quomodo sumitur procom de menteAmmonii attulimus gratia explicentur omnibus Aristotele. Quarto pro ea fineratiocina, pro proprium est. Locis quos adverbio quod nibuscarentibus prodefinitio positione fieri ex Heracliti sententia via relinquenda non estdocentes, fine via eius contemplationem medio. Secundo poster incommens damus,tenebrisan; circumsusi more feramur, est igitur enumerat: tray in incertumimperitorum via, illa quam toti logicæ Aristotele to magno est. coniung nomineet verbo. Pris. primo post secundo post. et ratiocinatione ex hypothesi.Secundo supra retulimus et hic accepit sed quem modum Aristotele hic fert. Exhisitaque patet. Arit, resconsiderandas acceperit, verbum nullum proj eaconsiderantur. Quod si orationem ante etiam posuit et tractavit, non nisi utgenus commune enunciationis, ad verbum. OD rum ordinem pofuisse) tanquamsubiecta et tertio prædi num triplex potestelle consideratio: primo ut absoluteCara, quideorum, scilicet ponere sive constituere. Sed SIGNIificant simplicesCONCEPTUS. Ita in prædicamentis cons citorcum primo post in parvacommentatione: scieny fiderantur. aliomodo secundum orationem, ut partestiasitunius generis fubieéti, quçcúq; exprimis componitur, sunt enunciationis:sica dhuc librum spectabunt, propter et partes et PASSIONES horú sunt pse.igitur duo sunt per reaenim inquit traduntur sub rationem nominis: uet er sepredicata, substantia sive essentia quæ per definitione, et biut SIGNIficantcum tempore aut sine tempore, intulit accidens proprium, quod perdemonlirarionem concluditur. etiam. et traduntur alia huius modi, quæ addictionum secundo post. Inmagno commento cur tantum pertinentrationem, utenunciationem conftituunt sed quid istorum proposuit? Ad hoc dicendum mihiuiden quam vistant iuiri ingenium et iudicium semper cum sum tur: ex primo postres quarueif ecf timperfectum, et quasi in mente, non habentuere definitiones.Secundo ponendum quod supra documus, res logicas ut intrumen ta et organaartium et scientiarum, ad proprios fineset quod satis probatum est supra cum a nobis Ammonius notitiam explicandamreferri. His datis patet ad petitios est reprehensus. Præter eaut diximus nomeet verbum nem responsio: namdum Aristotele quid prædi et orumponen simpliciorasunt decem vocum conceptibus. Amplius dumpropofuit, etpropriosfinesquiipsorumpropriafer rationoininis et ucrbi et fi ut materiaadorationemenun rendicuntur accidentia, anteposuille dicetur sic enim ora,ciatiuam pertineant: tamen corum rationes sunt commu cionem definiensenunciatilia inquiet non omnis: sed in nes, non ad orationem tantum contra etæ. ut prædicari de qua verum et falsum explicatur et nomen quod vox fit sivocibus simplicibus prædicamentorum non possint, licet SIGNIificatrix. Requirit secundo Ammonius a quoAquinas cum divo Thomas in ultimo suo dicto contra Ammonii opis mas accepit.Side simplicium vocum essentia in prædica; nionem consentiam: nomina et verbain hoc libro tracta mentistra et auit: cur hic iterum repetits respondetAmmonius. ri,ut cum tempore aut sine tempore SIGNIficant, et non solu unum quodsupra tanquam falsum reiecimus. Nam et fi hæc SIGNIificare dicuntur, sed etalia huius modi quæ perlig verum dicat. Ut robique easdem res subicto, rationetas nent adrationem dictionum. Licet ipse sub inferat, utes men differentes finiri: nihilominus differentia quamaddu nunciationem constituunt. Non solum affirmatigamenun cit est falsa. Dum inquitin prædicamentis voces simplis ciationem, utAmmonius afferebat. Si autem ista verba, ces considerariut indicativæ suntrerum simplicium quæ Aquinas referret addi et tasuperius ut diceret qiftain hocquando cum temporis mensura SIGNIficant, verba: quando libro traduntur sub rationenominis et verbi et alia huius, sine tempore cum articulis explicant, nominasunt dicen modi, scilicet traduntur quemad rationem pertinent diction da. Quando pars affirmationis uel negationis, dictio: cumnum, tunc inter nomen, et verbum et dicionem distingue autem pars syllogismi,terminus. Sed primum inas SIGNA y ret. Sed primum de mente sua verius credo.nam alii ta differentia dubito: quarationeun quam fiet: ut substan teridemdi etumforet contrasequodin, Ammonium die sia per le existens SIGNIficari possit cummotu? maxime ximus. Postular Ammonius et AQUINO curaliisoras cumprædicamentares sint completæina et tu. Nam quinto tionis partibus missis,solum nominis et verbi considen metaph. septimom et septimo primo physic. ensrationem præposuit? addituretiam. quia libro poetico, quod est, aut existeredicitur, in decem primasres, seu voces partitur: quo ergo SIGNIficari possuntcum tempore! nisi diceres ut sunt imperfe et cres, et in motu cum actione, etpassione et generatione lubstantiæ alteratione qualitatis augumento quantitateset ex accidente mutatione eorum quem ut uo referuntur. Seundo nec dubium solverevidetur quod dicit. Sed falsum etiam est in prædicamentis rum orationispartes enumerans, inquit septem elle. Elementum, syllabam, coniunctionem,nomen, uerbum, articulum, orationem. Ad hoc breviter respondent alig quiAristotele omifisse quediximus, tanquam inutilia et ad rectum poetarum metrumspectancia hic solum mentioq nem fecisse nominis et verbi: pista suntnecessariæ parstes enunciativæ orationis, inquo, Ammonio non aduery vocesconsiderari, ut ad simplicium rerum cognitionem dedu satur nec diuo AQUINAS et fioratio enunciativa quando que cunt. Sedinftan taliqui. In prædicamentis, Aristotele fini ens in conftetexaliis, nonnecessario, simpliciter, omnitempore, quit. Substatia dicitur. sed quam uanèrespondeantex Aril. Quinto meta et Alexandro Aphrodiseo exponente cognoscant,secundum se inquit vero dicuntur quæcunq; predicamenti figuras SIGNIficant autsecundum Boethium quæcunque figuras predicationis significant. Itaq. PerAphrodiseus quod a nomine, vel uerbo deducitur:lig verbum hoc dici etsignificare res simplices, prædicamen ca ad metaph. Non logicum pertinent: sed utdecemu ces, res mediis CONCEPTIBUS A POSITIONE SIGNIFICANT logie corumconsiderationi convenient. Tertio dubito et tan cuti et legendum, et navigandumalegere et navigare verbo originem ducunt. Similia dici possunt de explicationeAlexandri. Quautitur Ammonius dum de verbo consin dcrans Aristotele inquit.Verba autem secundum se dicta nomina sunt id est simplex habent SIGNIficatumnominis eius simplicibus partibus simile, ex quibus constatoratio. Ita proAlexandro dicendum. Adverbia plurima ex parte quam vanam explicationemexistimo, dictionem, scilicet affirmationis partem vocari. Nam quid interestdicere nomen et verbum vocem esse SIGNIFICATRICEM A PLACITO et afferere nomenet verbum dictionem esse ihuius may de ducia vero nomine aut a parte orationissimpliciquæ nifestum indicium ex Aristotele sumitur. Qui ipsam orationemdefiniensait oratio est vox SIGNIficatrix, cuius ex partibus aliqua separataSIGNIficat ut dictio, verum non ut affirmatio ergo idem est dictio, quod nomen.Ut habet translatio Magentini. Et verbum. Ergo dictio, orationis communis parserit, non affirmatione stantum. Nisi per appropriationem dicat illud sed AQUINOvidensuocesalo, gico consideratas non posse decem simplicissimas resnis fimediis conceptibus explicare itaenim secundo intely uim habeat nominis. Et ita si quando goriatura verbo, nihil Alexandri etAristotele sententiæ officit. Sed cur particispium, quoquam se pissime indemonstrativis scientiarum sermonibus utitur, tam hicquam poeticorum librorelis quit? Ammonius dicit, quia ad nomen et verbum reduciy tur. Alii vero quodidem sft dicunt quia pars comporis ta non simplex orationis dicitur. Quæresponsio magis perspicua et evidens iudicio meo est. Nam primo pos ter,secundo, præposuit dupliciter præ cognoscere oportere, leda sive secundæintentiones dicentur, nonu tres linere alia namgquia sunt prius opinari necesseest alia vero quid lationibus denotant ad philosophiam naturalem spe et an estquod dicitur intelligere oportet sed cum duas propos tes et metaph. Aliteralseric, simplicium inquit diction ne rettrese numeravit et ad hocrespondet Aver, optertia ma veneratione sanctitatis probarim: in hactamenre'sponsione dissentio: cum decem voces non solum simplices conceptus sed resmediis conceptibus explicent: loco et subiecto et non nisirespe et uhorum utpronomen loco proprii nominis. Adverbium tam hic, quam in libro poeticorumrelinquitur, uel quiaut Ammonius ait, modum dicit quo prædicatum incitsubiecto. aut ut sрее species composita est ex his dicasetiam o duas præposuit neccessarias signum est q Aristotele dixit dupliciterpræcognoscere oportet et quia lunt, opinari necesse est et quid intelligereoportet ad tertiam vero præcognitionem der scendens, fineullo necessitatesverbo additoait quædam autem ut rag nam compositaquæ esse et am tertiam naturamnon dicunt distinctama componentibus, explicatis necessariis partibus,coniunctim ex his explicari intelliguntur verum quicquid sit de Arist. textu etratione quamdi xi: sufficiens ref ponfiofit: qhicde simplicibus partibusAristotele loquitur, quale non est participium. Coniunctionem omisit, nonquiainutilis, quoniam. infra quod ipseconfirmat hic, et supra contra Boethiiopinionem adduxit Arist. dividet orationem enunciatiuam in unam simpliciter etconiunctione unam: quæ necessario coniuctionem expostulat. Nec exomisit utAmmonius et Aquinas quia pars orationis non est sed pars conne et ensatqueconiungens. quoniam Aristotele coniunctionem poeticæ locutio nian numeravit,tanquam orationis elementum. Item in cap.quarto Aver dicet, q syllogismusconditionalis est unus per unam copulativam. Gifoloritur ergo dies est sicutpredicativus est unus per medium terminum sed hic medius terminus necessariaest pars prædicatiui sive CATHEGORICI syllogismi. Ergoconiunétiosyllogismiexpofis tionefiuehypothetici.Hinc etiam contra eos fequeturinutilemconiun et ionemnonesse: sed hypotethico fyllor gisino necessariam: utmedium terminum prædicativo syllogismo. Alii sentiunt propterea coniunctionemomiy filfe de enuntiatione una simpliciter demonstrationi servienti, non coniunet ione una considerat sed hanc reo sponsionem suprareiecimus: ea rationeq hicliber etiam ad librum priorum dirigitur, proximam syllogismo hypotheticopositionem seu præmis lamelargiens. Itemin hoc libro, capit.quarto, propofitamenunciationem ab aliis oratoriisac poeticis seligens, in has duas partitur.itidemq; definite oratione in libro poeticorum eam in hasdistribuit feudi uisitspecies. Dicendum igitur nobis videtur, proptereahic relictam coniunctionemesse, quia facilis, et Aristoteles sufficiens erat ea parva cognitioquamtradidit in libro poeticorum. Aut secondo dicasquor demonstrativa scientia. Etsecundo poft. iuxta ordi niamhic propofitum est de vocibus necessarioSIGNIFICATRICI nemquem compositiuum aut componentem appellant, pri bus agere adinterpretationem per voces clariores efficieendam: quem oém orationem efficientnam hic libercom munia principia explicat. Dic secondo q in libro poeticorumcap. septimo, coniunctio significationis est expers: qua de causa definitioni,quæ perfecta oratio est, nond eses Post ea quid est negatio, o affirmatio etenunciatio, u oratio, deinde quid sit negatio, a affirmatio, o enunciatio,oratio. mo genus, quid syllogismus, inde speciem, demonstrationem collegit.Premponens igitur hic ista duo tangfinem unum in tegrūperse ex genere et specieconstitutum, primo ait enunciationem, deinde oratione, non ita per se intenta:nobis innato aminus communi ad communiora. Sed hæc responsio improbatur quia.Si ordinen obis innato, seu aminus communi et im per se et oincipiendum est,cur latus ordo ex accidente euenit, ut quando gab imperfer et o furnatinitiumquia in libro de anima secundo, textura Magentino cum universe res quasuniversalia dicunt singulis præferantur, cur hic non primum de oratione etgenere, deindede enunciatione affirmatione et negatione ex orsus fitAristoteles sed primum a nomine et uerbo: nam auta nobilior iincho an dumerat,aut are magiscõi, ut ordone ceffarius servaretur, non anobiliori, cumnegationem affirmationi prætulerit non acommuniori, quia oratio fuif setanteponenda. Responder ipse. Solere quandoq; Arist. Hocfacere et are communiori quæad singulasres spes et antincipere quomodo hic dicita nominee SIGNIficantesubstantiam sive eflentiam et a verbo SIGNIficante actionem seu passionem,Aristoteles inchoare sed quare istum secundum necessarium ordinem internegationem et affirmationem, enunciationem et orationem non seruauerit, utGbioccultumomi fit. Præter ca enunciatio ut finishorum materialium principiorumprenstantior est, ergo antepor nendafuisset. Amplius nomen et uerbum, non ideocommuniora esse dicimus, q subtantiam aut accidens SIGNISFICARE dicuntur, sed qvoces SIGNIficative apositionelunt, non substantiæ aut accidentis, ut naturæterminatæ, sed communiter omnium ratio ergo est sumpta a processu resolventefinem in causas et principia prima intra rem itas quecum orationem non omnem,sed inqua est verum et falsum, id est enunciativam, ut finems peculetur, et hæcex nomine et verbo, ut materiis, constituatur necessario ergo primum dehisponendum quidf snt: deinde complebit reliquas partes processus resolutiui sedsubiectum, ut totum potential primas species continens, cognosci non potestfinesuis speciebus, sicut totum constare non potnifiex suis constituentibusprincipiis materialibus: ergo deinde de his quæ ad finem proprium diriguntur,dicendum, quid oratio et enunciatio, ut completes finisele et us habeatur:quiahec in affirmationem et negationem dividitur ut pris mophy intelligere etscire, id est intelligere scientificum: quod Auer. Finem rerum naturaliumpofuit. Item genuscum principali sua specie unum finé constituit, acea unoproce mio proponuntur et epilogo colliguntur: ut primoprio rumde syllogismotradaturus, resoluentem processum efficiens a principali fine inchoauit: dedemonftratione et Propositis communibus, ut materia, principiis, quæ perse SIGNIficant ia omnem orationem conftituunt: nunc de coniumctis ex hisprincipiis et conftitutis proponit. pri mumq; ait Deinde, ut diximus exAmmonio, ordinem et urum proponit de rebus omnibus: deinde de elementis,denotata principiorum constituen tiu madres constitutas. Et de omni anima priusquam hac autilla animaratio pof t e a inquit quid nea t i o affirmati oet c Hic quæris igitur et causa ordinis a dnoscelatiesta notioribus nobis Diiiigationem affirmationi prætulerit. Ammonius ait prius nomen perfectius posuit?Item in situs, et ad nosre asenfuuisus incepit ut Auer. aitineodem libro. deanima de intellectu prius quamdesecuny. dum locum motiva potentia. Similitersecundum accidens est ut a comunioribus five minus comunibus pro Milanius. Namde generatione considerans de ea generatim sedin ruit: et fi per se nonSIGNIficat ut ait Aristotele licet SIGNIfica, demonftratio intenditur quamsyllogifmus. Et primophy. tionem non impediat perfead hunc librumnon per primofinem proponens rerum naturalium primum, dixit. Et at, quietiam per seSIGNIFICANTIA principia ut materias spe quoniam intelligere et scire contingit,id est rationem ellen culari conftituit. Quarenon inutilis quidemconiun&tioerit: tiam ac naturam ipsarum, inde scientiam per demonstrassednec necessaria pars SIGNIficans, orationi per se, id est, tionem acquisitamratione et eflentia posita et explicata omni conveniens oratio autem divisa inspecies duas, per definitionem, in fine explicando, nobilius explicavit, quasmonstravimus, conjunctionem a poetica, ut eius parti ac magis intentum. Sed adhuc dubium remanet curnes utilem, mutuo accipit sed ad enunciationem relatam utprimo priorum, prius TEX. BOEZIO. ordine ad nos relato, ab imperfecto adperfectum procedit et tum negatio enim diuisionem continet,affirmatio autem in compositione consistit negationem igitur affirmationipræposuit, et magis ad partes accedir, compositioautem ad totum. Sed ueniatanti uiri fit dictum negation magis composita dicitur quam affirmatio, cumadditione negan cis particulæ, affirmatio efficiatur negatio. Ad rationemorationem quatenus ex luis materialibus principiis cons harum alter utrapræferatur. Sed contra dicimus, pris mo hic liberad demonstrationem dirigitur,ut ipse fal dem, fic nece ædem voces. Quarum autem hæ primum NOTAE sunt, eædemomnibus PASSIONES ANIMAE sunt et quas rum hæ similitudines, res etiam eædem.Sunt quidem ergo hæc in voce, earum in anima passios ad modum necliter etomnibus cædem, fic nec eædem voces. sentiens cum Magentino reprehendituraSueffa. adiu mentum seu commodumin proæmio, nointractatupræ do secondophy.tertio.natura est principium motus et quietis, per se et non secundumaccidens ita que ex his positis sequitur negationem instrumentum explicans confitione formam eflentiam q; cognoscimus hoceft agen rium et dirigentium adipsas. Oportet igiturante cogno! Scereea exquibus est definitio: propter eaqifta præcogni tetur, quææternorum est non autem ad eaquæ possunt ponitur. Diceret enim ille utilitatemtotius libri et subiecti esse et non esse. Amplius et fiinuno, quod de potensanteponenda, non utilitatem cognitionis, perquampro tiaadactume ducitur, nonesse prius fit eo, quod est: pofitad eclarari, ac definiri possunt. meæ etiamrationi nontamen simpliciter in omni natura: cumea, quem poten responderet. Insequenti textu commodum quale fitex tia continentur, non nisiaba et tu, ac eoquod uere eft in plicari: sed quam in ordinate ac fine arte id faciat, uidesactume dantur præterea cap.quarto enunciationem in rintalii, retamen idem cumAmmonio sentit quiait Ari. has duas species diuidensinquit. Prima autem oratiodocere uelle nomen et verbum quorum finitiones promi enunciatiua estaffirmatio, deinde negatio ergo analoga, fit, voces SIGNIficativas esse, quod ifferatavocibus nonli aut per rationem ad aliud nonç que diuisa participatur abSIGNIficantibus, ut scindapfus docetom quæ inprimis, ac utrii: fedde hoc fuoloco dicemus. sicut Ammonius di proxime ab ipfis vocibus in dicentur.conceptus, scilicet durum promittit: Mihi quod uerius probatur iftud est,primo: quorum interuentures explicantur.quæ omnia, hic affirmationem etnegationem numerariut plures species enunciationis, id est oppositionemcontradictoriam erficientes. Quæ infine fectionis fecundæ, in hoc conssistit.ut aliquas edeiiciant, deftruant, abiiciant, atque ne gent; in hoc autemefficiendo potissimam et inprimis vim habet negatio. Quade causa ibi primum abArift .numeratur, ut secondo de anima cum species subiecti fint plures, exenumeratione ipsarum precognoscitur esse, id verum in demostratione, iti demindefinitionem ons quod anteponendum est, prius quam tractatus cognitioautdefinitiohabeatur. Secundo sciendum primo topic. ofta Opposita secundum contradictionem protenfaalterum oppositum explicare.Et primo post. octauo. In antiqua commentatione, deomni eft quod non inquodam quidem fic, in quodam autem non nec aliquandoquisdem sic, aliquando quidem non. Jitidem et tex. Quinto scire autemsimpliciter opinamur: sed non sophistico monitionis: qua simplici conceptu fineassertione seu compo iun et a et divisa,notio rem esse quam affirmationem nam ta, ad eam habendam nos dirigunt atqzillamex præno attendere folemus diligentius ad contraria, ut nobis ads uerlancia,quam eaquæ sunt nobisi nnata. hæc autem affirmatio, illa negatio explicat perexterna, explicantia ti sefficiunt. Arif. igitur quoniam dixit oportet nosconstituere, siue ponere quid nomen, et uerbum etc et com muniter hæc eruntvoces SIGNIificatiuæ positione aliem fine quodam modo alterum sed cum iplespecies ex propriis very explicatione, aliem cum vero. iccircoiftatria antemaniprincipiis internis definiuntur, I uxta ipsarum naturam, feftat: nesuedefinitiones fineratione et fineea quam ipse proprietatem et ut ad communegenus proportionale tradidit arte ponantur, at constituantur. In hoc textu euanalogum referuntur, finienda sunt primo, modo hic in proæmio negatio præpositanumeratur, ut instrumeng voces esse SIGNIficatiuas: quod Ammonilis exponens cumtum est habens ellenorius: secondo autem modo infra in Magentino ait quattuorad ho cutilia effe: rem, conceptum, tra et tatu et propria definitionsubsequitur itainfra intely vocem, et literas. Amm. autemait Aril. inchoare,nona lectus quando plineuero est et falso: circa composition rebus, quæ perse,nec simplices sunt nec compofitr: id nem enim est falsum et uerum. Queruntnovissime curuo enim habent conceptus sed a vocibus, tr"fine quibus discem omiserit. Sed Aris . infri ad hoc respondebit ut supra sciplina etpræceptio fieri non potest aitam; nullam facere etiam a nobis fatis est dictum.Propter ea ad alia contendamus. Aristotele de literis mentionem g nullius uifunt ad proporto et fiuerafint, dimin Pombaamen ponunturcum aliammay gisintentam differentiam SIGNIFICARE SCILICET A POSITIONE, NON NATURA relinquat,quamtamen Alex. et Pfellius prosequuntur et in expositione tex. Ammonius A uer.ato alii non omittunt unum ergo et idem cum hissentiens, eorum veritatemconfirmo. Cum nominis doctrina et dissciplina ex ante posita fiue præexistentifiat cognitione, ftretur et testimonio Auer. confirmetur. primopost.ses cundo.et Arift. primo Metaph. et apud Alex. pri motop. quarto oportetenimait Arift.ex quibus eft de finitiopræ scire, fiue ante cognoscere et Alex. inquitdefinition per omnia nota et precognita procedit et Averroes primo post.secundo. fic. etiam uerisimile eft effe dispositionem specierum prænotionumconceptionis id est defiunumeorum quæ diximus explicatur, nomen et verbumprimo secundo. hec autem quandog imperfctiora, TEX. BOETHIL. Suntergoea, quæfunt in voce earum, que sunt inanie quandoy perfectiora, minus communiaautcomiora. Ma ma, passionum not&,o eaquæ scribuntur, corum, quegentinusaitq cum evidentia dixerit, abhistanquam abdi tis et occultisabstinuit. Aquinas dicit gquia Aril. cępitapar sunt in uoce. Et quem ad modumnec literæ omnibuse et s tibuse numerare: ideo nunc procedit a partibus ad toladducam dicitur. aliud effe dicere num note: O quæ scribuntur eorum IN VOCE. Etqueme procedere, quia magis sensate sunt de anima instrumentum, seu Atat, essemagis minusu e compositam aliud finem habes PASSIONES ANIME SUNT, o quarumbæsimilitudines, res quoquecedem. re ut alterum coniungicum altero, aut feiungiab altero enunciet. secundum concedimus: sed exillo affirmationis naturam magiscompositam esse, sequi negamus sed Magentinus dicit q enumeratis nominee etverbo et aliis eorum definitiones tradendæ erant, quas ponere constistuerat. Sed hoc Aril. non facit: sedcaput proponit quod nobis ad iumento erit sed quod fit ad iumentum nonexiplicat, nec increpandus ame eritut Herminius idem negationis potius. Secundorespondet p in hisquę possunt efle X non efle, prius eft non effe quodSIGNIficant negatio, quamefle, quod explicat affirmatio sed ut species suntæque genus diuidentes, sunt fimulnatura, nihil grefert Quorum tamen hæc primumnotæ funt, eædem omnibus i ta con la contemplanda. Quod fi ita est. Cur ergoiftorum quat PASSIONES SEU CONCEPTIONES esse omnibus easdem:id est tuormeminic? Et si infra longioribus, nunc tamen quod ellea natura: Expolitores nonexplicant qua de causa, ad rem pertinent dicamus et brcuiter: finem huius libriinterpretationem esseut fupra pofuimus hæc autem ut lov gicum instrumentum etorganum cognoscendi, ad explicationem rerum dirigitur, ac tanqua multimum et perfenetemere et fineulla ratione iddrift pofuiffe dicamus. notandum, sexto topi. Inexplicandis partibus defini tionis oppositorum, non tantum opus effeoppoftiscum negation præpofita, sed etiam rebus huius modi, quiz intentum finemrefertur interpretatio uero rerum non busdefinitio feu definitionis parstanquam habitui conue fit nisi per voces clariores SIGNIficantes A POSITIONE,aut perl iteras cum voces defuerint propter eanecresomi lit, sed tanquam finemultimum et in primis intentum por fuit tertio enim mera meta nemo defineconsuls nit: nam per se habitus per privations noscuntur: licet quodammodo idest ut commentator primo pofter, in magna commentauone et primorheto. cap. quintoinepitomatibus logicalibus explicet alicui generi ha minum privatio, atqueoppositum cum negatione praeposita, alterum manifestet. quam obrem topica locaconstituunt. Qomnibus, aut pluribus ita uidentur. Cum igitur supra explicasset,li voces SIGNA ESSE A POSITIONE, ex appo fat: fed ftatuitatq; ponit: sed quomodoet per quæis finis eueniat deliberat. nam primo ethico septimo, fifinem tanquamexemplar habuerimus, magis intelligemus quæ nobis sunt bona et septim opoli. inprincipio: duo funt inquibus omnis commendation bene agendiconsiy fito cumnegatione præmissa, nunc eadem explicat pary ftit. unum ut propositum ac finisrecte agenda subjaceat: alterum ut eas quæ in illum sinem ferant actionesinueniamus, resigitur hic non relinquuntur sed tanquam fines explicandaponuntur. Nec literæ fruftra ab Arift. nume rantur cum vocum fungantur officio:hisq; principibus explicatis,& quæ scribuntur aperiri intelligimus huiusenim caula quæ sunt in voce conscribimus, ut absentisbus uocibus, res conceptascertius, uberius et firmius teneremus quæ enim uox, tot philosophorum, a nobisabsentium, sententias unquam aperuit ad quas eorum libri nostam facilededuxerunt, ut possemus aliquando quid ticulamex opposite positiuo passionesenim et respros prereaq eædem sunt omnibus, NATURA SUNT, NON EX ARBITRIO ETPOSITIONE ex opposito voces, ac scripiuræ quia non sunt eædem, A POSITIONE, NONATURA SIGNIFICANT. aHinc etiam differentia vocum A POSITIONE ET PASSIONUM siveconceptionum et rerum colligitur et approbationem intelligat, ex græcaparticular aperitur. quæ diciti quorum quidem. Quæ particula causam propofitiexplicat, non controversiam. Quioaduerba, Ammonius primum obseruat.q cumdeuocibus et literis diceret Arist. ait. quorum ex SIGNA sunt sed passionssimilitudines re senserint eorum scripta fæpius repetentes a gnoscere: No rum uocauit.Quia simulacra rerum naturas, quoadlicet igiturut Ammonius dico nihilo pusessescriptis. Sed dico, representant ut inpi et uristidetur inquibus mutareformagis fuisse conveniens Arift. nomen et verbum et c des mas præsentatas nonlicet. litin Socrate pitto calvo, fi finire per uoces quæ in disciplinisquasalio certo duce mo, oculis prominentibus SIGNA vero et NOTAE totumha perdiscimusfacile primas tulerunt: quam perscripta: bent ab impositione etcogitatione nostra, ut in militum quibus periti occulta cognoscunt et perceptadeclarant, SIGNIS ET NOTIS diversis a; institutis conspicitur. Sed cong Nunc adlitera mueniamus ea quæ in uoce sunt, cons traquia secondo priorum. deenthimema te tractans. fi stunt, aut continentur, sunt SIGNA se unorem ounebonorenim duo hæc significat earum passionum i.eorum conceptuum: quos patitur, idest, ut formis perficitur phantasia, mens, seu anima, ut Prelliusait et quemscribuntur SIGNA ac NOTAE funt eorum quæ in uoce consistunt. Etquemadmognificans.quiaidemuerbum,lignum,¬auocatur. dum necliteræomnibusexdemficneceædem uoces.} Explicata prima definitionis particula, núc ad secundamaccedit q uoces A POSITIONE SIGNIFICANT. Id que approbat Arifto. ratione fumptaex opposite cum negation prol tensa. Quodquodam modo notius, alterum palamfacit. primo topico et auo, hinc facile confirmatut experimen Arist. quod suprade negatione ante posita affirmationi docuimus ratione sed oppositum ei quodest A POSITIONE elle, estelle A NATURA: quæ eadem omnibus in est ex opsposito igiturratio in hunc modum formetur ad conclusionem ex similinotiori in litterisinnuendam, id natura esse dicetur quod eftomnibus idem; natura enim princiypium est perse& deomni: quæ igitur non sunt omnibus eadem, non natura suntaut significant. A negatione proy Prætereasi hæc differentia uera esset,acillam Aristot. ex his uerbis intenderet, his tantum nominibus pofitissuffincienter explicasset, dum diceret. Propterea quod uoces et literæ SIGNA acNOTAE sunt, A POSITIONE SIGNIFICANT. PASSIONES vero et RES quia SIMILITUDINESSUNT A NATURA. Ita in finiendo nomine et uerbo sufficeretsiduntaxat dixisset,nomen et uerbum es tnota non igitur addendum quog cesfint A POSITIONESIGNIFICANTES et hic omittendum fuils set, quod voces et literæ sunt notæ fueSIGNA non eadem, neidem calu, actemere refricaret. Mihi ita sentiendum videtur. Ovuboloy superior“NOTAM” (NOTARE, NOTIFICARE), “SIGNUM” (SIGNARE, SIGNIFICARE), “VESTIGIUM”dices re quæ ita dicuntur quia ut notiora exterius NOTIFICANT, ac ut VESTIGIApedum significant. Hoera autem, id est PASSIONES SIVE CONCEPTIONES non ita:quanuis interius priæ definitionis ad negationem definiti henc propositio,similitudines rerum vocentur: rem tamen et fiinterius, quia perspicua,approbanda non est: sed lumiper senoi exterius non aperiunt propterea igiturvoces et literas fi, tam oportet, alibi quodam modo declarandam: Allumy SIGNAET NOTAS vocauit et PASSIONESSIMILITUDINES quia ille prio, id eft minor propositio in textu ex oppofito cumneexterius, hæc interius manifestant. Secundo ex dicti sfaz gatione præpositanotiori in literis et quemadmo! cile reprehenditur syllogismus quem Suellaformauitex dum neque literæ omnibus eædem: fic nec eædemuol litera dum afferitArifto. uelle probare voces et literas ces conclusio consequetur. Igitur nec voces A NATURASIGNIFICANT a quume uarient, A POSITIONE haberi, conceptiones ver etSIGNIFICANT et non omnibuseç demerunt. Quorum aux res, cum non euarient, naturaesse. hocto tumuultelle tem.; Approbata minori propofitione ex simili notioripræceptum et complexionem fiue conclufionem ad qua inliteris, in quibus idemprædicatum inuenitur. nunc inferenda mait Aristotele in textu ratiocinari.Quæcung sunt alia duo, conceptus scilicet, seu passions et resmanis aliorumSIGNA VEL NOTAE, positione se habent. Uult deinde fe stata natura effe et itaead emomnibus, inquit ledpal, quom dassumptionem, id est minorem Arift.ponatibifunt Gones animæ quarum hædi et æ uoces primum nuly quidem igitur quæ sunt in uoceet c. id est sed nomina et lointeruentu, noræ sunt hæ animæ passiones sunt cæsuerba. Et scripta sunt signa et notæ aliarum, voces, Ccili demomnibus et resquarumhæ passiones sunt similitus c et conceptionum, et scripta vocum: sequiturconclusiout dines, etiam eædem funt. Sed cuius gratia manifestat putatibiqaemad modum nec literæe ædem ficnecuos Aristot. ipsum definiensait,syllogismus est imperfectus: ex signis ubieodem uerbo ut itur ad ex plicandumSIGNUM NATURALE E SIGNUM A POSITIONE uana iti demerit, assignata differentiaMagentini. non fita positione ceseæd emerunt ubi sic ingræco non haberiaffirmattur. Sed primær esponsionis partitio, feudiftinentio, quo quodmanifefte falsum eft Toosenim sic latine significat nam modo fit uera in primosuo membro, supra longios et quem ad modum et ait et uim habere inferendi færibus disservimus cetera tamquam uera probanus. Seddu pe consueuisse. Sedobiurgandus est Ammonius qui lis SIGNUM ET NOTAM ait approbationem, id estprobationem bitabis Vox SIGNIficatrix est per se genus nominis et uery bi: igiturvox erit generis pars communis, per se unum constituens: duo igiturconsequuntur. primum naturale,unā per se constituerecum artificiali, et ensreale cum enteratio, nis: secondo partem efle intotoniinuscommuni: significare,scilicetapositione,effeinuoce,quæeftmagiscomo munis. Qui modus impropriusdicitur eius, quod est in esse.q nomina,& uerb auoces, et scripta apositionef SIGNIificent: cum secondo priorum In Epiromatibus logica, libus, derhetorica persuasiua et syllogismo contradictoria SIGNA enthimematis etdemonstrationis et topica etiam, non apositione significent. lignum ergo, et NOTA, commune est ad signum, quod EXARBITRIO ET inftituto signifiy alioelle.quartophy.Adprimum&finihilhicneceffario cat,& signumnaturaconsistens.Secundo propria eius ratiocinatio confutatur: non enim unus est syllogismus intextu quen suo arbitratu diuisit, sedduo. Vnus quonos mina Aristot. Et verbavoces esse SIGNIFICATIVAS declarat: quod amedi&um est Paulo antedum primumin textum hoc modo quæ sunt in voce sunt NOTAE ET SIGNA scilicet SIGNIFICANTIAexterius earum quæ sunt in anima passionum minor siue assumptio, ut pofitio perse nota, ap Aris. dubitarem res logicas ut habentes esse imperfectum et quasiin cogitatione ut subiecto: in voce ut SIGNO,aliam naturam ullam sortitas nonesse, quam eamquam anima probationis non indigens ponetur. Cum nomen et uers exarbitrio finxit: ut ad aliud SIGNIficandum exterius refe bum definiet, sednomen et verbum sunt SIGNA seu voces: ratur. Ficut ea, quæ artificummanuseffingunt præterna itaq; maior, ergo et c.propositio allumpta est, ut perseno turæopis, lignum, scilicetæs, aurumue, nil reliquumha ta. SIGNUM est illagræca particula quidem igitur quæ bent, nisi quod ars uera per sua inftrumentahoc uelillo uel executionis fit nota, uel fi neulla approbatione ex propositisinferens, meam sententiam confirmabit id esse fine approbatione aliqua positum.ut communiter affertum abomnibus: Secundus syllogismus eriti bi. Etquemsadmodum et c ut secunda pars definitionis ponatur, SIGNIFICARE, SCILICET, APOSITIONE. Quod tanquam per se notum, nondemonstrat, sed quia non omnino, cinealiy qua controversia est consessumpropter eaquodam modo ex opposito cum negatione præposita manifestat. Quod in scriptis estmanifestius, a positione sint; et eui dentius conttantius q; manifestent. Syllogismus igitur erit. quæ non omnibus eadem suntilla non a natura quæ in omnibus uno modo invenitur: per se idem in omnibussimiliter operans sed A POSITIONE sunt et SIGNIFICANT minor in textu. Et quemad modum nec literæ omnibus eædem, fic nec uoces eædem. Ita que maiorpropositio syllogismi Suessenon est ad hanc inferendam conclufionem, quamnostra secunda ratiocinatio intulit et quæa suessa ratiocinationis conclusionet complexion dicitur, no bisminor secondi syllogismi cum eius approbatione exsimili literarum uiderur nam fine ulla controuersia ut bene animaduertitAmmonius scripturæ et literæa positione significant licet quodam modouertaturindus biuman nomina et uerba, nátura, ut Plato uideturassere re, anaconfilio,ut Arift. sentit, significare dicantur. hinc. per se unum constituit cum voce,naturali opera anima ut fequetur eum non aduerba Arift. ne que sensum dicere.dum infecunda sua expofitione afferit, quam Alexandri et Afpafii esseconfirmat, hic Aristotele velle colligere similitudi singulare opus naturæ est,fed ut indiuiduum ab arte for matum. Itaque nec primum sequetur, naturale cumarti ficialiunum per se constituere: quianon ut naturale, sed nem inter scriptaet uoces. Sed q ex hoc predicato, significa ut arte effectum, formatum cum suacausa formali perl e re ut non idem, idefta pofitione: quod norius et firmiusinunum efficeredicitur: similiterres logicas et placitum scriptis uidetur.Inferti demde uocibus significatiuis, tan uementis arbitrium in uoce contineriaffirmamus: non quam genere proximo nominis et uerbi et omnium alio tamen utopus naturæ eft, per se unum genus conftituit, rum. Quærit secundo Ammonius: curArift. non dixer fed tantu muta positione, et confilio, et cogitatione fal cit.uoces sunt SIGNA CONCEPTIONUM. Sed eaquæ sunt in et um eft, ut vox ad hoc uelillud explicandum ponatur. Voce irespondet primum: cum triplex fit oratio,concel et ex communi imponentium consiliore feratur. Sica pra, in uoce;inscripto: de secunda hic loquitur fecuny mentis relatione, que in uoce adsignificandum relinquis do respondet, voces naturae dimus ficut uidere, audire:aliud eft ergo uoces esse, ut opus naturæ, aliud nomis na et verba a positioneet nostra cogitatione, quæ uoce utuntur, nam quem ad modum ianua diciturlignum, et nummusæsue laurum ex arte, quæ imponit figuras et tur, uocem naturæopus, artis logicæ inftrumentum et opus artificiale per leunum et ad alterumSIGNA ng dum relatum conftituitur. Ex his ad id quod secundo consequebaturpatet responsio non enim in conuerniens eft minus commune, quod formam eta&umdig characteres: eodem modo et uoces dicuntur nomina, cit, contineriinalio magis communi quod in potentia cuma locutoria imagination fingunturac formantur, fie exiftens per ficiac formariabaliopossitminus commu; gna eorum,quæ inanimouoluntantur,& talem suntformamadeptæ:utex positionefignificent.signum est uoxmutorum articulata, quæquianon ex composito et institutionealiorum eft, ideo nomen et uerbum non dicis ni.ut de intellectu et cogitativaAuer opinatur de anima altrice, sentiente et rationali et ex Aristoteleconfirmatur secundo de anima. Postremoin uoce, perfe&io placiti, seuarbitrii, confilii, &pofitionis, effetdicendum sed metaphyfico et naturali hæc quæftio difficilis relinquendaellerbonitatis, tamen gratia, quam breuissime poterore spondebo. Sedanimaduerten dum primo modo effigiantia progenuerit. Hoc,alterum comitatur,easdem res logicas, uts ecundo intellecta, ad logicam non ut scientiam sedartem spectare namearuni, mentis arbitrium, ut externa causa efficiensassignatur aquo effig ciunturea, quæartiu et scientiarum explicationi conuerniunt et in uocibus, acaliis notioribus regulis apponuntur primo post secondoposter tertio ponens dum metaph. Non eodem modo, omnium unitatis per se causamrequiri. Alia nanque, quæ matelriæ conditionibu suacant, ut intelligentiæ fiuementes, fta timens et unum persesunt. Aliaquæ ex materiis constant, unum per sefiunt q hocidem, quod ens potentia erat; idem fit et u:efficiente tantumeducented epotens tiaina et um artificialia per se unum conftituunt, secundophysica secundode animao octauo, non cum subiecto ut naturæ indiuiduum est, sedut arte formatum, viue effigia tum est: artis, ac formæ artificialis esserecipiens. causa enim propria cum sitars, et esse us artificiale quiderit.Ficut causa propria indiuidui et esse et in naturalis est forma et substantia,effe tum igitur subftantia erit, ita proportione et similitudine quadam, quæ deunitate et definitioneres rum artificialium dicta sunt: fere eadem de rebuslogicis, et v ocesignificatrice a positione dicenda sunt non enim quod in uoceex consilio et mentis arbitrio pofitumest, quibus quibu suoxipsa, qualiformatur et denominatione exo trin. ecus SIGNIFICARE A POSITIONE dicitur, atque,ut aiunt, per attributionem placiti, ut formæ specialis, uoci, ut cantibusomnibus, non definite contractis ad nomen et verbum: nam uox significativapartem communits imam generis nominis et uerbi et orationis conitituit non prosmateriæ sive generi magis communi ad sunt. Nec incon prie nomen et uerbumtantum. Differentiam aut eniliter ueniens modus ellendi in alio eft, minuscommunisinma rarum abelc mentis quam Ammonius accepita Dionysgis communi fiueformæ in materia, ut Suetreuidetur, quo fio, lumasab Arist. in libro enimpoeticorum ait. Eles niam quarto physica Primus modus numerator partis inmentum uocem effe indiuuduam: ergo proprie in uoce sed toto, secundus totiusinpartibus tertius specie ingenere, ad sensum patet literas partes eorum efle quæscribuntur. Quartus generis in specie, quintus speciei, leu formem inmaiQuæriturcur passiones uocauit et similitudines uelfimu feria et c. Nec ualetfua obiectio contraPorphyrium: lacra. Ut Ammonius dicit. Sueffar espondet propter eafie sequeretur Arist. Intampaucis verbis ambigue dicere. Militudines appellari, qarederiuaniur: passionesuero, ut animum ipsum perficiunt:c onceptus, ut principilim et ratiointelligendi. Sed contra, quiarecte Ammonius interpretatur, simulacra rerumdicuntur, non quia causa, taarebus ut phantasmatibus siue sensu perceptis sedquoniam rerum naturas, quo ad licet, representant ut in picturis demonstrate inquibus mutare, ac transformare naturas representatas non licet. Prætereaconceptus, nifi constituantur nouarum rerum uocabula, rem iam concer ptam etcognitam supponunt. Non igitur proprieprincis piumseuratio cognoscendidicentur: nisi ut species et phantasma, ut obiectum alumina intellectus agens,eft des puratum, uta iunt, formatum et illustratum. Item non explicatquem animumpassiones perficiant. quianon mentem per se impatibile in, ut Auer. opinatur.Sed animam seu mentem phantasticam, id eft existentem in phantasia utoprimePsellius explicauit attributiue enim mens quia dudicit eaque sunt inuoce. Sumitur ut parsminus communis in toto, id est inmagis communi. cum verosequitur, sunt SIGNA earum passionum quæ sunt in anima nunc sumitur ut accidenset forma in subiecto. Sed constraquia æque ipsum inconveniens hoc sequetur: cumplacitum, fiue consilium, uoci non hæreat denominatione interna, id estintrinsecus sed a confilio imponentium attributum, ut SIGNOf Placitum ergo fiuearbitrium, pactio et mentis cogitation eft in uoce ut SIGNO non cui extraanismæ operationem inhæreat: sed passiones animæ rationa liconueniuntutactueamformantesacperficientesetiamdum dormimus. Item proprius modus elrendi in alio maxime diciturultimus,utinlocoueluale aliitrans lumptiue, id est per translationem, ut Ariftet commentator afirmant. Tertio queritur quod primo loco quæren dun fuerat anper uoce, ergo aliquid ex propofitis inferat, an executionis fit nota AQUINASait ex præmissis concludere, hoc modo quia Arift. dixit oportet ponere quidnomen et uerbum et c Shemc sunt uoces SIGNISficatii caduca et infirmapatibiliset poftremo in homine sola mortalis. Sed hic primum quærocur solum Arift.passion num et similitudinum seu simulacrorum meminit: Respo deturcu principiointelletus fiue mens phantastica rerum qualia dumbratas intelligentias etsimilitudines recipit, his ut patiens i l lu f tratur u t patibilisintellectus. Hinc requistur, eas similitudines, ut animam perficiuntphantasticam, passiones vocari, perficientes, ac illustrantes eamnuilocontrario ante corrupro. Hemec similitudines dicuntur ut o intendimus exAmmonio jur rerum naturas quo ad licet representant et conceptus, ut abintelleet tu patibili seu possibili concipiuntur, autiam sunt conceptæ. Secundoponendum intellectum patibilem, idest possibilem ad passiones et similitudinescum eas primum concipit conferri, ut poteftate eft omnia illa, tertio de animaquem ad modum TABVLA RASA in qua nihil esta scriptum siue fir et um. Indeetiamsequitur tertio intellectum semper esse uerum. tertio de anima id eft nonerrare. sed intelles Etu ssecundo progressus ultra componit illas passiones, utsimplicial intelle et a: et hoc quando ßuerequandog false compræhendit ut infrasectione quinta datur opisnio falsa ac apositione, confilio, fiue arbitrioopinatur. Buntur sunt notæ eorum quæ sunt in voce, non autemdi dequibusAlexander forteait dee isdem rebus fæpe uæ: ergo oportet uocum SIGNIficationemexponere, seu rectius ponere. Contra placet Sueffecum græcis omnibus notam elleexecutionis. Sed nec ipse quicontradicit diffi cilere fellitur, non enimdiuusAQUINAS afirmat ergo aliquid supra traet tatum, seu, ut ipsia iunt, colligere supra execustum, sed ex prædicatis acpræceptis inferre, infra confidei randaspræ cognitiones ut nosetiam diximus etitaes xecutionis est nota propter eanon uniuersatim eft uerrum quidem igiturnotam efle executionis, quæexan te positis no ntr a haturnam nomen definiens,nomen in quitquid emigitur eft uox et c. definition autem nominis exantecognitis partibus sequitur similiter secondo priorum deenthimemate tractans,declarator et posito quidfis gnumdicatur, intulit Enthimema qudem igitur estsyllorgismus imperfectus sed alii arbitrantur, ornatus causa a græcis poni.ficaNOSTRIS LATINIS quidem enim adexory nandam orationem ponuntur: Mihi Arift.uerba et pro cellum consideranci, quando que epilogi, quando q exer cutionis,siue ornatus ellenota uidetur: quod facileex fuperiore et inferior scriptura,ne ambigua estimentur, perspicuum fiet. Quærit Ammonius cur dixerit. quçscrinos diuersos sensus habere in quo Magentinus fruftraconatur, Alexandrumarguere. itaphi sensusuarii quos exueris simplicibus cognitis et eifdem,acanaturacon di non sunt literem et elementa sed horum partes i secundofiftentibus intellectus coniungit non omnibus iidem Xerit .literæ et elementasunt SIGNA eorum, quæ in uoce: duobus modis respondet, primo hic Arif. denomine et uerbo, acaliis propositis in proæmio speculari, cuiusmo aitqsi'uerbum Aris ad omnem dictionem extenditur litteræ proprie sub hiscontinentur quem scribuntur, elemens taueroquæ proprie in prolationeconsistunt, subhisquem in oce. Sed Arift.generatim loquitur de vocibus SIGNIficatiuis ut pars definitionis eft omnium,quæ in proæmio definire proposuit. Sed in libro poeticorum elementum definitur,a uox fit indiuidua: non omnis, scilicet per se significans sed ex quaintelligibilis vox fieri poteft.hic uero dixit eaquæ sunt in uoce.i.arbitrium,confilium, an passiones simplices quas de ipsis habemus, easdem res cognitio,intelligentia sunt SIGNA SIGNIFICANTIA et intelli SIGNIFICARE dicantur: cumsemper fint distinguen deutdie gentiam conceptuun explicantia, non igitur hiceft fers uerfas res continentes Responde as aliudeile dicere paso mo proprie deelementis ex literis, quæ eadem sun tre, li fiones primas effe similitudineseasdem, id eft a natura cetratione quam diximus differant, ledde uocibusSIGNIFICANTES fignifi constantes, aliud passionesesse naturales fimilitudinesrem patibilem affirmamus primo de anima tery tio de anima ratione phantasiæfiue cogitatiue quæ funt,l icet a positione et opinantium consili opendeant.His positis, patethorum duntaxat Arist. meminiffe, quia hæc sola sint uereomnibus eadem, adquæ anima cons paratur ut potestate recipiens quam obrempassiones Arift. appellauit alii autem conceptus, aut non iidemdi cuntur,autadillas, quas diximus passiones et similitudines, reducuntur hæc dehisha etenus quæ tunc docenda erunt cum de anima dicemus. De æquiuocis ambigunt. id estnatura consistentes habebunt: quibus plura cognosscunt et representant,acreferunt licet voces quarum proprie ambiguitas dicitur, non naturas inteædem fedapositione SIGNIficent: æquoca enim rem unam cominus nemnon habent: fed tantumuocem et hoc responsio, diz ui AQUINAS dictis, eft fuita. Sed obiicies utSuella contra Porphyrium ubi voces funt eædema consilio, pofitæ, easdem primasconceptiones fine erroreaut falso SIGNIficant; non ergo ambigue loquicontingeret, ne quedifting bis. ubinamin Ari. patet, similitudines in primisesseres rum simulacra et naturalia ficutresnatura eædem omnis bus sunt?Respondeasextertiode anima animam, quodammodo efficiomnia,cum omnium formas,autsensu, aut mentes uscipiat et quia singulorum formæ per animam cognoscuntur,LAPIS autem NON EST IN ANIMA,sed species et forma eius primum lapidemrepresentans. Primum ergo similitudines et species rem et DURAM LAPIDEM ESSErepre reautillic Arist.dicit. Ad phantasmata intellectus confers tur, ut sensusad SENSIBILIA a quibus natura mouemur: atque impossibile dicitur, qui nuisistangamur. Itemne celle Arilair, intelligentem phantasmara, id eft eorumSIMILITUDINES, specularit ex res autem o narura constent, tanquam omnibusperspicuum omittatur. Amnionius di de anima ad poftremo relatum dixit cæterumprodig tum de hiseflein libris de anima, scilicet tertio de anir TEX. BOETHIT.De his uero dictum – LAPIS EST DURA – est inijs, qui sunt de anima, alte riusenim est negocij. Eius demrei uel diuerfarum nam analoga, ut primum offensioadarteriam, fideconsulto et composito siat, illac concipiuntur, diuersacontinent, ordine, comparatione qua commeat spiritus uox eft: tussisuero, noneft ea uox: seu proportione adunum collata. tamen eorum prime intelligentiæfcuconceptiones eædem dicuntur, id eft naturra non arbitrio uariæ ficut voces:qux comparatione, reu proportione dicta A POSITIONE SIGNIFICANT simili rationeambigua, id eft æquiuoca, primas conceptiones easdem, nus, quicumSIGNIficatione aliquaemittitur. Sed postula quamuis per eadem loca,machinamenta proueniat. quia, scilicet non ex proposito accidit nam aitfinecogitatio ne aut consilio vox missa, non est vox nam “hocomnino” in definitioneuocis collocandum eft quoniamuox eft so in guere differentes, qui satisex notis locibus, atque errore, conceptionibus conftituere poffent, quod fitads sentant, nam intellectus omnium, de rebus senfibilibus primum uenit, exquibus VISA quædam et similitudines procreat ad quasintelligens feconuertit etcum intelli uersariorum consilium,aut quid ueline Dicas his disting dioneutiopus non effe, quibus ita hæc nomina sunt perspicua et communia, ut quasidomiab ipsorum positione nascantur. Sed his qui quasi modo nascentes de notissimisrebus atque nominibus hæsitant, nihilq; ab aliisexplicar tum nouerunt: qua decausa, diftinctio in bis nominibus fiet, quæ habentur dubia: quorum res abditæet arbitrium consilium plurimarum rerum et conceptum non gie necesse est simulphantasma aliquod speculari. phang ialmata enim, sicut sensibilia sunt:præterquam tertiode aninia sunt sine materia. fecido natura constantsimilitudines: non ex arbitrio pendent: quia ad similitudines comparaturpatibilis intellectus, ut natura pure potentia aut poteft ate recipiens tertiode anima in natura enim anime ef tunum natura agens, alterum natura patiensficut in omnia lia natura monstratur tertii. Prætes perspicuuin dicitur. Adtextum nunc redeamus. Ex uerbis his collige quod supra docuimus uenforqui demigitur quandog ad exornandam orationem ab Ari. poni, ut hic: nilenim ex supracognitis infert, neque alia quid exequendum. seu tractandum proponit. QueresabArift.cur istorum naturam dillerere diligentius et proprietates omittis? quibusgab animantibus instrumentis uocalibus proueniant: pulmone et aspera arteria,aquos ma at conceptus dicit mentis primi, quid intererit quo minus fintphantasmata: Respordet an neque alii phantasmata sunt, uerum non finephantasmate tum in rum primo, uocis materia aer præstatur. ab altero, vocesgraves et acutæ effigiemfumunt.& q articulate dicantur a lingua, palatolabiis, ac dentibus ut animæ rationalis motioni deseruiunt curhçcitidemapositionc, alteraa natura confiftant atque fimilitudines rerum sint primumfimulacra, voces uero passionum ligna, ac notæ dicans tur: Ad hæc omniaputoAristot. respondere propterea abeo essereliaa o alterius est pertra&ationis, id eft ad alium pertinent modum considerandi naturalem deani, ma:nam pertra et are quanam ratione istaabaninia, ac instrumentis eius proueniant,an a voluntate pendeant, ut operationes, ad animam, suum proprium principiumres rum voces primo res generatim SIGNIificare, sedl ogicos feruntur, de quibusut supra diximus, secundo de anima differit ubi vocem significativa meximagination animæ uoluntaria, Conum appellat: hinc ergo patet voce sesseSIGNIificatiuas sic enim ad interpretatio rum primo conceptus quod exdefinitione Platonis aquo Grammatici acceperunt confirmant nomen nem dicunturconferretex et apositione SIGNIifica re quia ab imaginatione SIGNIficant etvoluntate ut commentato at Arist. asserunt. Arist. enimait oportet animatumesse ucrberans et cum imaginatione aliqua, id eit voluntaria cuius rationemadducens, inquit sunt in aninia et quarum passionum eq voces primum gnasunt etcsed contra quia eodemmodo nomen defini, tura logico, poeta, atque grammatico idautem ut verum fit in definition nominis declarabimus secundo fin nisharumuocum eft idem ei ad quem oratio enunciatiua refertur hicautem eft interpretationrerum conceptarum, quæ idem sunt quod conceptus: SCOTUS vero quæstione secundarespondet conceptus SIGNIficarerem, ut similitudo et speciesrei, non utaccidens animæ dicitur, Sed non quæritur hoc, sed duntaxat, an vocesprincipaliter, seu vox enim est quidam SONUS SIGNIFICATIVUS NONNATURALITER ut SIGNIficatiuus est sonusrespirati acris sicut tussis sed ab alio libero movente hunc aerem ad arteriam.Ing quit etiam Themistius acute hunc locum perspiciens hus iusergoaeris quemspirando reddimus percussion et quibus imaginationem passivi intellctus nomineappels landamcensuit tertio de anima primo de anima ex quibus tam obscurisverbis non potest concludi aliud, nifiquod poftremo deduximus non enim videoquid suadi et a sequatur, fi primi et aliia primis conceptibus non suntphantasmata, non tamen sine phantasmate, line quo nihil intelligit animam, nisiconceptus primo phantasmata representare et necesario: ut intulimus. Mihi autemVISUM eft, sermonem Arift. adomnia supra di et a potuisse referri, cuiusuerifimile argumentum poteft esse. dixit dictum eft, quidem ergo in his quæ deanima, id est libris duobus secondo et tertio: ut retulimus; non tertio solumut Ammonius opinatur. Et ut finem tandem quærendi faciamus paucis adhæcadditis, poftres moquæramus nomina fiue uoces an primo SIGNIficent res, anconceptus? Quidam respondent, grammaticos finientes quod substantiam velqualitatem significet et hic Arift.quæ in voce, ligna sunt earum passionum quæde his quidem igitur dicemus in his que de anima alterius enim estnegocij: etum hoc Arift. Dehis quidem dictum efti nhis, quæ in primis res autconceptiones significent. Propterea uerius ad rem et senfum accedens, respondeoet nobiscum, sinominibus non concinnat suella, re tamé idem affirmat cum Alexandroprimum pono voce tanquam ultimo in? Tentumfinem et principalius, mediatetamen,SIGNIficare RES et extremum, voces, an res ipsas SIGNIficent in contrariampartem Arift. et Comment. et quæ scribuntur SIGNA et no iæ sunt eorum quæ invoce et li uoces PRIMO SIGNIFICANT CONCEPTUS, et conceptus primum res,scripturæ ergo primum uoces declarant sed contrarium, leniuum teltimonio etexperimento monfiratur. Quia scriptura homini et cei terarum rerum dequibusphilosophi differunt, utimur, rei cum ipsarum explicandarum causa prætereaepistola in uen fecundo autem minus principaliter, sed IMMEDIATE CONCEPTUS quæduo afferta exemplo a scie manifestant urnam ascia ut instrumentum efficitimmediatum sed principale seu princeps efficiens est artificismanus quod declarta affirmatur, ut certiores faciamus absentes, siqu id esset rans primo deanima octauoThemist ait qprincipale ac ultimo intentum cognosci et definiri,indiuiduum dicitur: fed alio intermedio cognito forma uero uniuersalis finealio medio: ut tamen ad indiuiduum cognoscendum refertur. Hæc di etahisrationibus approbantur. Id quod eos scire aut nostra autipsorum interesset:igiturres poftremo, ut ultimü et finis, explicari intenduntur. Item fi quæscribuntur SIGNA sunt vocum, autearum quæ extraani mam, quod impossibile eft,aut in anima: uoces autemin anima conceptus dicuntur, quos ad rerumexplicationem in primis uoces SIGNIficant, ad quod SIGNIficandum nouosreferriut sinem supraretulimus. Nunc ade aquæ adducerum nominum inventorimposuit hic autem ad rem explicandam uoces consticuit id.n. de uerbo consideransAril. et manifestans uerbum SIGNIficare, approbat, quia consftituit intellectu.sed VOX PROLATA hominis tunc conftituit, et quie cerefacit intellectum non cumad conceptum: sed ad naturam humanam deducit ergo voces et nomina tanguls timumfinem in primis intentum res explicabunt licetins ter mediis conceptibuspræterea primo elenchorum pris banturex Arift. respondebo. Non solum querendumquid philosophus dicat. Sed quid convenient errationi et sententiæ suæ vereopinetur audiendum. Hunc enim in modum. Aristoteles Intelligimus quæscribuntur, sunt notæ eorumquç in voce i. confilii et arbitrii in voce quæsecondo intellectus et conceptus res explicantes dicuntur. Sici nterpreterisquæ ex Arift. adducuntur que scribuntur sunt lignaeorü, quæ in voce i.explicantcum voces defuerint ea, quem ex plicantur per voces, quarum uice fungiturimmediateer go uoces sed non tanquam ultimum et extremum, quod mo, uocum finemdeclarans Arist. ait: quoniam res addil serendum afferre non poffumus, utimurnominibus loco rerum ad explicationem ergo rerum, consideration uocumreferturnon conceptuum, ut fine mulcimum. Amplius. Idem opus exercetcumeo,cuiusuicemgerit, utdeconsu metaph. Ratio illiusrei, cuius nomen est SIGNUM,definition eft uox igitur rei per definitionem explicatæ, SIGNUM dicetur. Itemteftimonio fenfuum confirmatur:quorum clara& certaiudiciasunt,eorumquærationeetiamiudis cantur.Ad quidenimtam diu expectamus, flagitamusuole, rege et pro-consule, siue proregein vollendiscontro uersiis perspicuum est.Scripta autem vocum uicem exercent. Idem ergoextremum significatum habebunt.explicationem, scilicet, conceptarum rerum. Amplius literarum inventor, adrerum explicationem direxit et Auer. Ait scri cum interpretationem: nisi ueriinuenié di gratia in rebus, pturas SIGNIficare uerba, id est fine medio etSIGNIficata uer quas cognoscere cireftatuimus I denim uolumus et borum cumforte uoces defuerint, hæc dequestionibus ardemus defiderio tang extremum. Adhæc.fi conceptus sunt inftrumenta ipsa rumuocum ut ad rerum notitian mediisconceptibus ducant nó igitur ultimum et extremum que verum adbucest. SIGNUMautem huius est, hır coce e ruus enim aliquid SIGNIficat, sed non dumuerumaliquid, vel falsum, fi non uelese, uel non esse addatur, uclfine pliciter, uelfecundum tempus. Est autem quem admodum in anima aliquandoquidem o falsum. Nomina quidem igitur ipsa Q verba consimi liafunteiintelligentiæque est sine composition neo diuie suimus et rationibusacsensibus, rationem confirmatibus fone, ut “HOMO” uel “ALBUM”, quando nonaliquid additur: nes approbauimus. Pugnabis poftremo, fi uoces, mediis conqueenim falsum, nequeuerumadhuc est. SIGNUM autem ceptibus explicationem rerumefficiunt: cum immediate bus ueritas et falfitas inuenitur, hæc autem conceptussunt, non res ipsę. respondeasuerum et falsum in conceptibus, ut in rerumsimilitudine inueniri: quæadipfarumuerará rerum cognitionem refertur uerum inrebus est, ut in causa. In poft prædicamentis cap.de priori et in fine huiusprimi libri itap attributiue. i. per attributionem et collationem ad res,veritas in conceptibus erit: uere autem, ut in causa, in rebus. Dices propterquod unum quod am tale et illudma césrefertur, ueascia admanus artificum: quodsuprapor SIGNIficatum non ab organo sumi oportere: sed ultimo explicareconftituunt. nam quod uicem alterius perficit, dum uerum aliquid uel falfum; sinon uel esse uel non effe fatis, ac principale SIGNIficatum vocumdicentur. Etfiobiicietati quidem intellectus fincuero, uel falso, aliquandoautem cuiiam quis Arift. textum, quem retulimus voces PRIMUM SIGNIFICARECONCEPTUS intelligas fine medio alio. non tamen,ut necessees thorum alterum ineffe, fic etiam in uoce. Circa compositionem n. o divisionem, eft uerum,ofalfum. No ultimum et extremum SIGNIficatun. Nam uoces dicuntur SIGNIficareconceptus, ut rerii sunt similitudines ut ab ipsis rebus conceptus uenisse adintelletum dicamus, quas novissime, ut finem et ultimum intermedias conceptibusper voces clariores NOSCAMUS. Nec secundum eorum argumentum concludet. Voces eain primis ut finem SIGNIficare in quis mina igitur ipsa et verba consimiliasunt ei, qui fine comegis. Si ergo voces mediis conceptibus explicantres, igituruoces magis et inprimis conceptus, q res ipsa saperient. Dic Aristoteles locumualere in causa principe. i. principali non iuuante tanquam instrumento,quomodo conceptus a duo intellecus et cogitation fine vero uel falso, aliquandoautem cuiiam necesse est alterum horum ineses, ic, etiam inuos ce. Circacompositionem enim et divisionem estuerum conceptus, ut accidentia denotent,nunquam substantiam explicabunt. Paucis, ut supra, respondeas, tocum propriaaddatur, uel simpliciter uel secundum tempus et extremo fine intent. Quodquandoq substantia quando g accidens appellatur. Huic veritati Alexander etThemistius ascribunt, etc. Ammonius non dissentit. Secundo quæs ritur, anscripturæ siue quæ scribuntur, tanquam ultimum Magentinus hunc in modumAristotelis textum cum præce denticonne et tit.cum duo sint investigata. Primiiquonammodo nominis et uerbi SIGNIfication intelligenda ellerutrum TEX. BOEZIO (siveda) Est autem, quem ad modum in anima, aliquando positione, divisione est,intellectui. Ut “HOMO”, uel, “ALBUM”, quando nonaliquid additur, neque enim falsum. Ne huius est, quia “hircocervus” aliquidsignificat sed none E hæc duo fineab Aristotele, posita, causam etfinem curitapo ratiocinatur. Quem ad modum in anima intelle usquando fuerit,non declarant:ut.l. quid nominis partium definir tionis nominis etuerbiorationis, enunciatiuæ tang præs cognitions ponag ntur. Alterum etiamsecondo dicúrey fello. Non et enim video ubi investigauerit Aristotele inquibusverum et falsum inveniretur. Quod nucquog inueftigare constituat. Itempugnantiacum Ammon. dicit. aitenim in anima eft quando querum aut falfum et itaprobatio Ammonius per hæc utilitate in ad institutæ commentatio, essetminorisibi. Circaca in positionem. n.intellectus et di nis propositum tradicum. C. verum et falsum sit in mentis uifione meftuerum aut falfum conclufio utclaratuncre concepribus et uocibus ut SIGNIficantibus et quodnumcdo linquereturergo itaerit in uoce sed uere arguit ex hypo cet philosophus non in hissimplicibus sed compofitisue theli, non potential cathegorico syllogism namcumpos rum et falsum spectari non nominibus nisi ut peroratio fitionemquodammodo ignotam manifestet, non syllogir n e m enunciatiuam a firmativamconiunctis, vel per negativam divisis, ita gnó in quit hæc quæ diximusAristotele docuif m o arguit. Ex quo aliud ignotum natura concluditur, sed exhypothesi, ut diximus et infradicemus. Prætere aut Commen et Ammonius asseruntibi circa compofitionem enim et diuisionem non minorem sed approbationem uniuspartis antecedentis apponit. Aliquádo intellectus cumuero et falso fit SIGNUMest particula enim quæcau sam propositi denotat, scilicet quia verum et falsumsunt circa compositionem, id est affirmatione, quaaliquid cum falsum incompositione et divisione sequuntur intentiones se: sed nunc docere et inconceptibus et vocibus ut SIGNI? SIGNIficatiuis, falsum et uerum spe et ari,dumconiunguntur aut diuiduntur non persesumptis. Addeex Amm.hæc Aris. Nunc docere ut alteram orationisparte mante cognoscat. Dices pro Magentino illa quæ dixit, ab Amm.ferem aduerbum superiori textu sumpfife cuminquit cumhæcitaq percaquæ nuncdicunturtradentur. Iuocesesse SIGNIficati was rerum mediis conceptibus tum uelmaxime quibus in rebus quocunq fuerit modo ueritatem ac falfitatem scruztariconuenict C. inhoctex. Addés uero quem in textu supe intellectus. i. suntin anima, sexto metaph. Ergo eruntin riori confideret ait. de quibus inpræsentia nobis perpen uocibus seu uerbis significantibus ipsas conceptiones,ut fioest. Utrumin rebus anmentis conceptibus, an uocibus, Comen. animaduertit.Exhis declaratis etiam patet,q in aninquibufdam. harumduabus: anetiaminomnibus. telle et usfitali quando finc uero aut falso, idq; tangexsuo fiinuocibus qualibus his scilicet compofitis non nomine et uerbo et prædicamentis,ita incompositis conceptibus qui causa funt locum, no per le in simplicibus neccompo! Fitis rebus) Sed animaduerte quod dixerit nobis perpensio uisionez.i.line uero aut falso hæc exemplo manifeftat subs inprçsentiaeft) quod tameninferius considerabit. neg dicitab Arifthæcquæ ipse perpendit, inveftigatanec'ait Inveftigasse Aristan SIGNIficatio nominis et uerbis olī, pendeatexuocetantum, an ex intelligentia uel rebus: sed quo cunq; fueritmodo,inhisueritas et falfita seft, ute xplicátis bus instrumétis hac enim rationeres ipfa sabiecit adquas famen ut extremum et finemultimum explicandas, uocester et non admittunt: ergo nec dequominus: nistuery et conceptiones animæreferuntur, q siquispiamhęcquæ bum effe affirmatum, aut non effe negatumaddatur. fim eft fine uero aut falso, quando cuihorum alteruminesse necesseeft, ita et in uoce: hoc totum eft propofitio maior, affumptio et minoribi.circa compofitionem enim et diui rionemestuerum et falsum et non circasimplicia, ita ergo erit in voce. Sed contra: quiaminor hæc effe debuiflet: fedalio componi SIGNIficatur, aut diuifioné, id est negationé, qua explicaturprçdicatum a subie&to disiúgi. et uerum et opposite perspicuum utcorolariumet consfequens posuitcū ait. nomina quidemigituripsa et uerba consimiliasunteiintelligentię fiue intellectuiquiestfine compositione et di ftantię etaccidétis: “HOMINIS”. C. et “ALBI” . utexhisomniaalia prædicamentaintelligatur. quando. n. his non aliquid ads ditur, fcilicet uerbum prædicatum“ALBUM” cum “HOMINE” suz biecto coniungens, neque falfum ne que uerum adhuceft. Hoc denominehyrcoceruimanifeftat, nanquehuiusinor di compofita nominauidentur uerum aut falsum admity exvocetanti: m, aut sola intelligentin,an ex resolumuos ex Anmonio dicimus non probarit, inutrunq zfitdi&tum.Cesitemper animi sensus rerum elle interpretes. Secundo inquibusuerum et faluminuenireiur quòdnunequoß idoftendendti Arist. proponit. fedutrunchiltorumreiicio. non eniin fupra inuestigauit. Sed pofuit, ut persenorum, AQUINASdicitq postquam tradiditordinem SIGNIficationis uocum, hic agitde diuersa uocumSIGNIficatione: quarum quædam uerum et falfum SIGNIficant: quædam non. Sedlicetuerumdicatur, ut de Ammonioreiulinius: tamenfine nomina et uerbaSIGNIficatiua efle, cx hoc peaquæsuntin cuius gratia ista ponantur,fubricuit:Licédumigiturcum uocefunt SIGNA ET NOTAE SIGNIFICANTES PASSIONES nullomesdiointerie et o, hisautem mediis, tanquam ultimui, res explicare. prçterea nonuideo ubi inuestigarit, an nominis et uerb SIGNIgnificatio intelligenda essetex uoce tantum, aut intelligentia tantum, aut ex re solum: fed hoc posuit suntuæ, quibus etiam differebantabaliis: nuncuelleconstitue quidem ergoquę funt inuoce et c ut SIGNIficatio sumatur non ex uoce tantum, nonintelligentia, fedarbitrio,cognitione, et CONSILIO etimponentium consensu, quem in uoce re feuante cognoscere differétiam,qua oratio differtano mine et uerbo: et quaoratio enunciatiuaaboraroriispoeticis optantibus et c.separatur et quoniamquępones reoportet etantecognoscere, ut per senota, non isialiquo facili instrument innuidebentnullo modo demonstrari. Propterea ex fimili seu hypothefi, &cóceflo,acpofitotery expaétione et confilio reliquerunt acuoci per attributio nédederunt at nullamentio eftfaéta de rebus, anabeasu mendaeflet SIGNIicationominis et uerbi quoniam maxiy m u m esset ignorationis, ac inscitiæ in Arift.argumentum, firem tam perspicuam, nec dubiain pro occulta quæliffet tiamdefinitionis partem et differentiam manifeftat.cũ inz quit. esid. ubi,',proenim Magentinus uertit. ut causam hic assignareuelit ut Ammonius etAquinus dixerút, acdubia. cuieniniuelrudi dubium uideretur, nomen et uerbumquod ut organum et instrumentum SIGNIficant a rebus, inftrumenti SIGNIficatiuet organi cognoscendi alte rum, SIGNIficationem habere, cum tantüSIGNIficentur, et nul lomodo SIGNIficent ine SIGNIficare et explicare,utorgasnum logicum uideantur? Item ea SIGNIficatioerat nomio nis et uerbiponenda, quæut præcognitio partium definitionisadea cognoscendadirigeret hæcautem eftuoxade quo nunc differemus aitergo de antecedente syllogismi exposito ficutuelquemadmodu menim eft in anima intellectus cogitatio, intelligentia vóruceenim iftaSIGNIficat.) aliquando quidemsine uero uel fallo: aliquandouer rocui necesseesthorum alteruminesse. Ex hoc posito et notiori antecedente infert quodammodoignotumin choantibus consequens ficetiam in uoce ut SIGNIS ET NOTIS CONCPTVVMerit, aliquando sine uero uel fallo ut in nominibus et uerbis, aliquandocuinecesseestiam horum alterumin effe: ut in oratione enunciatiua,Suellaueroita pofitione SIGNIficans,non res tantum SIGNIficata: a uoce ergo etintelligentia in voce relicta, Ctributa fiue attributa SIGNIficatio nominis etuerbi pident, no ar ebus. Amplius: Suela nam licet fupra male textum Arist.declararit Sucr sa, nun cueritatecoaaus idem dicit quodnosin explicans dophilofopho dicebamusp ofitisduabus partibus defini tioniscómunibusnomini etuerbo et orationi enunciatis pliciter, efle, quamartemutexemplar,adopuseffin latenus inc aliquiduocum: nec eorum quæ in voce, no utgendumexteriusafpicit, qopusexarte notioriinmates finis: cum conceptus priorfit uoce et ueritate quem in uoce confiftit: non ut agens.quia res agens est, aqua oratioues taut falsa vocatur sed non difficileest Amm. et Aquinas.sententiam et opinionem, a Suessæ argumentis defendere. primum, absurdumaffirmat. Conceptus non tangformam SIGNIficant: qui in voce tang artificialimateria relinquuntur: quo esseueriautfalliinuoce, cumnecaliquidfintvocum, neccumuiuocessuntnotæ: Exhisrespondemus: rationem eorum quæsuntin uoce:Peroenimabeocumsupra dixe ritArift. Eaquæfuntinuoce etc.nonnifiarbitrium, etplacitum, cogitatiointelligitur: ut ipse metcum locum interpretans, opinatur:ergo conceptus est aliquid existens in voce, non utopus naturaleest, sedarte.i. uoluntate: confi et um. Itemipfeconfiteturuocemsignificatiuam,communegesnusnominisuerbi& orationis enunciatiuę uocari: nõuolessuntsimilitudinesrerum.Seddicessecundomenunc cé, utnaturaleopus. Ergouta cognitione,imaginatione pugnantiadicerecumhis, quæanteacontraAnimo.Boe uoluntariaeffi&taeft: ut signum fit ad aliud extraexplican thium,& Scotumdiximus: orationen dariinméte et no dum relatum: Et fecundo de anima Averroeset Themist. tioremesseea, quæinuoceconfiftit. Diximusadhçcartis fumentes abArift. asserunt: essentiam uocis interpretatis inuentoribu sueliaminuentamdocentibus, ineodem no efle percussionem aeris anhelati, ad membrum quod canatioremesse artem, acconceptionescūuero& falsoinani dicitur, ab ex pulfione animæimaginatiuæ uoluntariæ: et ma, quam exterius opus effictum:ficinpropofito,excong infraqinessendo uocem necesse est ut percutiens habeatceptibus rationem coposuit, notioribusapositione signifi animam imaginatiuam,tuoluntatem:effentiaergouol catis:quiquodammodonotiores:utindu&ionesensatacispendet abipso conceptu et placito reliéto a positione patet infraenimsectione quinta ex opposition maioriin in uoce, tangforma et uox uropus naturæinterpretans mente, explicatitae! Tein uoce: Item placitum est causa, a placitoab anima etiam, tangagente, depédet: nam secundo de anima.percussiorespiratiaerisad uocala arteriam ab anima quæinhispartibus uox eft ut efficientecausa hinc Cómen. Inprincipiocómentiait oportet igiturut percussioaerisanhelatiab anima, queestisismé præcognitionem partistertię definitionisratiocinatur:nobrisadcannam, fitillud quodfacituoc a et inmediocom igitur demonftrationemeffect quæadnaturaliterignos menti primum enim mouens in uoce,estanima,imaginatiua et concupiscibilis et ideouox eftsonusilliusprimi uolentis et mouentis.Etq etiam dici pof sit quodammo dofinisuocum, perspicuum est ex his,quæfupradocuio mus: fine muocum effè eriam res conceptas: namorgal na ad eorumopera, tang finem et ultima, diriguntur.pris mo topic..cumnonpropterse, sed propteralterum exo petantur:sed uoces SIGNA sunt ET NOTAE CONCEPTUUM adquosexplicandosreferimus: finesergo medii,licetnon ultimi tumdir igitur. Secundopost.primo. necillam utperitus ad rem per se nota efficere potuit. ne ipsesuampręcogni tionum artem confirmaturus experiment contrarioinfir maret.Itidemminime consecurionem ualere dicimus:ra tio ex caufis eft notioribus,ergodemóftrationempropter quid aut simpliciter constituere affirmabitur quoniamalte rum& pręcipuum demonftratiodi &arequirit.utadigno tum naturaliterdirigatur, non ad pręcognitionem ponendam, utpersenotam:nam primopofteveręetiàdefis uocabuntur: Exhisfacileeiusrationibus respondemus. nitiones,quidtantum nominis non ueræ definition suim haberedicunturab Auer. Utpræcognitionessunt:ita et fi hæc præcognitio ex caufamonftretur, nonutdemonstras tiua, fed utex fimili accepta, et uisa, et alibideclarata; pros ptereatopica potius,quàmdemonftransuocanda:noto pica,o fitdubia, autfalfa, immouera, sed hicaccepta alig biuisa philosopho et hic posita, utc redita:dequo latiusressecundum feeffe dicantur, nótamen apudeosquicon ceprus et res conceptasignorant: adquarumexplication nem, utultimum, referuntur. Ad tertiam de agente dico:inquit exAmmonioait. Primo quiahæcconfi& anomina rem, agens remotum uocari:aquo intellecus phantasticus falsum significare uidentur: ut. Aquinas ait.Sedcótra.quia fimilitudiné abftrahit: sedanima, ut naturaagens,uocem abAristotele dicitur sed non dum uerum aut falsum signifi interpretantem tangoperationem propria mefficit, &lo cant. Nifi effe aut non effe addatur:ergoutrunque signis gico tradit: cuilogicusproprium considerandi modumficareuidentur. Item causa assignandafuiffet, curexem attribuens, utinftrumentumsignificandi et explicandicon pliscöpositis (que uerum dignificare potius etiáuidentur) Ad primam, utpatet, intelligentia, inuoceartecong fi ettareli&ta,eft,utaliquiduocis.i.forma. Ad secundam Q non fitfinis, nonualet,idpriuseft,ergonon finis:Deus enim eftpriormotu&creatura,quæadDeicognitionem deducunt, ut signa et effe&ta ad suumfinem cognoscendadirecta: fimiliter dicatur de uocibus, et fi conceptus prioriaexternareli&um: manifeftum eft argumentum qdixit Arist. bon uoces:sedeaquæsuntinuoce, suntsignapass fionum et conceptuum,utnaturaliumsimulacrorumet res rum fimilitudinum. i.cóceptusapositione,(utratio)signi exfimilinotiori,et fuperiusab Arif. pofito, exlibrisdeani maprocessisle: ficutinanimaeftaliquandointelle us fineueroautfalso, aliquandocum horum altero: ita& inuoce: et de uero et falso loquiturutAlex. et Ammo.ac cæteriboni expositoresaffirmant)orationisenunciatiuæ, etdenominibusfignificantibusaplacito,nonutnaturas quamobremuoces significantcúfiuntnotæ. Necproptes reao conceptusutcaufedicuntur.quosnomina et uoces tanquam SIGNA et effetusimitantur,afferendúeftArif.des monftrantem rationem efficere: namhich ypotheticè ad Deodanieprimotopic. dicemus. Quæruntcur Arift.fis&aprotulitexemplapotiusquàmuera.Sueflasumens ut pliciter, quodpræsentis efttemporis.aut secundum tome pus.i.præteritum& futurumut Com.explicauit. De Am monii expositione dicemustunc,cumaddubiaresponden bimus.Quæritprimú Suessa.qualisnam ratiocinatio Aris. fuerit(quéadmodum inanimaquandoq intelligétiafine ueroautfallo, quando quehorumalterumnecetle eft inesse.respondet. Aquinas et Ammo. intex. præcedenti,nes liderat, accognoscit:Respondendum ergoest uteftdig &um Arift. exhypothefileu positione,& exfimili notion riprocedere: quod quemadmodum particuladenotat. dum asimili: seda causaquamimitatureffectus, proceder re. nam Ammo. ait: circa enunciatiuamorationem quæ quæsupraetiam Aril. poluit: namproptereauoxfignumexillorumcomplexuefficitur, uerum et falsum spectari. ¬aexteriusexplicansdicitur, qapositione et intellig ante voces quoq;hæccircaconceptuscósiderari.utqui causæ uocuinlunt,aquibusconceptusfimplicesfineueristate, et compofiticum uero et falsodefignantur et declas tantur: Responsionemimprobat Suelta: quia conceptus non causaueriaut falliinuocetangformasunt:cumnuls duftioncperspicuum eft ut Amnioniusanimaduertit notioremartem Seddices ratione inaliniilieffe& et tamex ignotis concludes re,nanieaexquibushic ratiocinatur, extertiodeanima infrasumuntur: hæcautemtanquamardua,& inchos antibus difficilia,utphilofophus,& relinquendasupranosmonuit: Satis huicrationi faciendum arbitror ex his,gentiaatqzarbitriopendet:ineo presertimartific equivoces impofuit: uel abimpositis et Gibi notis nominibus, regulas logicæ docet:in mente enimartificis& docétis ing E ii quærimus, ad que causa hæcnondirigitur. Tertio dicit: ut quçinintelle&usuntfolo.sednefcioquçueritasdicipót,cuinihilextraresponderinre:cum infra& inpoftpredi camentisdicatur abeoqresest, uelnoneftoratiodicitur uerauelf alla remota aūt causa et prima radice,ceterade ftruinec effe eft. Item Aristotele de vocibus loquitur. Propterea mihihoc libet dicere. Hac de causa fiais exemplissuasen tentianicomproballe,ofi&aamer a positione significant: et ideo magisobuia&perspicuaacconsuetafuntadexpli candum: ut quod ámodonotiora, ut magisuulgata,exars omnemueritatem haberiin compofitione& diuisione.ne excludatur ueritasapud Platonem in intelligibilibus,& in telligentiisfiuemenubus,&apudArift.desimpliciuming telligentia et abstractis: fedeam que inpronunciatiuissubs est motibus, scilicet cum discursu: seu ratiocinatione: quæperenunciatiuam fitorationem.&inniotibuspronuna ciatiuis,non invoce solum(intelligas) exiftentibus:fices nimtextui Arift.&eiusdillisaduersantiadiceret.sedetia ne&diuifionefalsum et uerumremouerineceffeeft:proptereaergodixit, (circacompositionem at causam noia ret: sed ad nomina in uocedescendens ait non significare uerum, aut falsum: significare enim propriumeftnomi num, quæinuocea compositione significanteconfiftunt. PetitAmmoniusquomodo uerum fit, circacomposicios innueretueritatem non in rebusreperiri:fedinhisetiam,nem et divisionenelle uerum et falsum. Responder non nonutitur: ficututiturhis, quæ falsum significare maxime affirmantur. fecundam causam adducit:utinnueret, non solum nomina simplicia ad ueritatem explicanda indiges reuerbosed etiam ipsa composite. Sed idem est dicendum de nominibus compositis ueris,nosautem de fictis proprie non bitrio plurimorum:exhistamenfi&lisnominibus, aliaue ca intelligendasunt. exempla auteminnotescendi gratia inuenta, exuulgatis& consuetistr ad endafunt etlificadi cantur: quibustaméuerum facilius inueniamus, autinuen tum faciliusdoceamus: Petit Suella cur Aristotele.dixerit conpositionem significare cumuero et falso, non autem significare uerum aut falsum i respondet, hocdifferreinter significare uerum et significare cum uero:quias ignificare uerupotest uere in nomine simplici inueniri:u.g.hoc nomen uerum aut fallum, simplexverum significat.i. se ipsum: sed significare cum uero, eftfignificare cumuerbi complexu ut de uerbo dicetur, significare cum tempore, notempus: ut dieset annus sedlicethęc dubitatione relinquenda foret, cum id quærat, quodinArift.textunoneft:tamenneaus inmotibus pronunciatiuis, ideftquicaufafuntutperenung ciatiuam orationem pronuncientur,ueritasergoquacon ditorum ingenia,obuiriau&oritatem fallantur, ponere& cipitur,aut enunciatur aliquidineffc alicui,folum circa con pofitionem et diuifionemeft,utspeciesorationisenunciatiuæ.dixieam ueritatem circacompofitionem elle,quæ concipiturinmente,uelexplicaturinuoce,& quaprædiy catuminesse subiectoaffirmatur:quoniamprimotopic.4, loca accidentis propriè dicuntur,quibus potentes fumus concluderehæc alteriineile:& ideo locaeducentia uerum enunciative propofitionisdicuntur loca accidentis et veritatis qua aliquid alicui in esse concipitur velexplicatur:Sci scitatursecüdo Ammonius cur Aristotele dicens nomina igitur etuerba consimiliaíunteiqui sine compositione et divisione est intellecluiexempla protulittantum nommun, non uerborum dicens, ut “homo” vel “album”.Respondet per hominem nomen: per “album” verbum fumpfiffe: non eatameninquitratione, qua verbum proprie inferius definitur. Sed quia Aristotelestatuit, omnemvuocem quæt erminum prædicatum facit, verbum appellanda. Sedresponsio hęc improbandauidetur: primum q Arift.nondieetinfraprę refellereconstitui:non. n. Aristotele dicit compositionem cum uero aut falso significare: sed aitcirca. n. compositionem et divisionem elle veritatem et falsitatem. Item de“hircoscervi” nomine afferuit. “Chircocervus” aliquid SIGNIficat, sed non dumuerum aut falsum de nominibu sergoopposiy dicatumu erbum appellandum fore: quodfictiam dices tum dicit eiquod Suellafingebat: nomina non significare ret,exemplum albiquod posueratantea, adexplicandum uerum aut falsum, sedsignificare sine vero aut salso: Eiusery uere uerbum, inutile videretur:Aliterigitur responden, gore sponfioin textu Aristotele.infirmatur, cum denominibusdum. His exemplis dicta inchoantibus comprobandaque compositis negetsignificare verum aut fallum: differentia etiam abeo assignatauerbisAristotele, adversatur Ampliu snec potuisset Aristotele dicere, compositionemet diuisionem verum significare, na in compositio. i.affirmatio etdivisio.i.negay cumuerbonominibus:tamenutnotaprædicatumcuin ciosumerenturinuocequo infrade oratione enunciatiua dubieto connectens, dubiumfaciunt, anuerum et failumdicetur. Litoratio significans verum vel falsum, &inqua fignificent, signumest. Ammoniusetiam tanquam duy eftuerum& falfumutinfigno externosignificante:nam oratio in mente, non significate positione, ut hic intelli,bium quærit de uerbis primæ et secundæ personæ “ambulO”, “ambulaAS” et inquibus tertia persona et certas statuitur. Git SIGNUM est opde nominibusfimplicibu s& compofitis, line uerbo, intulit dicens nomina igitur ipsaauteur bacó similia sunt fine compositione et divisione intellecus. lt homo etalbum hircocervus quæ et si aliquid simplex significent, non dum tamen uerumaut falsum hæc autem nomini in voce sunt, noninmente: quiafiutinmēte essent, utningit. quæ veritatis et falsitatis videntur capacia. Licet nonperfe,fedcomplexuhorumuerborum cũcertispery fonis.nonitadubium eft de nominibus,dequibusinse acceptishæstat nemo, an veritatem significant aut falsitatem:Quærit nouissime Ammonius quid intellexerit Aristotele. Per simpliciter, uelsecundum tempus cum ait. (hircocery considerentur, non dicerenturno significareuerum aut falsum et q effent fimilia intellectui fine compositione& diyuifione: quia essent ipseintelle&us,seuintelligentiafineue roautfallo:Dicendum igiturin questionem potiusuerten dumcur dixerit (circaccompositionem.et divisionem, ut inmentesunt, est verum et falsumj denominibusautem in uoce corolarie inferens,ait:(fineuerbonondum uerum uusenimaliquidsignificat:fednondum uerumaliquid autfalsum, finon, ueleffeuelnonesseaddatur,uelfimpliciteruel secundum tempus. respondet sermonem Arif. ad eadem referens verba,inquiens: nifi effe addatur fimplicis ter,ideftnisi effe addaturindefinite etindeterminate significans: ut “Fuit hircocervus” est, auterit. Non definiens,ac determinansan hodie, sero, anmane, perendie etc. vel aut falsum significare.Ad quod respondendum, quod fecundum tempus, ideftnifiaddatur cum aliquadetermis propterea vox quando eftfineuero&fallo, quandoque natione temporiaddita præsenti, præterito, uel futuro, cum his, quia circa compofitionem etdivifionem intelle, sciliceterat,eft,erit,herianno superiori, hodie uel cras,et us eftuerum et falfum:ex quo intulit de nominibus inautsuccessiuotempore.quam tamenexplicationemaci uoce, gfintfine uero, X falloex eadem causa, pfimiliasing intellectui fine compofitione et divisione: circaquæuerum cipiens Magentinus uel in latinum vertens non intellexit: cumpereffefsmpliciter et omnino, in, finitoacdetermi et falsum uersatur, ut caulam,quaposita, uerum aut falsum i ponitur. et hac remota (ut in nominibusfineaddito uery natotemporeintelligat. Ad tempus uero et in tempore infinito.tragelaphuserat, uel erit, hęc.n.infinitafunt: fed bouidetur, quæ fimiliasunt intelligentięfinecompositioeft presentist emporis, aitdefinitumelle:l iceteft, ut de Deo faciliusconftitutam sententiam approbant verba aute in ut dicetur quandam compositionemsignificant, quam licet ex se non habeant, sed ex alio, ex compositis,scilicetdicitur infinitum significet: Idem Deus, erat, et est, sed inaliis rebus, tempore non definite uti murita. Hinc liquet, igitur erunt: quæ etfiacu et explicite verbii, prædicatum et subiectum ut nomina non contineant,illata men eximigit, ergo et hic per tempus dimpliciter, tempus præsens, 8C persecundum tempus præteritum vel futurum: quæ pros ptereanuncupantur et lunt,quere tempus prælensciry cunstant, iuxtas; ipsum ponuntur: propterea dixit,secun significat, quemadmodum in oratione quaestequus ferus. Ofitis etprecognitis partibus definitionis nominis ac nunc ad definitione sponendasintegras ac totas accedit: sed Ammonius querit cur primo de nomine ade verbodefinis dum tempus quod non simpliciter et ina et ueft. Sed quod.tionem assignet?respondet, proptere a nomen uerbo esse præteriit uel futurum est: solum præsenssimpliciter et in actuest utre et te. Aquinas exposuit. Nec Sueffe confutatioualet et que liber differentia temporis est tempus secundu quid: quoniam peraliquid ab aliis differentiis differt: quod autemper partem est, fecundumquid,non simplicitertas antepositum, qnomen substantiả.i. naturam et vim rerumsignificat: verbum vero a&ionematqz affetionem, quænel Cellario naturamacuimmouentem supponit. contraarguit Sueffa. substantia non nisi per accidentiacognoscitur, prius ergo verbum definiendumq nomen: Ad instantiam, Am Icessedicetur: primo clenchorum. Sedĝfalla hæc fit monius facile diceret substantiamcognoscifine describir improbatio patet, quiaens, cumin substantiamenssimplisciter diuidatur et accidens, inaĉtum simpliciter, et potens tiamsecundum quid, ne quaquam uere divideretur: quia per aliquid differ substantiaab accidente et potentia ab aétu, &fi proprie differentiam non habeant.Item ratiofal lit. lihęc species per aliquam differentiam acuprecipue differt,rrgo per partem. Igitur secundum quid. accidenti aut posteriora accidentia veroper substantias definiri, ut priores: fic Aristotele primo naturam quam motumfiniuit, aquamotus, ut perseprincipio, prouenit: et materiam primo phy..gformam. phy. quæ a materia cuiu nitur& datellelustentatur, Aliteripserespndet, proptere a nomen uerbo prætulisle, onotius est. Et iterbi feconuenireArist. affirmauit, sed enunciationitantu: erunt igitur enunciationes, cum enunciationisproprium opusef signum. sed compositionem acueritatem comsignificat quanfician. Suellanouariis Sorticularumdi et tis et improbatis sententiis, hocuisumest: literas et nomina quo ad prima eorumimpo fitionem, non significare nidi incomplexum, nec cum uero et falso: sed quod quo ad nova impositio, nem,significare possunt cum vero et falso: propter eaqapo in compositione explicarefine additouer bonó possunt. Dis fitione sunt. Nung tamen erunt propositionesaut enuncia cas Querbumetsi compositionem extremorum aétu non tiones: proptereanóualereait, a, significat cum uero aut dicat, a et tionem tamen, etaffectionem significat, quæ causa fallo, ergo enunciation erit. Quoniáin quitoportetinantes est, qpredicatum seu appositúsubie &ofiue suppositoconcedenteaddere. significet ex prima impositione, nonau iungatur, uerbum ergolempereftunio comiungens apritu temex nova institutione. Sed contrahancadditam conditio dinesaltem cum inpropositione non est. Sedcunsecundum nem ex proprio arbitrio. Enuciatio primaimpositiones isse, acpurú accipitur: nomina uero sunt composita, seu quæsignificat propriecum vero et falso. Ego ubi est proprium apta sunt pera et tumuerbiconiungi, proptere a nomina pen opus, necessario propriumerit instrumentum:neq; enima denta verbo, quasi formauniéte et verbiianoíe quasimai nova aliquainstitutione propriú opus a proprio inftrosen teria, qunici habetp uerbum. Utmateriaaŭt, tempore pre iungipoteft: proptereafi. a. b. c, etc. novis autantiquis concedit forma, et prius, ut facilius et ordinenecessitatisnosGiliis&pofitioneimpositasunt, ad verum et falsum, seu ut menanteafiniendu.Verbum vero, quniéda funt, prçsuppo ipfi volunt cum uero et falsosignificandum. enunciationes nés, posterius ut ignotius et the posteriusexplicandú: quas quando secundū se, acpurumdicetur. Ipsum.n.sic puruminullüueritatis et compositionis, aqua verum explicatur, est dam, nonperse, sedquam sine compofitis nominibus non est intelligere. Gi ergo hac de causa nomempræponit verbo, q notitia verbi in compositione verum explicantis, non pont, intelligisine nominibus compositis. Ita et nomina, uerum illud, quod Ammonius,tempus simpliciter et omnino, ponentium CONSILIO coplcctuntur. Exemplo similiAmm sus ideftindetinite et indeterminate significans, appellabat, Ma, gentinusdicit esse tempus finitum et determinatum. Et parsticula, quam Ammo. adom nétemporis differentiam rer pra, cum dicimus "curro","curris", nin git, pluit, complexuhorūuer borum cúcertisintelle&is personis, cú vero et fallof sgnificant. ferebar, Magentinus adsolum præsens direxit. falsum igir. Girolamo Balduino.Balduino. Keywords: il vestigio dell’angelo, Campidoglio Inv. # 334, donazionedi papa Gregorio, logicalia, interpretatio, interpretazione, logica, signum,segno, nota, notare, notante, segnante, notificare, segnante, vestigio, ilsegno del’angelo, campidoglio, san michele, vestigo, etym. dub. ves-stigium,foot-print. – segno naturale – segno, genere e specie – genere: segno. Specie:segno naturale, vestigio, marca, nota.. segno artifiziae, segnar per posizione,arbitrio, a piacere, consilio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Balduino” – TheSwimming-Pool Library. Balduino.
Luigi Speranza -- Gricee Banfi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Eurialo-- Niso; ovvero, la tradizione vichiana – la scuola di Vimercate – filosofialombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.Grice (Vimercate). Filosofo lombardo. Filosofo italiano.Vimercate, Monza, Lombardia. Grice: “What I like about Banfi is that he is more‘important’ than it seems, at least to Italians! He has written bunches, but myfavourite are two: his ‘l’interpretazione’ (Banfi makes a distinction between‘esegesi,’ ‘interpretazione’ and ‘TEORIA dell’interpretazione,’ in a slightlynon-Griceian use of ‘teoria’ – and his essays on ‘eros e prassi,’ for indeedthe second strand (eros e prassi) is the base for the former (interpretazione):unless you CARE, why interpret – which is indeed, a performance?!” Senatore della repubblica italiana, II Gruppoparlamentare Comunista Circoscrizione Lombardia Dati generali Partito politico PartitoComunista Italiano Titolo di studio Laurea in Lettere Università UniversitàHumboldt di Berlino Professione Docente. teorico della filosofia, traduttore,accademico e politico italiano. Sostenitore di un razionalismo aperto e anti-dogmaticoin grado di attraversare i vari settori dell'animo umano.A lui èintitolato il liceo del suo comune natale, Vimercate.Nasce in un ambientefamiliare formatosi su principi liberali della borghesia colta lombarda, nellaquale da generazioni combaciano una positiva idea della religione e unrazionale illuminismo tecnico-scientifico. La ricca e vasta biblioteca inpossesso della famiglia diviene per B. grande stimolo di conoscenza nei suoistudi, quando da Mantova, dove frequenta il Liceo Virgilio, ritorna aVimercate, dove assieme alla famiglia trascorre le vacanze estive.Frequentai corsi universitari alla facoltà di lettere della Regia Accademiascientifico-letteraria di Milano e ottenne la laurea con lode, discutendo conil relatore NOVATI (si veda) una monografia su Francesco da BARBERINO (siveda). Insegna all'Istituto Cavalli-Conti di Milano e prosegue con grandedeterminazione gli studi di filosofia (con ZUCCANTE (si veda) per la storiadella filosofia e MARTINETTI (si veda) per la teoretica). Prende una secondalaurea in filosofia, discutendo con MARTINETTI (si veda) una tesi intitolata"Saggi critici della filosofia della CONTINGENZA", contenente tremonografie sul pensiero di Boutroux, Renouvier e Bergson.Con la borsa distudio attribuita dall'Istituto Franchetti di Mantova ai laureati meritevoli, B.decide d’andare in Germania e iscriversi, con il suo amico Cotti, alla facoltàdi filosofia della Wilhelms di Berlino, dove stringe amicizia con il socialistaCaffi. Ritorna in Italia e partecipa a vari concorsi, ottenendo una supplenzadi filosofia a Lanciano, e a Urbino. Assunge diversi incarichi in varie sediscolastiche. Durante la guerra, già riformato al servizio di leva, sidedica con senso di servizio e scrupolosa diligenza all'insegnamento e, per lapenuria d’insegnanti richiamati al fronte, oltre alla sua cattedra è costrettoa ricoprire altri incarichi. Solo agl’inizi dell'ultimo anno venne aggregatocome soldato semplice all'ufficio annonario della prefettura di Alessandria.Nei primi anni del dopoguerra B., pur non militando nel movimento socialista,assume in modo molto deciso posizioni di sinistra e partecipa, come iscrittoalla camera del lavoro, all'organizzazione della cultura popolare, diventandoin poco tempo una delle personalità più in vista del mondo culturaledemocratico alessandrino; venne nominato anche direttore della biblioteca diAlessandria, da cui fu in seguito allontanato dal nascente squadrismo fascista.E tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto daCroce. Martinetti, che era stato collocato a riposo d'autorità per averrifiutato di giurare fedeltà al fascismo, lo propose come suo successore perl'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi diMilano, dove fu maestro di Rossanda. Diresse la rivista Studi filosofici,pubblicata. Nel secondo dopoguerra, con le elezioni politiche, è eletto per leliste del Partito comunista,nel Senato della Repubblica. Il mandato fuconfermato alle successive elezioni. B. può essere considerato il maestro dellacorrente filosofica che in Italia si è denominata Razionalismo critico e che haavuto anche derivazioni significative nel campo della pedagogia teoretica conil Problematicismo. In sostanza, usando il concetto kantiano di ragione, Banfila considera come la facoltà di un discernimento critico, analitico,presupposto trascendentale che sistematizza l'esperienza, i dati empirici, nonpervenendo a dogmi o a sistemi di sapere chiusi e assoluti. Il principio razionalepermette di cogliere e comprendere la realtà nelle sue complessedeterminazioni: senza questo principio, che va assunto appunto cometrascendentale, la realtà sarebbe caotica e solo contingente ed esperienzialeoppure interpretata secondo la Metafisica o sistemi di pensiero chiusi e nonproblematici come richiesto dalla scienza e in generale dalla complessadinamica del mondo umano e naturale. L'apertura della ragione è talmente ampiache anche le filosofie assolutizzanti vengono poste come possibilità di verità,seppur parziali ("È bene tener presente che il pensiero non pensa mai ilfalso in modo assoluto"). La filosofia è lo strumento indispensabile perl'analisi critica del reale, non deve tendere a un sapere assoluto, ma porsi iltema privilegiato della coscienza, purché questa coscienza sia "coscienzadella relatività, della problematicità, della viva dialettica del reale".Si sfugge al relativismo possibile seguendo le orme di Socrate: l'eticitàprevale quando, non potendo esistere se non come tendenza verità assoluta, leverità relative sono assunte come problema, cioè come ricerca interrogante eincessante fondante l'intero processo conoscitivo. Le conclusioni sono, comenell'ambito scientifico (la scienza è lo strumento pragmatico della ragione, lafilosofia lo strumento teoretico) non false ma possibili, non solo provvisorie,ma reali. Le categorie che B. propone per sintetizzare la sua propostafilosofica, sono quelle di "sistematica" del sapere, fondata su unsignificato antidogmatico della ragione, una "sistematica" aperta peril rinnovamento critico di tutte le strutture razionali e di un umanesimonuovo, radicale, che ponga l'uomo al centro dell'indagine razionale e nella suarealtà storico-effettuale, che forma la sua coscienza concreta nel mondo reale:dunque critica alla metafisica ma necessità della filosofia, il saperecostruttivo garanzia di libertà e concretezza. Il confronto che B. predilige ècon gli indirizzi filosofici della prima metà del Novecento, in particolare laFenomenologia, il neokantismo di Marburgo, il neopositivismo,l'Esistenzialismo, ma negli ultimi anni orienta sempre più il suo interesse alMarxismo, di cui condivide gli assunti fondamentali leggendoli alla luce delsuo razionalismo critico, come si evince dalla raccolta postuma Saggi sulmarxismo. Archivio Si segnalano tre fondi archivistici del pensatore:"Fondo Antonio Banfi" presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.L'archivio, insieme con la biblioteca personale di Banfi, dopo la morte delpensatore venne donato alla provincia di Reggio Emilia insieme con lacostituzione del "Centro studi B.”. In seguito, il Centro si trasformeràin "Istituto Banfi", con sede a Reggio Emilia. Nel, l’archivio e labiblioteca personale del filosofo sono stati depositati alla Biblioteca Panizzidi Reggio Emilia, a seguito di un accordo tra Soprintendenza Archivistica perl’Emilia-Romagna, Comune e Provincia di Reggio Emilia. La biblioteca conservaanche l'archivio di Daria Malaguzzi Valeri e l’archivio delle carte di Clelia Abate,segretaria del Fronte della Cultura e allieva di B.. Archivio B., Biblioteca diFilosofia dell'Università degli Studi di Milano. Il fondo archivistico contienediverse centinaia di documenti conservati da Daria, moglie del filosofo, e dalei usati nella stesura del libro Umanità, pubblicato per le Edizioni Franco diReggio Emilia. I documenti del fondo coprono l'intero arco di vita di B. marisultano particolarmente ben rappresentati gli anni giovanili; da segnalaresoprattutto il ricco epistolario con la futura moglie, riferito e lacorrispondenza con Piero Martinetti, durante la sua docenza presso la RegiaAccademia Filosofico Letteraria di Milano e poi dal suo ritiro di Spineto.Archivio privato familiare B. conservato presso l'Università degli studidell'Insubria. Centro Internazionale Insubrico Cattaneo e Preti, riuniscemigliaia di lettere, biglietti, cartoline postali, plichi e buste, conservatiin 33 raccoglitori a loro volta inseriti in 15 buste, per una consistenza dicirca 1,5 mi. Gran parte dell'archivio è costituito dal carteggio tra B. eDaria, sposatisi Il rapporto epistolarecon la moglie, infatti, non si limitò alla sfera affettiva e familiare, maaffronta spesso tematiche filosofiche (ad esempio, la frequentazione di Simmeldurante il giovanile soggiorno a Berlino, o la ricezione dell'opera e lapersonale conoscenza di E. Husserl) e di attualità, nella concretezza deiriferimenti a eventi e circostanze del presente e ai rapporti sociali coltivatida Banfi come pensatore, studioso, organizzatore culturale e uomo politico.Altre opere: “La filosofia e la vita spirituale” – lo spirito, l’animo, vita,animo vitale – (Milano, Isis); “Principi di una teoria della ragione” (Firenze,la Nuova Italia); “Pestalozzi, Firenze, Vallecchi); “Vita di BONAITUI (si veda)Galilei” (Lanciano, Carabba); “Sommario di storia della pedagogia” (Milano,Mondadori); “I classici della pedagogia: Rousseau, Pestalozzi, Capponi,Gabelli, Gentile” (Milano, Mondadori); “Studi filosofici: rivista trimestraledi filosofia contemporanea” (Milano); “Saggio sul diritto e sullo Stato, Roma,Rivista internazionale di filosofia del diritto); “Per un razionalismo critico,Como, Marzorati); “Lezioni di estetica raccolte Maria Antonietta Fraschini eIda Vergani, Milano, Istit. Edit. Cisalpino); “Vita dell'arte, Milano, Minuziano);“Galileo Galilei” (Milano, Ambrosiana); “L'uomo copernicano, Milano, A.Mondadori); “La crisi dell'uso dogmatico della ragione, Milano, Bocca);:Lafilosofia del settecento, Milano, La Goliardica); “La filosofia critica diKant” (Milano, La Goliardica); “La filosofia degli ultimi cinquant'anni,Milano, La Goliardica); “La ricerca della realtà” (Firenze, Sansoni); “Saggisul marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Filosofia dell'arte” (Roma,Riuniti). "Perciò appunto non hodimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questosenso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, aCastiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per laFilosofia e B. per la Storia della Filosofia"; Lettera, Martinetti aBaratono, in Martinetti Lettere, Firenze,,Rossanda, Rossana, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi, Vedischeda del Senato della RepubblicaI Legislatura. Vedi scheda del Senato della RepubblicaIILegislatura. Cit. in "Il marxismo ela libertà di pensiero", "Saggi sul marxismo", Riuniti. B., Lamia prospettiva filosofica, in La ricerca della realtà, Fondo Banfi Antonio, suSIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. CentroInternazionale Insubrico Cattaneo e Preti per la filosofia, l'epistemologia, lescienze cognitive e la scienza delle scienze tecniche, su dicom. uninsubria.Bertin, B., Padova, MILANI, Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari,Laterza,Bertin, L'idea di ragione e il pensiero etico-pedagogico di B., Roma,Armando, Papi, Il pensiero di B., Parenti, Firenze; Papi, B., DizionarioBiografico degli Italiani, Treccani. A.Erbetta, L'umanesimo critico di B., Milano, Marzorati, B. tre generazioni dopo.Atti del convegno della Fondazione Corrente, Milano, Il Saggiatore, Milano; Salemi, banfiana, Parma, Pratiche, Scaramuzza, B. Laragione e l'estetico, Padova, Cleup; Eletti, Il problema della persona in B.,La Nuova Italia, Firenze, Centenario della nascita di B., Reggio Emilia,Istituto B.; Sichirollo, Attualità di B., Urbino, QuattroVenti, Luciani,Incontro con B., Cosenza, Presenze Editrice, Neri, Crisi e costruzione dellastoria. Sviluppi del pensiero di B., Napoli, Bibliopolis, Papi, Vita efilosofia. La scuola di Milano: B., Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerrini; Valore,Trascendentale e idea di ragione. Studi sulla fenomenologia banfiana, Firenze,La Nuova Italia, Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scritti sull'esteticadella scuola di Milano, Milano, Unicopli, Luciani, Polemiche della ragione.Gramsci, Banfi, Della Volpe, Cosenza, Arti Grafiche Barbieri, 2002.Giovambattista Trebisacce, B. e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, Papi, B.e la pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, Chiodo G. Scaramuzza (a cura), AdAntonio Banfi cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, Vigorelli, La nostrainquetudine. Martinetti, B., Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi,Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Milano, B. Mondadori, Trebisacce, Lapedagogia tra razionalismo critico e marxismo, Roma, Anicia, Assael, Alleorigini della scuola di Milano. Martinetti, Barié, B., Milano, Guerrini,Sacaramuzza, Estetica come filosofia della musica nella scuola di Milano,Milano, CUEM, Miele, Antonio Banfi Enzo Paci. Crisi, eros, prassi, Milano,Mimesis,. M. Gisondi, Una fede filosofica. Antonio Banfi negli anni della suaformazione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,. A. Crisanti, Banfi aMilano. L'università, l'editoria, il partito, Milano, Unicopli,. Corti Pozzi Anceschi Rossanda BucalossiMartinetti Scuola di Milano; B. Dizionario biografico degli italiani, Istitutodell'Enciclopedia Italiana. AntonioBanfi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per leSoprintendenze Archivistiche. B., su BeWeb, Conferenza EpiscopaleItaliana. Opere di B., su openMLOL,Horizons Unlimited srl. Opere di B.; altra versione, su Senato dellaRepubblica. La morte a Milano di B.articolo del quotidiano La Stampa, Archivio storico. Massimo Ferrari, PieroMartinetti e Antonio Banfi, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Gisondi, La formazioneintellettuale e politica di B.. Tesi, discussa presso l’Università Federico IIdi Napoli (a.a. /) "B. a Milano", sito della mostra allestita presso la Biblioteca di Filosofiadell'Università degli Studi di Milano Filosofia Università Università Filosofi Storici della filosofiaitaliani Traduttori italiani Vimercate Milano Accademici italiani Direttori diperiodici italiani Politici italiani Professori dell'Università degli Studi diMilano Antifascisti italiani Senatori della I legislatura della RepubblicaItaliana Senatori della II legislatura della Repubblica ItalianaStudentidell'Università Humboldt di BerlinoTraduttori all'italianoTraduttori dalfranceseTraduttori dal greco all'italianoTraduttori dall'inglese all'italiano Traduttoridal latino Traduttori dal tedesco all'italiano. Antonio Banfi. Banfi. Keywords. Eurialo e Niso; ovvero, latradizione vichiana; banfi — spirito vitale — storiografia filosofica —istituto di storia della filosofia — ragione e conversazione — criticismo —conversazione con hegel — personalismo — l’interpersonale — sovranità — lostato italiano — lo stoicismo romano — enea e marc’aurelio — acerrima indago —diritto criminale — kantismo —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Banfi” – TheSwimming-Pool Library. Banfi.
Luigi Speranza -- Gricee Baratono: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale stilistica– la scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofiaitaliana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, TheSwimming-Pool Library (Firenze). Filosofofiorentino. Filosofo toscano. Firenze, Toscana. Grice: “I like Baratono –especially his ‘stilistica italiana’ – if I were to offer an English stylisticsI would not count as a philosopher – but that’s because ‘English’ is spoken bymore than Englishmen, while Italian ain’t!” Grice: “Baratono thinks he is asensist alla ‘Giovanni Locke,’ which he possibly is.” Grice: “In the typicalItalian way, instead of focusing on the classics – Roman philosophy – he readsociology and psychology and came up, in a typically Italian way, with a‘sintessi,’ ‘la psicologia del popolo’ alla Wundt.” Grice: “If Austin punned onsense and sensibility – Baratono takes ‘sensibilia’ VERY sensibly – as thebasis for ‘aesthetics,’ seeing that ‘aesthetikos’ IS Ciceronian for‘sensibile’.” – Grice: “Baratono is Griceian in his search for what he callsthe ‘elementary’ – he applies ‘elementary’ to ‘fatto psichico’: judicativo evolitivo – both based on the ‘sensibile’ – or rather on probability anddesirability – credibility and desirability --. His use of ‘sense’ does notquite fit the Oxonian ‘sense datum,’ since the will is involved in thesensibile – or, in his wording, it is the anima (or psyche) that searches forthe corpus -- -- The compound is something like the hylemorphism – the form issensible – and the volitive (prattica) and judicative (teoretica) components ofthe soul operate on this.” Fra i maggiori esponenti del socialismo. Vivea Genova, dove compie i suoi studi. Si laurea in filosofia. Insegna a Genova,Savona, Cagliari, Milano. B. si iscriveal PSI subito dopo la fondazione e viene eletto consigliere comunale a Savona,aderendo all'ala intransigente in forte polemica con i riformisti. Entra nellaDirezione nazionale del partito. Alcune battaglie politiche lo vedono emergerecome figura di primo piano del socialismo italiano, come quella che B. portaavanti capeggiando la frazione comunista unitaria al Congresso di Livorno.L'accettazione con riserva dei 21 punti dell'Internazionale comunista di Moscadetermina la clamorosa scissione e l'uscita dei comunisti dal PartitoSocialista. Presenta al congresso la mozione massimalista. Diviene deputato.Confermato per la terza volta membro della Direzione socialista, mentre lamaggioranza massimalista si orienta per la scissione dei riformisti, alCongresso di Roma sostiene fortemente l'unità, anche per il timoredell'affermarsi delle forze fasciste. Dopo il Congresso di Roma, aderisce alPartito Socialista Unitario e diviene un assiduo collaboratore di CriticaSociale. Collabora al “Quarto Stato”. Con il consolidamento del regimefascista, si dedica esclusivamente ai suoi studi filosofici. Torna all'attività politica all'indomanidella Liberazione, con collaborazioni sull'Avanti! riprendendo i suoi studi dicritica marxista. Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sareilieto che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto daCastiglioni stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e conlui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria]d.[ella] F.[ilosofia]». Lettera, Martinetti a B., in Martinetti Lettere,Firenze,, Mathieu, B., DizionarioBiografico degli Italiani, Volume 5, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. B., in Dizionario biografico degli italiani,Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Adelchi Baratono, su Liber Liber. Opere di B., su open MLOL, Horizons Unlimitedsrl. Opere di B., B. su storia.camera, Camera dei deputati. Filosofi italianiPolitici italiani Accademici italiani Professore Firenze Genova Politici delPartito Socialista Italiano Deputati della legislatura del Regnod'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di Genova Professoridell'Università degli Studi di Genova Professori dell'Università degli Studi diCagliari Professori dell'Università degli Studi di Milano. Critica dei valori ed estetica metafisica. Psicologiacritica dei valori e metafisica estetica.Carissimo Groppali. Nella tuapubblicazione dal titolo Psicologia sociale e psic. collettira, trovorammentato un mio articolo (comparso nel quarto fascicolo del l'Archivio diPsic.coll.).con queste parole citato; non posso fare comequel buon figliuolo diRenzo Tramaglino, che, a sentir dire che la sua Lucia era una bella baggiana,per amor dell'epiteto lasciava passare il sostantivo. Lasciami invece un po'brontolarecontro la seconda parte del tuo giudizio. E, quantunque in fatto di scopertescientifiche nessuno si possa dire assolutamente il primo scopritore,permettimi di dare al Sighele quelch' èdi Sighele, ea me quelchesembramio. Per il nostro caso, la scopertapiùimportante, acuisono giunti questi autori, è la semplice constatazione delfatto, che gli atti estrin secanti la emozione d'un individuo riproducono inaltri individui ana loghe emozioni ed atti volontari. Ebbene: prima e piùcompletamente di quegli scienziati, Spencer e pervenuto alla medesima legge conla sua teorica della simpatia; e per di più aveva spiegato il fatto diquellasuggestione con la ragione sociale, osservando che un atto emotivo non puosuscitare nei pre senti un sentimento corrispondente se non vi fosse statal'esperienza propria o atavica che avesse associato quell'atto all'emozionereale unitamente sofferta; trovandone perciò la genesi nella convivenzasociale, per essere gl'individui associati sottoposti alle medesime cause dipiacere e dolore. Adunque io nel mio studio potevo passarmi di citare altreteorie, oltre quella spenceriana, quando ridussi il fenomeno collettivo afenomeno simpatetico. E fin qui non ho fatto, nè ho detto di fare, nessunascoperta: ma soltanto ho applicato la legge spenceriana a un nuovo gruppo difatti, da Ini non considerati specialmente. Ripeto: io non ho sostenuto comemia scoperta, ma ho soltanto accettato e meglio dimostrato, che il fattopsichico del delirio collettivo ha per sostrato il giuoco delle emozioni erappresentazioni, cioè il fatto simpatetico. A questa domanda non puorispondere nè Sighele, che non è mai entrato nel campo della psicologiagenerale, nè,c ome si sa, Spencer e gli associazionisti, che si contentavano didescrivere il fatto, riducendolo a uno schema associativo,ciòche,comespiegazione, ha ilvalore di una tautologia, senza svelarne il meccanismo, cioèil rapporto fra gli elementi; né I materialisti, che ne davano una ipoteticaspiegazione anatomo-fisiologica, senza entrare nella pura psicologia.Dall'altraparte, rispondere a quelle domande significa trovarele ragioni ultimee più generali del fenomeno collettivo. Vale a dire, ridurlo completamente.Questo ho tentato io di fare; di qui comincia il mio studio genuino. Me ne sonovantato? ho soltanto asserito che tentavo di muovere un Sighele intui,che i fatti caratteristici della emozione di una folla si possono ridurre aqualcosa di più generale, ov'entri quella facoltà dell'imitazione, quellasuggestione, con le quali altri avevano spiegato il contagio morale; perciòegli, se mal non ricordo, senza nulla aggiungere di proprio, si rifere alleteorie di Bordère, Ebrard, Jolly,Tarde, Sergi, Espinas ecc. ecc. Ho dunqueaccettata una legge, o, meglio, ladescrizione di un fatto generale, che sipotrebbe enunciare cosi. In due individui associate, A e B, la percezionedegl’atti corrispondenti alle emozioni di alcuno destando in altri larappresentazione di piaceri o dolori analoghi, suscita piaceri o dolorianaloghi e gliatti corrispondenti. In questo enunciato c'è qualcosa di mio. Manon mi curo di metterlo in luce. Piuttosto ti rivolgo la domanda: osservato ilfatto, Spencer ne trova la ragione sociologica. Ma vi è qualcuno che ne trovala ragione *psicologica*? Come una rappresentazione emotiva può diventareun'emozione attuale, condizione e stimolo di atti volontari?Passo nelcammino della psicologia collettiva. Tu puoi scusarmene, perché conosci iltripudio di chi lavora per la scienza, che oggi è ancor l'unica nostra ricompensa.Adunque il rimanente studio, la risposta a quella domanda è mio. Mio nellepremesse, che si riferiscono al saggio, “I fatti psichiri elementary”, dovedimostro che la legge più generale della psiche è data dalla serie dei fattiemotivo -conoscitivo -volitivo, quando si consideri questa come l'espressionedi un rapporto, per cui il primo termine rappresenta l'energia determinantedegli altri. Mio nell'applicazione al fenomeno collettivo, dove le multiplerappresentazioni emotive devono agire sopra ognuno degli individui comealtrettante emozioni reali attenuate, ma accumulate sulla prima; ondel'esaltazione propria della folla. Tutte queste tesi sono diverse da quellesostenute e dall'intellettualismo e dal volontarismo. Epilogando: Sighelegiunse a ridurre il fenomeno collettivo a un fatto generale enunciato comelegge; e Spencer da la spiegazione sociologica di questo fatto. Ma, perchè vifosse una spiegazione *psicologica*, bisogna aver trovato non solol'associazione, ma anche il rapporto tra gli elementi associati; il qualerapporto di dipendenza, cioè di condizione e stimolo, dove, per ridurrecompletamente quel fenomeno, coincidere col rapporto o legge più generale dellapsiche. Questo ho cercato difare: e, poi che in modo particolare avevostabilita la serie dei fatti psichici veramente elementari e il loro rapporto,cio è la legge psicologica generale, anche particolare, dove riuscirel'inferenza al fenomeno collettivo. Non posso, egregio e carissimo amico,riassumere in poche pagine quello che, a giudizio mio ed altrui è già troppostrettamente riassunto ne'miei saggi. A te, che liconosci, e che possiedi unforte ingegno intuitivo, basta questo richiamo; e spero che ti persuaderai, cheSighele restaugualmente uno de'nostri migliori scienziati, anche senza regalarea lui, che non ne ha bisegno, quelle due o tre pagine con le quali si terminail mio saggio. Spero ancora più fervidamente, che tu non mi dia del noioso edel l'immodesto per questa mia lettera, e che sempre mi creda il tuo. Adelchi.Nacque a Firenze dove il padre, Alessandro, originario di Ivrea, si erastabilito dopo il trasferimento della capitale del regno da Torino. La madre,Ermelinda Rossi, era fiorentina. La famiglia si fissa definitivamente a Genova,e compiuti gli studi classici, frequenta l'università, addottorandosi inlettere e in filosofia. Suo principale maestro fu Asturaro, del cui indirizzosociologico B. risentì nei suoi primi lavori (Sociologia estetica, CivitanovaMarche; Sul problema religioso,in Riv. ital. di sociol.), così come,successivamente, sube l'influsso di Morselli e delle sue lezioni dipsichiatria. I suoi interessi psicologici sono documentati in questo periodo danumerose pubblicazioni (I fatti psichici elementari, Torino; Sullaclassificazione dei fatti psichici, Bologna; Energia e psiche, in Riv. difilos. e scienze affini). Psicologia e sociologia venivano, poi, naturalmente afondersi in una wundtiana psicologia dei popoli (Sulla psicologia dei popoli,Genova), permeata di una filosofia scientificamente concepita. Questo movimentoculmina nei Fondamenti di psicologia sperimentale (Torino), che risentonoancora dell'influsso positivistico, nella ricerca di una filosofia scientifica,ma cominciano, al tempo stesso, a rivelare la sua originalità filosofica. Contemporaneamentecoltivava il proprio gusto estetico frequentando i circoli letterari, le mostredi pittura, i caffè degli artisti. Pubblica un volumetto di versi(Sparvieri,Genova, con acqueforti di Edoardo De Albertis), che sarà seguito daaltre poesie (Lettera - Notturno - Congedo), articoli letterari e frammentariecommedie, comparsi generalmente in Riviera ligure. Questo dupliceinteresse, psicologico, ed estetico, accompagna il filosofo per tutta la vita,ma non senza trasformarsi radicalmente, dall'originario positivismo, in unapersonale forma di sensismo, dove tornavano a incontrarsi il significatoetimologico e il significato moderno della parola "estetica". L’annodel congresso internazionale di filosofia di Bologna, a cui B. partecipa - egli,che l'anno prima aveva celebrato I funerali del positivismo italiano (in Lavoronuovo), pubblica la Psicologia sintetica, in cui l'aspetto filosofico e quelloscientifico-sperimentale della ricerca erano nettamente divisi, e la psicologiavenne assegnata al secondo. Conseguita la libera docenza, tenne corsi econferenze all'università di Genova - oltre che all'università popolare -prendendo a interessarsi del problema pedagogico, strettamente congiunto conquello politico. Quattro Discorsi sull'educazione furono da lui riuniti in unvolumetto, e alcuni anni dopo uscì la sua opera fondamentale in materia:Critica e pedagogia dei valori (Palermo). Dalla politica si er sentitoattratto. Le sue convinzioni etiche lo indussero a militare nelle file del socialismo;tuttavia, anche nell'attività politica, egli conserva quell'atteggiamentoaristocratico e leggermente distaccato che lo caratterizzava sul pianoculturale, ciò che tolse mordente alla sua azione. Per le elezioniamministrative, redasse in collaborazione con Gennari un ordine del giorno,votato poi all'unanimità dal Consiglio nazionale del partito, dove si dichiarache dei comuni ci si doveva impadronire per parálizzare tutti i poteri e tuttii congegni dello Stato borghese, allo scopo di accelerare la rivoluzioneproletaria. Rispetto alla rivoluzione russa, si pronuncia contro l'accettazionesenza riserve delle ventuno condizioni poste da Mosca per l'adesione alla TerzaInternazionale, ma e messo in minoranza nella riunione della direzione. Cercainoltre di evitare ogni scissione a sinistra, anche a costo dell'espulsione deiriformisti, che rappresentavano l'ala destra del partito: questo suo punto divista, sostenuto prima e durante il congresso di Livorno, trova tuttavia la viasbarrata dal successo degl’unitari. Dalla sua dirittura morale e portatoall'intransigenza. Antimassone, respinge l'anticlericalismo di maniera,auspicava la libertà dell'insegnamento. Turati ha a definirlo "il filosofodella direzione del partito". Eletto deputato nella legislatura, sedetteal parlamento, ma l'avvento deli fascismo lo costrinse ad abbandonarel'attività politica (nella quale rientrano anche scritti come Le due facce delmarxismo italiano, Milano e Fatica senza fatica, Torino). Più fortunatadivenne, a, questo punto, la carriera universitaria. Titolare a Cagliari, sioccupa, tra l'altro, di Problemi universitari (Mediterranea) e vagheggia unprogetto Per la riforma della facoltà filos. (Atti della Società ital. per ilprogresso delle scienze), che fu combattuto dal Gentile (Giorn. crit. d. filos.Ital.). Passa a Milano, sulla cattedra di P. Martinetti (che si era ritiratoper non prestare giuramento) e torna all'amata Genova, stabilendosi sullariviera di Sant'Ilario. Qui riceve volentieri i suoi studenti e colti visitatori,attratti da una fama, che, specialmente dopo la pubblicazione di Arte e poesia(Milano), si estese oltre la cerchia dei filosofi di professione. Ripresel'attività politica negli ultimi anni, soprattutto in forma di collaborazione agiornali e di rielaborazione di vecchi scritti di critica marxista. L'ultimoarticolo, L'etica dell'economia marxista, uscì sull'Avanti! alla vigilia dellamorte. Al suo nome è intitolato l'istituto universitario di magistero diGenova. La sua prima formulazione pienamente matura della filosofia puòessere considerata il volume Il mondo sensibile, introduzione all'estetica(Messina), preparato da alcuni degli scritti raccolti in Filosofia in margine(Roma); in esso si vuol raggiungere la "prova esistenziale" dellaspiritualità del contenuto sensibile. Contro l'impostazione gnoseologica chesoggettivizza il mondo, propugna un'impostazione estetica che vede nel mondosensibile, preso per se stesso, "la forma dell'esistenza". Taledottrina fu chiamata "occasionalismo sensista", in una comunicazionealla sezione piemontese dell'Istituto di studi filosofici (Per un occasionalismo sensista, in Concettoe programma della filosofia d'oggi, Milano). La denominazione esprime l'intentodi "riflettere sulla pura forma invece di prenderla quale rappresentazionedi altro (soggetto od oggetto) posto come un contenuto irreducibile a quellaforma. L'esperienza estetica ci mostra che un'idea pura esiste come formapura, sensibilmente, e che questa forma sensibile vale per sé, in un rapportoformalmente sentito con certezza, che diciamo verità. Ciò costituisce un valoresensibile direttamente, diverso sia dal valore del sensibile (che rappresentail valore specificamente teoretico) sia dal valore del sentimento (cherappresenta il valore pratico). L'esserci sensibile interessa il pensatore ol'uomo pratico solo come ostacolo da superare, ma riempe di meraviglia chiguarda il mondo con gli occhi spalancati sol per la gioia di vedere, e così nepuò apprezzare la bellezza. Queste idee sono esposte in Arte e poesia,e messealla prova non solo a contatto con estetiche come quelle di Burke e diFocillon, a cui iscrisse introduzioni (Milano), ma con la stessa opera poetica,per es. di un Verlaine, di cui ripubblica in Italia una raccolta di Poesie, conintroduzione(Milano). Arte e poesia si conclude con una "apologia della forma",la quale sembra a torto imprigionare lo spirito e limitare il valore soloperché, in realtà, lo determina e lo realizza. Rovesciando l'istanzaidealistica, secondo cui il valore sta in un'unità spirituale che si riduce aun'esigenza puro-pratica, a una rappresentazione di ciò che non è, dichiara chel'anima cerca il corpo, non viceversa, che lo spirito cerca la forma, lafilosofia la poesia. Sicché il valore non appare più la premessa indimostrabiledi ogni esistenza, ma il risultato intuitivo della stessa formasensibile. Bibl.: F. Della Corte, A. B., in Genova, Sul B.Ipolitico: Meda. Il Partito Socialista Italiano dalla Prima alla TerzaInternazionale, Milano, I deputati al Parlamento per la legislatura, Milano, M.Carrea, Per una filosofia del socialismo, in Osservatorio, Genova, Nenni,Storia di quattro anni, Roma, Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze,Turati-A. Kuliscioff, Carteggio. Dopoguerra e fascismo, a cura di A. Schiavi,Torino, vedi Indice. Inoltre per alcuni scritti del B., in Critica Sociale,vedi Critica Sociale, cur. Spinella, Caracciolo, Amaduzzi, Petronio, Milano,Indici, cur. Lanza. Sul B. filosofo, oltre l'esposizione del proprio pensierofatta da lui stesso in Il mio paradosso, in Filosofi ital. contemporanei, Como,Milano, cfr. U. Spirito, L'idealismo ital. e i suoi critici, Firenze, Volpe,Crisi dell'estetica romantica, Messina, Sciacca, Il secolo XX, Milano, Faggin,Il formalismo sensista di A. B.,in Riv. crit. di storia d. filos., Assunto, B. e l'estetica moderna, in L'Italiache scrive, Bertin, L'estetica di B.,in Studi filosofici, Bontadini,Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, Talenti, A. B., Torino (con bibl.). Adelchi Baratono. Baratono.Keywords: stilistica, breviario di stilistica italiana, fatto psichicoelementare, i fatti psichici eleentare, psicologia filosofica, illuminismo,implicatura luminaria, implicatura escataologica, politica ed etica, lafilosofia al margine: gentile, croce, natura umana, esperienza, il mondosensibile, estetica, il bello, il sublime, criticismo, assiologia, hume aCremona e torino, spirito, animo, forma logica, l’eneide, riviera ligure,“Rivera Ligure”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baratono” – The Swimming-PoolLibrary. Baratono.
Luigi Speranza -- Gricee Barba: la ragione conversazionale e l’impliatura conversazionale – la scuoladi Gallipoli – filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Gallipoli). Filosofopugliese. Filosofo italiano. Gallipoli, Lecce, Puglia. Grice: “I like Barba,but then I like Gallipoli – and he was born and died there, at Villa Barba. Hismain interest was Roman philosophy, which he studied at Naples! – The Romanoccupation in Southern Italy brought ‘a breath of fresh air,’ as Barba has it,to the old “Grecia Magna” tradition --.” Grice: “Barba is very clear: ‘Epigrafiafilosofica latina,’ o ‘epigrafia filosofica romana’ surely ain’t Grecian!” Conducegli studi a Gallipoli, per poi trasferirsi a Napoli presso il zio, TommasoBarba. Tommaso Barba e presidente della Gran Corte. Studia grammatica e materieletterarie nella scuola di Puoti. Si laurea in Filosofia. Studiare nel R.Collegio Cerusico e divenne professore di anatomia umana comparata. Insegnascienze e lettere al ginnasio di Gallipoli e fu sovrintendente scolastico edAssessore delegato alla Pubblica Istruzione.Fu arrestato ed esiliato a causa delle resistenze al governo. I membridell'Associazione Democratica posero una scritta: "Nato dal popolo, Per ilpopolo si adoperò". A lui fu intitolato il Museo civico di Gallipoli. NoteAnxaEmanuele Barba, su anxa. 21 aprile13 ottobre ). Scheda sul sito delMuseo B.. Filosofi. Emanuele Barba. Barba. Keywords. epigrafia latina,iscrizione latina, iscrizione greco-romana, la iscrizione di Platone sullaporta dell’academia, ageometretos medeis eisito, Delville pittore belga(Libert), a Italia crea ‘L’ecole de Platon,’ per la Sorbonna. I vasi di Barba – gemelli, fratelli siamesi,ecc. Monete romana, Gallipoli, colonia romana, ‘Proverbi e motti del popologallipolino” – poesie di Barba sulla morte del re d’Italia, risorgimento –esilato, carcere – la filosofia di Barba, barba filosofo. Refs.: LuigiSperanza, “Grice e Barba” – The Swimming-Pool Library. Barba.
Luigi Speranza -- Gricee Barbaro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Daniele– filosofia veneziana – scuola diVenezia – filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofoveneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “Thiscan be confusing to Oxonians, althou we are familiar with the Hanover dynasty!Daniele Barbaro, a faitehful nephew, commented on his uncle’s, ErmolaoBarbaro’s, ‘translation’ of Aristotle’s rhetoric – I shouldn’t even be sayingthis since it’s implicated in the title where Ermolao features as ‘interprete,’and the ‘commentarium’ is due to Daniele.” Grice: “On top, Daniele wrote about‘eloquenza,’ but his comments on his uncle’s vulgarization into latin ofAristotle’s vulgar-greek (koine) rhetorica – is perhaps more Griceian – sincethere is little conversational about Daniele Barbaro’s ‘eloquenza,’ while therhetoric (or ‘rettorica,’ as he prefers) is ALL about ‘dialettica’ anddialogue!” -- Daniele Barbaro patriarcadella Chiesa cattolica Portret van Daniele Barbaro Rijksmuseum -A-4011.jpegRitratto di Daniele Barbaro, opera di Veronese, presso il Rijksmuseum diAmsterdam Template-Patriarch (Latin Rite) Interwoven with gold.svg Incarichi ricopertiPatriarca di Aquileia. Nato 8 a VeneziaNominato patriarca da Giulio III Deceduto Venezia. Ritratto da Paolo Veronese(Firenze, Palazzo Pitti) Villa Barbaro aMaser Pratica della perspettiva, 1569 È notosoprattutto come traduttore e commentatore del trattato De architectura diMarco Vitruvio Pollione e per il trattato La pratica della perspettiva. Importanti furono i suoi studi sullaprospettiva e sulle applicazioni della camera oscura, dove utilizzò undiaframma per migliorare la resa dell'immagine. Uomo colto e di ampi interessi,fu amico di PALLADIO, TASSO e BEMPO. Commissionò a Palladio Villa B. a Maser ea Paolo Veronese numerose opere, tra cui due suoi ritratti. Daniele MatteoAlvise B. e figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed Elena Pisani, figlia delbanchiere Alvise Pisani e Cecilia Giustinian. Suo fratello minore ful'ambasciatore Marcantonio Barbaro. Barbaro studiò filosofia, matematica eottica a Padova. E ambasciatore dellaSerenissima presso la corte di Edoardo VI a Londra, e come rappresentante diVenezia al Concilio di Trento. Nipotedel patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, fu suo coauditore nella sedepatriarcale di Aquileia. Venne promosso in concistoro a patriarca"eletto" di Aquileia (coadiutore), con diritto di futura successione,ma non assunse mai la guida del patriarcato perché morì prima dello zio.All'epoca tale carica era quasi una questione di famiglia per i Barbaro,infatti furono patriarchi di Aquileia ben 4 B.. Ermolao B. il Giovane,patriarca di Aquileia, Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, FrancescoBarbaro, patriarca di Aquileia, Ermolao II Barbaro, patriarca di Aquileia. Fuforse nominato cardinale in pectore da papa Pio IV nel concistoro. Solo iGrimani, con cui erano imparentati, occuparono più volte il patriarcato (bensei). Partecipò a varie sedute delConcilio di Trento fino alla sua chiusura. Atre opere: commentarii diAristotele Retorica del suo pro-zio Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia);Compendium scientiae naturalis di Ermolao B. il Giovane (Venezia); Commentosull’archittetura d Vitruvio, pubblicato col titolo “Dieci libridell'architettura di M. Vitruvio” (Venezia). Di essa pubblica anche unaversione in latino intitolata M. Vitruvii de architectura, (Venezia). Leillustrazioni sono realizzate da Palladio --; un trattato sulla geometria,prospettiva e scienza della pittura, La pratica della perspettiva (Venezia); untrattato sulla costruzione delle meridiani, “De Horologiis describendislibellus” (Venice, Biblioteca Marciana, Cod. Lat.). Più tardi si scopre che il testodel B. affronta la tecnica di strumenti come l'astrolabio, il planisfero, ilbacolo, il triquetrum, e olometro di Abel Foullon. Cronache, probabilmenteriprese da Giovanni Bembo nella Cronaca Bemba. Aurea in quinquaginta DavidicosPsalmos doctorum graecorum catena interpretante Daniele Barbaro electopatriarcha Aquileiensi, Venetiis, apud Georgium de Caballis. NoteLa pratica della perspettiva, consultabile (testo italiano + tavole originali) Giuseppe Trebbi, Barbaro Daniele, in NuovoLiruti: dizionario biografico dei friulani. 2: l'età veneta. A-C, Forumeditrice universitaria, Udine Eubel, Hierarchia Catholica Medii et RecentorisAevi, III39, che cita gli Acta camerarii e gli Acta vicecancellarii 8, f 7 Cellauro, B. and VITRUVIO: the architecturaltheory of a Renaissance humanist and patron, Papers of the British School atRome, Paschini, B. letterato e prelato veneziano del Cinquecento, Rivista distoria della chiesa in Italia, Władysław Tatarkiewicz, History ofAesthetics, III: Modern Aesthetics, editedby D. Petsch, translated from the Polish by Kisiel and Besemeres, The Hague,Mouton, B., Pratica della perspettiva,In Venetia, appresso Camillo, et Rutilio Borgominieri fratelli, al Segno di S.Giorgio, Devreesse, La chaine sur les psaumes de B., Revue Biblique, Mercati, Il Niceforo della Catena di B. e ilsuo commento del Salterio, in Biblica,Storia della fotografia Villa Barbaro. Treccani Enciclopedie on line,Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vacca, B. in Enciclopedia Italiana,Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Daniele Barbaro, su EnciclopediaBritannica, Giuseppe Alberigo, Daniele Barbaro, in Dizionario biografico degliitaliani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di B., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di B.,. David M.Cheney, B. in Catholic Hierarchy. B., sumuseo galileoMuseo Galileo, Firenze. Daniele B. su mathematica.sns EdizioneNazionale Mathematica Italiana, Pisa, Centro di Ricerca Matematica Ennio DeGiorgi Salvador Miranda, Barbaro, Daniele Matteo Alvise, su fiu. eduTheCardinals of the Holy Roman Church, Florida International University.PredecessorePatriarca di Aquileia Successore Patriarch Non Cardinal Pio M.svgGiovanni Grimani Aloisio GiustinianiUmanisti italiani Nati Venezia Venezia Barbaro Patriarchi di Aquileia Ambasciatoriitaliani. DELLA ELOQUENTIA, DIALOGO. INTERLOCVTORI: L'ARTE, LA NATVRA, ET L'ANIMA. R. IO VORREIVOLENTIERI Natura, che noi disputassimo insieme, se però l'ufficio deldisputare alla tua conditione si conuenisse. NATURA. Il disputare é cosa da te, ò arte, figliuolamia. Ma se à me stesse l'ammaestrarti, di presente direi, che tra il tuointendimento, o il mio, alcuna differenza non fusse, da che dentro ti venija seil contender meco. ARTE. Al almeno desidero tale occasione. NATURA. Vano, odannoso desiderioé il tuo, si perche io non sono mai ociosa, come perchetu sempre dei non mes no abbracciare il bene che cercare la verità delle cose.ARTE. Niena te più migioua che il bene ne che il vero più mi diletta. NATURA.In questo almeno tu m’assomigli che ouunque sia, ch'io mi ritrdovi, il verosono, o il bene di ciascuna cosa. ARTE. si,ma tu alla cieca ne vai, e io di tanto amo ogn'uno che con deliberatoconsiglio, o a nati veduto fine faccio, lo di far bene. NATURA. Emmi pur manifestoche la tua grandezza è di nascondere te stessa quantopuoi o di accoltarti à me.ARTE. Questo é, ma ciò a viene, perche tu prima di me al mondo venisti, o gl’uominia tuoi piaceri adulasti, innanzi ch'io ci nascessi; o questa mia imitazione nonti accresce dignitade alcuna. Percioche, nella formica vile animaluzzo e piùdegna, nell’uomo meno onorato, ancor che questo quella imitando, l'estate perlo verno si proueda. La mia industria, o natura, fa maggiore il tuo poveropatrimonio. NATURA. Che accrecimento farebbe ella, se io non ti lasciassi cheaccres cere? Tu pure, se uuoi, ben sai, che ogni opera presuppone il soggetto,senza il quale nulla si può fare. Que so da me, non da te procede. Oltra cheappresso giusto giudice il secondo. A secondo luogo, non che il primo, ti fariadenegato. ARTE. Giusto à tua scelta intendi colui, che te à me anteponga; manonſai che per la età molto ti concedo. NATURA. E mi piace di ragionare an pocotea co sopra questa materia, poi che tant'oltra proceduta ſei, che di te conbuona equità midolga. Dicoti adunque, che in ordine di onoranza ne prima ſei,né ſeconda. ARTE. Chi adunque à noi soprasta? NATURA. Chi ne fece ambedue é ilprimo senza mezzo da lui nace qui. Tu doppo me sei. NATURA. Adunque mentonocoloro che affermano, te esser madre universale, poi che tu stessa non nieghieſſere d'altruifattura? NATURA Ad un modo io sono madre, ad un'altro figlia. ARTEAdunque di te cosa picprestante si truova? NATURA. Chi ne dubita? Ma io per esserea gli umani sentimenti vicina, tutta fiata son preferita. ARTE. Hai tu conoscimentodi fine alcuno? NATURA. Certo no. Ma nel gouerno del tutto io son drizzata, equasi addestrata dal padre mio. ARTE. In che dunque é ripoſta questa tua gloria?NATURA. Tanto potente, saggio, e buono é il mio fattore, che la sua gloria inme mirabilmente soprabonda. ARTE. Sommi più volte marauigliata di coteſta tuaocculta uirtù, dalla quale tu ſei cosi gentilmente guidata jpelefiate mi èuenuto in animo di cre dere che ella forſe habbia potere di trar mead imitartidiforza; ergo però diſcorrendo,etpiù dentro penetrando, bo giudicato eſſeregran famiglianza tra quelprincipio, che ti muoue, &me, ondeper la ſea cretauirtu,non tua,io mi muouo ad operar come tu fai. Ma poi mi pare,che,ſe ildiſcorrere l'ordinare,e il ridurre àfine le coſeantiue dute, è ufficio mio,ioſia inanzi di teſtata nel Cielo appreſſo il padre tuo, che egli habbia l'operamia uſata in generarti ò produrti NAT. In altra guiſa io faccio le coſe mietule tue, di quella del fattor noſtro, chenehafatte, et create.Però guardatidinon giudi care troppo animoſamente le coſe, figurando le inuiſibili, et occulteper le uiſibilio manifeſte. Ma perchecosi agramente mi condane ni? ſe inqualunque modo tu uuoi per le coſe già dette chiamar mi, ò madre, è figlia, oſorella, ó amica ſeisforzatadi nominarmi? no mi tutti di congiuntione,amicitia, oſtrettezza. Egli non ſi uuol có. si correre a furia. AR. Non tiadirare ó Natura, che io non ho contra te mal uolere, né il finemio é ſtatocattiuo, anzi per lo tuo ef faltamento ho uoluto raffrenare la mia credenza,che era di ſapere con qual calamita io tirata fußi ad operare come tu fai,e miuenu to ben fatto per lo ragionamento, che éftato fra noi, perche hauen do noido noi ritrouata l'origine del noſtro naſcimento, ſiamoſicuré della no ftranobiltà, come quella checon la eternità ſipareggi,o dal primo fattore d'ognicoſa proceda. Ma ben mi duole, et per queſto ti ho chiamata,cheà molte ſciagureſia la grandezza mia ſottopoſta.Et quanto maggiore è lo stato mio, tanto àpiùpericoli mi ueggio eſſer ſoggetta. NAT. Quai ſciagure, oquai pericoliſonoqueſti? AR. Saper dei Natura, madre mia, che in tutte le parti delmondo mitruouo hauer molti miniſtri,de quali neſono alcuni,chemifanno una gran uergogna,a oltre à ciò miſono di danno infinito, o per lor cagione io ne ſento male.Perche non indrizzando me al debito fine, anzifieramente in abuſo ponendomi,come buona, utile, oono reuole cheio ſono,rea,dannofa, et uituperabilemifanno.Ondegli huomini per mezo mio ingannati da loro, certi de' loro danni, maincerti di chi la colpaſiſia, s'accendono d'ira contra dime, à guiſa di coloro,che le ſpade,o non glihomicidi punir uoleſſero. NAT. Tu non ſei ſolanelmale di si fattioltraggi, tutto'l dime ne uengono afe ſai. Perciocheproducendo io ogni coſaà beneficio della vita di chi ci naſce, moltiſciaguratiepieni dimal talento, maleufando l'arti ficio loro,empiono iltuttodiconfuſione, auelenando, uccidendo,in, gannando, eoffendendoſenza riguardoalcuno; e chi ode o xede tali ſceleraggini, maledice ogni mia fattura. AR.Duraper certo ėlaforte noſtra,però che il uolgo cieco, &ignorante non ſa, chereonon è quello, che in bene uſar ſipuote.Maper uer direzio poco mi marauiglio, ſeil ueleno auelena,ò il ferro uccide, ma ben grandeam miratione miporge,quädo ilcibo, di cuiſiuiue,cosi ſpeſſo in cattiuo umore ſi conuerte, che alla morteconduce. Et ciò dico à fine,chetu Sappia quantoiogiuſtamente mi dolga,che lapiùpretiofa parte, che tupergratia del tuo fattoreall'huomo cõcedi conla qualeegli poſ fan debbia altrui eſſere d'infinito giouamento, cosi ad offeſa Sia, exà danno preparata, che niente più. NAT. Chié quelmaluagio Oingrato,che tal coſaardiſca di fare? AR. L'Anima, o la più diuina parte di lei. NAT. Perseguitiamoladunque, o facciamo la citare dinanzi al tribunal diuino, Voglio, che ella dicala cauſa ſua. AR. Ma prima uoglio,che infingendo noi con eſſo lei, tanto laprendiamo che ella dica à noi ogni ſuaeſcufatione. NAT. Né la giuſtitia delGiudice, né la uerità del fatto, nela tua dignità ricerca tale inganno,eſſendoquello ſincerißimo,la coſa uerißima, otu quel la,che del medeſimo errorej, delquale ſei per riprender lei, puoi eſ A 2 Ser accufatd. A R. Ben di..Ma ioaltrimenti non ſonouſata difure. Ma eccoti queſta ingrata,che di molte parti,et eccellenti doni da noi dotata d'alcuna gratia,che futta le habbiamo,non ſiricorda,contre mecon me fteſa,o contra te per li beni, che dato le hai, altieraſi lieua. Aſcoltiamola alquanto. ANIMA. Iddio vi ſalui ſorelle amantißime,delle qualiund mi rende atta l'altra mi fa gagliarda als l'operare. AR. Et teancora ſecondo il tuo buon uolere, ma dins ne, che usi tu cercando? AN. Teſopra tutte le coſe. ARTE. In parte difficile ti ſei riuolta, perciò chebiſogna, che tu oſſeruicon di ligenzatutte le operationi, a modi di coteſtanoſtra commune amis ca. AN. Hoio ad impiegare tanta fatica, innanzich'iot'imprens da? AR. Et poſponere a queſta ogni altra cura,ben che dolcißima curati fia, per la ſperanza dello acquiſto, che ne farai. Ma che parte di meconoſcer deſideri? AN. Indifferentemente,ſe poßibil fuſſe, tutte le uorrei,tutte le abbraccerei tutte le poſſederei. Ma ora grado mifia tant'oltreprocedere, ch'ioſappia altrui paleſare i cons cetti miei. AR. Più chiaramentemidi quel che uuoi,perche in molte maniere giouar ti poſſo d'intorno à cosifatto dimoſtramento di penſieri. Vuoi tu ſapere conqual nodo di ragione ſiſtringa ung parola con l'altra quale ſia la concordanza de' numeridelle perfone, ode' uocaboli delle coſe, et con quai regole dirittamente fifcri Me? AN.Queſta parte io la preſuppongo. AR. Forſe tu uai cer cando d'intendere conquale unione una coſa con l'altra conuengd, per poter'à tua uoglia diſcorrere, argomentare,o foſtenere le cons teſe AN. Né ciòintendo per ora, ma di più dilette uol parte ho curd. AR. Tu uuoi tutta fiataporgere diletto col parlar ſoauiſ fimamente,à guiſa di delicata uiuandaacconciandoi numeri, il ſuono, per l'armonia delle uoci eſprimenti coſepiaceuoli, et grate à i fenfi umani? ARTE. 10 uorrei più adentro penetrare, nétanto effer folles cita di piacere alle orecchie,quanto di giouare all'animo,operò dimmiſe hai più parti, quaſi figliuole,cui ſi conuenga la cura del rasgionare. AR. Honne, o hauer ne poſſo ancora molte altre, che nonſono in luce;ma tra le altre una ue n'ba, che non è leggitima; un'altra la quale bēcheleggitima ſid, pure e di tāto riſpetto, che rare Holte ſilaſcia al mondocompiutamente uedere. La prima in tanto da me é hauuta per buona, in quantoella inſegna di conoſcere gli ingan ni del parlare, e à fuggire i ciurmatori.Laſeconda e da me coſto dita, &guardatamolto, percheio temo, che glihuomini di malaf fare non la ſuijno. Et eſſendo ella di bellezza,o di formaſopra ogni altra eccellente gran pericolo miſoprafta Jlquale tolga lddio, madoue non paſſa la maluagità umana: doue non penetra l'audacia? ego di queſto,poco fa, la Natura, a io ci doleuumo, et penſauamo,che tu fußi quella tu, ched'ogni male Q uergogna noſtra fußi l'apporta trice. AN. Perunared eu perfida,che ſi truoua, non crediate di gratia, che oggi di tutte ſieno tali,perche dame ui prometto,che als tro che onore non hauerete, AR. Bene, o cosine capenell’anis mo. Che uuoi tu adunque da me ſapere?AN. 10 cerco molto, Ò Arte, à modo mio di posſedere coteſta tua cosibella, o riguardata figliuola,à benefitio deipopoli, o delle genti, o à gloriatua, di me,dicui altro cibo più ſoaue non truouo. AR. Prega tu prima la Natura,che à te conceda corpo ben diſpoſto, oformato, aſpetto graue, o gentile, uoce chiara,á eſpedita fianco,modo, o mouimen ti conformialla virtù, che deſideri".Appreſſo poi à me prometterai congiuramento di non ufare già mai la figliuolamia,uezzofa, inſos lente, « che tanto uagaſia delle bellezze ſue, che per farſiuaghegs giare in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni propoſito ſenza riſpettoalcuno compariſca. Et con luſinghe eadulatione dal ben fare le genti, o ipopoli aſcoltanti rimuoua. AN. Se ottimo uolere, fe oneſtédimanda ritruoualuogo appreſſo di te, o Natura, con ogni af fetto ti priego, chetu mi diaquello chel'arte mi perſuade, che ti dis mandi, corpo gratiofo,formato,odotatodi quelle parti, che conue nientiſono alualore della figliuola fua. Etſe benein alcun tempo io non ti poteßi di tanto donorimeritare,pure non ceſſerò dieſſertiſem pre obligatißima. NAT. Siati la gratia, che dimandi, conceſſa. A N.Io tigiuro ó Arte,perquella diuinità, che ſi truoua maggiore, di accoſtumare latua figliuola à giouare ouà ben far’altrui, né per modo alcuno permettere, cheella ſeguagli apperiti diſordinati, ma circoſpetta ſempre, oſempre riguardeuolecompariſca. AR. CO si habbi la chiarezza del ſangue, la libertà, eccellenzadella pas tria, ibeni da gli huomini defiderati, come ciò facendo,alcolmo dellagloria à pochi conceſſa,peruenirai. NA. Felice patria,che di tale, etant'huomoſaràfornita. Maqual patria le dareſti tu, ó Ar te? ARTE A'miauogliale darei quella,in cui le leggi poteſſero piit, che gli huomini, doue lamaggior parte alla commune utilità s'ina drizzaſſe; antica,nobile,illuſtre,e diquelgouerno, nel quale il bes ne di tutti glialtri gouerniſiconteneffe,qualeforſe non più che unds'e s'èritrouata,oſi ritruoua al mondo, oforſe tu, o Natura,conſentia ſti diprepararle il più ſicuro et comodo luogo, oil piie forte fito, cheueder ſipoſſa,nonmeno al mare che alla terra uicino,cui di gra tiaſpeciale ancora ilCielo concede priuilegio di eſſer nimica d'ogni tumulto, oſeditione,parca,pia,oreligioſa, con inſtitutiottimi temperata: NA. Troppo dicuore commendi, o lodi queſta tua Città, eforſe à ciò fare queſto t’induce,chetu in eſſa puoi il tuo ud lore, o la tuaforza chiaramente dimoſtrare. Ma tu, óAnima, già ricca di tanti doni, chefatti t'habbiamo, che dici? A N. Le gratienon ſonopari al uolere,io attendo quello, che attender dei, &sò loſtudio,che tu ſei ſolita di porre nelle coſe tue;mi& rendo certa, che tuſaiancora, che ritrouando io unatemperatißima compleßione di corpo,à quella dò laumanaperfettione, o come quella temperanza cade, cosiſopra di eſſa declinailmio ualore. Làondeſono alcune co ſe, allequali io non degno la uitaconcedere. Ad altre ueramente dos no la uita,ma le operationi di quella cosiſono occulte, che in forſe fi ftà di credere ſe in eſſe la uita ſi truoui.Altre uita,ſenſo, omouis mento da me hanno comealcune intelligēze, et amore,coſa nobile et ueramente diuina. NAT. Queſtomipare,checosi ſia map ure als cunafiata io ueggo, che le anime uan ſeguitando le compleßioni de' corpi. Ondepoiſono alcuni ſdegnoſi, alcuni manſueti, altriuanno dietro alle apparenze,altrialle fauole più che alla uerità fi danno, emolti in ogni pruoua, ſoda exinquiſita ragione uan ricercando. A N. Et queſto èquello da me tantodeſideratodono, che e di ſapes re in tal guiſaſpiegare i concetti miei,ch'io ſatisfacciaà tanta diuer. ſità di nature, o d'ingegni. NAT. Quando tu ſarai giunta à quelpaßo,chetu ſappia per mezo dell'arte cosi ben gouernarti con ogni maniera diperſone, dotte,roze,ciuili, barbare, umane, e inumane, allora potrai à tuauoglia mitigar’anco gli adirati, fpingere i pigri, raffrenare i feroci,ingagliardire i deboli; et di uno in altro cótrario à uiua forza ogni animatramutare. ANIMA. Coteſta é und magica eccellentiſsima. Ma tu Arte,cui è datodi ritrouare alcune uie ragio neuoli di peruenire alla cognitione di coſe nonconoſciute, incomincia da quelle che facili, en eſpedite ad inuiarmi aldeſiderato fine riputes rai. Ar. Cosi uoglio, o à te farò capo, ó Natura,dinuouo addis mandandoti,di che beni uuoi tu adornare queſta noſtra nouellaſpoſa? NAT. Hollo già detto, a più aperto ti diſtinguo,dar le uoglio, ol tre alcorpo ben formato unauoce grata, chiara, eguale, che ogni ſuono ageuclmente ſipieghi, e che ſe ſteſſa inſino all'eſtremo ſoſtenti. AR. Et io le dimoſtreróparole atte ad eſprimere leggia dramente ogni concetto,pure,ampie, illuftri,eleganti ſeuere,giocona de, accoſtumate, ſemplici,uere, tarde, ueloci, ofinalmentetali, che abbracceranno la uera idea di me in queſtoeſſercitio. Et di più iol'inſegnerò di collocarle si fattamente inſieme, che diletteranno ſema pre, onon falliranno già mai; or iu Anima farai ociofa? AN. Hauendo io per gratia dite Natura le coſe conuenienti, oper tud corteſia ò Arte le parole conformi,farò si, che niuno in mepotrà de fiderare ne penſamento neſtudio alcuno. NAT.10 a' ſenſi tuoiſot toporrò tutte le coſe, dalle quaifacilmēte ti uerrà fattodi prendere argomento di ragionare. Tu fin tanto non mancherai di diligenza.AR. Paterno, oſaggio ricordo. Però che con la diligenza ogni giorno teſteſſaauanzerai, ella ti farà poßibile ogni impoßibilità, ela la é la perfettione,lalode di tutte le opere de mortalijà cui cons giunte ſono tutte queſte coſe,cura, induftria, penſamento, fatica,eſſer citio, imitatione de migliori, «iltempo padre d'ogni coſa. Credi adunque à me quelloche la lunga eſperienza mihaidimoſtrato, cioé, che niente giouano imieiprecetti,niente le regole, nientegli ammae ſtramenti,ſenza la diligenza,con la quale oltre alla inuentione,all'ordine delle coſe,otterrai di accommodar la uoce alle parole, eſpri mendole umili con baſſo, o rimeſſo ſuono, le pure coniſchiettezza, le afpre condurezza,abbaſſando, et inalzando queſto beato inſtrué mento à que' tuoni, cheſaranno conuenienti. An. Coteſte fono leggi da eſſere oſſeruate allora che ioſarò col corpo congiunta. Pers cheben ſai chenė lingua, nė uoce habbiamo, nėperò egliſi uuoldire cosi ad ogn'uno,in che maniera tra noi fauelliamo. NAT. 10ſo be ne, chegli huomini andrannofauo leggiando di noi, come altre fiate hannodetto chele cannucce parlarono, ilche é maggior miracolo, che ſe gli Indianiuccelli eſprimono le uoci umane. A R. Se già col mio aiuto uolarono gli huomini,molte coſe inſenſate hebbero mo uimento, che marauiglia potranno oggimaiprendere del parlar nos ſtro? AN. Che debbo dir’io? partita ora dalluogo,oueil parlaa re é uiſibile, l'intendimento ſenza fauella ſi ſcuopre, muoueſi ſenzaluogo,e s'impara ſenza discorso. AR. Coteſti miracoli, che tu ci narri,ſonoſegno, che tu non habbia biſogno dell'opera noſtra. AN. Tu di vero, ſeio nellamia primiera ſimplicità mi rimaneßi. Ma diſcendendo dalpuro o purgato eſſere, ovenendo quaſi ad un'aria infettata e corrotta,molto mi ſento dal mio primoſtato ria moſſa. NAT. Peggio ti auerrà meſcolandoti con la masſa matea riiledel corpo. A N. Ad ogni modo mi biſogna ſtar ſottopoſta. AR. Non uſciamo diſtrada,macome buoni mercatanti accontiamo inſieme. Haßi dunquefin'ora promeſſadi uoce eſpedita, di copia di parole, di modo conueniente di accomodar la uocealle parole;oraci reſta di affettare le parole alle coſe. Cheditu Natura? NAT.Die co, ch'egli è più che neceſſario queſto affettamento,ſenzail quale leparole ſarebbon uane et ſenza frutto, però accreſcendo le doti, che io intendodare à coſtei, promettole di dimoſtrarle nelle coſe mie us na certa uerità,alla quale accoſtandoſi, potrà ſeco tirare ogniforte di gente, o di taleueritàſenza dubbioti affermo eſſerne ogn'uno capace. A'R. Già tre corde diqueſto liuto ſono accordate, uoci, parole, a coſe. Reſta, che nelle coſeſi uedauna certa conuenienza con eſſo teco,ò Anima, e con le parti tue; che ne riſultila perfetta e compiutafoauità della deſiderata armonia. Però aiutamia ritrosuare le tue più ſecrete parti, epiù occulte uirtù, acciò cheſi ſappia qualparte di te, con quai coſe, « con che parole, et con che attione ſi debbamuovere. A n. Piacemi queſta diſpoſitione mirabilmene te ofappi,cheauenga;ch'io nonſia ſtata col corpo già mai, nientes dimeno come nouella ſpoſanella caſa del padre molte coſe hoſapute, che mi aueranno quando ciſarò legata.A R. Ora incomincia à dir mene alcune. AN. Hogià inteſo,che quando io ſarò coneſſo il cor po, molte mie forze emoltemie uirtù ſi ſcoprirāno,le qualiora nonſi conoſcono. Et prima ne gli occhi io ſarò il uedere, nell'orecchie l’u dire,nel palato il guſto, per ogni luogo oparti del corpo faró ſentimento, nel cuoreprincipio diuita,di ſenſo,etdi mouimento. Ben che ad altra intentione altririguardando,la origine di tai coſe ad al tre parti aſſegnerano. In un luogoſarò fantaſia,in altro memoriain altro ingegno,et per tutto ſarò anima.Et ſe ilcorpo fuſſe di tal tem pra, chegli fuſſe diffoſto à riceuere ogni mis uirtù,farei nelle orecs chie la uiſte, o ne gli occhi l'udito, quantunque per moltiaccia denti, che uengono à i corpi, l'animepouerelle uſar non poſſano leforzeloro, da che nacque l'opinione di coloro, che dicono "credos no chenoi moriamo inſieme col corpo.Ma io ti giuro per quell'onnis potente maeſtro,che mi fece che noiſiamo immortali, oſe ora io fo noſenza il corpo,perche nonſi dee credere che io reſtar poſlı dapoi, che'l corpoſarà disfatto? AR. Tuttochemolte ragioni aſſai pro Babiliper l'und ei per l'altra parte mimuouano,pureal modo,che io Sonoſolita di cercare la uerità delle coſe,io nonſono puntoſicura del la voſtra immortalità, però rimettendomi à qualche maggiorſapien za, che la mia non é, mi gioua di credere che noi uiuiate eternaměte. AN. Più oltraiſe fenza il corpo conoſco,fo ueggio, econoſco diconoſcere,miapropria operatione, che dirai tu poſcia dello eſſer mio? AR,Ritorniamo al cominciato ragionamento. An. Ben ti dico ora delle forze mie,perche io conoſco di dentro, e di fuori, dentro con la fantaſia, col diſcorſo,o con l'intelletto, o ciò si dia mandavolontà, come quello del ſenſo appetito,il quale hauirtù di porſiinanzialle coſe diletteuoli, o di fuggire lediſpiaceuoli.La no lontà è Regind. AR. A'me pare, che tu mi hábbiposto inanziagli occhi la forma di una ben'ordinata Republica, nella quale ui ſia ilPrincipe, iCoſiglieri,i Guardiani, et gli Artefici. Mainfinitamentemi dogliod'alcuni, che per molti ſecreti auenimenti, de' quali non fan renderealtramenteragione, corrono à fabricar nomi, che nonſono, et con quegli impauriſcono legenti,aguiſa delle nutrici,che ſpauenta, no ifanciulli con le fauole, quindi ènato il nome della Fortuna,cui ca pital nimica io ſempreſonoſtata, nõ percheiocreda,che à quel nome alcuna coſariſponda, maperche mimoleſtalafalſa opinionedi colo ro, che non ſolamente uogliono, che ella ſia una coſa come le altre,che ſono, ma le attribuiſcono la diuinità. NAT. 10fo bene, che la for tuna nonè fattura mia. ART. Né di me'ancora. An. Molto mea no dimeauezza à coſe stabilie impermutabili. ART. Laſcida mola dunque andare, o ueggiamo ſe io ti boben’inteſa, due ſono i conſiglieri,per quanto io comprendo,ragione,&appetito, daiquali commoſſo e perſuaſo,s’induce à fare, eoperare il tutto,perche ora nė difortuna,nédi uiolenza alcuna ragiono. A N. Senza dub bio, ſeriguardi al nome, maſaper dei, che ſotto queſto nome di appea tito ſicomprendono due conſiglieri,l'uno, nel quale è poſto l'iracons dia,che è comedifenſore dell'altro,nelquale è posta la cõcupiſcenza. AR. O diquantimali, e diquante conteſe l'uno e l'altro de gli appetiti ſuoleſſer ſemenza. An. Queſtonon già auiene pur il dritto gouerno in tirannia non ſi tramuti. Diritto gouerè quel lo,nel quale,chi deue ubidire, ubidiſce, ochi dee comandare, cosmanda". La ragione adunque di queſta piccola città preceder deue alloappetito, e non permettere, che egli ad abandonate redini cors sendo, ſecodietro la tiri. AR. Moltomipidce quello che tu di,eso B per che 1 jo perricompenſa di tal piacere voglioti ſcopriremoltiſecreti, che io bo d'intornoalle predette coſe.Ma dimmi tu prima queſta una parte, nella quale é riposta laragione,diche hai tu inteſo cheella eſſer deb bia adornata? NAT. Diſcienza o dibuona opinione ART, Vero é, per che la ſcienza é ilpiù bello adornamento, ches'habs bia, al qualeſe s’auicina la buona opinione,ò che gentileabito é queſto,diche l'animaſiueſte apparando le ſcienze. Alora ella acquiſta laſuaperfettione,allora ella é pronta à conſeguire il deſiderato fine, et quaſiſeſopraſeinnalzando auanza ogni coſa mortale, o ſi cons giungecon ladiuinità.Ma come di coſa precioſa,orara, difficile,or non da noi oracercata,non ne ragioniamo, ma ritorniamo alla buong opinione, la quale si comela ſcienza è una certa cognitione delle cofe occulte, nata da uere og manifeſtecagioni, cosi eſſa opinione è una incerta notitia,nata da alcune dubbioſecagioni, alle quali l'anis ma con timore difallire, odi errare, s'inchina. Peruoler'adunque ottenere l'intento fuo,é biſogno conoſcere il modo,col qualedapia gliareſi hanno,o, comeſidice, farſi beneuoli i detti conſiglieri,ac cioche acquiſtata lagratia loro, l'animaſi muoua àfareleuoglie di chiparla.Muoueſiadunque la ragioneuol parte,che è nell'anima, că lepruoue, ocon leragioni; et tal mouimento s'addimanda inſegna re. Etperche la ragione è uno de'conſiglieri, prudente,etſuegliato, perd nell'ufficio deŪ'inſegnare é dimestiere diacuto epronto inten: dimento, mal'appetito in altro modoſimuoue.Ilprimo, che è detto Concupiſcibile,richiede una certa piaceuolezzaet cõciliatione.Pero ciòche cosi di dentro i petti umaniſono da quello tirati. Ilſecondo glifpigneàforza, operò cõ eſo egliſiuuole uſare uno impeto, a cui più propriamentequeſto nomedimouimento ſi conuiene, che à gli al tri; e comedebito è loinſegnare,cioè il dimoſtrare con ueriſimil pruoua le propoſte coſe, cosi èonoreuole il conciliare, o neceſſario il muouere. Ma da ogni afficio di queſtitre peruiene lapropria dileto tatione. An. Io ſo almeno,che altro diletto nonho che lo apparda re. AR. Et tu prouerai appreſo quanto piacere naſca negliapapetiti. An. 10 pure ſono auifata cheeſſendo in eßi ripoſte le umaa neaffettioni, nonpuò eſſere che ſenza riſentimento di dolore ſimuou wano. ARTE. Inogni affetto, et mouimento d'animo, dolore, o piso cere ſono compagni.Oruediquáto sfrenataſia l'iracondia, oquana to doloroſo ſia l'adirato,et pureconoſcerai, che lo appetito,et la ime ginatione della vendettaglie piùfoane cheil mele. Ho duucrtito, che nc ELOQVENZA. ii negli eſtremi dolori gl’uominihauuto hanno piacere di dolerſi, ayo il non poter ciò fare, èſtato loro didoppia doglia cagione, non cbe à loro elettion ehaueſſero uoluto l'occaſione didolerſi,ma poſti neldo lore; dolce coſa il poter'à lor uoglia ramaricarſi hānoriputato. Dilet ta ueramente la SPERANZA, ma il deſiderio la tormenta. Peßimacoſa è la diſperatione tra tuttigli affetti umani, maſola è ſicura contra lamorte. Mauannetu diſcorrendo nelle altre perturbationi,che trouca rai nellaallegrezza ſteſſa un mancamento diſpiriti, ounatenerez xa, che al pianto ticondurrà fpele fiate.Però io tiſcuopriròintorno à tai coſe bellißimiſecreti. ANIMA.sidigratia; percioche queſte mi paiono leuere, epotentifuni, con le quai ſitirano l'altrui ate nos ſtre uoglie. A R. 10 ho inſegnato a' mieifedeli,che nonfieno fema pre folleciti d'intorno ad unoaffetto, per fuggire la noia con lauda rietà dellecoſe, imitando la Natura, la qualeama ſopra modo il udm riare,oil mutare le coſe ſue. NAT. Vero è, perche chiaramente dei vedere la diuerſitàdelle ſtagioniedei tempi, la grandezza co l'ornamento de i cieli, lamoltitudine delle coſe e delle apparenze, ch'io ſonouſata di dare alle coſemie. AR. O'quanto io leggo fo pra il tuo libro è Natura;ma non abandoniamol'impreſa. Deiaduna que fapereè Animà un'altro ſecreto, non meno delſopra dettobello, degno da eſſere apprezzato. Jo ti dico che tu auuertiſca bene di nõſollecitare con tutte le forze ad unoſteſſo tempo i detti conſiglieri, perchel'anima trauiata in molti mouimenti, non attende comeſi dee ad unſolo.L'eſperienza ti moſtrerà, che ad un'bora né gliocchi, di belißimepitture,né l'orecchie di ſoauißime confonanze potrai pies: namenteſatiarejmacompartendole opere, meglio aſſai per guſtare i diletti,e i piaceridelſenſo,uederai quanto può queſtaſeparata pers ſuaſione. Inſegna adunque.Inſegnato che hauerai, muoui, apporta le facelle, et eccita con gli ſtimolidegli affetti l'animo de gliaſcoltanti. AN. O' Arte tu ſarai ſempre arte. A n. Ettu anima ſaraiſempre anima. ANIMA. Eſſendo io anima, o da teammueſtrata,diuentero Ar te, o tu eſſendo in me Arte, Anima diventerai. A R.Nuouo miracolo, didue coſe farne una; ma digratia non ci laſciamo ſuiare dalleoccaſioni,che in uero alcuna uolta épiùdifficile la ſcelta, che la inuentione.Ora foniamo a raccolta, o quaſi ſotto uno ſtendardo ria duciamo le tue;uirtù,dalle quali fin’ora habbiamo iregali aßiſtenti ragione, concupiſcenza,oira.Reſta, che andiamo alle altre parti.; AN. Cosi faremo, o da eſſa memoria ſidaràprincipio. AR..O B quanto tiſon tenuta in nomeſuo,che mi giouerebbe duuertiréun'afa fetto di Natura, ſe altra fiata in quello abbattendomi, la memorispreſta nõ mi diceſse, Eccoti,ò Arte,quello che ancora uedeſti. Che es ſperienzaſitruouain meſenza di eſſa? chis'accorgerebbe, che in al. cuna di uoi, ó Anine,io miritrouaßi, ſe non fuſe la memoria come guardiana, teſoriera ditutte leparti dello ingegno? onde con ues rità ſidice, Che tanto fa l'huomo, quätoſiricorda Naſce la memoria dal bene ordinare, l'ordine dello intendere, odalpenſamento, però poſſo io con le imagini in alcuni luoghi riposteartificioſaméte indura rela memoriadelle coſe. NAT. A lungo andare tu le ſeipiùtoſto di danno, che di prò alcuno, però non mipiace altro che uno eſſercitio,di eſſa memoria,cheſi fa mandando motte coſe à mente. A R. Che fai tu dieſſercitio • Natura, l'ordine della quale è ſempre conforme? il tuo fuocoſempre tiraall'insù, la tua terra per lo dritto all'ingiù di fcende, o cot ſuogiuſto peſo al centro rouinando à modo alcuno non fi può uſare allaſalita.volgeſiilcielo tutta fiata raggirandoſi in ſe medeſimo, ogni tua legge eimpermutabile, o tutto che i tuoi mona ftri, le tue ſconciature alcuna volta cidiano da marauigliare, pus ge ſono tue fatture,néſono alla tua generaleintentione repugnanti, mal'Anime da uno in altro cõtrario trapaſſando, buone diree,et ree di buonediuengono. NAT. Io conoſco il biſogno in quel modo che gliocchi comprendono la notte, che é priuatione di luce, ma ben ti dico, chelamemoria da me con molta cura é guardata nella compoſiz tione dell'huomo. A R.Io l'ho auuertito nel tagliare di eſſo, egomi fono marauigliata con quanta curadifeſo hai quella parte,nella quale éla memoria collocata, hauendole dato nellaparte di dietro della tes ſta un'oſſo fermo, e rileuato,che da ogniſtraniera forzanella difens da. Tui in temperata umidità e la impreſione, e in ſeccoproportios nato la ritentione delle coſe. Ma tu Arima,la cui nobiltà fi famanife ſta per tante et tali operationi, di ciò il tuo fattore ne ringratierai,regolando con la ragione i tuoi appetiti, penſa,ordina, ocon lo eſa fercitioconſerua la memoria quanto puoi,percheciò facendo,tale di senterai, qualedeſideri, e conoſcendo te ſteſſa, conoſcerai l'altre tue forelle, et come dellapiù onorata di eſſe la tua ragione ſopraſta alla loro, il tuo dritto deſiderioſarà lor freno, onde infinita riputatione acquiſterai,perche di leggieriſicredeà colui, in chiſifida, et facilmen te ſi fida in chi ſi truoua autorità, wcredito, il qual naſce dalla inte grità,o bontà de' coſtumi, o queſto é,ch'iodeſideroſa, fe altra ſi truoua del bene,temo aſſai non abbattermiin perſone malungie. AN: In che potranno ufare la loro malu agità, non eſſendo lor dataſede? ART. Come io non ti niego,che il uiuer bene, es accoſtumatamente non ſiadi gran giouamento à farſi luogo nel coſpetto degli huomini, eacquiſtarlagratia de gli aſcoltanti,cosi non ti conſento che l'has uergli dallaſua,per uirtù, oforza di parole non ſi poſſa fare. A N. Perche inſegni tucoteſti incanteſimi? A R. Il mio ualore e tale, che io poſſi in parti contrariee repugnanti, ſenza che io deſidero ſcoprire in altruiſimili inganni, e peròbiſogna conoſcergli, cosila uerità ſtadi ſopra, ola bugia cade'uinta interra,cosiſiponfine alle conteſe, cosi ſi terminano le liti, cosi ſi ammolliſcele durezze degli adirati, s'attura le rabbie de’ ſeditioſi, ſi ſollieual'autorità delle leggi caduta contra il uolere di quegli, che ſtimando l'oro,l'argento, più cheil douere, et à prezzoſeruendo, poſpongono la ſalute comamune alla utilità priuata.o quanto nei publici mali,e nei tempi pe ricoloſicompenſo pigliarſi ſuole dal parlare digraue et onorato cit. tadino,le cuiparole condite diſenno,ſeco hanno l'alleggiamento d'o gnimalinconia,chegliafflige. An. E dunquegran difetto d'huos mini da bene? AR. Senza dubbio, ociò auiene perche la uia dis ritta è una,male torteſono infinite, però di raroſi vede tra mortali, chi per la ſola camini. Ma tuſcordata ti ſeid’un'altrauirtù, la quale per mettere le coſe dinanzi a gli occhi (il cheéſommamente richies ſto)non ha pari.Di queſta uirtù, perche ella ha grandeamicitia co i ſenſi corporali,o é molto confuſa,come quella, che é lo ſpecchioges nerale di tuttii ſentimenti umani, o perciò è detta imaginatione; di queſtauirtù dico, non hauendola tu ancora eſſercitata, non ne haifin ora alcunaparola mosſa. Io odo dire che nella imaginationeſirifere bano le imagini, e leapparenze da ſenſi riceuute,et beneppeſſo in lei cosi ſtranamente tramutarſiche i ſogni non ſono cosi turbati, et con fuſi, là onde molti ſono detti, oriputati fantaſtici, altri ſi fanno Re O signori,o talmente par loro eſſereque'tali, che ſi credono di eſ ſere,che riſo eg compaßione mouono a chiglivede. Alcuni uanno, come ſi dice,in aria fábricando, et tanto ſi ſtanno nel lorpenſiero fißi, che forſennati,e pazzi da tutti creduti ſono. A R. Quanto piùeuanamente ſpender ſi ſuole tal uirtù, tanto à maggior prò li deue uefarla,& adoperarla. Per queſta l'huomo prima taleſi fa, qual uuole chealtri ſieno. Perche egli prima dentro diſe ſi propone la coſa, che egli cercadare ad intendere altrui, con quel migliore e più eccelslente modo cheſi può,auolendo egli metter’altri a pianto, non tera rà mai gli occhi aſciutti. Simileforza nella pittura ſi dimoſtra, lo ar tefice della quale, ogni forma, che eglicerca di far uederenelle ſue tele, primanella imaginatione fermamente ſidipinze, o quanto più belli,o gagliarda è la ſua imaginatione, tantopiùilluſtre, o loda. ta e la ſua pittura. Molte forme, oſembianze ſono de gliadirati,ma una più eſprimela forza dell'iracondia; queſta una deue inanzi allealtre eſſer poſta nella fantaſia, o à quela il pennello e la linguafi deueindrizzare; en cosi tutta fiata il più efficace modo o di moues re, o didilettare, ò d'inſegnare por ſi dee chiragiona, inanzi,accioche egli ſi habbial'aſcoltatore come deſidera.Et queſta è la utilità grans de di coteſtatuapericoloſa potenza,pericoloſa dico, perchemolti no ſanno ufarla àferuigidello intelletto, ocredono, che lo imaginarſi ſia intendere odiſcorrere.Ma laſciamo queſto da parte;o racco: gliamo le tue uirtù. Che mi hai tu datofin'ora? An. Mente,uolons tà, appetito, memoria, imaginatione. A RT. Molto mipiace.Nella mente, che uiporremo altro, ſenon buona opinione, con l'ufficiodello inſegnare? Làonde la uolontà ſi muoua ad abbracciar le coſe. Et nel loappetito,che ui ſtarà ſenongli affetti, eccitaticol muouere, &coldilettare, Là onde l'animo ſia uiolentato à bene eſſequire? Della me. moria nondico altro, né della imaginatione, percheſono ambedue di ſopra aſſai bene ſtatede noi diſtinte. Ora bella coſa udirai, oda non eſſer à dietro laſciata. A N.Che mi dirai tu? ART. Dicoti,che doppo la eſpedita dimoſtratione di tutte letue parti, fa di meſtiere di ſapere in qual maniera elleſieno dipoſte àriceuere la impreſione dei loro oggetti. Perche uana, ofriuolafatica quellaſarebbe, di chi af fettaſſe in parte al pianto diſpoſta ſenza alcun mezo porreil piacere. Credi tu che eguale prontezza hauerai allo imparare,et allo adirarsti? Indrizza adunque i tuoi penſieri à gli ammaeſtramenti, che io ti uogliodare, oſaperai comedeueeſſer' apparecchiato l'animo dico. lui che ricerca lapruoua, edi colui che è pronto all'affettione, imis tando i buoni medici, iquali prima uannoinueſtigado quai partiſieno guaſte, o quaiſane,eappreſſo, leguaſte uanno disponendo à rices uere i rimedij conuenienti; e prima leniſcono,e ammolliſcono, poi apportano la medicina. L'anima adunque, nella quale laragione fi dee porre, acciò che dia luogo alle pruoue, et accettar poſſa labuona opinione, e iſcacciare la contraria,deue eſſere ripoſata, e quieta,et nonin modo niuno affettionata, et trauagliata. Perche eſſendo il piancere,chehal'anima, quando impara, foauißima coſa, biſognofache ellaſia lontana daogniturbatione, operò molto male è conſigliato colui chenel conſigliar'altruiuſa la forza, o la violenza degli aps petiti, °li affetti, laſciando ilripoſo della verità daparte; qual contento può riportar colui, che partito dalSenato dica, per qual ragione ho io aſſentito?perche ho io cosi deliberato?Buona coſa è l'hauer’alla uerità conſentito,mamiglior'e, ciò hauerfatto ragionneuolmente più toſto che à forza, perche in tal caſo non pure ſifabe ne,maſiſadi far bene; di che non è coſa più diletteuole w gioconda. Habbiaſi dunquel'animo ripoſato di colui cheattende la ragione; queſto ageuolmenteſi può fare,ponendoſiprima di mezo trail si o il no,come chiſta in dubbio.Però che piùprontamëte ſi prende para tito,et ſi ammette il uero dubitando, che portandoſeco alcuna opinio ne. Macome diſpoſto ſia lo appetitoalle coſeſueattendi,cheloſaprai con una bella diuiſione degli affetti. Perciò che in eſſo appetitogliaf fetti ripoſti ſtanno,comet'ho detto. Ogni affetto e d'intorno al male, òd'intornoal bene, truouiſi pure lo affetto in qualunque parteſi uos glia. Ecconel tuo generoſo ſoldato,cui é conceſſo l'adirarſi, opren. der l’armi quandobiſogna dico dello appetito iraſcibile, D’INTORNO AL BENE VISTA LA SPERANZA, ELA DISPERATIONE. LA SPERANZA È UNO ASPETTARE IL BENE; LA DISPERATIONE È UNCADIMENTO DA QUELLO ASPETTARE. D'in = torno al maleuiſta l'ira, lamanſuetudine, il timore, ol'audacia. Ira é appetito diuendetta euidente perriceuuto oltraggio Mania ſuetudine èraffrenamento dell'ira, oambedue queſtiaffettiſono in torno almale,difficile,etpreſente.Il timore é un aſpettatione dinoia, ouero un ſoſpetto di eſſere diſonorato.Et queſta ſichiamauergogna. Ilprimo,ouero é temperato,ouero eccede la miſura. Dal temperato neuieneilconſiglio,dall'altro la inconſideratione,il tremore, et altri ſtraniaccidenti.Laconfidenza, «audacia, é contrario affetto. Et queſte perturbationitutte ſono d'intorno almale che dee uenire.Nel L'altro appetito, in cui è poſtala concupiſcenza, d'intorno al bene ui ſta l’amore,il deſiderio, al'allegrezza. D'intorno al male l'odio, o l'abominatione, di cui ſegno infelicee la triſtezza, dalla quale naſce l'inuidia, la emulatione, lo ſdegno, o lacompaßione,quando auiene che la triſtezza detta ſia de i maliouero de i benialtrui. Ma nelle co fe proprie affligendoſi l'huomo tre alleggiamenti ritruoua.Il primo ė ripoſto nel proprio ualore, perche niuno ſcelerato é compiutamenteaüegro.L'altro è meſſo nel conſiderare il dritto della ragione, werita 16 D ' Ει ι Α fuerità delle coſe, da che naſce la ſofferenza figliuoladella fortezza.L'ultimo é la conuerſatione di alcuno amico, perche ne gli amici e ripoſta laſoauità della uita. Ritornando adunque allo amore, ti dico, che Amore è uogliadel bene altrui,eu ſe é mouimento d'animo a far bene, li dimanda gratis. Senon ſopportaconcorrenza, geloſia, lela ſopporta ad onefto fine, amicitia. L'inuidia nonuorrebbe, che altri haueſſe bene,ſe benuifuſſe il merito. Lo ſdegno non louorreb be, non ui eſſendo il merito La emulatione il uorrebbe anche per ſe. Lacompaßione ſi duole del male altrui, temendo il ſimilenon da uengu á lei. Etciòti puòbaſtare in quanto ad una brieue dichiaraz tiore di tutti gli umaniaffetti. Ora econueniente, che tu ſappia in che modo à ciaſcuno d'eſſi tu ſiadiſpoſta, acciò che tu ſappia poi als truiſimigliantemente diſporre. Eſſendoadunque l'appetito uarias mente affettionato, quandoſi ſdegna,quandoinuidia,quando aborris ſcequando ama, quando teme, quandofpera, equando in altro mo. doé trauagliato,acommoſſo, aſcolta un bellißimo ſecreto, ilquale non ſolamente àdiſporre gli animi à qualunque affetto è buono, ma in ogni operatione éneceſſario, et benche oggi mai per uero ammies ſtramento della uita da ogn'unoſi dica, RIGVARDA AL F13NE, non é però d'ogn’uno l'applicare alle attioni oopere de' mortali, cosi belle ſentenza. Laſcerò da canto le coſe, che nonſpettano alla noſtra intentione,ſolo dirotti quanto io deſidero, che ſia negliaf fetti oſſeruato. Deiſapere che egli ſi truoua una maniera diparlare, laquale in molte, manifeſte parole effrime la forzı, ey la natura delle coſe; equelle molte, omanifeſte parole altro non ſono, che le parti della coſaeſpreſſa. Queſtamanieradi parlare é detta Diffie nitione. Ora dunque io tiammoniſco, che nel muouere gli effetti pri ma tu habbia à riguardare alladiffinitione di ciaſcuno,come al deſide rato fine. Però cheſe la diffinitionerinchiude in certi termini la nas turi della coſa propoſta, ſenza dubbioquerrà, che il conoſcitoredel la natura, o delle parti deltutto diffinito,oeſpreſſo, indrizzerà tutte le forze dello ingegno ſuo, à ciò fare,et taleaiuto preſterà abon dantißima copia di ragionare, o diſciogliere ognioccorrente diffi cultà, e durezzé. Eccotiſe ſai, che l'ira é deſiderio diuendetta per riceuuto oltraggio, o ſe mirerai in queſto fine, non anderai tudia ſcorrendo, in qual modo eſſer debbia diſpoſto all'ira colui, che tu uorarai hauere ſcorucciato? o conchi, oper qualicagione, et quanti modiſieno dioltraggiare altrui? Et ciòin ogni affetto facendo,non ti farai ſignore, et poſſeditoredello animo di ciaſcheduno? Et rans to più dimoſtrerai con la uoce, et co imouimenti del corpo, te tale. effere, quale uorrai,che altri ſia, certamentesi. La diffinitione adun queé il ſegno,al quale ſi deue attentamente guardare.Ora inbrieue ti dico dell'ira, che eſſendo ella uoglia di uendetta,èneceſſario,che lo adirato ſi dolga, o dolendoſi appetiſca alcuna coſa, dalchenaſce,che repugnando altri à gli umani deſiderij, ouero à quelli alcuno impedimento ponendo, ouero in qualunquemodo ritardande le uoglie al trui, porgacigione di adirarſi, cioé di deſiderare uendetta,ilperche nella ſtanchezzanell'amore, nella pouertà, e ne i biſogni ſonodiſpoſti i petti umani agramenteal dolore cagionato dall'ira, epiù cheſono ideſiderijmaggiori, piùapparecchiati, oprontiſono all'ira, o al furore. Lo hauer male di chi s'attendeilbene, lo eſſere in poco pre gio tenuto, ò diſubidito, o prezzato, o peringratitudine, ò per ingiuria ſenza prò dello ingiuriatore, ſono tuttediſpoſitioni al predet to mouimento. Giouamolto, oin queſto, et in altriaffetti ſaper. la natura,ilpaeſe, la fortuna, ela conſuetudine di ciaſcheduno.Se adunque ſi accende nell'ira in tal modo, chië diſonorato, o iſcordasto,ſenza dubbio acqueterai colui cheſarà onorato, riuerito,ubidito, ammeſſo, etriputato; ouero, chiſiſarà uendicato,a cuiſarà dimandato perdono con laconfeßione del fallo, incolpando la violenza, enon la uolontà. Deueſi daremolto al tempo, oalla occaſionein ognicoſa, operò ne' conuiti, ne i diletti,one igiuochigli umani appetitifoa no più alla manfuetudine inchinati Dell'amorealtronon tidico, le non che eſſendo eſo soglia del bene altrui, l'eſſere cagione,mezano, interceſſore, aiutore al bene altrui,diſpone ageuolmente à tale affetsto ciaſcuno. Et perche Amore appreſſo, é una ſimiglianza, w unios ne di uolere,però coluiſarà più amato, ocon l'animo più abbrace ciato, il quale dimoſtreràd'eſſere d'un'animo, o d'una uoglia steſſa con noi. Ilche nelle allegrezze, onei dolori ſi conoſce, o neį biſoa gni ancora; non ſolo nelle perſone amate, maancora negli amici de gli amici. Allo Amore riferiſco la Benuoglienza, el'Amicitia, las quale, ben che affetto non ſia, pure è nata da eſſo amore, cheè uno de gli umani affetti. Qui non é luogo di più diſtintamente ragionaredell'amicitia; de gli oggetti, delle parti, e delſine ſuo. Perciò che altrouenei graui ragionamenti di filoſofia ciò ſi conuiene. Baftiti d'hauere per orala ſuperficie, el'apparenza. Ritorno adunque e ti dico,che ipiaceuoli,coloro,cheſidimenticano dell'ingiurie i с faceti, imanſueti, gli officiofi uerſo ilontani, atti ſono ad eſſer'amati. Peril cótrario ſapersi chedire intornoall'odio,il quale è ira inſatia: bile, da uendetta, da tempo, daruina alcunanon mitigato; occulto ine ſidiatore, ymortale, nato da in giurie o ſoſpetti. Alquale diſpoſte ſono altre nature più, altre meno, o à megliodiſporle,biſognaams plificare le ingiurie, « iſospetti,acciò che nonſoloſi brami una ſema pliceuendetta, ma la diſtruttione della perſona odista. Del timore, odellaconfidenza, che ne attendi più, ſe di queſta, ed'ogni altra perturbatione ne iuolumi degliſcrittori, et nelle pratiche umane'ne Jei per uedere aſſai? Timoree turbation d'animo, nata da ſoſpetto di futura noia. Et però chi temeſa ópenſa dipotere ageuolmente eſſer’offeſo, eda chiſpecialmente, ſopraſtando iltempo,es la occas: fione. Etchiciò non ſoſpetta,non é al timore diſpoſto comeéchi ſem pre éſtato fortunato, chi ſempre miſero, chi è copioſo d'amici, di ros64,09di potere,chi é fuggitoſpeſo dalle ſciag ure, ode pericoli,egoaltriſimiglianti;o que'taliſono confidenti, &audaci. Euui altra maniera ditimore, non didanno,madi biaſimo; alla quale diſpoſtiſos no i giouanetti,iriſpettoſi, oriuerenti, quelli cheuoglionoeſſer' ha uutiper buoni da ' piùuecchi, o da ſimili, opari. Et però aûa loro preſenzaſonopronti ad arroſire.Non cosi ſono i vecchi,perche non credono,che di loro altri ſoſpettino quellecoſe, che ſono ne' giouani, come laſciuie,amori, euanità. Etperche il diſonoreè coſa, cheuies n'altronde, però gli ſpiritidalſangue à quellaparte, che più loricer inuiati ſono.Ladoueil uiſo ſi tignediquel roſſore, cheſi vede. ilcontrario nei timidi, nel cuore dei quali il ſangue ſi riſtringe, per ſoccorſodi quella parte, che teme la offenſione. Nella uergogna ſi abbaſſano gli occhi,come che tolerar nonſi posſa la preſenza dicos lui, che è giudice de i difettiumani. Queſto è ne' giouani aſſai buon ſegno di gentil natura. Però che pare,cheuergognandoſi conoſcas no idifetti, ey habbiano cura di quelli. Nonuogliopire diſcorrer’ina torno all'audacia, allo ſdegno, alla compaßione, allaemulatione, « al la inuidia. Però che molto ne uedraiſcritto, eragionato daaltri. Ben non ti poſſo tacere del male acerbo, mortale, ch'io uoglio à quellafiera indomita, eabomineuole dell'inuidia, che all'udir ſolo il nomeſuo,ſtranamentemi muouo. Lafigura,i modi, ai coſtumi di eſſa ſono da granpoetadeſcritti. Di queſta mi dolgo, per eſſer quels la, che più regnaneimieiseguaci. Là doue il fabro al fabro, il mes dico al medico,l'uno arteficeall'altro, inuidia portano ſempremai. M4 ca, Md tacciamoora di queſto, epoicheragionatohabbiamo di te, delo le parti tue, delle quali taci, che ineſſeſi ſtanno,e delle loro difpofia tioni, addimandiamo la Natura quaicoſea’quai parti di te conuena gono, acciò che accordando la foauißima armonia dellaumana elo quenza con piacere, og utiledegli aſcoltanti uditi ſiamo apieno porpolo raccontare i miracoli della Natura. ' AN. lo ueggio ben oggia mai' ' Arte,che tuſei quella chefai l'acume, ò la ſottilezzadell’oca chio mortale nelſecreto della diuinamentetrapaſſare. AN. Anzi per te, ó Anima,coteſto mirabileufficio s'acquiſta, la cui cognitione tanto apporta di lume, e chiarezzaadogniprofeßione, o scienza, che ucramenteſi può dire chetuſia ilprincipio d'ogniconoſcimento Etperò chiunqueſtima; ola uſanza di uno leggieri eſſercitio, o ilca fo tanto potere quanto tu, o io.uagliamo, grandamente s'allontana dal uero.Tu t'abbatterai in un ſecolo impazzito, d'huomini, i quali s'accoſteranno adimitare più uno, che l'altro, olo imitar loro non faràſenon manifeſtorubamento, ſciocchi,oferui imitatori, che non Sapendo, perche altri s'habbianoacquiſtato il nome, tutta via in ciò s'affaticano. Altri perche hanno unaſceltadi belle, &ornate pde role uogliono ad uno ſteſſo tempo fcoprirleaccomodando à quelle i concetti loro; ma che poi ſono cosi rozi, a inetti,cheſenza ordine, Ofuor di tempo le metteranno, e diranno, Io cosi dißi,perchecosi ha detto alcuno de' più preſtanti. Queſtiſono gli incomodi delfecom lo.Nat. O`quanto m’increſce perciò eſſere ſtimatapouera «biſo gnoſa, come che à memanchi alcunafiata,che donare, o che nel cer care l'altrui teſoro l'huomoperda,ò non conoſca il ſuo. AR. Chi ſempre ſegue, ſempre ſta di dietro, chinonua dipari,nõ puòauan zare. Male hauerebbonofatto i primi inuentori delle coſe,fehae veſſero aſpettato,chiloro douea farla ſtrada. Et troppo pigro écoe lui,cheſi contenta del ritrouato. Ionon porgo già mai la mano a chi laſcia,oabandona la naturale inclinatione, come bene ho ueduto que' ali non conſeguireil deſiderato fine. NAT. Mi turbano apa preſſo quelli, ò Arte, che tanto di meſi fidano, che te laſciano à dies tro". AR. Non ti dißi da principio,chenoi erauamo unite, e che ciò che appare di uarietà, e diſomiglianza tranoi,e in un principio ricongiunto? Che miditu? Chiunque opera alcuna coſa da medrizzato, uſa una regola commune, et uniuerſale, che à molte, diuerſe natureferuendo,quelle uniſce, o lega in uno artifi cio medeſimo, perche io ſono laconformità,o la ſimiglianza;altri acutifono, eſuegliati, altriſeueri,&graui,altri piaceuoli, &eles ganti per natura. Vnaperò e l'arte,una élauia, che ciaſcuno al ſuo ſegno conduce. Quando adunque l'arte precede, facile elo imitare; lodeuole il rubare, et aperta la ſtrada alſuperare altrui. Et intal guiſa bene ſilpendeſenza lo auantarſi di eſſer ricco, a fenza dar ſos:spittione di uergognoſo furto. Accompagnifi dunque nelle ciuili con teſe ilcore, ola ſcrima,cioè la natura, el'arte, ogſi uederanno poi que’miracoli,ch'io ſo fare. Ma laſciamo tai coſe, e incomincia o Natura, o dimmi, in chemodo le coſe tue fiſtanno, che di eſſe cosi dileggieri gli huomini ſi uannoingannando NAT. Sappi ò Arte, che ogn'uno che ci naſce, ſeco porta dalnaſcimento ſuo unacerta ins clinatione alla uerità, donde auiene, che inſiemecon glianni creſcens do ella in parteſuole il uero congetturare, laqualcongetturi opis nione più toſtocheſcienza uferai di chiamare. Laſcio la uſanzamia imitatrice,chefino da primiannirecarſuole molte opinioni, che poi dipenaconl'altra certezzaſileuano, parlerò di quella ſembianza più toſto, che ſembiantedi uero,cheé atta nata à muouere l'umane mentia far giudicio delle coſe. Dicoadunque, alcune coſeeſſer da ſe ſteſſe manifeſte, chiare, altre, niente da ſehanno di lume, edi fplendore,mailluminate da quelleche ſeco hanno la luce, ſifannoa? fenſi umanipaleſi; nel primo gradoé il Sole, o tutti que' corpi, cheſon chiamati luminoſi. Nel ſecondo ſono i corpi coloriti, i quali non hannoinſe ſcintilla di chiarezza, ma d'altronde ſono illuminati. Il fimigliante ſiritruoua nello intelletto. Iljaale riceuendo alcune coſe diſubito quelleapprende, og ritiene. Però che quelle ſeco hannoil lume loro, ſe à me ſteſſe ilfabricare de' nomi, io le chiamerei Noti tie, ouero Intendimenti primi. Ma poialtre ſono, che non hannoda ſe lume, ó uiuezza alcuna,&però di quelle ſifagiudicio con ſoſpetto di errare, fe da altro luogo la loro intelligenza nonuiene; quinci ė nata la opinione, la quale come opinione, che ella é, né ueraſitruoua, ne falfa. Il difetto naſce daquelli uirtù,chepoco dianzi diceſte.Peroche le coſe mie fono, come ſono,mariceuute nell'anima, e da' ſenſi al lafantaſia per alcune debili ſembianze traportate, ſtranamente meſcolate,fannodiuerſe opinioni. Ben’é uero, ch'io non faccio una co ſa tanto diuerſa daun'altra, che l'huomo dueduto non poſſa alcuna Somiglianza tra eſſe ritrouare.AR. Molto mi piace che l'animadi ciò nonſia fatta capace, percheaccadendoleſpeſo mutare le opinioni umine, e da uno in altro contrariotraportarle, molto deſtramente biſogna adoperarſi,et diſimiglianza, inſimiglianzaà poco a poco pas fando,perchelo errore in eſe ſimiglianzeſinaſconde, tirar le menti, che no s'aueggono di una in altra ſentenza. An. Etchi può queſto ageuolmente fare? AR. Chi con diligenza inueftiga la natura delale coſe ſottilmente, uedrà in che l'una con l'altra ſi conuenga, ma nonchiamiamo però la opinione incerta,cognitione à queſto ſenſo,checo lui, che haopinione ſappiaſempre quella eſſer’incerta, o dubbioſt conoſcenza, ma bene chein ſe conſiderata, come opinione da chiuna que hauerà il uero ſapere,ſaràriputataincerta. NAT. O quans to mi nuoce in questo caſo,la uſanza inſieme conla età creſciuta, lds quale à guiſadimeſtesſa, ferma talmente le coſe nellementi umane, che bene ſpeſſo la bugia, più che la uerità in eſi ritruoua luogo.Et peròcredono molte coſe che nonſono, ouerofe ſono, ad altro modo di quello,che ſono, uengono giudicate. Etfe pure dirittamente appreſe ſono, altre cagionilor danno,che le uere, e quelle ch'io so eſſere in mediati o continuate à gli effetti.Et queſto auiene quando la ragio ne inchina più al ſenſo che all'intelletto, «più all'apparenza, che al l'eſſenza. AR. Tu hai più dell'Arte,o Natura,che dite ſteſſa,cos si bene uai diſtinguendo i tuoi ragionamenti. NAT. Non te ne marauigliare, ò Arte,perche io qual ſono,tale mi dimoſtro, oſe di me medeſimaparlo, cometu uedi io lo faccio in quel modo, chetu altre uolté hai confeſſato,che io ragionereiſe io fußite. AR. Quello che io dico, lo dico peramınaeſtramento di coſtei, laqualanche non ſi dee marduegliare di queſtaapparenza del uero. Perciò che è aſſai als l'huomo ſaggio, che le buoneragionigliſieno ſemprequelle ſtelle, da quelle ne prenda la ſimiglianza del uero, cheper lo più muoue le umane menti, oin eſſe ageuolmente ſi pone, al che fare,opportuna, ocomoda coſa é ricordarſi, in che maniera per lo pulſato l'huomo ſeſteſſo habbia ingannato, o in qual modo ancora, e per qual cagione altriingannatiſi fieno da loro medeſimi, in uero te ne riderui, uedens do alcuni chepenſano, ogni coſa, che precede un'altra, cffer di quella cigione, ò che loeſſer fimile ſia il medeſimo. Ne per ciò direi che l'os pinione fuſeignoranza,comenon dico, eſſa eſſere ſcienza, perche la ſcienza e stabilità,ofermata da uero, e infallibile argomento, en la ignoranza non è di coſe uere.Onde naſce,chela opinione è un abi to mezano tra il uero intendimento, ol'ignoranza, differente dal dia bitare in queſto che la opinione piega più inuna, che in un'altra par te, il dubitare tiene in egual bilancia la mente tral'affermare, o il negare, eye però biſogna riuocare in dubbio le coſegiàammeſſe,e di mojtrare quäto pericolo ſia il giudicare. Da queſtone naſcerà laque ſtione, e la dimanda, la quale diſponendo le menti alle ragioni; quan toleuerà della prima opinione, tanto porrà di quella, che tu uorrai, o à ciò fareuia non é appreſſo quella che ua per le ſimiglianze delle coſe.Partipoco,òAnima, cotesti uirtu? penſi tu,che ſia cosi facile il perſuadere? ó credi tùchegià biſogni con dritto giudicio, o con ſal do intendimento penetrare dallaſuperficie alla profondità delle coſe? A N. Da che occulta radice l'apparentebellezza dicoteſta tua figli uola,nel cuiadornameiito la Natura ſola non baſta.NAT, Ora ogniſentimento mi ſi ſcuopre, ó Anima, da costei, emanifeſta uedo eſſermifattala cagione,per la quale molti miei amiciſono diſonorati. ART. Quai ſono coteſtiamicituoi? NAT. Quei, che inueftis gando uanno iſecretimiei, le ripoſte cagionidelle coſe,i movimenti, le alterationi, &i naſcimenti d'ogni coſa, o chenon ſicontentano di ſtare par pari de gli altri huomini,manobilitando la ſpecieloro con le dottrine traſcendono i cieli. AR. Che ſtrano accidente può ueni reà perſone cosi pregiate, come ſono iſeguaci tuoi, ogli amatori della Sapienza,iquali comerettori delmondo, felicißimi,er beatißis mi eſſer deono riputati?NAT. Queſti fedeli miei à punto ſonoquel li, che più de gli altri ſonodiſonorati. An. In che coſa? ART. Aſcolta digratia; mentre che gli ſtudioſidimeſi ſtannoſoli, ein par te ripoſta comeſchiui dell'umano confortio,non é loda• grido onora to, che con ammiratione delle gentinon gli eſſalti o inalziinfino al cielo. Mapoi che compareno, et uěgono alla luce,ſono prima da ogn'uno guardati, si per la eſpettatione già conceputa della virtù loro, si an coraper la nouità dell'abito, o dell'aſpetto,et del portamento,ogn's no lor tienegli occhi addoſſo, a attentamente ſi dimoſtra di uolergli udire. Io non tipotrei eſprimere con che grauità poi aprono la boca ca, e con che tardezzapoimandano fuori le parole, etquanta ſia la dimora de i loro ragionamenti, iquali poi che da principio nonſono in teſi dalle genti,comecoſe lontane dallaumana conuerſatione, non cosi toto uiene lor tolta la credenza, per chepurſiattende coſa miglios respire conforme alla opinionede’uolgari,iquali dallaprima eſpets tatione inuiati danno i ſeſteßi la colpa del non capire laprofondità de' concetti loro. Mapoi che nel ſeguete ragionare s'accorgono purin tutto di non poter’alcuna coſa da que'beati ritrarre, et che ogn'os ra piùle coſe intricate, ar le parole aſcoſe ogni lume d'intelligenza Hanno lortogliendo, quanto ſcherno, Dio buono, jego quanto riſo ſe ne fanno. AR. Jograuemente miſdegno, ó Natura, et mi dolgo di ſimili auenimenti, poi chegliinfelici non fanno drittamente ſtimar le coſe, benchefino al fondodi eſſepaſarſi credono,maforſe è, cheſtan do eßiſemprein altro, quando poi allo in giùriguardando ueggono l'altezza loro, a la profondità delle coſe terrene, uannouaccillando con gli occhi; ocomparando il cielo alla terra, ſtimano ld terra unminimo punto, o una bella città un niente che nobiltà, che chiaa rezza diſanguepuò eſſere appreſſo coloro, che ſeſteßicon la eterni tà miſurando, tutti da unoſteſſo principio uenuti affermano? Che rica chezzaſarà grande appreſocoloro,che ſi ſtimano poſſeditori del cie. lo? qual prouiſione daſoſtentare i popolifarà colui il quale quaſipa ſciuto del cibo de i Dei,altro non guſta, altrononſente,altronon din fia,cheſempre ſtare alla ſteſſa menſa? ne credono, chealtriſieno in bi sogno? Queſte coſe io direi in loro efcuſatione. Ma chemidiraitu di quelli che ſono ſtudioſi della vita ciuile, o che fanno le cagionide’mu. tamenti de i Regni, e delle Rep.le conditioni de principi, gli ufficijdi ciaſcuno,le uirti, gli abiti uirtuoſi? Non credi tu, che queſti ſie no piùauenturati de gli altri? NAT. Peggio, percioche il ſapere ciaſcuna delle dettecoſe,hauer le diffinitionid'ogni uirti, ocoa noſcere diſtintamente ogni buonaqualità,non é aſſai, ma egli biſogna uſar tanto teſoro al governoaltrui per ſalute,ocomodo uniuerſaa le, e oltre all'uſo hauer parole al preſente maneggio oallaciuile uſanza accomodate. ART. Dondeprocede coteſta loro cosi ſot tileignoranza: forſe cosi eleggono penſando di eſſer' hauutiper dot tiæintelligenti parlando in cotalguiſa?Ma questa é una groſſezza infinita,perchenon é piacere, che s'agguagli à quelloche prende ľa ſcoltatore quando impara&intende ciò che uien detto.Sai tu duns que la cagione di cosi fattoerrore? NAT. Forſe è,perche non ha uendo eſsi alcuna eſperienza dellaconuerfatione cittadineſca, fanno quelguidicio dimolti cheſonoſoliti di fard'alcuni pochi, loro come pagni,co i quali tutto’l giorno con uariediſputationi argomentando trapaſſano,ne mai ſono riſoluti. ART. Et io ancoracosi credo, pe rò guardati ó Anima, di non entrare nel loro no conoſciutocollegio, ò ſe pure ui uorrai entrare tanto iui dimora,quanto alcun giouamen tone puoi ritrarreper la ciuile amminiſtratione. Nel resto pronta, et ſuegliatanel coſpetto degli huomininon meno alla ſcuola eall'acas demia,che allapiazza,alla corte, o alſenato intentafarai, o uſans do.doistiche le gi,conmozeme uoci raptorersi, percbe riund coſa é få mots, creudireripublicico:lizále uanie dig esioni, o le Haitat parole di moint, i qualirazlo" 2r.do le ébloro per la Città frendere unsguerra,realize, ne: i mezidi efl: u21 riguardando, riaprindo le ſcuole de presa deguono, di 7: oro,oargos:ht::opia ficcrente del mondo, o cercano chifu il primo ins kantoredeli'arxi chifrino in ROMA trionfale, cbisitrouo le naui, chui brizla i czasu,et ilere ciance si fatte,cbenc irfegn2":0,ne dis last250,14.1widojioredella prostione de' daruri, delle genti, o del *010, col quale s bubbis afartal guerra. Il percbelo. To poi auies fie, cbei nero perini,çia deguamentedi loro parlando, ſono con grue de 11ratione acoltati. NAT. Cotto e miodono,percbe ditus to potere affreuz! cusi mi truono,che wina forzaglimettoirrar ci i tuoi ſegussi. AR. Et forſe corne sfrenati causlii, gli fai tel mezodel coro pericolare; pero sili eccellente natura,che ta lorda, sorrei che mifalje l'aiuto rio.percbe meglio, o çik ficuri aadribs 6290 per lefiziglianzedre coſe. An. Bisogna dunque pik skatie rigliz- guardare, cbe al wero? A R.Cosi biſcgna; o quedo porriaz slitacels il facesi, sı il donerci tu fare, ociaſcuno, che * pis airtai perjuadere, accio cbe fiso aſcoltato, o inteſo dudegeri, lezasli barefeito -Is bagis nga 14.0, får cbe in ejja las casicae spettodd zero. Queto per fo cjjere, cbei şià f- 931 babe bis 10 c50 surorit: b4xx.:predoi popoli cbei nácti inges gs. An. Dizni gratis, çusio é cbegli buozi idarofede: cazzo, cbe apps uto, nos lo faze0 percbeloro piace il nero? Ar.. As.Paepiuere già saco: 507 co:cf-:: ta? Forzz aidake,che il sero lis ésglicucuitico? Ax Pacte danese giàceil serezos bruszni P -T271? ARPerikliois tragises filer cxz. AX. Aja -- 22:04 ks:0 600leri: del bero.Às. SostraTrao Adira.secte lazaratsie sesi tid: acts indiscrezi !4.cezecklacteaefepie regiaze, o lomatto; c (72.0: 1, o Resmitironine. cedriersdieedia 2.3" To Rossir adizioro Boricitis 32 2 ciasto nigirisececeáciless Aires22:22:carte.ro 2,cheſe la opinione con la ragione ſarà legata, per modo niuno potràfuggire,anzifuori dell’eſſerſuo leggiadramente uſcita nõ più opinio ne, maſcienzaſi potrà nominare. A N. Dimmi, ſe'l uerifimile e tale ad ogn'unoegualmente. AR.Nó. An. Che differenza ci fai tu? A R. Grande. Ben'è uero,che quando io dicoueriſimile, io intendo ciò che pare alla più parte. Ma diſtinguendo dico, lapiù parte però effere ode gli huomini ſenza dottrina,o degli huomini letterati.Et altro ſarà il ueriſimile, che parerà à gli Idioti, altro à iperiti. AN.Inſegnami à conoſcere queſto uerifimile. AR. Il ſegno della ſimia glianzaalcuna fiata ſi ritruoua in eſſaſuperficie delle coſe, cheſenza diſcorſo diragione ſono riceuute,o appreſe daiſenſi umani; da ciò naſce il veriſimile, chepare egualmente a tutti, come auienedimolte miſture, che's'aſſomigliano àl'oro, cheſe il giudicio filaſciaſſe al ſenſo ſolo,per oro da ogn’uno ſarebbonohauute. Alcune uolte il detto fe gno emeſcolato con alcuna ragione,accompagnatacol ſenſo, oque sto é quello, che pare àmo!ti. Speſſo più di ragione, che diſenſo ſi mette, e ciò è quello,che pare à i piùſaggi; o quarto più dalſenſos'allontana,o s'accoſta la ragione all'intelletto, tanto de' più saggi, edipochi ſarà l'apparenza del uero. Ma laſciando coteſte più inaterneſomiglianzedel uero, bauendo tu àfare. con la moltitudine, quelleattendi,che a tutti,ò alla partemaggiore appariranno; &co: si ogniforza diproponimento nelle altrui menti rompendo, farai la uoglia tud. AN. Queſtomipiace. Ma uorrei, che tu m'inſegnaſi à congetturar quello chepuò eſſere.Dimmi, ſe n'hai ammaeſtramen to alcuno. A R. Dimandane pur la Natura. AN. Nonn'hai tu ancora poter’alcuno? A r. sibene; ma la Natura operando, Sa megliodime,quello che èpoßibile. An. Dimmi tu dunqueò Naz tura,quai coſeeſſerpoſſono? NAT. Tutte quelle il principio delle quali ſi ritruoua. An. Adunque uiſarà l'arte deldire, poi che'l prin cipio di lei ſi truoua? ilquale nõ é altro,che l'ojferuatione,che fu l'Ar te di te ó Nitura. Ar. Che uai tu mettendo indubbio quello che fie qui habbiamo fermato? ſegui. NAT. Se quello chepiùimporta, ò che piie uale, ò che ha più difficultà, fiuede, ſenza dubbio il menoimportante, il più debile, il più facile ejer potri. A n. Adunque ſe l'artepuòridurre gli huomini rozialla uita ciuile, meglio potrà gli ammaeſtratiinalzare algouerno della Città? ART4 pur uti argomentando. AN. Mercé tua, chegiàmiſei fatta familiare. A R. Queſto ſo io, che poſſeduta che io ſono dalleanime, dimoſtro il. Α ualore, il piacere, o la facilità dell'operare. NAT. sepuò eſſer la cagione, chivieta che lo effetto non posſa eſſere? et ſe queſtoé,quel la di neceßità ſi haue. Quello che ſegue dimoſtra,che può eſſere quel loche antecede. In ſomma ogni coſa può offere, di cui naturale appeti toſi uegga,o dalla poſibilità delle parti naſce quella del tutto. Dals l’uniuerſale ilparticolare, o dal meno quello che più comprendeſi congettura. Vna metà, ilſimile, il pare ricerca l'altra metà, l'altro Simile, o l'altro pare. Etſeſenzaarteſi puòfar’una coſa molto me glio ſi farà con artificio, ſe chi meno puòopra, chi più può non opes rera egli ancora? Chene attendi più,ſe queſto ti puòeſſere à baſtan za à farti aprire gli occhi è ritrouare il fonte dellaeloquenza? AR. Et io già mitruouoſatisfatta in queſta parte,che alle coſe appartenenti all'intelletto ſi conuiene; però aquelle io uorrei,che paſſaßi,lequaliſono da eſſere ne gli appetiti collocate.Et attendo,che tu quel lebrieuemente mi dimoſtri,etdiffiniſca, acciò che l'anima oggimaicõ. tentadellaſeconda promeſſa,alla terza,et ultima ſi riuolga. A N. Per qual cagione, òArte, dimanditu le diffinitioni della Natura? ejendo ſuo carico il diffinire. AR. Perche ora io non attendo le eſquiſite, Oregolate diffinitioni,maquelle chedalla più parte delle gentiſono ammeſſe, delle quaiquaſiſenz'artificio ſe nepuò formare un numero infinito. An. Tu ſei molto circoſpetta. AR. SeguiòNatura, féle coſe àgli umaniappetitidi lor natura piacere, o dispiacere posſono apportare,òpur l'Anima ne li fa tali. NAT. Senza dubbio non folo elaAnimahauirtidi apprendere, ofuggire le coſe, ma in effe ancora e nonſo cheda eſſerfuggito,ouero abbracciato. Quädo adun que tra la coſa, o l'animaſi truouaalcunaconformità, allora lo appe tito ſi muoue ad abbracciarla, o queſto mouimento,ſipuò dire, no minar defiderio,ilquale è appetito di coſa che nõ ſipoßiede,cõforme però à quella uirtù ò parte dell'anima, che l'appetiſce; maquando no ui é queſta conformità,tra gli oggetti, o l'anima,ella gli aborre, ofugge, né ſolamente oue o anima,oſentimento ſi truoua cotefti ab bracciamenti,efugheſiueggono,ma doue occultamente io ſonoſoli ta di operare, doue non éſenſo,ociò faccio con un ſemplice inſtinto, ilquale al mio poteree tale, quale al tuoé la conoſcenza. Coteſto in ſtinto ogni coſa conduce alla conſeruatione, oalbene; et dalmale et dalla morte il tutto ritragge quanto può. Maper dirti degli huo mini, ſappi, che eſſendo tra le coſe oppoſte, ole parti de gli animi loro,conuenienza,quando auiene,che quelli ſíenopreſenti,oche laſcia no impreſſala loro qualità,in quellapartechegli appetiſie, allora ſi genera ildiletto, el'allegrezzanata dalla morte delprimo deſides rio, perche poſſedendo la coſadeſiderata, il diſio è già conuertito in piacere. Ilqualpiacere altro noné,cheadempimento di uoglie. Tu conoſcerai, cheil guſto tuo bauerà conformitàcon le coſe dolci; da queſta nenafcerà l'appetito,auenendo poi,chele coſe dolciuicine fica no à quella parte,doue il detto ſenſo dimora, eche in eſſa laſcinola lor qualitàimpreſſa, che é la dolcezza, nonha dubbio,che quella par tenonſia per bauer diletto, egiocondità. Il ſimigliante uedrai in ogni tua parte,Et per lo contrario ſi ſente noia, e diſpiacereo nella priuatione delle coſedeſiderate, o nell'hauere le difformi, oaborrite, ecome il principio diottenere il bene era il deſiderio dalla ſperanza accompagnato, cosi ilprincipio di hauere la noia, era la fuga dal timore commoffa. Etcome nellaprima impreſione la ſperanza in gio is fi conuertiua, cosi nella ſeconda lapaura ſi tramutaua in dolore. Eccoti adunque i quattro principali affettidiuoianime. AN. Vor reiſaperè,o Natura, in cheſia poſta la conueneuolezza, cheé trale coſe, ole parti mie. NAT. Percheioſono tale in ciaſcuna coſa, quale iomi truouo, però nelle coſe eſaéripoſta per me; maperche poi auenga,che io talemi truoui in ciaſcuna coſa,dimandane chi cos si ab eterno prouid. AR. Orl'anima tipare troppo curioſa? ma dimmi quai coſe,à qual parte dell'anima ſonoconformi. NÁT. In fomma il uero é il bene, &per tal cagione, quello che èuero,uien giu dicato bene. Ar. Che intendi tù bene? NAT. Ciò che daogn'u no,eda ogni coſa uien deſiderato, &uoluto. A R. Qual bene Ć cercatodaữ’intelletto? NA T. Dimandane coſteiAN. il ſapee re, la dritta opinione. NAT. Dalla uolontà? AR. Ogniabis todi uirti. NAT. Da gli appetiti. AR. Ogniutilità e dilets to AR. Che naſceràpoi, ò Natura, dal deſiderio ditai coſe? NAT. Lo sforzo, o lo ſtudio de'mortaliper conſeguirle. An. Buui alcuno inganno de gli appetiti intorno al bene, comeui é l'ingan no dell'intelletto intorno al uero? NAT. Grandissimo. AN. Et comeſe il bene e cosi conforme all'anima? NAT. Non hai tu udito poco di ſopra, comel'anima era d'intorno al uero, opure anco il ue to le era molto conueneuole, etproportionato? AN. Ben'inteſi, che la cognitione del uero era molto confuſa,riſpetto alla fantaſia. ARTE Cosi é. Et di nuouo ti dico, afferino,che ogn'unoconfufae mente apprende un bene,nelquale par che l'animo s’acqueti, et quels lodeſideri,mapoi da gli appetiti traportato (come prima era l'intele letto dallafantaſia ) e aquegli rivolto ſmarriſce la uera strada di quel bene, al qualeciaſcuno digiugner contende, moſſo dalla interna forza della Natura. Et inquella ſtrada,orapiù lentamente, ora più. velocemente camina, troppo è menoamando, et deſiderando quello, che con miſura dourebbe amare,ò defiderare.Indië nata la ingorda uoglia delle ricchezze, lo sfrenato appetito dei piaceri,vtalbora la pigritia, om negligenza dell'ocio; &deſiderando altrilapropriacon ſeruatione, s'inganna, credendo,che il bene altrui,ſia la ruina ſua,oue rotemendo di perder’i ſuoibeni, fauori,gratie,amiſtà,onori,o lodi, ſi muoue allaingiuria,alla inuidis,alla uendetta. Et di qui naſce quello di che tutto di ſicontende fra' mortali, il giuſto, lo ingiufto, ildouere, l'equità, l'utile,oaltre coſe, che ſono cagioni di liti, o di conteſe Per il diletto adunque, et peril comodo, ciaſcuno ſi muoue à fare. Et benefarà quello, alquale ogni coſaſiriferiſce, ouero ſiriferirebbe, per ragione, o per appetito, o per natura. Et ciò cheopera, difende,conſerua,accreſce,accompagna, ſegue,ordina,et ſignifica il bene, bene ſichiama, operò la felicità, o tutte le parti ſueſarannobuone, a le uirtie ſopratutto ſono benidiſua natura degni,bencheàmoltinon ſono cosi apparenti. Ilpró,l’utile,il piacere ebene, perche l'utile ė mezo di conſeguire il deſiderio, oilpiacereè moltoalla natura cona forme. ANIMA. Fermati un poco, et dimmi,come noneſſendo beni cosi apparenti le uirtù de coſtumi,gli huominiſieno uenuti incognis tione di quelle: AR. Credi, ó Anima,che ogni maniera di bene, che appareà gli huomini, éſimiglianza di quel bene, che non appare,e chi uuoledrittamente giudicare da coteſti apparenti beni, potrà ris trouare la uia diperuenire alla cognitione di quegli, cheſono in ſebe ni, o che fanno la uera,es ſola felicità,più deſiderata,che conoſciu taima non ſta bene oradifiloſofare intorno a tal coſa. Baſtiti, ch'io ti ritruoui la uia, per laquale gli huomini ſono andati a ritrovare i beni dell'animo, o le uirtiinteriori. Dicoti adunque, che uedendo i mortali nel corpo umano molte buoneconditioni, hanno congetturas to, ancora nell'animo ritrouarſi alcune ottimequalità, à quelle del cor po in qualche parte conuenienti. Dimandane la Natura,quali ſieno le doti del corpo,che tu ſaprai da me poſcia quali ſienogliornamenti tuoi. AN. Dimmi ò Natura, fe egli ti piace, diche beni adorni tu icorpi umani? NAT. Prima diſanità, o di forza, poi di bellezza, O d'integritàdiſenſi. An. In checonſiſte la ſanità? Nat. Nels la. la proportionatameſcolanza degliumori principali, enell'uſo di ej 14,6 queſta proportionatameſcolanza, ueramente ſipuò chiamare una egualità ragioneuole. ART. Credi tu, oAnima,di eſſer’al corpo inferiore? AN. Non già. ART. Credi adunque, che in teeſſer deue una certa egualità. Il cui ualore conſiſte nell'uſo. A N. Quale uuoitu che ella ſia? AR. Quella che Giustitia ſi chiamna,fers ma, o coſtantevolontà di render a ciaſcuno ilſuo. Ma che dici tu delle forze? NÅT. Dico, lagagliardezzaeſſer’una uirtù del cor po,poſta nel potere à ſua uogliaabbattere,atterrare,et uolgere ogni alieno impeto con leggiadria. AR. Bella,aneceſſaris uirtù neli aa nimo. Perqueſto giudicarono ifaggi,eſſer la fortezza,laquale reſis ſtendo à gli impetidella fortuna,ſola nė"ſuperbanel bene,neuile nelle auuerſità ſi dimoſtra, &fola guida nella militia della uitamortale uin cendo, glorioſamente trionfa. NAT. Che dirai tu della bellezza delcorpo, laquale è una proportione di membra, o di parti tra ſe ſteſ fe, o coltutto conuenienti dauiuacità di colori, et gentil gratia acs compagnata? AR.Tumi dipingila temperanza dell'animo,laqua le in ſe ſteſſa raccolta,ecompoſta,inuera, o proportionata miſura conſiſte, tanto può di dentro, che difuorinel corpo il ripoſato, o quieto penſiero uedi, dolce, ogratioſa maniera ſiconoſce, et quafie una conſonanza di tutte le conſonanze. NAT. Che coſatrouerai tu nell'anima,conformealla integrità dei ſenſi, come alla bontà dellauiſta, alla perfettione dell'udito, « al uigored'ogni ſentimento? ART. Laprudenza, la quale consiste in saldo, o sincero conoſcia mento delle attioniumane: A N. Egli mi pare, che io ſia da Dio creata à fine, che le coſe miefieno ſcala all'altezza di quello. AR. Che penſitu altro, ò Natura? NAT. Nulla,ſenon che conchiudo frame, che gli huominiſi ſieno aueduti delle uirtúinteriori per le qua lità eſteriori. AR. Senza dubbio, a molti anche ſi ſonoingannas ti, oper una ſimiglianza, che hanno le uirtù con alcuni uitij, se loCangiando il nome hanno detto chela tardezza ſia moderata pruten za,laliberalità ſia la larghezzaſenzamiſura; e cosi all'incontro il prodigo ſialiberale. Et non hanno conſiderato, eſſergran differenza tra il ſaper dare, eril non ſaper conſeruare.Et queſto è quel ueriſimi le nei beni, che muoue ſpeſſolementi, ogli appetiti umani. Orain brieue l'ordine, l'ornamento, e la coſtanzadelle coſe handimoſtra to le uirtù, ou appreſſo la concordanza di tutte leoperationi, o la grandezza, che le ſopra feſteſſa inalzają si come in ogniarte, com in ogni scienza biſogna hauer’alcuna coſa manifesta, e chiara, dallaquale da prima ella naſca, o s'augumenti,cosinella felicità, bed ta uitaſirichiede, euidente fondamento, preſo dui benimanifeſti à i ſen ſiumani,dalquale s'argomenti il uero, ottimo fine, operò dalle predette coſeſiſtima, quella eſſer felicità, che con proſpero corſo tracorre,tuttadiſeſteſsa, tutta di ſua uoglia, tutta piena,tutta d'ogni parte abondeuole,ocopioſa, eyd'intorno à tai coſe ricordati ſeme pre della diffinitione, daunaparte conſiderando, che coſa é bene,di! l'altra diſtinguendo quello che édel corpo, da quello, che é del’ani mo, e come ciaſcuno in molte parti ſidiuide.perciò che cosi ne trar: rai quella abondanza di coſe che tuuorrai,douemeritamente la pres detta parteſi può dar tutta alla inuentione, laquale e ilfondamento della noſtra fábrica. Partidoadunque tutto quello cheſotto il nomedi bene, ò uero, ò apparente ſi conciene, trouerai la felicità con tutte le ſueparti,o trouerai, che'l fuggire dal maggior male,ſia bene, et l'acquiſtodelmaggior bene, « il contrario delmale; et queſto, pera che moltis'affaticano, e che i nimici lodano alcuna fiata.Et che ſifa ſenza incomodo,feſa, fatica, ò tempo, ſe é diſiderato; ofinalmente tutto è bene,uero,apparente, v dubbio, quello che uiene deſiderato. AN. Che dirai tu del piacere?AR. Grande ueramente è la fore za del piacere, et del dipiacere, percheſin dafanciulli ſi uede, che il tuttoſi fa per tai contrarietà. Et s'io uoleßipienamente ragionarti, io non finirei cosi toſto, però di eſſo alcune brieuiſentenze io ti pros pongo,dalle quaiſe ne ritrarrà quella ſimigliäza di uero,che in tai be niſi può trarre. Dicotiadunque,che quelle coſe grate ſono, dipid=cere,che ſono alla natura conformi,come hai diſopra ſentito; pero à ciaſchedunograto ſarà quello,à che eglidi natura ſua ſaràinchinas toje per la medeſimaragione,foaue,et gioconda coſa é la conſuetudi ne, come quella chemolto allanatura ſi confaccia. Perche quello, che speſſo,et per lo più ſifa, è moltouicino a quello che ſempre ſi ſuolfa re. Caro e quello,che non ſi trde perforza,perche la forza é contra natura, onde i trauagli,lecure, e ogni manieradiſtudio, odi pens ſiero,che turbi la quiete dell'animo, perche éuiolēto,arrecca moleſtia o diſpiacere. Seforſe la conſuetudine nonl'ammolliſce. Cosi per con trario il diletto, il giuoco, il ripoſo,la ſicurezzailſuono, et la rimeßio ne, come coſe di ogni neceßitá lotane. Néſolo col ſenſouicino ſiprende piacere delle coſepreſenti, ma con la memoria,con laſperanza,del lequali una riguarda le paſſate, l'altra le future. Lepaſſateapportano nella ricordatione aſſai diletto,perche la imaginatione le fa quaſipres ſeriti, e ſe erano graui, o noioſe, con lieto, o piaceuol fine fatte ſosno dolci, eſoauile coſe buoneche hanno à uenire nello ſferare con fortano,comele preſenti nel goderle,ouero nel imaginarle, ilche ſuos le àgliamantiuenire, iquali non hanno ripoſo ſenon quanto penſano alle coſediſiderate. Lauittoria ė foauißima coſa, ó lo auanzare il compagno, or peròogni maniera digiuoco ſuol dilettare la caccia, l'uccelare, la peſcagione, etappreſſo l'onore,ogni gratitudine, ogniri uerenza,inſin l'adulatione piaceinfinitamente. Lo imparare ancora é coſa piaceuole, onde la imitatione dellecoſe è giocondiſſima, tutto che le coſe imitate non dilettino, perche nõ lacoſa eſpreſſa,malo sfor zo, e il contraſto dell'arte ſuol dilettare. Indi ènato, che la pittura, le statue,o l'opre finte aggradano chi li mira. Ne più tiuoglio af faticare,o Anima,in dimoſtrarti,quello cheda te, et in te prouerai efſendo con eſſo il corpo.o quanto ti fia dipiacere il dominar’ultrui ilcomandare il ridurre à compimento le coſe incominciate, il veder riu ſcire ognitua deliberatione, e finalmente tutto quello, che al bene t’indrizzerà,ò dalmale ti ritrarrà. AN. Se queste coſe ſono buo ne, come tu di, per qual cagioneſipuò errare nel deſiderarle, nel cercarle? A R. Due mouimenti,ò Anima in teconoſcerai, l'uno de' quali da eſſa Natura riceuerai, e l'altro riporteraiteco. Nel primo niuno errore puoi commettere,perche non è colpa tua, che alcunaco ſa ſi truoui,che ti diletti; ma nelſecondo ageuolmente puoi cadere, eſſendoin tua mano il freno di non conſentire cosi à pieno à quella prima voglia&,non riguardare alla ragione, che con certo conſiglio al gouerno de'primiappetiti guidar tidee. Maperche per lo primo, O naturalemouimento glihuominifanno il più delle loro operatio ni però debbono eſſer ueriſimilmenteguidati,o é creduto per lo più, che ciaſcuno faccia con deliberatione quellocheegli fa, ſeguendo il primo inſtinto; néſi conſidera che in teſi truoua uirtálibera, o po tente,dalla quale ognilode, o ogni biaſimo procede. Etacciò che ella ſiapiù drittamentegouernata, eccoti l'autorità delle ſacre leggi, nellaquale è poſta la ſalute, e la correttione d'ogniumano errore. Contra lequaichiunquepreſume di opporſi, dal proprio conſiglio abandonato, è dato inpreda alle ſue proprie uoglie,e ſottoposto ale la pend, come quello cheiniquo,o ingiuſto ſia. Ora in brieue ti dico, che eſſendo eſſe leggi nelle rep. àglianimi quaſi medicine delle loro infirmità, o rimedijà i loro errori, biſognaſapere ogni maniera di gouerno, gouerno,in che eglipiù fermo fia,da che uegna il cadimento di quels lo, et quantiſienoi contrarij ſuoi,per poteralla cõmune utilità con le Sante inſtitutioniliberamente prouedere. NAT. Matu non dimo ſtri, ò Arte, che alcune leggi ſonoeterne, er immutabili, non da gli huomini ſecondo gli ſtati loro ordinate, madallo editto diuino, o da me inuiolabili ſtatuite, communi,& uniuerſali àtutte le genti, lequai non più allo Indiano,cheallo Ethiope,eguali, inogniſecolo, in ogni luogo ſi Sogliono ritrouare, non ne igrandiuolumiſpiunatida' morta li,manel libro della eternità impreſſe,et ſigillate in ciaſcuno checi na ſce. AR. Coteſte leggi,ó Natura,non ſono ritrouamenti umani, né ſecondole occaſioniformate, ma eterne, econtinuate ad un modo in permutabile, delquale non tocca à me il ragionare, «pint é quella ch'io non dico di eſſe, oforſe quella equità,dichefpeſoſi ragiona, al tro nonė, che la leggeſcritta nelcuore d'ogn'uno per correttione di quella cheè poſta per commune uolere diciaſcun popolo. An. Dun que nelle umane leggiſi truoua errore? AR. Nongià, maben può eſſereche ilfondatoredi eſſe al tutto non proueda,et chenon conſide rimolte coſe, le quai per alcuno accidente, come, che molti ne ſieno fannouariare i giudicij, e in queſto caſo la equità, et l'oneſtà può aſſai, operòmolto prudente, oqueduto biſogna cheſia, chiunque forma le fante leggi, « cheil più che può tolga il potere à gli huos mini di giudicare da ſe ſteßi. Peròcheben ſai, quantopericoloſopra ſtà nel giudicio, riſpetto allo amore,all'odio, e ognialtra perturbae tione umana. Matempo è, cheſi dia fine à queſtaparte, perche aſſai sé detto d'intorno alle uirtù dell'anima,e d'intorno allecoſe appars tenenti ad eſſa, si di quelle che allo intelletto, come di quelle,che ape partengono allo appetito. In quanto che elle hanno ſimiglianza deluero, delbene, dj appartengono alla inuentione. A N. Tutto che ó Arte, inanzi àgli occhimiſieno le coſe, che tu m'hai dimoſtras te, hauendole tu ſopra laNatura delle coſe ſtabilite,pur uorrei ſapes re alcunſecreto, come diſopramolti me n'hai ſcoperti, quando tra noi ſi ragionaua delle parti mie. AR. Ionon per naſconderti alcu na coſa miſon taciuta, maperche eglimipare, cheda teſteſſa potrai ogni ripoſte bellezza conſiderare, uedere, che da que' beni chedi ſopra habbiamo diſtinti, naſcono treparti principali dello artificio noſtro. Però che ſe il bene é utile,nenaſce quella parte, che é posta nelconſigliare, laquale ſi uſa neiſenati. Se'l fine è giuſto, quell'altrapare te,che delle ingiurie ciuili,ò criminalitra i popoli fa mentione, felfie ne 1 1 neé honeſto, allora ampia, o magnifica materia ſipreſta di lodare nelle pompe, etne i trionfi le opere glorioſe, ma il ualore delgraue, o riputatoCittadino,primanel ben fare,poi nel ben conſigliareſi di moſtra. AN. Diche coſapiù ſi conſiglia? AR. Di quello, che: più abbraccia l'utile uniuerſale. Etprimad'intorno al corpo delle uettouaglie, odel uiuere per ſoſtenimento di ogn'uno,odella difen fione per ſicurtà de i popoli, delle ricchezze perſoſtenere ladifes Ja. Dapoi delle ſacre leggi, e della religione per ottenere l'ultis mo, odeſiderato fine. ANI. Che ſi ricerca nel conſigliare? ART. Prudenza,beneuolenza, animo, ſecretezza, e celeris, tà nello eſſequire. A N. Gliineſperti adunque,imaligni, i timis di, i uani, i pigri huomini, non ſono atti alconſigliare: ART. Non già. Necoloro, che non ſanno conſigliare ſe ſteßi. Maodi: alcuni ſecretidi queſta parte, forſe non uditi fin'ora. Vuoi tu ſapere unmodo mirabile di conoſcere glianimi de' mortali? AN. Queſto eil tutto. A R.Sappi,checiò, che ſecreto nell’hkomo ſi truoua, forza cheſia in alcunſentimento di eſſo,ò di dentro, o difuori.Sentis, mento chiamo ora ogniparte dite ó Anima. Et però uolendo tu ri trouar coteſto ſecreto, tenterai ogniſentimento, perche quando es toccherai quella parte,nella qualee ripoſto ilſecreto di alcuno, o pia ceuole, ò noioſo,che egli fi fia,ſenza dubbio manderàfuorialcuniſea gni,comemeſſaggieridelle uoglie ſue,ocon alcuneſimiglianze dimoſtrerà quello,che egli ſipenſa di haueredétro diſe naſcoſo; aguiſa di una cordachealſegno tirata di un'altra; quandoritruoua la conſon: nanza, ſimuque, aſuona di pari armoniacon quella.Da queſta reues, latione dipende la uittoria,eu l'onore di chi parla nel coſpetto degli huomini.Etqueſto è un ſecretoripoſto aſſai, wodegno di penſamento.. L'altro è, che a conoſcereil giuſto, elo ingiuſto,biſogna riguardas re al fire,alquale ciaſcuna coſa deueeſſermeritamente riferita, pera, che quando ſia, che dal debito fine alcuna coſa ſirimuoua, allora ne ng ſce la ingiuria,la quale éuna eſpreſſa maniera diingiuſtitia. Aqueſta ingiuria altri ſono più diſpoſti a farla, che àpatirla,altri per lo cons, trario. Et questo biſogna conſiderare per potere inquella parte uas lere, ii cuifinalgiudicio rizuarda il giuſto, o l'ingiuſto.Altri ſes creti ui ſono, ma io mi riſeruo là doue della applicatione ragionesremo, cioè quandoſi dirà il mododi porre le coſe nell'anima. Ma che marauigliaè queſta? doue é gita l'Anima, ò Natura? Perche te ne ridi tu? come ſonoingannata? come tolto mi viene il poter ſeguire E l'incominciato ragionamento?NAT. Aſpetta ó Arte, non titurs bare, toſto merrà, con chi tu habbi àragionare. Ora uoglio che noi ci tramutiamo, o che cifacciamopalpabili, oviſibili. AR. Che mutationi mi usi predicando? NAT. Taci, attendi. Eccomi quidi corpo,e di formaumana. AR, Guardami ancora tu, ch'io ſo no trafigurata,àchimiſomigli tu o Natura? NAT. Io non ſaprei à coſa alcuna ſimigliartijmubeneio uedo, che tu hai molto del graue nell'aſpetto, e nello andare, oneluestire,et à pena io ardiſcofiſarti. gliocchi à doſſo. Et mi viene una certatenerezza di lagrimare. A R. Coteſto é ſegno,che tu mi ami et riueriſci;ettanto più ch'io ti ſcorgo un certo roſſore nel uolto, e ti odo ſopirare. Ma cheti pare de gli occhi miei? NAT. Tu haideldiuinoin eßi, come cheſieno di coloare celeſte, o di luce penetrante. A R. Et de capelli,chedi tu? delle ciglia?NAT. Quelli ſono neri, a queſte rare, e di oneſta grandezza. ART. Saitu dicheſieno ſegni le predette coſe? NAT. Non già,ma bene ſtimo, che tu t'habbifiguratain quel mo do difuori,che tuſei di dentro, cioè piena d'intelletto, edicapacità ftudiofa delbene,folerte,er ſuegliata comeſei. A R. Tudi il ues ro, edipiù il naſo aquilino, le orecchie egualiil collo brieue, il pete tolargo, leſpalle große, le braccia, le palme, ø i diti lunghi, tuttiſou no ſogni euidentidello eſſer mio. NAT. Ma tunonſei peròtroppo grande,bencheiltuo mouimento ſiatardo, elo ſtarediritto, chedie moſtrino te manſueta, umana, a piaceuole. Ar.Se non fuſſe il mio continuo penſamento, mi uedreſti ancora più allegra. Maguarda quantiſtrumentiadoperar mi conuiene perporre in opra quello che io nellamente diſegno. NAT. 10 ſono dite più ſemplice, o piis ſchietta comeuedi. AR. Tumifai ridere con tante mammelle. NAT. A punto io fo ridere ogni coſa per tantemie mammelle, pero che credi tu, chelefemine, noni maſchi habbiano tai parti?AR: Perche le femine ſono quelle chepartoriſcono, però biſo gna, che come eſſedanno la uita, cosi diano il notrimento,etperò han no le dette parti come iſtrumentidella nodritione. NAT. Quans te adunque nedebbo hauer’io, eſſendo madredituttele coſe? AR. Tu hairagione,ma chi é quel giouane cosi bello, cheincontro ne uie ne? NAT. L'anima,che poco dianzi era ſola,ora è accompagnatacol corpo. AR. Chemiracoli fai tu ò Natura? NAT. Credi tu Arte ſapere ognicoſa? AR. 10 fo bene quello, che credo, ſo che le genti non crederanno queſtemutationi, che tu o io facciamo. NAT. Pochi ſono i ueri Sauij., però non diamoorecchie al uolgo. Eccoti il deſiderato aſpetto, conſidera o miſura le partifue, che ria trouerai bella,o proportionata compoſitione. Ar. Che carne gentile, odelicata, non però troppo molle, guarda chedignità,che maa nierachefronte allegra, « ſignorile,chipotrà dire che egli nonhab bia ad eſſerepieno di coſtumi, o d'ingegno? NAT. Ben ſai,che io gli ho la promeſſa ſeruatain tutto. ART. Rallegromi ueramen. te, o mi pare, che tu ſeimolto migliormaeſtra di me, ma che nome gli daremo?.NAT. Quello che conuengaà chi lo fece.ART. Io ne ho poco che fare. NAT. Anzi tugli hai dato, et darai ilmiglior'eſſere;ben’è uero,ch'io ne ho la parte mia, o il mie fattore la ſua.ART. Chiamiamolo dunque DINARDO. NAT. Perche? AR. Perche Dio, Natura, et Arteil donarono. NAT. Tu mi allegri con tal fabrica di nomi. A R. In molte lingueio ho queſto potere, il quale e poco da gli huomini conoſciuto. NAT. Mipiace,ma perche non l'hai tu dacapo a piedi minutamente miſurato? AR. Micuſui lohauerglidimoſtrato, che la oratione eſſer dee.comeil corpo umano, o hauereprincipio,mezo, et fine. Etche le partiſue deono corriſpondere à ſejteſe, altutto con dignità,e decoro? Et si comenel capo ſono tutti i ſentimenti delcorpo, cosi nel principio eller deono ripoſti i ſentimentidella oratione. A luipofciaſtarà di ore dinar la predetta materiafecondo il biſogno, facédoloauuertito, che i teftimonij delle opere de’ mortaliſono le coſe che ſtannod'intorno à quelli. Et però mi gioua di nominarle circostanze, percioche facendo,o operando l'huomo alcuna coſa, ha ſempre inanzi,ò apprefe ſo il tempo,illuogo,le perſone, il modo, ilfine, le quaicoſe fanno fede ſe l'operaſua èbuona, orea. Da coteſta conſideratione, ſi ſtima chi ragiond, e con chi,ſe è laoccaſione di dire ſe in questo, o in quel luo, goſtarà bene di parlareſe ilfineè buono,et altre coſe,alle opere ap pertenēti. Ma tu gratioſißimo Giouane, checon tăto fauore delcielo ſeinato,ti ricorderai tu quelle coſe che dettehabbiamo fin'ora? Non titurbure,cheio ſono l'Arte, e queſta è la Natura,con laquale tu, eſſendo Anima ragionaſti. Din. In che maniera ſono le coſe ſchiette,oignude, oin che forma ſono le compoſte,che cosi uiſiete mutate, piacemi dihauerui riconoſciute, o cosi uiaffermo di ricordarmi di quanto s'è detto. ART.1o non mipoſſo ſatiare di guardarti. NAT. Che giouanezze ſono queſte? ART. Nonti dolere, o Natura, che la bellezza delle opere tue ſia da me riguardata con E2 marauiglia. NAT. Poi che io à tale fon uenuta, che pienas mente ho ſatisfattoal deſiderio tuo, e chef Anima pronta s'è die moſtrata, comincia tu ancora òArte ad inſegnarci ilmodo, col quale applichiamo le coſe all'Anima. Et perchénon più aſtratte ſiamo,ma compoſte,però voglio,che con le eſperienze degliingegni altrui, eo con glieſempi, cheſono oſtaggi della verità, e con l'uſoquotidiano, tu ti rivolga à darci ad intendere la forza di L’ELOQUENZA UMANA.ARTE. Cosi farò. Ma tu, ò Dinardo, presteraimi udienza, e non lasciare à dietrocosa, ch'io ti dica. Marauiglioſa e ueramente la forza o la virti di LA FAVELLAUMANA. Perciò che oltre alla intenzione dei concetti e delle voglie di voimortali, che per essa si suole con besneficio universale e evidente dilettoappalesare, non é in voi sentismento alcuno, l'appettito del quale non sia daquella fieramente eccia tato, e commosso; a chi volesse di ciò prender debito argomentoogn'ora, che venisse bene, riguardando à i modi, che si usano tra voi, ritroverebbe le cose à i sensi sottopostealcuna volta essere di minor virtù in muovere ciascuna il senso suo, che ILPARLARE, quall’ora egli sia con bello, efficace, es maestrevole modo formato ofabricato o appreso doppo alcuna più profonda considerazione, conoscerebbe essereQUASI INFINITO IL VALORE DI ESSO PARLARE, come che solo allo intelletto dimostrila sostanza, e la ragione delle cose, it che à niuno altro sentimento,quantunque la Natura sempre a tutti liberalissima stata sia, né é, në fu, nef aràconcesso già mai. Quante cose del cielo, quante delle intelligenze, quante deldivino PER MEZZO DELLA LINGUA, senza l'aiuto degli’occh iò d'altro sentimento sifanno? IL PARLARE è solo dimostrastore della sostanza, IL PARLARE E SOLO PERUNIVERSALE MINISTRO DELL’ANIMA, IL PARLARE E SOLO STRUMENTO DELLA RAGIONE, maonde é, o Dinardo, che negli que ni menti, et ne gl’atti degl’uomini tantaforza discens da NELLE PAROLE? DINARDO. Credo veramente, che essendoci dato daessa Natura IL PARLARE, come tu dici, affine, che LE NOSTRE BISOGNE, I NOSTRIPENSIERI ALTRUI MANIFESTIAMO, gran potere in quella FAVELLA debeba essere, laquale da vero, et ſaldo intendimento, e da sforzes uole disiderio procedendo,tale di fuori apparirà, quale di dentro nele l'animo dimorando ſtarasi. ARTE.Ben di. Essendo adunque le parole come ostaggi delle voglie o de concetti, bisogna,come tra’ signori aviene, dare gl’ostaggi alle persone convenienti, e peròprensdendo noi DINTORNO AL PARLARE quel miglior partito che si conviene, soglioche picde inanzipie mettendo or gentilmente più oltre pafé fando ritroviamo lemaniere, e gl’ASPETTI DELL’ORATIONE, o confiaderiamo quale PARLAMENTO à qual cosa,et à qual persona si conuenga. DINARDO. Di, ch'io t'ascolto. ARTE. Non èdubbio, che riportando IL PARLARE per gl’orrecchi alle anime de gl’ascoltanti,la forza dello intendere o del volere, bisogna in questo viaggio dar mouimento,et modo ad eso PARLARE. Perciòche lo intendimento ó la voglia nell'anima siriposano, o iui come nel suo caro nido dimorano, ne si potreba bono da quellosenza ragione, et artificio, di partire. Al che fare accoa ciamente uoglio inprima che in ciaſcuna forma, o maniera di L’ORATIONE si truovi IL CONCETTODELLE COSE INTESE, ca DESIDERATE, il quale par orasia detto, e nominatoSENTENZA. Appresso uoglio, che ci sia lo artificio di levare LA SENTENZA dal luogosuo e là doue farà biſoagno, leggiadramente portarla, perche SIMIGLIANDO LASENTENZA AL RISPOSO E ALL’ANIMA, diremo, che l'artificio sia la machina, ilmodo conveniente di levare il peso della SENTENZA dalla MENTE umana. Ma perchesi vede che l'anima usa le forze sue, o adopra il corpo come strumento, però àciascuna forma di LA ORATIONE appresso l'artificio, Ry LA SENTENZA, le ſidaràPAROLE, e voci, per mezzo delle quali puo l’anima delle sentenze la sua virtù,le forze sue gentilmente ad opearare. Ma per che aspetto alcuno non si potràvedere, oueſieno le pare ti, la compositione di eſſe, IL COLORE, i contorni,oifinimenti del tutta, desidero condonar alle parole i suoi COLORI, il sito, ole parti qua si membra, o i suoi termini, accioche altri all’aspetto, o allaforma conosca quali oſtaggi ſieno dati dall'anima DEI I SUOI RIPOSTI E SECRETIINTENDIMENTI. Chiameremo dunque il colore LA FIGURA, la parte IL MEMBRO, il sitoLA COMPOSIZIONE, il finimento chiusa o TERMINE dell’orazione. Et perche van afatica sarebbe la nostra, le hauessimo solamente formato si bella creaturaaffine che ella si stesse, ne punto si movesse, pero come vivo s'intende quelcorpo cui movimento e concesso, cosi daremo AL NOSTRO PARLARE il suo passo, o veroil suo corso, il quale si farà col riposo di alcune parti e col movimento dialcune altre, come farsi vede ne gl’animali, o perche con altro mouimento simuove uno adirata, con altro un mansueto, o altro é il passo d'uomo grave eatteme pato, altro d'un leggiero però nello spazio per lo quale ha da correre ocaminare LA ORATIONE voglio che si conosca ogni interna qualità delle cose per lomovimento e per lo riposo di LE PARTI DEL SERMONE, e we per che di soprahabbiamo dato à ciasscuna parte il nome che à formar UNA MANIERA DI PARLAMENTO sirichiede deremo ancora à questa ultima il nome suo si veramente che il riposo,o il movimento delle parti sotto uno stesso vocabolo si rinchiuda, poi chiamatosia o Numero, o numeroso componimento. DINARDO. Qual De dato puo cosi bellefigure a fare, adornare, come fai tu, o Arte. Raccolgo fin tanto quelloche ioho da te sentito fin’ora, o dico che tu uuoi, che LA ORATIONE ha una qualità checonuenne alla cosa, o alle persona soggetto, o questa istessa qualità, forma ámaa inierazò guisa dimandi. ARTE. Cosi e, DINARDO. Tuu uoi appresso che ciascunaforma primieramente ha la sua SENTENZA che altro non è che il CONCETTO dellacosa, da poi l'artificio, che é il modo di les uarla dal luogo suo, ne questoti basta, a però uuoi ire grandamente si consideri con quai PAROLE si puo pixiacconciamente RAGIONARE, a esprimere la OCCULTA virtù della SENTENZA, disponendole PAROLE e dando a la parola i suo COLORE, e finalmente rinchiudendola inalcuni termini accio che sieno alla SENTENZA eguali, come l'anima à tutto ilcorpo, o a ciascuna parte dare il suo numeroso o MISURATO movimento, che colriposo, o con la velocità del tempo presente si misura. ARTE Cosi u'ho dettoDINARDO: Ogni cosa mi pare d'intendere ragionevolmente, solo che tu vogliadichiararmi al quanto d'intorno a questo numeroso componimento, che “NUMERO”hai nominato. Et io son dispoſta à farlo, sueramente, ch'io voglio primapartitamente ragionare, ego distinguere la maniera, e la forme predetta, de ciochetu sappia il numero di ciascuna determinazione. Dico adunque, la prissma guisa,es la prima forma dover essere la LA CHIAREZZA, la quale sotto di se contienela PURITA, o l’ELEGANZA del DIRE, anzi più presto da questa maniera ne risulta lacagione che nel primo luogo si riponga questa forma perche niuna cosa più siricerca ò si disidera [cf. H. P. GRICE, DESIDERATA --] dachi jagiond, che il lasciarsiintendere, il che altramente non si può fare senzá LA PURITA DEL DIRE, lamondezza, la quale oggi voglio, che ELEGANZA si chiami da noi. Ma perche spessoaviene che sforzansdosi alcuni di esser inteſi, cadono in forma umile, ego dimessamolto les cuando, otogliendo della dignità, della grandezza del PARLARE, peròappresso la predetta forma, si dirà della grandezza o GRAVITA DELLA ORATIONE,quale da molte altre fori ne procede, che sono quesste, muestd, comprensione, asprezza; eemenza, splendore, vivacie tà i boppo LA CHIAREZZA e la grandezza del DIRE a me pare che si convenne conoscer’un’altraforma; ta quate tutto il corpo della orarzione con la convenienza delle parti,ornamento, os gratia recando, bella, en misurata si mostra, v però mi giova di NOMINARLEBELLEZZI, alla quale un'altra formaſi darà, volubile, presta, perche tèggia adramente si muova, leggiadramente dico a fine, che ne troppo sciolta, né troppolegtta ſiueggia. Et ſe la chiara, a la grande, e la bella, o la veloce formasono tanto richieste, quanto previdá te stesso considerare che diremo noi diquella, nella qual si dimostrano i modi, i costumi delle persone. Et di quell'altra,che fa credere ogni cosa che si dice esser verissima? Certo non meno queste chequelle esserticare deuriano, quando in queſte sta ripoſta ogni riputatione diCHI PARLA; et ogni credenza delle cose, cosi voglio nominar quella forma laquae le secondo le nature, e gl’abiti delle genti va ragionando sotto dellaquale è la simplicità, la giocondità, o l'acutezza; e quell'altra ancora, che veritàsi dimanda, sono forme, senza le quali morta e spenta sarebbe l’orazione. Ed inquesto numero sono chiuse le maniere, o le guise, delle quali alcune hanno la suasentenza, &i loro artificii, e l'altre parti distinte, es separate dall’altre;alcune comunicando insieme, si confarànno, o nella sentenza, ò nello artificio,ò nella parola, ò nella figura; o nel resto, cos me chiaramente uedrai. Queſteuoglio, chetu da feſteſe, come ſemplici forme riguardi diſtinte l'unadall'altra. Perciò che non quel lo che si truoua, ma quello che può essere, voglioche tra te medesimo rivolgendo consideri, e ciascuna forma, come tale, ew taleconoschi. DINARDO. Io t'intendo, Tu vuoi ch'io sappia considerare ogni guisa d’ORAZIONEin se stessa, onde poi a scelta mia io possa questa con quella, e quella conaltra mescolando, di più semplici formarne una bella coinin posizione. ARTE.Che credi tu, che vaglia poi cotesta MESCOLANZA che nella purità ritengagrandezza, a peso, nella semplicità, forzkiego splendore, e ha nella grandezzadel bello, e dilettevole, ma che afþramente piacevole, e piacevolmente aspra sidimostri, pungendo; gungendo, come si dice, ad un'horafteli e facendo che quelloche è nella sentenza ampio o ripieno sia nello artificio ampio ad leggidadro. Ein tal modo accompagnando la FIGURA d'una forma con la PAROLA d'un'altra, dipiù contrario -- cosa alla natura medesima riputata impossibile -- farne unaamore uole fratellanza, onde poi questo generoso accozzamento di cose REPUGNANTIempia ogn’uno di maraviglia. DINARDO: Non mi accender pir di grazia, di quelloche io sono, cominciami oggi mai à formare ciascheduna delle maniere, accioncheio veda il fine della desiderata catena dell'anima delle cose, e del PARLARE.DE Ï Ï A parlare. ARTE Bendi. DEI DUNQUE sapere che come nell'anima, altraparte è quella che apprende la ragione, alfra quella che é da gl’effetti commossi,come dicemmo, o nella natura altre sono le cose allo IN-SEGNARE altre al muovereappartenenti cosi alcune forme dell’orazione e le quali converranno alle cosedell’intelletto, als cune alle cose della voglia, o dell’appetito o quando questonon e né via, nė ragione alcuna e dipoter acconciamente INDURRE OPNIONE E AFFEZZIONE con la forza della favella.Però auuertisci, che nel trattamento della forma da te stesso puo intenderequal forma a qual cosa si confaccia. DINARDO. Ricorditi di farmi ogni cosachiara con gli essempi di CONVERSAZIONI DIADICHE e io mi obligo di interpretarlisecondo la PARTICOLARE occasione in qualunque libro di questi che tu vorrai. Maprima desidero saper alcuna cosa d'intorno al NUMERO o numeroso componimento, OQUANTITA O FORZA. ARTE. Lasciati à me guidare che il tutto saperai secondo ilbisogno. Sappi adunque, o Dinardo, che qual’hora alcuno si rivolga à considerareil modo, e la ragione del medicare, che ritrovando alcuna bella cosa nellamedicina, voglia giudiciosamente applicarla all’arte del dire, non è dubbio,che egli non sia per vedere tra la medicina, o l'arte di che si ragiona, grandiſsimasimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre sanità, oue ella non ė, ò di conseruarladoue ella si truoua. Il simile fa quest'arte, d'intorno alla buona opinione,perche conogni studio s'affitica di metterla, ò di mantenerla oue sia bisogno.La medicina conosce qual parte del corpo con qual rimedio esser debbia risanata,o preservata, cosi queſt'arte opra con l'anima e con le parti sue con la forma delparlare o conversare. La medicina quanto più può fugge la noia che puo alcunomedicamento recar'atl'infermo, con mele ò con zucchero, ò con altra copertamitigando il pessimo sapore, ego l'odore delle medicine, ne da questagentilezza si parte la mia figliuola, cercandodi non offendere quel sentimento cheprende i suoi rimedij, il qual sentimento é negl’orrecchi riposto, per le qualisotto la soauità del suono fa trapassar’inſino all'anima la opinione, quantunque sia di cosa dalla natura aborrita. E finalmente la medicina nelle sue composizionialcune cose vi mette, non tanto gioue uoli alle parti offeſe, quanto preſteapportatrici delle virtù dell'altre cose al luogo infermo, il che quamto ſiconuenga all'artificio fa FAVELLA, non ti posso in poca hora dichiarare perchetroppo grande é la forza del suo numeroso componimento; il quale portando ſecoagevolissimamente il valor della parola e della sentenza, pasa, e penetra perogni parte dell'anima, deerosa di questa soauità, e benche gl’orecchi del volgone sentano assai, non è però da dimandare alcuno IDIOTA, onde ella proceda, òcome si faccia, perche QESTO GIUDIZIO E PIU PROPRIO DELL’INTELLETTO CHE DELSENTIMENTO UMANO. Giudicando adunque, o considerando L’INTENDENTE UOMO quale siala cagione che la parola più ad un modo che ad un'altro disposta e diletta uolionumerose, ritruova il tutto essere alla Natura, quanto al ſuo principio, conveniente,ma quanto alla perfezione non cosi; però che io ne ho grandssima parte. Eperche tu sappia quello che la Natura, a quello che io ti possiamo prestare, dicoche la Natura ha posto alls cor nell’orecchie il suo piacere e diletto, vuoleche quelle affaticate si folleuino con la soauità, a dolcezza del dire; al chefare niuna cosa è più potente nel vostro ragionare che il NUMERO o la fosnitàdella parola. Il qual NUMERO bisogna che di sua voglia vegna nell’orazoone, siperche FA ORAZIONE E NON MUSICA (come la poesia),si per fuggir la sospitionedell’artificio, la quae le con luſinghe uole INGANNO pare che VOGLIA ABBAGLIARL’AMINO DELL’ASCOLANTE opera leua loro ogni PERSUASIONE o fede. Ma quando conine certo, o non conosciuto numero, dolce però, e soaue, si compone il parla-mento,o si lega insieme il fascio della sentenza e dell’intendimento, senza dubbio iltutto con credenza, o diletto si riceue. Fuggasi dunque il ucrſo, ogni regolacontinouata del uerso; continouata dico, peroche lo stesso numero più voltereplicato facilmente si riconosce, o fa che gl’orecchi aspettanti l'ordinato,consueto ritorno, più al suono che al sentimento si diano cosa assai chiara, o attesane i versi, il NUMERO de’ quali usato, e conosciuto, più dall'arte che dalla naturaprocedente. Ma perche senza legge di NUMERO alcuno, o sciolta del tutto non deerestare l'orazione, che oscura, cu piaccuole ne rimarrebbe, però numerosa ocomposta ella si disidera grandemente. Ora da che nasca, o per qual cagione diverſamenteoffer convenga numerosa l'orazione quanto à me s'appartiene dirò brieuemente, dichiarandoprima, che cosa sia NVMERO, ò numeroso come ponimento. DINARDO. Questo ordine àme sommamente diletta, però di cuore ti priego, che più distintamente che puoi,me lo dimostri. ARTE. La necessità vuole che le parole sieno pari alla sentenza,perche à questo fine si ragion e conversa, come si è detto, accioche quantohabbiamo di dene troſi dimostri di fuori, doue mancando o accrescendo parole, oil concetto interno non e espresso, come nella mente dimora, ò il parlar eOCIOSO – Grice, otiose -- ò mancheuole. Ma perche la sentenza nell'anima èfinita O terminata, però debbon’esser finite, o terminate in QUANTITÀ leparole, che la sentenza dimostrano. La qual QUANTITÀ insieme ragunata, GIRO OCIRCUITO nomineremo il quale altro non e che pieno o perfetto abbracciamentodella sentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la virtù di ef la sentenza,può hauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, secondo le parti della sentenza;e ciascuna parte é composta di parole, o si chiama MEMBRO O NODO o si come ogniparte del corpo ha il suo principio, il suo FINE, e il suo MEZZO, o il corpo medesimoe terminato e finito cosi le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento efinito o terminato. In tutto questo spazio adunque che è tra il principio, ilfine di ciascuna parte, e tra il cominciamento, es la chiusa, che s'è dettochiamarsi gia ro, ė forza, che la lingua alcuna volta s'adagi, o si riposi secondoil bisogno,o si muoua più ueloce, ò piu tarda secondo la QUALITÀ del concetto.Et questo riposo, o questo movimento, misurato col tempo del proferire, paratorisce il numero, del qual ragioniamo vero figliuolo della composizione, o dei termini del parlare, o molto piu nel fine, che nel cominciamento e piùapparente ne gl’estremi che nel mezzo. E perche di esso NUMERO gl’orecchi fannogiudicio in quanto al sentimento del piacere o del dispiacere, per essernaturale à ciaſcuno la dilettatione de sensi, o l'intelletto fos lo come ti dissi,ne cerca la cagione però, hauendosi fin'ora in parte dimostrato quello che all'intellettos'appartiene, in parte dico, perciò che l'intelletto in questo caso molto all’orecchiedeferisce, o diverse maniere hanno diverso NUMERO. Però cominciando a trattaredelle forme del dire daremo a ciascheduno il suo numeroso componimento, o con essempiDI CONVERSAZIONI DIADICHE ancora ritroueremo quello che con ragione edimostrato. DINARDO. Molto bene auif di farmi capace di questa magnifica o illusſtrecomposizione; però segui che con maggior desiderio, che prima, fonoapparecchiato d’ascoltarti perche mi pare, che ora tu facci di me pruouamarauigliosa. ARTE. La prima forma e nominata CHIAREZZA – la qual nasce dapurità, o da eleganza. Pero essendo ella quasi un tutto, acciò che meglio ſimanifeſti, si dirà delle parti fue, et prima della mondezza o pilerità, poi dellascelta o eleganza. Deefl dunque dare alla purità del dire quella sentenza laquale e di piana intelligenza e non ha bisogno di piu conſideratione, come perlo pia sono, o esser deono le narrationi delle cose, come qui. DINARDO. Tancredi,principe di Salerno, e signore assai umano, di benigno aspetto. ARTE Eccoti,che ſenza alcuna fatica di discorſo ogni mediocre ingigno gegro può capire il sentimentodella sentenza già pronunciata, come ancora in questa sentenza. DINARDO. Io sonManfredi, nipote di Costanza imperatrice. ARTE. Et molti essempi sono dellapurità nelle novelle, la sentenza delle quali per la maggior parte è molto allauolgar’intelligenza fottopo sta, pur che partitamenteſa ciascheduna in ſeconſiderata, percio che pua re non ſarebbono quando ad alcun fineſi riguardasse,o uero altro attendessero per fornir il sentimento loro, come se in questaguifa si dicesse. Essendo “Tancredi principe di Salerno signore assai umano”,perche questa sentenza non e TERMINATA O FINITA dovendo attendere a quello, chesegue, o però più presto oscura e che monda enetta. Non aspetti adunque altrointendimento chi vuolessr puro nella sentenza, la quale stando nell'anima, dee essercon tal'artificio levata, che sola si tiri suo riga come di dentro dimostra ilconcetto, cosi di fuori fa fatto palese, senza alcun accidente che quellaaccompagni o consegua. E però da questa forma e bandita ogni circostanza ditempo di luogo, di persona, o di modo, ò d'altro avenimento. Vedi questa partequanto é pura nella sentenza: DINARDO. La quale percioche egli, si come imercatanti fanno, anda molto in torno a poco con lei dimora, s'inamora d’unuomo chiamato Roberto. ARTE. Non lascia esser pura cotesta sentenza queltrammezamento che dice percioche egli, si come i mercatanti fanno, andaua moltointorno, o questo adiviene, perche SOSPESO SI TIENE L’ANIMO DI CHI ODE. Fuggiadunque ogni raccoglimento se vuoi essere nel tuo dir mondo, et neto; et narrale cose partitamente come stanno, ma de i raccoglimenti quanti o quali sono,dirà poi. Delle parole veramente con le quali si dee uestire la purità breveammaestramento si darà perche, tutte le parole, piane, facili, usitate, bricui,O communi sono all'anima della purità molto proportionate, onde le traeportate, le straniere, le lunghe, e quelle, che la lingua pena à proferire, ol'intelletto a capire sono dalla purità lontane, però purissime sono queste.DINARDO. Che à me pareva esser’in una bella, dilettevole selua, e in quellaandar cacciando e haver preso una cauriola, parcami, che ella e piu che la neuebianca,or in brieue spazio diucnisse si mia domestica che punto da me non sipartiva, tuttavia a me pareva haverla si cara, cbe accio che da me non partisse,le mi pareva nella gola haver messo un cola no d'oro e quella con una catenad'oro tener con le mani. ARTE Non è poco haver giudicio di ritrovar le parolead ogni maniera conformii, ma molto più wi deue avvertir' nel disporle, o COLORIRLE,onde ne nasce il desiderato aspetto. E però sappi che la figura della parola, allapurità sottoposte, é il dritto, ecco. DINARDO. Nicolò Cornacchini e nostrocittadino, o ricco huomo. ARTE. E quiancora DINARDO. A solo adunque vago,piaceuole castello postto ne gl’estremi gioghi delle nostre Alpi sopra il Trivigianoecsi come ogn’uno dee sapere arnese della reina di Cipri. ARTE. Non cosi puro ese dagli’obliqui casi ha cominciato, Dicendo, Di Asolo, vago e piaceuole castelloposseditrice e la Reina di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, avenneche secondo quella parola puro non sia, doue si dice Arnese, voce straniera,ancora nello aretificio non é puro per quello tramezamento che dice, si comeogn’uno dee sapere, o per quelle circostanze del castello vago piaceuole perache RITARDA IL SENTIMENTO DLL’ASCOLTANT, ovi mette le circonstanze del luogo.DINARDO. Dunque erra chi volendo esser puro usa una parole non pura, artificio,o figura d'altra maniera della orazione? ÁRTE. Errerebbe se egli crede, otentad'essre in ogni parte puro, e netto, e non usa quello che si conviene ma nonerra volendo alla purità del dire porgere grandezza o dignità. Ma ancora voglioche ogni maniera e in se stessa considerata e però la purità del dire ha le parti sue distinte, o separate dalle altre nėsolamente il dritto è figura di questa forma o manierq ma anche ogni altro COLOREche e contrario alla comprensione. Ora trattiamo del sito, o della composizionedella sentenza, Dico nella purità, o mondezza del dire doversi mettere leparole insieme con quel modo che piu vicino e al favellare, usita e cosenzamolta cura, caffettazione semplicemente quanto si può. E si cos me in ciaschedunaparola di queſta forma bisognaua levar ogni durezza, Cogni difficultà dilettere, o di sillabe, accioche la voce di suono e quale, temperato, nonimpedito usce fuori cosi nella composizione bisosgna guardare d’acconciaretalmente che pine tosto nate, che fabricate appariscano, come nell’esempio del sognosi conosceud. Considera tu poi la forza e lo spirito di ciascuna lettera e diciascuna sillaba, come la natura in tutte ha posto la sua piaceuolezza,durezza, e tifa rai questo giudice del suono delle parole, della loro disposizione,ucdi che la “A” si forma nella più profonda parte del petto, o esce poi fuoricon alta voce, risonante, onde lo spirito di essa grande, o sonoro essente, odila seguente -- ch'é la consonsante “B/” La “B” é purasnella, despedita -- comeè aspra la sequente, che e la consonante “C” quando è fine della sillaba, ISAC, órauca quando è posta inanzi la “A” à la “V” come per lo contrario e didolce, spesso, o pieno suono, precedendo alla “I”. Alla “E” come qui. Salabettomio dolce iomi ti raccomado o cosi come la mia persona è al piacer tuo, cosi éciò che ciė, o cio che per me si può fare al comando tuo. Considera poi da te stessoil restante delle lettere, in che maniera essa natura di sua propria qualità haciascuna dotata e vederai onde nde sce più questa che quella composizione. Leparti e le membra, della purirità esser deono breui, et ciascuna dee terminar ilsuo sentimento, non ritardando con lunghezza del giro, o di raccoglimenti laintelligenza del popolo, come qui, D. Suol’essere a' naviganti caro qualhora daoscuro o fortunevole nemboso spinti errano, o travagliano la lor via, col segnodella indiana pietra, ritrovare la trammontana in modo che qual ventosossi conoscendo,non Ria lor tolto il potere, e vela, o governo, là doue essi di giugnerprocacaciano, o almeno dove più la loro salvezza veggiono indirizzare. Bisognaparimente in minore spazio raccogliere il sentimento di ciaccuna parte ouest vuoleesser puro, o fare in questo modo benche le parole sono a le quanto dure. DINARDO.Chino di Tacco piglia l'abbate di Clugni a medicalo del male di stomaco, poi illascia l'abbate ritorna, in corte di Roma, o il ricomcilia con Bonifacio Papa, ofallofriere dell'ospedale. ARTE. E nel uerso ancora esser dee la predetta normaosseruata. DINARDO. Pace non trovo, e non ho da far guerra, e temo, espero, eardo, e for’un ghiaccio. Il che non quiene in questa altra parte. DINARDO. Voi,ch'ascoltate in rime sparse il suono, perciò che IL SENSO E TROPPO RITARDATO ocon lunghssime parti rattenuto. Ha si dunque della purità quello che bisognad'intorno alla sentenza, all’artificio, alle parole, alla figura, alla composizione,e alle parti di esa. Resta che si tratti del numero, e del finimento, cioèdella chiusa, o del termine della sentenza, o delle parti sue. Dico adunque chenello andare, ego nello spazio di questa forma non si dee essere ne veloce netardo ma temperato e ne i riposi, ne i movimenti, perche il numero nasce dallacomposizione, co dal fine, però sapendo quale esser dee la composizione delleparole quale il fine tutto quello che sotto di queste parti contiene darà ad intenderquello che si è detto, perche quanto si ricerca alla composizione si édichiarito resta che si dica del finimento.ogni sentenza, ogni giro può finire,ò in alcuna parola tronca, o in parola piena, sieno queste parole, ò di II, òdi III, ò di piu silabe, o ancora di una. La parola piena, e compiuta ò e sdrucciolosa,e volubile, o salda, o ferma, o perchenon solo Ridce considerar l'estrema parola di tutta la chiusa, ma anco la vicina,o prossima, però partitamente si dice di ciascun finimento al luogo suo. Come adunquevoglia la purità terminare le chiuse sue, assai chiaro ofer dee. prciò cheassimigliandosielle al dire cotidiano, fuggirà il fine della parola tronca, come e quelle anda,corfuftarà, o C. perche le medesime dee nella disposizione fuggire, comeramarico, o render florido. Ed a contenterà di quel fine, che per lo più la naturaa volgari dimostra, ma io non voglio, che con tanta religione si finisca inparole piene, et perfetete, fuggendo le tronche, o le fdrucciolose, che alcuna voltanon si metta sie ne altrimenti al suo parlare, perche quello che si dice, sidice per la magegior parte dei finimenti, e delle chiuse della purità. Daquesti adunque o dalla disposizione risorge quella MISURA – moderato --, chenoi NUMERO addimandiamo. Essendo adunque la chiusa simile alla disposizione, ladisposizione non isforzevole, ma temperata e naturale, seguita che il numerodell'uno, o, dell'altro figliuolo e, a quelle somigliante. Ben'è vero, che la forzadi ciascuna maniera e riposta piu tosto nelle altre parti che nel numero,eccetto che nella bellezza, douc l'ornamento e il numero grandemente scerca, asmolto piùè ne i versi, nella poesia che altrove, o questo dico, acciò che funon metta piu studio dove non bsſogna riportandoti a gl’orecchi, il giudiciodelle quali da essa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo, quantogiova la mondezza, o purità del dire alla chiarezza. Ma perche questa semplice formanon può da se sola si chiaramente parlare che non visi a qualche impedimento, peròbisogna ouunque le sia di aiuato mestieri, con l’eleganza aiutarla come conmaniera che più un modo che un'altr piu questo ordine che quello secondo il bisognoadoprando elegge et fo uegna alla semplice purità del dire, il qual'aiuto è piùpresto nell'artificio che nelle sentenze riposto. Però che ella si sforza farogni sentenza chiara e aperta, non che le pure già dichiarite di sopra.Parliamo aduneque dell’eleganza,o prima dello artificio, colquale ella lcuar suoleogni sentenza nella mente riposta. ARTE. L’eleganza e maniera che porta chiarezzaà tutte le maniere della orazione, o però non tanto alla purità, douc ellamanca soccorre, quanto à ciascaduna forma opra intelligenza, o facilità, da queſtonasce, che l’eleganza dalla purità del dire in alcuna cosa é differente. Perciòche la purità da se stessa è chiara, o aperta, ma l’eleganza nella grandezza, emagnificenza del dire e come un sole che ogni oscurità che per quella potesse venire,leua, o disgombra, o però in ogni sentenza ella può molto, si con l'artificio suo,si con COLORE, le figure. L'artificio adunque di les vare ogni sentenza dall’intelletto,acciò che ella sia intesa, cogni avvertimento innanzi fatto di quello che ft hada ragionare o conversare. DINARDO. Canto com’io vssi in libertade Mentre amornel mio albergo a sdegno s'ha poi seguirò si come à luim'in crebbe rroppoaltamente: ARTE. Il simigliante R fa nella prosa. DINARDO. Mi piace à condiscenderea consigli d'uomini de' quai dicendo mi conuerrà far due cose molto a mieicostumi contrarie, l'una sia al qua to me comendare, et l'altra il biasimarealquanto altrui, ma prioche dal ucro nė dall'una ne dall'altra non intendo partirmiil pur farò. ARTE. Vedi quanto gentilmente | sbriga l’intelletto dello ascoltarecon tali avvertimenti. Appresso i quali assai bello artificio s'intende quelato, che per chiarezza di alcune cose altre ne narra senza le quali non siintende ageuolmente il restante. DINARDO. Ma per trattar del ben ch'io vi trovai,dico de l'altre cose ch'io vi ho scorte. ARTE. Se il poeta qui non dovedimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegl che sono in disgrazia diDio, non haurebbe potuto dare ad intendere facilmente il bene che ne riusci poiper hauer lo inferno cercato. Ecco qui dalla medesima necessità costrettoquest'altro descrive la pestifera mortalità pervenuta nella egregia città diFirenze, avvertendo pri ma chi legge, in questo modo. DINARDO. Ma perciochequale e la cagione, perche le cose che appresso Rileggeranno, avenisseno, non sipuo senza questa rammemorazione dimostrare quasi di necessità costretto a scriverlami conduco. ARTE. Ecco qui ancora un'altra bella preparazione di cose, fattaper levare ogni impedimento, che puo offendere il rimanente. DINARDO. Ma io miti voglio un poco scusare che di que' tempi, che tu te n'andasti alcune volteci volesti venire, e non potesti, alcune ci venisti, o non fosti cosilietamente veduto, come sole vi e oltre a questo di ciòche io al termine promesso,non ti rendei gli tuoi danari, ARTE. In fine ogni precedente aviso, e ogniordine di cose, e secondo, che este son fatte, narrandole, ė artificio scelto, eelegante, però tutte le proposizoni de' poeti sono elegantissime. DINARDO. Veramentequant’io del regno santo me la mia mente potei far tesoro e ora materia del miocanto, e canto di quel secondo regno que l'umano spirito si purga e di salir’alciel diventa degno. ARTE. I simigliante modo è osseruato ne i principij di ogninouella come da te stesso vedi. Suole ancora l’eleganza porre artificiosamentele opposizioni con le risposte partitamente. DINARDO. Saranno per aventura alcunidi voi che diranno ch'io habbia nello scriuere queste novelle troppo licenza usata.ARTE. Eccola dimanda seguita la soluzione. DINARDO. La qual cosa io niego, perciocheni una cosa e si disonesta che con oneste parole dicendola si disdica adalcuno. ARTE. E cosi di paripasso alle obiettioni risponde benche altre fide teinsieme posto habbia ogni accusa di se fatta, o poi s'habbia scusato, ma quel modonon ha dello elegante, come il predetto pose prima le opposizioni tutte insiemeallora quando disse. DINARDO. Sono adunque, discrete donne, stati alcuni, chequeste novelle leggendo hanno detto che voi mi piacete troppo e che onesta cosanon ė che io tanto diletto prenda di piacervi e di consolarvi. Et alcuni handete to peggio, di coinmendarvi, come io so. Altri più maturamente mostrando divoler dire, hanno detto chenon stà bene l'andar'omai dietro queste cose, cice àragionare o conversare di donne, o àcompiacer loro. E molti molto te neri della mia fama mostrandosi dicono ch'io fareipiù saviamente,à starmi con le muse in Parnaso che con queste ciance mescolarmitra voi. E son di quegli ancora che più dispettosamente che sauiamenteparlando, hanno detto, ch’io farei più discrettamente a pensare donde io puo haverdel pane che dietro a queste frasche andarmi pascendo di vento. Et certi altri,in altra guisa essere state le cose da me raccontatevi, che come io le vi porgos'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. ARTE. In queſto luogomolte accuse contra dello autore si mettono. Prima che ad alcunaſi risponda, ilche non è cosi elegante, come il primo artificio, ben che in tanta confusioneegli studia di esser chiaro, cinteso, eso avisa qui sasse AVANTI L’ASCOLTANTE, comefa doue dice, roppo al quanto dalle predette opposizioni, perche non di subitorisponde il che ancora é dall’eleganza lontano. DINARDO. Ma quanti ch'io vegnaà far la risposta ad alcuno mi piace in favore di me raccontare non una nouellaintera ma parte di una. ARTE E ne poeti ancora si osserva secondo che megliolor ben viene di fare cosi fatti partimenti. DINARDO. Tu argomenti, se'lbuon volerdura, la violenza altrui, per qual cagione di meritar mi scema la misura. ARTE.Questa é una proposta alla quale secondo l'arte della eleganza ſ doueá priniarispondere ma si è posta ancora la seconda, dove seguita. DINARDO. Ancor didubitar ti dà cagione Parer tornarsi l'anima àle stesse secondo la sententia diPLATONE. ARTE. Ben che tu veda qui le proposte esser insieme collocate, non èperrò senza eleganza quella parte, per quello che segue. DINARDO. Queste son lequestion, che nel tuo velle Pontano egualemente, e però pria tratto quella che piùbadi selle. ART. In questo luogo non tanto l’eleganza dimostra l’artificio suoper lo avvertimento fatto di quello che si dee dire quanto per l’elezione di rispondereprima ad una domanda che ad un'altra. Evvi ancora un'altro artificio della sceltezza,il quale è quando si ripiglia quello che si è detto e si dimostra di che poi sibada dire, come in questi luoghi segnati. DINARDO. Ma hauere in ſino à quidetto della presente novella, voglio che mi basti,o à coloro rivolgermi, a qualiho la nouella raccontata. Il qual luogo acciò che meglio quello che è detto, e quelloche segue, come stesse vi mostro. ARTE Asai si è detto fin qui, con che arte l’eleganzaleva dato per sostegno la grandezza o magnificenza del dire cosi nellagrandezza è pericolo di uscire in forma che non habbis ornamento, proporzione, operò se le darà per misura, o bellezza sua una forma diligente, accurata, o bencomposta, la quale in termini conuvenienti richiudendo l'ampiezza della orazione,o SANGUE o COLORE amabile en grazioso ledona, onde il tutto misurato e temperato maravigliosamente si puo uedere.Questaforma nė sentenza, ne artificio separato dal l'altre forme ritiene, ma ogni suaforza nelle parole, nel sito di osse, ne i luo mi, o nelle altre parti e riposta.Se però dare non le vogliamo quelle sentenze che acuti sono, o di sottileintendimento. Le parole adunque di questaforma sono le soaui, leggiadre, bricui, di facile intelligenza, ischiette, ocon gran circospezione traportate. Perciò che le traslazioni – o META-FORE --in questa forma esser deono rarssime, o le figure di questa misurata. O bencomposta maniera e la repetizione. DINARDO. Per meſ ua nella città dolente, perme vi ua ne l'eterno dolore, Per me si ua tra la perduta gente. ARTE. E molto bella eornata questa figura, os tantopiù ha di ornde mento, quanto quello che si replica, augumenta, o cresce. Comequi. Amor, che à cor gentil ratto s'apprende, Preſe costui de la bella persona chemifu tolta, e'l modo ancor m'offende. Amor che a nullo amato amar perdona, Mi preſedel coſtui piacer si forte Che, come vedi ancor non m'abbandona. amor condussenoi ad una morte. ARTE. Se alla REPETIZIONE aggiugnerai l’INTERROGAZIONE, senzadubbio tu entrerai nella maniera forte ucemente. DINARDO. Qual'amore qualricchezza qual parentado baurebbe le lagrime, o i K sospiri pospiri di Tito contanta efficacia fatti à Gilppo nel cuor sentire che egli perciò la bella sposa,gentil e amata da lui haue fatta divenir di Tito, se non costei? Quai mi nacce? ARTE. Tu da te stesso poi quanto ornata saducemente questa parte considerando vedi tanto più se appreso le dette figureancora vi porrai la conversione della quale di sopra s'è detto. Nė ti maravigliarefe(una me desima figura sia da altre figure ornata illustrata. Pero che la linguadi questiornamenti é capacssima. Lascia che à fuo modo altri ragioni, tu ne ſaraigiudice, o la cosa istessa te lo dimostra. La conversione adunque è figura diqueſta idea, a R suol fare quando in quella stessa parola pii membri ſ lascianoterminare. Bella è ancora la ritornata che si fa quando la parola che seguecomincia da quella in che la precedente finisce. DINARDO. Di me medesmo meco mivergogno. E qui, E consoauepasso a campi discesa, per l'ampia pianura super lerua giadoſe erbe in fine à tanto che, etc. ARTE. O vero in questo modo. Infiammòcontra megli animi tutti, egli infiammati infiammar si AUGUSTO OTTAVIANO, chelieti onor tornaro in tristi lutti. ARTE. Et ancora il Bifquizzo come nell'uno poetasi dicra ch'io fui per ritornar più volte volto, Et l'altro. Il fiorir questeinnanzi tempo tempio. Da poi la predetta vi sono anco altre ornatissime figure,come è il loro ascendimento alla tradottione o altre. Lo ascendimento si faquando le parti che seguono cominciano dalle parole medesime nelle quali vanterminando le parti precedenti, con questa conditione: che si mutino le cadenzedi esse parole. Nel dir l'andar, ne l'andar lui più lento. ARTE. Overo in quest'altromodo.Lusca, io non posso credere che queste parole vengano dalla mia donna, e perciòguarda quello che tu di. Et se pure da lei venissono, non credo che con l'animofermo dire le ti faccia. E se pure con l'animo le dicesse, il mio Rignore mi fapiù onorecheio non merito: ARTE. La traduzione e ė figura che replicando la stessaparola, non foldemente DIMOSTRA L’INTENZIONE DI CHI PARLA ma mirabil'ornamentoaccresce ove ellasſtruoud Laurd che’l verde lauro e l'aureo crine. ARTE. Moltodiligente as accurata figura e quella che si fa quando due più parti fra se congiuntesisogliono proferire E utile consiglio potranno pigliare e conoscere quello chefa da fuggire o che sia similmente da seguitare. ARTE. E qui, A cui grandi ey rade,o à cuiminute pelje. ARTE. Forza ė che onunque in una bella e adornata figuras'abbatta un bel giudizio, egli conosca es senta dentro di se alcuna dolcezza;com mese uno udirà in questo modo ragionare. Risposemi non huomo, huomo giàfui,E li parentimiei furon Lombardi, Mantovani per patri ambe dui, Nacqui sub Iulioancor che fosse tardi, E vissi A ROMA sotto il buon AUGUSTO OTTAVIANO al tempode gli dei falſie bugiardi poeta fui e CANTAI DI QUEL GIUSTO FIGLIUOL D’ANCHISECHE VENNE DA TROIA poi che'l superbo Ilion e combusto. ARTE. Non sentirai tuper questa disgiunzione, per la quale ogni parte sotto il suo verbo è rinchiusa,una diligenza gentile del poeta: si come là, do we dice, Io son Beatrice, cheti faccio andare, vegno dal loco, oue tornar disso, amor mi molle, che mi faparlare. E molto più se nella prosa detto ritrovasi a que' tempi che i nostrimaggiori haueano l'occhio al governo di questa REPUBBLICA, eta riconosciuta la virtùde'buoni, davansi compensi dei danni ricevuti per la patria, chi robava ilpublico, era castigato; fiori ua dia na giouentù dedita alla mercantia, oucroalle lettere, lasciasasi il facer dos: tio, la militia da' nostri questa, perche i cittadini non pigliaſſero l'arme contra se stossi, quello, accio che fusseropiù finceri i parenti a far giudicio delle cose importanti. ARTE. Vedi, chenarrando partitamente, o senza congiugnimeneto alcuno, il parlareè spedito, lafigura ornata, o dilettevole sopramo do il suono di essa oratione. Al cuiornamento il traportar delle parti di ossa giova mirabilmente, come quando sidice, Al costei foco, alcolei grido. K 2 Giouin Giouinetto poss'io nel costuiregno. Et qui. Vſate le colei bellezze. In questo caso nonf dee di tanto levardall'ordine loro le parole, che la sentenza oscura deventi, come disse, che ibelli, onde mi struggo, occhi mico la, di che è qual piena quella canzone.Verdi panni, sanguigni, oscuri, operſ. Bello al quanto è quel transportamentoche dice. Or non odio per lei, per me pieta de cerco che quel non vo, questonon posso. Concedes però a’ poeti maggior licenza per rispetto della necessitàdel verso nel quale ancora più ampio luogo fanno gl’ornamenti che nella prosa purenon è che del bello non habbiano assai QUELLA FIGURA CHE PER LA NEGAZIONEAFFERMA,come s'egli si dicesse, io nol niego cioè io il confesso. E quella, nonè alcuno,che nol creda, cioè ogn’uno il crede. Poi non taca que, cioè parlò, edisse. Suole ancora chi scriue a maggior bellezza circoscrivendo le cose conpiù parole quello che conuna può esprimere come qui, Era giàl'hora, che volgeil deſio, a’ naviganti, e intenerisce il core, Il di, che han detto à i dolciamici,A Dio, ARTE. E cosi A chiama il sole Pianeta, che distingué l'hore, edicest. LA PRUDENZA DI MARIO, LA SAPIENZA DI CATONE, IN LUOGO DI DIRE MARIOPRUDENTE O CATONE SAGGIO. E é appresso bella figura la innovazione i come qui,Parte preſ in battaglia, e parte ucciſt. Et quia Taciti ſolie senza compagnia,N'andavan l'un dinanzi e l'altro dopo. ARTE. Ecco come la bellezza ogni forma abbelifce,ne per tanto avenga che ella molte figure, molti lumi dimostre di quelle solamentest contenuta, ma studiosa del diletto sforza di ragionare o conversare variamente.Là onde per fuggir la fatietà con mirabile artificio è usata di variare l’orazione.E questo suol fare primieramente doppo molte voci di piene sonore lettereponendo ne alcune di basse U rimesse. Da poi fuggendo la continuata giaciaturade gl’accenti sopra una medesima sillaba, ora nelle ultime, ora in quet le cheuanno innanzi adesse gli sopramette, o di più in mezo delle lunghe le corteparole fra mettendo grazia e adornamento le giunge. Bella cosa ė si come tracittadini vedere gli stranieri, cosi tra le nostre parole alcuna adirai chealicna fa, o mescolare le isquisite con alcuna dette popolari, le BMOWE huonecon le usate, finalmente la elezione in questa parte può asai, la quale ritrovandosiin saldo w ſottil giudicio, dimostra in un'essere tutto quello che col consigliodi molti eletto a ricolto esser potrebbe però non degna le vili sſcaccia lebrutte, fugge l’aspre, abbraccia l’eleganti SCEGLIE LE SIGNIFICANTI o con copiamaravigliosa varia la disposizione, i të pi, il NUMERO e i finimenti; nė dipari lunghezza formerà le parti del parlare,nė ripiglierà una stessa figura, un tempo medesimo, un modo amile, una personapari, ma quasi un'adorno pratola orazione di molta varietà formando, diletto, ogioia, recherà sempre mai. Leggi prima qui, come il Poeta i medesimi nomi nonridice in uno stesso luogo. Io credo che ci credette, ch'io credessi, che tantevoci usisse da quei bronchi, da genti che per noi si nascondesse, però disse ilmaeſtro se tu tronchi cualche frafchetta d'una deste piante, penster c'haiffaran tutti monchi. Allor porfi la mano un poco duante, E colfi un ramufcel daun gran pruno, E'l tronco fuo gridò perche miſchiante. Da che fatto fupoidiſanguebruno, Rincominciò à gridar, per che mi ſterpiš Non hai tu spirto dipietade alcuno? Huomini fummo, oorfemfatti sterpi, ben doverebbe la tua man piùpia, seſtate fossim'anime di serpi? Comed'un sstizzo uerde, che arfo Ria,Dal'un de lati che da l'altro geme, Bi cigola per vento che va via. Cosi diquella scheggia usciua insteme, parole,e SANGUE, ond'io lasciai la cima cadere,e dette come l'huom che teme. ARTE Tu puoi uedere in quanti modi il Poeta ha volutovariar le parole con quanta felicità egli lo habbia ottenuto. Il che in moltiluoghi può in e lo vedere.si come là, dove parlando del lago gelato, lo chiama oraghiaccio, era vetro, ora gelozora grosso, o duro vello, ora ghiaccio, ora geldti guazzi, ora eterno uzzo,ora gelata, ora cristallo orafaſcia gelata, orafredda crostázora lagrime inuetriate, e simili altre parole usa variando ilpoema. Il simigliante hanno fatto, fono perfare tutti gli scrittori di non D B1 L me. Leggerai mirabili essempi della varietà in tanti principij di giornarOdi novelle che sono in quell'autore, o leggerai anco l'ultima parte del secondolibro di quest'altro che comincia. Che andiamo noi pure tutta via di moltiamanti et diletti ragionando e conversando. Ma ė tempo di ritornar’omai all’altreparti della forma predetta, o peró d'intorno alle membra dei sapere che lalunghezza di esse in questa forma è piu desiderata chela brevità o cortezza, nonperò voglio che si lo stremo ti fermi, ma con più distese parti che nell’eleganzavorrei che le sue sentenze li portassero che le parole di esse in tal guisa sicollocassero, e si terminasse queüa orazione che variate alſo pradetto modo ilfastidio o la satietà si fuggisse, o in grado ogni sprezzata cosa ci uenisse.Il numero al uerso vicino in questa forma ci vuole, il qual numero prima e diquella maniera che di sopra ti ho detto, cioè riposo o mouimento, ovvero tempodi proferire, ò da poi di un'altra che ora io ti dimostrerò. Perciò che moltobene all'orazione può dar forma numerosa e bella, la quale sia nata da ue nacerta necessità delle cose ben composte, o considerate, come il contraporre icontrarij o le cose discordi l'una all'altra con misura corrisponedenti, ritrovarei similiipari, o altre cose somiglianti à queste, delle quali partitamente econ essempio ne dirò, Sono alcune membra o nodi della orazione, i quali hannole lor sentenze opposte ma con una corrispondenza tra loro mirabile temperate.Il primo essempio e di quello che si chiama pare, il quale si fa quando leparti che Äihanno à corrispondere sono quasi di pare numero di silabe o ditempi quasi dico però che questa parità di sillabe, o di tempi con saldointendimento o giudizio deve essere stimata, e nõ del tutto pari.L'essempio dique ſta forma e questo. Dou’ella disonestamente amica ti fu ch'ella onestamentetua moglie divenga. ARTE Nel predetto essempio in due modi si vede esser fattanumero, ſa la orazione prima per la parità delle sillabe la quale nelle parti sivede poi per la contrarietà corrispondente perche “amica” o “moglie” sonocontrarij, onestamente o disonestamente sono contrarij, opposti, solo di pariud questo.Qui vi à niunoſi cerca inganno, a niunoſifa ingiuria. ARTE. Icontrarij adunque fanno la orazione osser numerosa, come ancora. Et di granlunga é da eleggerpiù tosto il poco osaporito, che il molato o insipido. ART.tornare. 2 ! TAR. Ne i simili ancora cade il numeroso concento in modo che quandoin simil suono la chiusa finisce, ne rinsulta il numero. Quel rossore, che inaltri ha creduto gittare, sopra di se l'ha sentito ARTE. Spesso auiene che perfuggire il sospetto di cotesto artificio, la simiglianza dei finimenti delleparole in mezo delle parti si ponga, com me qui, Poi veggendo che questo suo consumamento,più tosto che emendamento della cattività del marito potrebbe essere. Che piùdispettosamente che sauiamente parlando. Molti esempi ritrouerai da te stessodi queste numerose maniere, nate dalla corrispondenza delle parti. Ora vorrei,che bene aucrtssi di non replicare più volte cotesti adornamenti, di nonaffettar tanto la consonana delle parti, CHE CADESI IN FASTIDIO OVVERO INSOSPETTO DELL’ASCOLANTE. E per questa reggerai medesimamente il verfo nel qualecaduto in più luoghi Ruede l'autore delle nouelle, il quale à me pare che diciò molto curato non habbia. Bene uero che con mirabile perfettione riempie leparti e le membra della sua favella quando divide i nodi de’ suoi giri in IIIparti, come qui Percioche niun'altro diletto, niun'altro diporto, niun'altraconsolatione lasciata ti ha la tua eſtrema fortuna. E qui, Et se qualunque diquelle fuſſe in Salomone, ò in Aristotile, ò in Seneca,'haurebbe forzadiguastar ogni lorſenno, ogni lor uirtů, ogni lor santità. Et qui. Ma quanto sensante,quanto poderose, di quanto ben cagion le forze d'amore, etc.. Considera ladistintione de’ membri in quella novella, dove introduce to scolare, la vedova, perchecosi richiedeua la dotta persona dello scolare. ARTE. E degno di considerationeil numero delle sillabe che nelle parti, che hanno a rispondere l'unaall'altra, si mette. Perciò che quando una pare te di troppo l'altra avanzasse,non ne seguiterebbe alcuna numerosa compo Rtione, però buone o numeroseappaiono esser queste. Accioche come per nobiltà d'animo dall'altre diuise siete,cosi ancora per eccelentia di costumi spartite dall'altre vi dimostriate. ART.Ma qui appare al quanto lunghetta la rispondenza, e la die fagguaglianza de membri.Quanto più si parla de' fatti della fortuna tanto più à chi vuole le eue coseben riguardare, ne resta da poter dire, ARTE. Può esser ancora che non si gustiil numero per la lunghezza delle sue parti, benche sieno quasi pari come qui,Egli auiene spesso, che sicome la fortuna sotto vili art ialcuna volta grandi tsſoridi virtù nasconde, cosi ancora sotto turpissime forme d'huo. Ministruo wamarauiglioſ ingegni dalla natura essere stati riposti. AR. S'io ti uolessi ognicosa mostrare d'intorno alla bellezza del dire, troppo ritarderei gli ſtudijche hai afare, o pocoti laſcerei da eſercia tarti d'intorno all’eloquenzaumana. Però p trapassare alle altre forme, parlo della veloce e pronta manieradell’orazione; la forza della quale è nello artificio, più tosto, o nelle seguentiparti che nelle sentenze riposta. L'artificio adunque della prestezza e a brievidimande brievemente rispondere. S'amor non èche è dunque quel ch'ioſento? Mas'egliè amor, per Dio che cosa è quale? Se buona, ond'ċ l'effetto aspro emortale? Se ria, ondési dolce ogni tormento? ART. Overo il fare molte dimande,con forze di spirito obrer uits: Non era egli nobile giouane? Non era egli tragli altri ſuoi cittadini bello? Non era egli valoroso in quelle cose che d'giouani s'appartengono? Non amato? Non bauuto caro? Non uolentieri veduto daogni huomo? AR. Le membra, quaſ parole eſſer deono bricui uolubili, oche pa iache in eſſe fa il monimento del parlar noſtro, OLTRE ALLA SIGNIFICAZIONE DELLEPAROLE nelle quali ė ripoſta la forza dela espressione di ogni forma. Solibastano, accompagnati creſcono, und mille nefå, o delle mille in brieve tempomille ne naſcono, per ciaſcuna sono aspettate giocondissime, no aspettate venturose,sono cari ageuoli, ma diſageuolivia più care inquanto le uittorie acquiſtatecon alcuna fatica fanno il trionfo maggiore, donare, rubbare, guadagnare,guiderdonare, ragionare, ſoſpirare, lagrimare, rotte, reintegrate, primeſeconde, falje,o uere, lunghe bricui, tutte fono diletteuoli tutte ſonogratiofe. AR. Vedi che mouimento apporti ſeco questo parlamento, il qualequando l'huomo è riſcaldato s'aſcolta con marauiglia delle genti. Confia Ateanco nella forza delle parole, o nelſuono, onella compoſitione come qui. E giàuenia sì per le torbid onde, Vn fracaſſo d'un ſuon pien difpauento, Per cuitremauan' amendue le sponde, Non altramente fatti,che d'un uento: Impetuofo pergli auuerſardori, Chefier la ſeluaſenza alcun rattento Gli ramiſchianta, abbatte,e porta i fiori Dinanzi polucroſo ua superbo e fa fuggir lefiere e gli pastori.ART. Tanto voglio che tu sappia della prsſtezza del dire. Perciò che date medesimopuoi comprendere quanto ilconcorso delle cocali, ore forezza delle aillabe palontana da questa forma, esfapere che ogni ina dugio di proferire, ogniraccoglimento, ogni giro, impediſce il mouimento fuo. Resta adunque a diredella forma accostumata, o delle fue parti, la. quale e, che ſi conuiene allecocoalle persone in tal modo che QUELLO CHE SI CHIAMA DECORO, molJa chiaramentesi ueda Et però la detta forma ſota to di ſe IV maniere principali si uedecontenere. La I ė la unilta u baſſezza. L'altra II é la piaceuolezza o ildiletto. La III e l'acutezza Uprontezza. Et l'ultima IV la moderatezza dellaoration. Delle quai fore menecessariamente in questa forma si ragiona oconvresa, perche cosi porta la natua rade gli huomini,i quali sono ó vili, oriputati, è piaceuoli, o moderati. La bajezze dangue e forma infima, e dimessadel dire, alle roze, o idiote persone convenicnte, à femine, fanciulli nondiſdiceuole: da Comici, rie chieſta ouſata pia toſto che da Oratori, oeloquenti buomini,o piu tom Ho nelle cause de priuati, che ne i communiconſigliricercata, quando uor rai attribuire il parlar a quella persona, cui non sidifdicela baffizza. Cá dono in queſta simplicita di dire i pastori, a quelli che lecoſe boſcarecce Man deſcriuendo,o però le sentenze di queſta forma ſono piubaſſe Qumi li, opiùfacili che quelle della purità oſcioltezza del dire. Là ondeala cuni giuramenti ſciocchi à qneſtamaniera ſi confanno. O Calandrino miodolce, culor del corpo mio, quanto tempo t'ho defide Tatob’dauerti edi potertitenere a mio fenno.Tu m'hai con le piaccuoa lezza tuațratto il filodelacamicia, tu m'hai aggrattigliato il cuore con la tua ribecca. Può eglieſſer che io titenga? Leggeraila tutta, otutto che in questa formauiſa baſſezza,non è però ela ſenza artificio, percioche per dimoſlrarla pulefe,fi fuolealcuna fista minutamente ogni coſa deſcriuere,u ogni particolarità chia rire,introdurre alcune ſcioccheriſpoſte, ò ſemplici contentioni di coſe, che nonrileuano con detti, le ſentenze de quali ſono grandi, ma le parole ſciocche, atrozze. L Cominciò à dire ch'egli era gentilhuomo per procuratore, roy. Beglibauea diſcudi più di milantanouefenza quellich'egli hauea àdarealtri che eranoanzi piùche meno e che egliſapeus tale coſe fare; ct dire che domine pureunquanche. ART.. A tuo agio nie leggerai ilrestante,mauedi la contentione:Guatatala un poco in cagneſco per amoreuolezza la riniorchiaua '; ege ellacotale ſaluatichetta, facédo uiſtadi non auederſene andaua pure oltra incontengo. Seguita che tutta ëbaſſa per li giuramenti, per le beffe, con peralcuni rabbuffi, come qui. Vedi bestial buomo che ardiſce, là doue io Pid,parlar prima di me, laſcia dir à me, Et alla reina riuolta diſſe, Madonna,costui mi uuol far. conoſcer la moglie di Sicofanta, ne più ne meno come sciocon lei ufata nor, fußi, che mi uuol dar' à uedere chela notte prima cheSicofanta giacque con lei meſſer Mazza entraffe in monte nero per forza,e conſpargie mento di fangue oio vi dicoche non é ucro,anzi u’entró pacificamente:La deſcrittione del fante di fracipolld;& della fante,ėbaſſa,er propria diqueſta formaa alcuni lameti cô parole ufitate et popolari. Dime,oimė Giãnel mioio fon morta,ecco ilmarito mio,chetri fto il faccia Dio,che ſi tornò, « non ſoche queſto ſi uoglia dire. ART. Et alcuni prouerbiemodiſono dimeßi. Et cosi almododeluillan matto doppo il danno fece il patto, muoia. foldo, oniua amore, etutta la brigata. ARTE. Dalle fentenze di queſta forma ſipuò far congetturaquai parole, ochenumero, oquaichiuſe ad effali conuengonc, Però chearitificioſamente da ogni artificio lontana offer deue ogni ſua parte, et imietare la ſemplicità, ogroſſezza delle perſone. Io non uorrci queſtaforma inunpocma grande, o genoroſo; o dubito che per questa ragione da ale cuni ripreſonoſia uno de i piùcarifigliuoli ch'io habbia,ilqualefpeſo per direognicoſaminutamente cade in parole baßißime,come quando dife. Vn’amme non fariapotuto dirſt, Quero. Etmentre che la giù con l'occhio cerco, o quello che ſegueTrale gambe pendeuan le minuggia La corata parea, e il tristo ſacco. Et ilreſto. E non uidi già mai menare ſtregghia A ragazzo aſpettato daſignorfo, Etla doue diſſe che Tencuan bor done alle ſue rime. Md ora al diletto paſſando,dirò, che per diletto de gli aſcoltanti ale cuna uolta l'oratione ad una formas'inchina la quale tutta e riposta nellä, bautentione delpoeta,però giocondadiletteuole maniera s'addimanda ĝrellache la ſemplice edimeſſa alquanto piùrileua ealla fauola, ó fala uoloſa narratione ſi uolge. Là onde leſentenze diquesta formafaranno contrarie alla forma della dignità del dire; &peròdiletteuoli o gior conde ſono quelle, doue ragionano inſieme la Diſcordia, oGioue, o in quel dialogo d'Amore, oue R dimostra in che guiſa difcendeſſe framore tali Amore.Sonoanco grate,ga dolci quelle ſentenze chehanno quelle coſentinutamente deſcritte, lequali per natura loro hanno onde piacere difensetimenti umani, es però la deſcrittione dell'amenißima valle delle Donne a moltograta ad udire. Conſidererai di quanta dolcezzaſia ſtato amaeſtro Simone ilragionaméto di Bruno, quando egli deſcriſſe la brigata, che giudi in corſo,ogde i loro follazzi, opiaceri,e delle altre coſe diletteuoli che egli uedeus inudiua. Ma è bene che tu ſappia, come di quelle coſe, che a ſenſi ſonoſottoposte, alcune fono oneste, alcune diſoneste. Le diſor Heiste ſepaleſamentesi ſcuoprono co iloroproprij uocaboli, offender for gliono le caſteorecchie;benche non offendano quelliche nė di dirle, ne di farle R loglionotergognare,maſe con diſcretomodoleggiadramente cura prono la bruttezza loro,nonpure non perdono il diletto quando ſono inteſe, ma molto più di ſoauird ſecorecano à gli aſcoltanti: Narra lo amore di due cognatiil poeta ALIGHIERI, ouolendo il finedieſſo quantopiù poteua onestan mente ſcoprir diffe. Quel giornopia non ui legemmo auante, cioé attena demmo ad altro che à legger quello, chefu cagione del nostro amore, o cosi quá lo l'altro poeta diſſe, Con lei fuß'ioda cheparte il ſole. E non ci Medeß'altri che le ſtelle.Ocosi in mille modi óper le coſe antecedenti, per quelle cheſeguono, eſſendo meno diſoneste,ledifoneſtißimèappalefar ft poſſono ne è pocalode dichi ſcriuezin tale occaſioneabbattědofi,ſenza offen fione anzi con diletto delle oneſte perſone deſcriuerle coſe meno che oneſte. Intělaſi adunque la coſa, ofuggaſi la bruttezza delleparole,o in queſto modo ſarà foaue, et diletteuole il parlar uoſtro. Alqualegli amori, le bele lezze de i luoghi,igiardinizi prati,i fiori le fontane, laprima uera, le pite ture, o altre coſe piaceuoli aggiungendoſi, ſenzadubbio ſidimoſtrerà la predetta forma,della quale anco di ſopras é detto aſſai, quandodel diletto, della gioia tiragionxi, che naturalinēte inuouc ogni coſa creata.Et cosi ſecondo l'affettione di ciaſcuno ſi porge ſolazzo opiacere colragionare. L'artificio,et le parole della giocõdità tolteſono dallaprimaformadel dire chiamata purità, onettezza. Voglio bene in queſto paſſo,checo più licen zoufigli aggiunti, ſegno e che i pocti loſtudio de' quali èproprio il dilet? tare, allora più dilettano quando più belli; e acconiodatiaggiunti-fono? wfati di porre ne' verſi loro, ecco Leggi. L et Giace nella fommità diPartenio, non'umile monte della pastorale Arct. dia,un diletteuolepiano diampiezza non molto patioſo,peròche'l ſito del luogo nol conſente ma,di minuta,o uerdisſima, crbetta si ripieno, cbe fe: le lafciue pecorelle congli auidimorſi non uipa fceffero,ui ſi potrebbe dom gni tempo ritrouar merdura. ART.Tutti i principii delle giornateſono à proua fatti per dileta tarc, eperò inshi13 ziunti uiſono meſcolati come tu potrai uedere. Egli lliſuole anchorainterporre de i ucrſi per. dilettare, ma con destro modo, Perciò che nonmipareche bence ſtia, che la compoſitionc babbia del uer fo come qui. Cofidetto, et riſposto,e contentato, doppo, un brieue.filentio di ciaſcuno. ART.Ecco che nella proſa ui è il uerlo, ſenza quel propoſito che: io ti diceua, però,biſogna rompere i ucrſi con alcuna parola,eccoti uer: foc, Postbaueafine alſuoragionamento, madicendo. Pofthauca fine Lau, retta.al ſuo.ragionamento non èpiù verſo, benche queſto.autore altrowe: non foſſeſchifato dal uerfo, comequando diſſe. Poſcia che molto commendata l'hebbe, Disleale, o spregiuro, etraditore, Etpoi con un ſospir aſſai penſoſo, Luogo moltoſolingo, ofuor.dimano.. Et questi uerſi quanto ſono migliori,tanto più ſono da.cſfer fuggitinel fic lo della oratione, fenon quando,o per eſſempio, o per autoritade, o perdi: letto ſono tolti da poeti. Ora delle figure di questa faperai, che allagioconda forma, oltra le fi gure che alla purità, Q umiltà. conuengono quelleancora non disd.cono, che alla bellezza ſi danno, o però le membra pari diſimili cadimenti le rime, i biſguizzi, itramutamenti; i circoli, leuoci.ſimiglianti, il fingeri: de i nomi ſonofigure di questaforma. Leggi iſimili cadimenti. Tranquilla lite de'giudicanti ristora.le fettchegucrreggianti, in quel le con le ſeuereleggi de gli huomini, la pisceuolezzadella natura,meſcoa. lando a queſti nel mezo de gli nocentisſimiguerreggiantipure, ø inno.. centisfime paci recando. Nellefſempio letto uitroucrai anco la bellezza di contrari, la parità de'membri, perche niente ciuicta,che una ſtela figura da molti lumi ancora illuminata, fi poffa fareilluſtre e luminoſa. Laura, che il ucrde lauro,c l'aurco crine.. Eſcherzo diupci ſimiglianti. Il mormorar dett'onde, bisbiglio, ſpruzza..reribombo,gracidare, fonoparolefinte,cha con diletto cfprimeno il fatto, ecco quando colui diffe,Filli, Filli,fonandotutti i calami, parue ueram mente che i calami fuſſono tocchi col fiato di dettopaftore,o quello ſem zafar motto alcuno. Rimafu quella di coſtui che diſſe. Tantod'intorno à quel più bello, quanto pià de Thumido fenting di quello, Et perpiùadornamento et diletto, diſſe anco. L'acqua laquale alla ſua capacitàſoprabondaua. Et comei falli meritano punitione, Cosi i beneficii meritanoguidero: done. Nella rima è pofta. la dolcezza de' Poeti di questa lingua,dallaqual.rima chi ardiſſe ò tentaſje per alcun mododidipartirf, toſto ſipentirebbe. Le rime più vicine sono più dolci. Qucta licenza del rimare moderatamenteBplglia de prosatori, purche di affettata dilettatione: disoneſto SEGNO nonporga. Voglio bene la compositione di questa forma, numerosa e più al verso vicinache l'altre, ma il verso per ogni modo le tolgo. Guarda con che facilità si puocoteſta prosa alla dolcezza del verso ridurre. Leg. Vna fede medeſimatraloroper le menti una fermezza, uno amore in agni faſo, in: ogni tronco, in ogni rina,uede L’AMANTE la faccia dolce delld. Fua belladonna, o ella quella del ſuo ſignore.Ma ora non: voglio che tanto ti piaccia la forma predetta che TRALASCIANDO ladignità, o grandezza del dire, procuri con ogni studio il diletto piacere chedaquella sola procede, Perciò che io non uorrei che alcuna. parte del tuoragionamento ſenza piacer s’udisse, di che l'ascolta, il qual piacere nasceancora dalla idea dell'altre forme, o dalle orecchie allo animo, trapassandoogni parte di esso sparge di diletto maraiglioso, perche movendo diletta, odilettando li movc, INSEGNANDO similmente si moue, o diletta in quanto che lo INSEGNAREil moere, o il dilettare, sono operationi non distinte l'una dall'altra. Milaſciamo questa quistione ad altro, tempo, o ancora non stiamo troppo in questaforma tutta di altra confladeratione, come quella cbe al Posta grandementeconuenga, al quale pocta. i giuochi, po le cose ridicole ſi confanno, operò di.cße ora non te ne dia 60, e tanto piu adietro di buon cuore ti lascerà questamatcria, quanto di: ſacopioſamente da molti ne è stato scritto, et ragionato.La rifponfione: ad ogni parte è anco figura di diletto. Leggi. La quale ciibafattinc i corpi delicate, o morbide, negl’animi timide o paurofe, ne le mentibenignc, o pietoſe, obacci dute le corporalifora ze leggieri, le uocipiacsuoli, o i mouimenti dei membrifoaui.. Ms or a passiamo all'acutezza del dire,forma inucro egregia e piùalto pensamento che altra meriteuple. Peroche ellacontiene le SENTENZA fic, del tuttocontrarioalla umiltà, baffezza dell’ORAZIONE,ej in uero altro dicendo, altro intende. Percioche è dicoſeche hanno inſeforza,et uds Forela onde lo artificiaė proferire le alte o difficiliintentioni pianaměte, o con facilità, e le umili &abictte che paianoalte, odegne: onde i primo modo é, quando fi piglia una parola IN ALTRA SIGNIFICAZIONECHE NELLA USATA CONSUETA MANIERA ne pcro e meno conuencuole et propriafe gliwiguarda alla forza della voce, che la uſala, conſucta, come qui. Non credadonna Berta oſer Martino Prueden un furar altro offerine. 9. Wedergli dentro alconſiglio diuino. Che quel puo furger,oquel può cadere. C: il secondo modo e quello cheſi fa non mettendola parola, douee la berie Starebbe, ilche abufione s'addimanda; come ė à direallegrezza inſanabile, in luogo di dire allegrezza grandißima. Seguita il terzomodo di porre. una þarola pia uolte'., ma che ſempre ſia ad un modo istefjopigliata, come dicendo, ſecglimuore, morirà tutto, perche uiuendo non uiue. Vſaſiancora biquestaforma un altro artificio aljai degno di conſideratione il qualeft fa quando il parlare ſi fa pieno ditraslationi, o per la moltitudine diquelle lifa ogn'horpiùmanifesto. Ee leggi fon, ma chiponmanoad eſſe Nullo,percheil paſtor, che precede i Ruminar può,manon ha l'ugne. foffe, Perche lagente che ſua guida uede Pur à quel bel ferir on fella é ghiotta Di quelfipaſce, opiù oltre non chiede. ART. Et in queſto altro loco ancora Nel mezo delcamin di noſtra uita Mi ritrouai in unaſelua oſcura Che la diritta uiacraſinarita. ART. Acuti ſono ancora quei rimedij, che uanno quafi medicando ledile rezte delle Tralationi con alcune altre piu chiare, ecco dire il fiatodella morte é duratralatione. Ma dire della morte, e ſpigne col ſuo fiato ilnoe ſtro lume, e acutamente raddolcita la aſprezza fua. O qui.Con altezza di:animo propoſe di calcar la miſeria della fori una.Voglio ancora,che acuto failporre inanzi yliocchi le coſe con bella colligatione di SIGNIFICANTI ßia meparole, Vuoi tu ucdere la celerità del tempo. a Delaurco albergo con l'auroraistanzi E to 1vs K $ siratto ufciua it ſol cinto di raggi, Che dettobaureſt',.Apur corcò dianzi. Jo uidi il ghiaccio, e li preſſo la rofa, Quaſi inun tempo il granfreddo, e ilgran caldo. Che pure udendo par mirabil cofa Veggola fuga del miouiuerpresta. Anzi di tutti, et nel fuggir delſole, La ruina delmondo manifesta Voi tu uedere dipinta la oſcurità. Buio d'inferno, o di nottepriuata D'ogni pianeta ſotto pouer ciclo Quant'eſſer puo di nuuol tenebrata:ART. No ſolaměte leparolefanno l'effetto,ma te fllabe, et le lettere steffeVedi quáte fiate uie replicata la quinta lettera come lēte baſſa,co oſcura.Sotto queſtaforma i beidetti ſi coprendono, et quei mottiurbani, che co dimeſeparole dicono altißime coſe. Là onde alcune ſentēze, la ragione delle quali ineffe ſi conticnejacute ſono, o di ſuegliato ingegno ſegnimanifesti. come àdire, le minacce fon arme del minacciato. sēdotu huomo penſa alle coſe humane ooffendo mortale nõ hauerl'odio immortale, o quello. Rade volte è ſenza effettoquello che uuole ciaſcuna delle parti. Queſte ſono le parti principalidellaforma ſublime; et acuta,nellealtre haida ſeguitare la purità o eleganzadel dire. Ma della Modestia, o Circonfpettione del parlare nel quale conſiſtequanta gratia tuti puoi con gli aſcoltanti acqui Atare,dirò,pregandoticaraméte,che tu uoglia questa ſopra tutte l'altre ele gere, abbracciare,etfauorire in ogni tuo ragionamēto. Modesta è adunque quella forma del dire chele proprie coſe abbaſſando innalza le altrui, o quaſi cede e toglierſi laſciadel ſuo, il che opinione acquista di grābone tade appreſſo chi ode.Le ſentezediquellafono quelle che dimostrano l'ani mo di chi parla alieno dalle contētioni,il deſiderio di fuggire, o terminar le coteſe, il diſpiacere d'accufar altrui,il poter dimoſtrar maggior peccati dell'auuerfario, nõfarlo,et quello che ſifafarlo sforzatamēté, ė astretto dalla uerità,o p no laſciar opprimeregl'innocēti,uerfo de'quali, chi dice, A deue dimostrare cõ queſtaformaofficiofo, et benigne,comefece coſtui. Leggi. Mi piace condiſcendere a'conſigli de gli huomini, de quai die cendo mi conuerrà far due coſe molto a'miei coſtumi contrarie;luna fia al quanto me commendare o l'altra il biaſmaralquanto altrui,o auilire. ART. Molti huomini eccellenti nelle lodi, che datehanno a i loro cittadini uſati ſono di dire, uoi faceſte, uoi uinceste, máneldimoſtrare alcana coſa meno che oneſta de' fatti loro,hanno detto permodeftia.Noi perdesſimo, noi malefi portasſimo, noialquanto imprudentemente togließimo la guerra. A questeſentenzeſi aggiugne l'artificio, ilquale con Ratenel dire di fero delle proprie coſe modeſtamente, con dubitationefacendolegrditamente minori di quello cheſono; eſcuſando per lo contras rio gliauuerfarii,oucro con ragione, conalquanto di timore accufando li, permettendolialcuna coſa a fuomodoin loro diffeſa pronuntiare,acció sonſi dia ſoſpetto algiudice dioffer contentiofo, et amicodelle liti, in que ſto caſo voglio,che tuuſ parole baſſe, et pure, oquelle che hanno manco forza nelle tue lodijonelbiaſimo de gli auuerfari, però quelle figure a questa formaſonoaccomodate,nellequali con deliberato conſiglio alcuna coſaſpretermette,quiſando però l'aſcoltante di tale deliberationc. Inbrie ue tidico, cbe la DISSIMULAZIONE, che ironia s'addimanda, quenga, che ale cuna voltamorda cu pungasėperò artificio, o figura di queſta materia,nel laqual alcuniGreci riuſcirono mirabilmente. Lacorrettione, oil giudi cio con timoreſonocolori di questa idea. Come quando ſi dice, S'io nca sn'inganno, s’io nonerro, cosi mipare, o fimiglianti modi, i quali quanto più banno del leggiadro,tanto più dilettano, o fanno l'effetto, che ſi ricer 14. La correttione e inquel luogo. Si come prima cagione di queſto peccato, fe peccato é, perciò cheio t'accerto. ART. Et la disſimulatione iui. Godi Firenze, poi che ſei sigrande. ART. Belmodo e modešto é quando o il biaſimo, o la lote ſi fa dar dauna terza perſona, perche meno ha d'innidia il teſtimonio altrui, che'l noftro,operò in queſto Poeta nel dire la origine fua, uedrai modestia ma rauiglioft,Leggi ancora qui. Nobilisfime giouuni, à confolatione delle quai io mi ſonomeſſo à cosi lunga fatica io mi creda aiutandomi la diuina gratis ſi come ioauiſo, per gli uostri pictofi preghi non gia per i mei mcriti quellocompiutamente ha Herfornito, che io nel principio della preſente opera promiſidi douer far. ART. Et il principio della quarta giornata i ripieno di queſtimodi. Ma tempo è di ucnire all'ultima forma di queſto ordine, ma prima in diegnità o perfettione,comequella, ſenza la quale niuna delle altre può nell'animo entrare de gli aſcoltanti, dico della uerità, a laquale benche la mocdesta e dimeſſaforma piu che l'altre s'auicinano, niente di meno non è da diTe,che ella debbia dall'altre offer abbandonata, imperoche non è opinione, òaffetto, che ſenza eſſa indurre ſi poſſa,queſta fa credere che cofiſia, come Adice, questa moſtra l'animo di chiragions,queſta èfrutto diquella uir ta che tùche noi chiamiamo imaginatione, cosipotente nel porre le coſe dinanzid gli occhi,et cosi efficace ad ottenere ogninostra intenţione. Dimoftrafl adia que l'aniino di chi parla in questo modo, cioèſenza mezo alcuno rompendo in uno effetto, perche la natura in queſta guiſa uidiſpone chequandoſiete iņuno affetto ſenza altra ragione in quello entrando ledimoſtrate, cosi l'a ra, lo ſdegno, il diſo, il dolore,o ogniaccidente ſi fapaleſe. In ſommaſe je fidate,o diffidate, c teneteſperanza d'alcuna coſa ſeallegrezza uimuoue 'ò noia alcuna, ueracißimi pareranno gli affetti uoftri, ſeda quello che defe derateſenza porui tempo di mezo cominciante. Leggi. Fiammadel ciel si le tue trecce pioua Equi doue il Poeta dimanda aiuto Quando uidicostui nel gran diferto. Miferere di me cridai à lui. A R. Come qui è uitiofo,doue un nụncio corre al palazzo à dan nog ua alla Regina della preſa dellacittà, es ardere etſaccheggiare ogni coſa, o incomincia con lunganarratione,dicendo, id ui dirò diffuſamente il tutto. Ma ritorniamo, hauendo ilPorta di mandato aiuto à VIRGILIO più bricue che può gli da notitia diſcoperche l'affetto lo pronaua à chiedergli pohc cagione egli ſi trouaſje in quelluo. soſeluaggio,dice. Ma tu perche ritorni à tanta noia? Etfa maggiore il ſuoaffetto replia çando, perche non fali il dilettoſo monte. Là onde poiil Poetapien di mara uiglia di ueder VIRGILIO, non gli riſponde, ma dà loco alloaffetto,et dicca Leggi. orſe tu quel VIRGILIO, equella fonte, Che parge diparlar si largo fiume, Ripoſi lui con uergognofa fronte, Et piu ritornandoall'effetto di primajo de gli altri poeti onor',e tume. AR. Vedi comeleDiscordia con Giove adirata in tal modo comincia. Parti Giove,che io, la qualeprodußi,et conſeruo il mondo,degna fia di doc uer’eßer biaſmata da ciaſcaduno. AR.Serbati in questo caſo à dimostrare che inte più uaglia la natur ra,che l'arte,o otterrai la credenza del uero che tu uuoi. Dire con uolubi li parolc é ſegnodi uerità, l'infigner d'hauerſi ſcordato, il dimostrare die ſere dall'artificiolontario, o lo ejer dulla ucrità commoſſo, il correggerſ daſeſteſſo, locſclamare in alcune parti quafi rapito dal uero, o finalmene, te una diligentetraſcuragine, et una traſcurata diligentia può far’apparenza diuero. Eccoquanto bene appare,ola modeftia, ola verità ufar la Discordia, doue dice, Etſelmio eſſere pien di miſeria mi ci rende in diſpetto l'effer Dea (coa me tuſei )onata al gentilißimo modo delfangue two pieghi il tuo anis mo ad aſcoltarmibenignamente. oRati' stato ilmio minacciare più tos fto fegno di diſperatione,che cagion d'odio è di ſdegno che tu mi debbi portare. AR. Et poco dipoi. Ioparlerò Gioueaffine di farti pietoſo alla mia miſeria, non con animo d'efferlodatacome eloquente;muoue il dolor la mia lingua, parte,et diſpone a fuo modole mie parole, o quale id'l ſento nel core tale,à te uegnia allos recchie, cheſenzaoffer altramente artificioſa, Oornata, affai ti perſuaderà l'oration mia àdolerti di me,la qualedi tanto nonſon conformeallo affan nocleoue quellocontinuamente m’afflige,queſta toſto fi finirà, o ad ogni richiesta tuas'interromperà,però che qualunque uolta cofa dirò, che mena zogna ti paia ſoncontenta di dichiararla,accioche picciolo error nel prin cipio nonſi facciagrande alla fine: AR. Vedi quanto efficaci ſtenote eſclamationi. O‘Amor quanti,o quali ſono le tue forze: AR. Et là doue dice, o felici anime,alle quali inunmedeſimo di auer re il feruente amore o la mortal uita terminare,o piúfelicife inſieme ad uno medeſimoluogo n'antaſte, o felicissimi fe nell'altrauitaſi ama.com toi vi amate; come di qua faceste. Questa eſclamationefa parerela cofa uera, ilfalimento bella, la ſentent za degna,o grande,le parole aſpra,o acerba, oil numero fplendida,o generoſa.Al predetto artificio s'aggiungono leparole conuenienti alle cos feale appre nell'ira, le pure, o le fimplici nellacomuniſeratione. Leggi. Ahi dolcißimo albergo di tutti imiei piaceri, maledettafia la crudeltà di colui checon gli occhi della fronte or mi tifa uedcre. Affaim'ora con quelli dellu mēteriguardarti à ciaſcun’hora.Tu hai il tuo corſofinito, et di tale,come la fortuna tel concedette tiſe ſpacciato.Venuto ſe allafine,alla quale ciaſcun corre, lasciate hai le miſerie del mondo, o le fatiche.ARTE. Conſidera le parti, le parole, o le figure di questa forma nella effempioora letto, ote ſimili uſorai nelle occaſioni che ti ucrranno, et uce deraiuſcirne opora maraniglioſa. Vodi che cömiferatione ſi truoua in que fe parole.Caro mio signore, fe la tua anima oralcmiclagrimc uede, oniuno i conoſcimento ósentimento doppo la partita di quella rimane a corpi, rice. dei benignemoutel'ultimo dono di colei, laquale tu uiuendo cotato amasti. Vedi ancora qui laſomiglianza del ucro grandemente adopraſi in rio fpondere alle coſe,che potrianoeſſer dimandate. Andreuccio,io ſuno molto certa, che tu ti marauigli, et dellecarezze, le qualiiori.fo.a delle mie lagrime;si come colui chenon miconoſci, o perquentura mai ricordar nonm'udisti, matu udirai toſto coſa, la quale più tifaràforſe marauigliare, si come è ch'io ſia tua ſorella. AR. Eccoti,che con unacoſa più incredibile fa parere il falſo eſer aero. Vſafi questo modo nelraccontare,nello amplificar le lodi, ouero i uituperii delle genti,ouero innarrare le coſe fuori dell'ordine naturali, e rare.Con una antiucduta escusatioe,come qui, Carissime Donne à me ſipara dinanzi a doucrmifi far raccontare unauerità, che ba troppopiù di quello che ella fu, dimenzogna ſembianza. ARTE. Verain ſoiamaè quella formadel dire, nella quale confiderata la natura delle coſela uarietà de gli affetri, la uſanza del uiucre, con prue denza, riguardodimostra le coſe fuggendo il coſpetto dello artificio, et però moltoleggiadramente fidce procedere nell'accurata, obella forme del dire nella qualepiù vale il numero etl'artificio, che nell'altre.Sicno dun que gli ſpirtidiquesta forma partiper tutto il corpo, accompagnati dal sangue della bellezza, odal mouimento della celerità del dire, che facila mente si otterrà ILDESIDERATO FINE. Ne gl'affetti grandi, bricui ficno le membra, uiusci leparole, nel resto il giudizio di chi parla habbia luogo. Et qui Na il finedelle formc o maniere del dire in quanto che di ciaſcuna partie samente si puòdire. Ma non sarà il fine di esse in quanto bisogna sapere il modo di usarle,ed accomodarle NELLA IVILE ORAZIONE. Perciò che colui ne oratore, ne eruditoparcrebbe il quale come nouel cfſercitaßcle predette maniere da ſe steſſeignude, o inconipote, onde l'artefuafi manifestasse, oegli di abomincus de fatietà,e fastidio ricmpicſſe l’orecchie o l’ANIMO dell’ascoltante, Bella cosa é adunque il meſcolare inſieme lepredette forme, o farne una ortima miſtura,dalla quale n'uſcirà l'ottima,ouniuerſale idea della oratio nc; appreſſo la qualeſarà quellà, che mancherà al quantoda quella ottima meſcolanza,cosi di grado in gradofcemundo il terzo,il quarto,o l'ul timo luogo occuperà l'oratore. Della prima operfetta compofitione delaleformeio non ti trouerei per ls uerità chi in questa lingua potefje, pere chegli ſcrittori di efla hanno hauuta ALTRA INTENZIONE, che formarela città Mdincica dineſca minicra, ben che per quello ch'io ſtimo, non anderà molto, chealcu noci naſcerà atto a questa grandezza,alla quale più tosto manca la fatieča,che il modo. Ora in quale forma debbia abondarc L’ELOQUENZA fa peraiz perche la chiarezza, LA VERITA, quella che accostumata ſi chiama, fono le forme principalidi tutta la manicra ciuile. Dapoi appresso io amerei la celerità del dire conquelle forme poi,che alla grandezzafi danno, tra le quali io eleggerei lacomprenſione. Le altre ueramente ſecondo il tempo; er la occafione reggendomiabbraccerei con quella ſcelta, con quella di fcretione che uolentieri,ut nonisforzate păreſſero ucnire riel parlar mio Ben'è uero, che molte ſono leintentioni de gli huomini, e quelle con dilia genza offer dcono confiderate.Chi uuole de i ſecreti di natura parlare, bo delle cose morali dee abondare ingrandezza senza alcuno volubile movimeto. Chi veramente cerca narrare i fattide mortali, come si fa nella storia, elleggerà la schiettezza, o eleganza, nellaquale è riposto l'ordine delle co fe,cu dei tempi, a riguarderà primaiconſigli, ale deliberationi, poi le attioni, o i fatti, o finalmente gliauenimentio fucceßi. Nei conſigli di moſtrerà quelloche deue cffer lodato,oquello che merita biaſimo nelle at tioni,i fatti,ole parole, il modo, il fine.Et ne ifucceßi dimostrerà ció the alla uirtù,o ciò che alla fortunafi deveattribuire. Chi ne ifenati uud l'esprimere la forza dell’eloquenza, perche ilpeſo delle cose sară poſto fore. pra lepalle di chiragiona, biſogna abondare ingrandezza,o dignità, di mostrar cura openſamento, il che non uale ne igiudicij, ſe non ſono di coi. Le graui, aimportanti, perche in eſſe piùfimplicità, baſſezzaſi ricerca, eſſendo quegli per lo più di coſe edi buomini priuati.Nel difendere, ale fai uale la forma accoſtumata, obalfa, ſe non quandoarditamente il fatto Rinega. Poco ancora ui ſi vedrà di uolubile, o prestomouimento. Ma non. cosi nello accuſare,douc oajpro, uecmente,o uiuo cſer deel'accusatore. Chi lola. fi dee dare alla bellezza, o al diletto, o apprezzarelo fplene dore fenza ucсmenza, o celerità. Et in brieuc, biſogna aprir gliocchi; eje nello imitare i dotti,o eccclenti uomini si richiede conſiderare; diche for ma eßt ſieno più abondanti,o di che meno; accioche ſapendoper qual cazglorie eß istatilicno tali,ancora non ſia tolto il potere à gli studioſi di acecoſtarſi loro, o aguagliarli,o le poßibilc é, che pureé paßibile al modo giàdetto di ſuperargli. Et chi.pure non uoleſſe la fatica,poteße almeno giudicarei loro fecreti. Molti, o minuti ſono i precetti d'intorno a questooffercitio,maio non uoglio più affaticarmi, effendo quegli in molti,o gran diuolumi ordinatamente riposti, oltra che il nostro dicorso à niuno può parereterc imperfitto, quando egli voglia la nostra INTENZIONE riguardare, la quale èstata di fare i fondamenti dell’ELOQUENZA, avvertire di quanta cognizione esserdebbia chi à quella si dona; sopra i quali fondamenti sono fordate l'articellede' maestri, o gl’esercitij de' giovanetti. Baſtiti, oDinardo, che tu siagiunto là, doue di giugnere desideravi, o che tu habbi veduto un circolo dellatanto desiderata cognizione. Però che dalle parti dell'ANIMA incominciasti,o inesse sei ritornato, havendo il corso tuo sopra di natura, ci sopra di mefornito, come sopra due rote di quel carro, che per lo aperto cielo ti condurràvittorioso, o trionfante. Daniele Matteo Alvise Barbaro. Daniele Barbaro.Keywords: archittetura, palladio, prospettiva, retorica, ordine cronologico:Ermolao Barbaro il vecchio – Ermolao Barbaro il giovane – Daniele Barbaro –Temisto, index nominorum, interpretazione e commentario di Barbaro sul commentariodi Tesmisto sull’analitica posteriora – manoscritto, Bologna. Manoscritto delle‘Adnotationes ad analyticos priores’ – commentario diretto su Aristoele e novia Temisto – Villa Barbaro – lezione privati di Barbaro sull’organon diAristotele – analytica priora e analytica posteriora, non al studio GENERALE,ma alla sua propria villa!. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – TheSwimming-Pool Library. Barbaro.
LuigiSperanza -- Grice e Barbaro:la ragione cnversazionale e l’implicaturaconvresazionale del vecchio – scuola di Venezia – filosofia veneziana –filosofia veneta -- filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofoveneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Umanista --. Grice: “As much asSperanza LOVES Daniele Barbaro, I prefer Ermolao Barbaro; after all, he was hisuncle – I mean, Ermolao was Daniele’s uncle – and therefore HE taught HIM; Imean, Ermolao, as a good philosophical uncle, taught the ‘minor’ (literally,since he was his junior) Barbaro.” "Somelike Barbaro, but Barbaro's MY man."Ermolao Barbarodetto il Vecchio. Umanista e vescovo cattolico italiano. Sendo stato uomodegnissimo, m'è paruto farne alcuna menzione nel numero di tanti singulariuomini, acciocché la fama di sì degno uomo non perisca (Vespasiano da Bisticci,Vite di uomini illustri del secolo XV). Ancora bambino comincia a studiarelettere conVeronese, e il successo di quest'accoppiata allievo-maestro fu taleche tradusse in latino le favole d’Esopo. Fece poi i suoi studi universitari aPadova dove si laurea. Successivamente si trasfee a Roma dove entrò al serviziodella cancelleria papale. La sua carriera nella curia romana fu così fulmineache Eugenio IV lo nomina protonotario apostolico e gli concesse la diocesi diTreviso. Il rapporto con il pontefice, però, si interruppe bruscamente quando,dopo che gli era stata promessa la nomina a vescovo di Bergamo, il papa assegnail posto a Foscari. Lascia Roma e viaggiò per l'Italia ma, dopo una seriedi peregrinazioni, tornò a lavorare in curia. Si trasfere poi a Verona doveNiccolò V lo designa vescovo e dove si sistemò in pianta stabile, tranne unabreve parentesi a Perugia come governatore. Messer Ermolao Barbaro, gentiluomoviniziano, fu fatto vescovo di Verona da papa Eugenio, per le sue virtù. Ebbenotizia di ragione canonica e civile, ed ebbe universale perizia di teologia, edi questi istudi d'umanità; ed ebbe nello scrivere ottimo stile. Fu dibuonissimi costumi, e nel tempo di papa Eugenio si ritornò a Verona al suovescovado, e attese con ogni diligenza alla cura, e vi accrebbe assai e onorò emultiplicò il culto divino. Era umanissimo con ognuno. Ridusse nel suo tempo ilvescovado in buonissimo ordine, così nello spirituale come nel temporale. Avevain casa sua alcuni dotti uomini, in modo che sempre vi si disputava o ragionavadi lettere; ed era la sua casa governata, come si richiede una casa d'uno degnoprelato. S'egli compose (che credo di sì) non ho notizia alcuna. Compose. Nullase ne ha alle stampe trattane qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti sene hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S.Anastasio scritta da Eusebio di Cesarea. NoteVespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed.Barbera-Bianchi, Firenze. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed.Firenze, Società storica lombarda, Archivio storico lombardo, ser.4:v.7,L'Umanesimo umbro: Atti del IX Convegno di studi umbri. Gubbio, 2Perugia,Vespasiano da Bisticci, Tiraboschi, cit. pag. 808 Opere (alcune moderneedizioni italiane) Ermolao Barbaro il Vecchio. Orationes contra poetas.Epistolae. Edizione critica a cura di Giorgio Ronconi.Firenze: Sansoni, Facoltadi Magistero dell'Universita di Padova Ermolao Barbaro il Vecchio. AesopiFabulae. A cura di Cristina Cocco. Genova: D. AR.FI.CL.ET., Trad. italiana afronte Hermolao Barbaro seniore interprete. Aesopi fabulae. A cura di CristinaCocco, Firenze: Sismel-Edizioni del Galluzzo, Il ritorno dei classici nell'umanesimo.Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in eta umanistica erinascimentale. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed. Firenze,Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri, ed. Barbera-Bianchi, Firenze,1859. Pio Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento: Ermolao Barbaro,Adriano Castellesi, Giovanni Grimani, Roma, Facultas Theologica PontificiiAthenaei Lateranensis, Emilio Bigi, Ermolao Barbaro, in Dizionario biograficodegli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6luglio 2018. Voci correlate Ermolao Barbaro il Giovane CollegamentiesterniDavid M. Cheney, Ermolao Barbaro il Vecchio, in Catholic Hierarchy.Predecessore Vescovo di Treviso Successore Bishop CoA PioM.svg Lodovico BarboMarino ContariniPredecessoreVescovo di VeronaSuccessoreBishopCoA PioM.svgFrancesco CondulmerGiovanni Michiel · Biografie Portale Biografie CattolicesimoPortale Cattolicesimo Treviso Portale Treviso Venezia Portale VeneziaCategorie: Umanisti italianiVescovi cattolici italiani Nati a Venezia Morti aVenezia BarbaroVescovi di TrevisoVescovi di VeronaTraduttori dal greco allatino. Ermolao Barbaro, il vecchio. Keywords: eloquenza. Refs.: LuigiSperanza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library. Barbaro.
Luigi Speranza -- Gricee Barbaro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazinale delgiovane – scuola di Venezia -- filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofiaitaliana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofoveneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice; “Very good.”, ermolao – theyounger – il giovane, non il vecchio -- "Speranzalikes Ermolao Barbaro the Younger, but Ermolao Barbaro The Elder is MYman." -- H.G.Ermolao Barbaro il Giovane. Avea profondamentemeditato sopra i doveri che impone il carattere di legato a chi lo sostiene esopra le avvertenze che devono servirgli di norma nella pratica degli affari,ónde servir con vantaggio il proprio governo e riportare onore anche da quellopresso di cui risiede. Ei ne ha indicate le tracce in un pregevolissimoopuscolo in cui la prudenza appariscecompagna della onestà del candore, ed è venuto a delineare in certa guisa il suoritratto. Ma lo stesso suo merito fu a lui cagione di grave calamità. Cardinaledi Santa Romana Chiesa Hermolaus Barbarus Ritratto di Ermolao Barbaro, opera diTheodor de Bry. Patriarca di Aquileia. Ordinato presbitero. Nominato patriarcada papa Alessandro VI. Consacrato patriarca. Creato cardinal da papa InnocenzoVIII. Ermolao Barbaro detto "Il giovane" -- è stato un umanista,patriarca cattolico e diplomatico italiano, al servizio della Repubblica diVenezia.Comincia l'educazione elementare con il padre Zaccaria Barbaro,politico e diplomatico veneziano, poi in tenerissima età e mandato a Verona dalpro-zio Ermolao Barbaro, vescovo della città e umanista di fama, per studiarelettere latine con Bosso. Per perfezionarsi passa a Roma dove ha comeinsegnanti prima Leto e poi Gaza. Un cursus studiorum concluso con successo. Elaureato poeta, a Verona, da Federico III. Segue a Napoli il padre, titolaredell'ambasciata veneziana, e proprio nella città partenopea scrive la sua primaopera ovvero il “De Caelibatu”. Traducetutto Temistio, pubblicato poi, in parafrasi. Tornato in Veneto consegue aPadova il dottorato in arti e quello in diritto civile e canonico. Subito dopofu nominato titolare della cattedra di etica. Come professore insegnasoprattutto sulla Nicomachea di Aristotele, mettendo in guardia i suoi studentidalle traduzioni in latino di Aristotele e predicando il ritorno allatraduzione diretta dal greco, proprio come face lui. Sono infatti di queglianni i commentari all'Etica e alla Politica e la traduzione della Retorica.Abbandonato l'insegnamento accompagnanuovamente il padre in missione diplomatica a Roma. E promosso senatore dellaRepubblica di Venezia e ma stavolta in veste ufficiale, si reca a Milano con ilpadre per una nuova ambasceria.Il primo incarico diplomatico arrivaquando, insieme a Trevisano, rappresenta a Bruges la Serenissima in occasionedei festeggiamenti per l'incoronazione a ‘re dei romani’ di Massimilianod'Asburgo e nell'occasione fu investito cavaliere. Dopo un'esperienza comesavio di terraferma, e finalmente nominato ambasciatore residente a Milano dovesi accredita e rimane in carica. Venne creato cardinale in pectore d’InnocenzoVIII nel concistoro, ma non venne mai pubblicato. L'ottima gestione dellalegazione veneziana a Milano, in tempi davvero turbolenti come quelli dellareggenza di Ludovico il Moro, gli vale un anno dopo la nomina ad ambasciatore aRoma alla corte d’Innocenzo VIII. Ed e qui che avvenne la catastrofe. Ilgiorno dopo la morte del patriarca di Aquileia Marco Barbo, Ermolao erasirecato all'udienza del papa, per fare istanza acciocché fosse differita lanomina del patriarca successore, finché il senato non gli e ne avessepresentato, secondo il consueto, la nomina. Ma il papa, senza punto badare acotesta istanza, nomina lui appunto in patriarca di Aquileja; aggiungendogli,essere questa grazia una giusta ricompensa al suo sapere ed alla sua virtù. IlBarbaro in sulle prime si rifiutò dall'accettare la dignità, che il ponteficeconferivagli; ma quando Innocenzo gli e lo comandò in virtù di santaubbidienza, si vide costretto a sottomettervisi ed obbedire. Allora il papasull'istante lo vestì del rocchetto, di cui, per darglielo, si spogliò uno deicardinali colà presenti; e poscia in pieno concistoro fu preconizzato patriarcadi questa Chiesa. La procedura era rigorosamente contraria alle leggi dellarepubblica che vietavano ai propri ambasciatori, senza la previa autorizzazionedel senato, di ricevere incarichi o nomine dai principi presso i quali eranoaccreditati. Allora, per giustificare la violazione procedurale, il Papascrisse una lettera al Doge chiedendogli di confermare la nomina, ma ilConsiglio dei Dieci, competente in materia, delibera comunque che Barbaro deverinunciare al patriarcato. Cosa che, dopo un po' di tira e molla, prontamentefa. Scelse, per farla più solenne, la circostanza del giovedì santo allapresenza del papa e di tutto il sacro collegio. Ma il papa non la volleaccettare. Né l'obbedienza sua agli ordini del senato basta per anco agiustificarlo. Poco avveduto, non pensa di spedirne a Venezia la stessa suadimissione al senato, ad onta dell'opposizione del pontefice; mostrandosi dalcanto suo per tal guisa fedele ed obbediente alle leggi del suo governo. Piùavrebbe inoltre dovuto lasciar Roma e ritornare a Venezia. Ov'egli si fosseregolato così, l'affare avrebbe cangiato di aspetto, e sarebbesi ridotta ad unasemplice controversia di giurisdizione tra la corte di Roma e la Repubblica diVenezia. Ma essendo rimasto in quella capitale, ad onta della fatta rinunzia,né avendone dato avviso al senato, egli fu riputato veramente colpevole infaccia alla legge, e perciò costrinse il senato ad usare verso di lui ognimisura di rigore. Come risultato di questo pasticcio fu bandito perennementedalla repubblica e interdetto da qualsiasi ufficio pubblico e privato. Quantoal patriarcato di Aquileia, tecnicamente, ne rimase titolare ma il senato oltread avergli impedito, con l'esilio, di recarvisi fisicamente, ne congelò lerendite patriarcali e nomina Donato in suo vece, anche se la nomina non furatificata dal papa. Ne deriva una situazione di stallo, durante la quale ladiocesi patriarcale fu amministrata da Valaresso (anche Valleresso), vescovo diCapodistria, con il titolo di Governatore generale.B. rimase a Roma dovedecise di dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi. Pparticolarmente importanti,oltre alla composizione di Orationes et Carmina in latino e alla pubblicazionedelle “Castigationes Plinianae, disputazioni scientifiche sulle imprecisioni esulle invenzioni della Naturalis historia di PLINIO, sono l’epistolario filosofico che si scambiòcon Poliziano e Pico, che, insieme, costituirono un vero e proprio triumvirato,a que' giorni potente e celebratissimo nelle scienze e nelle lettere. Esventuratamente colto dalla pestilenza che serpeggia nell'agro romano. Giunta aFirenze la nuova del suo pericolo trafisse altamente il cuore dei due suoicelebri amici Poliziano e Pico. Si lagnavano essi che la sua perdita secoinvolge il destino delle buone lettere, sembrando loro che in un sol uomopericolasse l'onere delle cose romane. Pico anzi volle tentar di soccorrerlo,inviandogli col mezzo di suo corriere un antidoto ch'ei medesimo componeva eche credeva atto a domare il morbo pestilenziale. Ma quando arriva a Roma l'espresso,era di già passato tra gli estinti. NoteDe Legato, recuperato dal cardinal Quirini da un codice della Vaticana estampato per la prima volta nelle annotazioni alla Deca II della sua Thiara etpurpura veneta Giovanni BattistaCorniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italianadopo il suo risorgimento, Torino, Contemporaries of Erasmus, op. cit.91 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E IlTrattatista: B. Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida Editori,Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopoil mille, Bassano, Bettinelli, cit.219Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuolapadovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, Branca, La sapienza civile: StudiSull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988,67Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze,Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni,Venezia, Cappelletti, Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dalsecolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851,12I secoli della letteratura italiana, Bettinelli, Risorgimento d'Italianegli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, Eugenio Albèri,Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia dellaloro origine sino ai nostri giorni, Vol. VIII, Venezia Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienzadel pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, Giovanni BattistaCorniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italianadopo il suo risorgimento, Torino, 1855 Vittore Branca, La sapienza civile:Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico EIl Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, GuidaEditori, 1999 Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuolapadovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, 2001Thomas Brian Deutscher,Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance andReformation, University of Toronto Press, 2003 Altri progetti Collabora aWikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Ermolao Barbaro il GiovaneCollabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri filesu Ermolao Barbaro il Giovane B., su Treccani – Enciclopedie on line, Istitutodell'Enciclopedia Italiana.Ermolao Barbaro il Giovane, in EnciclopediaItaliana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Ermolao Barbaro ilGiovane, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Ermolao Barbaro ilGiovane, su Open Library, Internet Archive.David M. Cheney, Ermolao Barbaro ilGiovane, in Catholic Hierarchy.Salvador Miranda, BARBARO, iuniore, Ermolao, sufiu.edu – The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida InternationalUniversity. Ermolao Barbaro, in Treccani – Enciclopedie on line, Istitutodell'Enciclopedia Italiana. Emilio Bigi, B., in Dizionario biografico degliitaliani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, PredecessorePatriarca diAquileia Successore Patriarch Non Cardinal Pio M.svg Marco Barbo NicolòDonàBiografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia chetrattano di biografie Categorie: Umanisti italianiPatriarchi cattolici italianiDiplomatici italiani Nati a Venezia Morti a RomaBarbaroAmbasciatoriitalianiPatriarchi di AquileiaTraduttori dal greco al latino[altre] ErmolaoBarbaro. Keywords: il celibato, lettera a Pico, lettera a Poliziano, traduzionedella retorica, commentario all’etica nicomachea, comentario alla politica,retorica ed eloquenza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – TheSwimming-Pool Library. Barbaro.
Luigi Speranza -- Gricee Barcellona: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicaturaconversazionale dei soggeti e le norme – scuola di Catania -- filosofiasiciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofosiciliano. Filosofo italiano. Catania, Sicilia. Grice: “Perhaps my favourite byBarcellona is “I soggetti e le norme” – vide my conversational norms – and‘soggeto’ of course relates to ‘intersoggetivita,’ a pet concept of Italianphenomenology!” Grice: “Of course, for us British subjects (to theQueen), the idea of ‘soggeti’ cannot quite make sense! But Barcellona’s pointis fascinating: the Romans did have the concept of a sub-iectum and anob-iectum: they like a symmetrical expression formation, too! Barcellona showsthat we have to speak of ‘soggetti’ to get intersoggetivita – and then thenorma – a very Roman concept, which as J. L. Austin said (following JohnAustin), does not quite translate as ‘norm’ – “We don’t use ‘norm’ in ordinarylanguage.”” Barcellona shows that it is‘I soggetti’ i. e. at least a dyad that makes ‘the noi trascendentale’ addingup ‘l’io trascendentale’ with ‘il tu trascendentale’ and ‘l’altrotrascendentale’ that we get the norm. Barcellona got to the idea after seeingthe French film, ‘l’un et l’autre’!” -- PietroBarcellona, deputato della Repubblica Italiana LegislatureVIII GruppoparlamentarePCI Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano Titolodi studioLaurea in giurisprudenza ProfessioneDocente universitario PietroBarcellona (Catania ), filosofo. È statodocente di diritto privato e di filosofia del diritto presso la facoltà digiurisprudenza dell'Catania. È stato membro del Consiglio superiore dellamagistratura. Si laurea inGiurisprudenza nel 1959. Nel 1963 consegue la libera docenza in Diritto Civilee insegna a Messina. Dal 1976 al 1979 è componente del Consiglio Superioredella Magistratura. Ha diretto il Centro per la Riforma dello Stato, fondatocon Pietro Ingrao. Nel 1979 è statoeletto deputato nelle file del Partito Comunista Italiano ed è stato membrodella commissione giustizia della Camera. A causa della sua formazione teoricamaterialista, ha suscitato nel moltoscalpore la sua conversione raccontata nel libro Incontro con Gesù. Docenteemerito di filosofia del diritto all'Catania. Altre opere: “Diritto privato eprocesso economico” (Jovene Editore); “L'uso alternativo del diritto, Laterza);“Stato e giuristi tra crisi e riforma, De Donato, Bari); “Stato e mercato tramonopolio e democrazia, De Donato); “La Repubblica in trasformazione. Problemiistituzionali del caso italiano, De Donato); “Oltre lo Stato sociale: economiae politica nella crisi dello Stato keynesiano, De Donato); “I soggetti el’intersoggetivo della norma” (Giuffrè); “L'individualismo proprietario,Bollati Boringhieri); “L'egoismo maturo e la follia del capitale, BollatiBoringhieri); “Il Capitale come puro spirito: un fantasma si aggira per ilmondo, Editori Riuniti); “Il ritorno del legame sociale, Bollati Boringhieri);“Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia, Editori Riuniti); “Dallo Statosociale allo Stato immaginario. Critica della ragione funzionalista (BollatiBoringhieri); “Laicità. Una sfida per il terzo millennio, Argo); “Diritto privatosocietà moderna, Jovene); L'individuo sociale, Costa et Nolan); “Politica epassioni. Proposte per un dibattito, Bollati Boringhieri); “Il declino delloStato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Ed. Dedalo);“Quale politica per il Terzo millennio?, Ed. Dedalo); “L'individuo e lacomunità” (Edizioni Lavoro); “Le passioni negate. Globalismo e diritti umani,Città Aperta); “Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Jovene); “Tensionimetropolitane, Città Aperta); “I diritti umani tra politica, filosofia estoria, A. Guida); “La strategia dell'anima, Città Aperta); “Diritto senzasocietà. Dal disincanto all'indifferenza, Ed. Dedalo); “Fine della storia emondo come sistema. Tesi sulla post-modernità, Ed. Dedalo, “Il suicidiodell'Europa. Dalla coscienza infelice all'edonismo cognitivo, Ed. Dedalo); “Criticadella ragion laica, Città Aperta); “Diagnosi del presente, Bonanno); “La parolaperduta. Tra polis greca e cyberspazio, Ed. Dedalo); “L'epoca del postumano,Città Aperta); “La lotta tra diritto e giustizia, Marietti); “Il furtodell'anima. La narrazione post-umana, Ed. Dedalo); “L'ineludibile questione diDio, Marietti); “L'oracolo di Delfi e L'isola delle capre, Marietti, Elogio del discorso inutile. La parolagratuita, Ed. Dedalo); “Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza, CittàAperta); “Incontro con Gesù, Marietti); “Declinazioni futuro/passato. Poesie,Prova d'autore, Il sapere affettivo, Diabasis); “Il desiderio impossibile,Prova d'autore”; “Passaggio d'epoca. L'Italia al tempo della crisi, Marietti); Lasperanza contro la paura, Marietti); “L'occidente tra libertà e tecnica,Saletta dell'Uva); “Parole potere, Castelvecchi,. Sottopelle. La storia, gliaffetti, Castelvecchi); La sfida dellamodernità, La Scuola,.Barcellona e la pittura Una delle più grandi passioni di B.,è stata senza ombra di dubbio la pittura. Comincia a dipingere all'età di 20anni. Due sue opere si trovano in esposizione permanente presso il "Museodei Castelli Romani". Un suo quadro fa parte della collezione permanentedella Salerniana, Galleria Civica d'Arte Contemporanea "GiuseppePerricone". Vanta diverse personali:1959"Mostra Città di Catania"; "Galleria Arte Club"di Catania, con testi critici di Manlio Sgalambro e Salvo Di Stefano;"Galleria Arte Club" di Catania. Espone un nucleo di ventiquattroopere sul tema "La città della donna" con testo critico di GiuseppeFrazzetto; 2002"Tensioni metropolitane" presso "Fondazione LuigiDi Sarro" di Roma; 2002"Galleria Quadrifoglio" di Siracusa;"Fondazione Filiberto Menna" di Salerno; 2003"Mitologia delquotidiano" presso "Galleria La Borgognona" di Roma, con testiin catalogo di Simonetta Lux e Domenico Guzzi; "Contrasti" presso"Galleria Tornabuoni" di Firenze, con testo in catalogo di FabioFornaciai e dello stesso Barcellona; 2004"Museo dell'Infiorata" diGenzano; "L'impossibile completezza" presso il "Museo Laboratoriodi Arte Contemporanea" di Roma, Patrizia Ferri e Mario de Candia; "Ildesiderio impossibile" presso "Le Ciminiere", Sala C2, diCatania, con testo critico di Mario Grasso. Saggi sull'opera di B. Su B., ovvero, riverberi del meno, Atti delConvegno di Studi su alcune opere di Pietro Barcellona, Mario Grasso. Provad'Autore,. 154-4 W. Magnoni, Persona esocietà: linee di etica sociale a partire da alcune provocazioni di NorbertoBobbio, Glossa Edizioni, Milano, M. DeCandiaFerri, B. raccontato dai suoi amici, Gangemi, Greco, Modernità, diritto elegame sociale, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», Pegorin,Emergenza Antropologica. Pietro Barcellona e la lotta in difesa dell’umanoRiconoscimenti Il 29 marzo, il Comune di Misterbianco (CT) gli intitola unapiazza. Note Pietro Barcellona, su Camera VIIIlegislatura, Parlamento italiano."Barcellona: Mi converto, dal Partito Comunista a Gesù. RagusaNews. l'Unità, "Pietro Barcellona, Il Piacere diDipingere"//archiviostorico.unita/cgi-bin/ highlightPdf.cgi?t=ebook& file=/golpdf/uni__05.pdf/11CUL31A.PDF&query= Andrea%20 carugati Corriere della Sera. Omaggio aPietro Barcellona pittore, giurista e filosofo.//archivio storico.corriere/ ebbraio/01/Omaggio_B._ pittore_giurista .shtmlInaugurata la piazza intitolata al prof. Pietro Barcellona |Misterbianco. COM. Napolitano: B. fu un protagonista in Italia. Messaggio delColle ai funerali del giurista, ex parlamentare Pci e membro laico delCsm[collegamento interrotto] articolo pubblicato da La Sicilia, 9 settembre,sito lasicilia. Filosofi italiani del XX secolo Filosofi. Pietro Barcellona.Keywords: i soggeti e le norme, filosofia siciliana, Barcellona, comune diMessina. Conte di Barcellona, lo stato imaginario, i soggeti, l’intersoggetivodella norma, communita intersoggetiva, discorso futilitario, societas,communitas, socius, seguire, ‘follow’, Toennies, communitario, statokeynesiano, stato imaginario, anima smartita, conflitto e cooperazione sociale,anima smarrita, communitas, immunitas, sociale, societas, discorso inutile,Grice, end of conversation, goal of conversation, deutero-esperanto, linguaggioprivato, i soggeti, l’intersoggetivo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice eBarcellona” – The Swimming-Pool Library. Barcellona.
Luigi Speranza -- Gricee Barié: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Enea – scuoladi Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Milano). Filosofomilanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “”Myfavourite of Barié’s is his parody of Apel: “il noi trascendentale”!” -- I likeBarié; he commited suicide, which is not that rare among philosophers – samepercentage than the general population – cf. Durkheim, “Le suicide: asociological enquiry,””. Grice: “Barié tried to play with the idea of thetranscendental, and he did – he applied it first to “I” (‘l’iotrascendentale’). When I wrote my thing on personal identity, I preferred thepronoun ‘someone,’ to stand for ‘I’, ‘thou,’ and the allegedy THIRD ‘person,’‘he.’ – Barié has also edited Vico’’scienza nuova,’ and provided a ‘compendium’of the SYSTEMATIC kind, favoured by some, of the history of philosophy, withsections on ‘roman’ philosophy (“l’epicureanismo romano,” “lo stoicismromano,”) --.” Grice: “Perhaps thecloses Barié comes to me is in his ‘Theconcept of the ‘transcendental,’ since I struggled with that in “Prejudices andpredilections,” where I feign to think that perhaps ‘transcendental’ is tootranscendental an expression and should be replaced by ‘metaphysical,’ but mytutee, Sir Peter, being more of a Bariéian, disagreed wholeheartedly!” – Grice:“I cherish Apel’s comment on Barié: “Surely, if we are going to have ‘l’iotrascendentale,’ we need at least ‘l’altro trascendentale,’ or as I prefer ‘iltu trascendentale.’” Partendo da posizioni kantiane pervenne a unaposizione da lui stesso definita neotrascendentalismo, scuola di pensiero dicui fu il fondatore. Si avviò agli studi di diritto che concluse solo a seguitodel primo conflitto mondiale, che lo vide impegnato inizialmente come ufficialedi cavalleria e poi come aviatore. Ottenne la laurea in filosofia. Inizialmente attestato su posizioni kantiane(La dottrina matematica di Kant nell'interpretazione dei matematici moderni, eLa posizione gnoseologica della matematica), nel corso del suo progredireintellettuale Barié perviene a una posizione filosofica critica nei confrontidella dottrina kantiana. Di questo passaggio è emblematica l'opera Oltre laCritica, che mette in luce le difficoltà della dottrina precedentementesostenuta. Il periodo metafisico Oltrela critica segna il punto di svolta dell'attività filosofico-intellettuale di B.,che comincia a sviluppare un interesse metafisico, forse dovuto all'influenzadi Piero Martinetti, del quale era stato allievo. In questo senso il filosofo,nel suo primo approccio alla metafisica, si pone su un binario che era giàstato di Spinoza, salvo poi rendersi conto del fatto che anche la posizionespinoziana è in realtà insufficiente per tentare di risolvere il dilemma dellarelazione essere-pensiero. Si ha quindi l'approdo di B. al pensieroleibniziano, testimoniato di La spiritualità dell'essere e Leibniz. L'approdo al neotrascendentalismo e IlPensiero Libero docente, ottiene la cattedra universitaria, spostandosi diconseguenza a Genova, Roma e infine Milano, nella cui università succede al suomaestro Martinetti nella cattedra di filosofia teoretica. Consapevole del fattoche, per quanto superata, la lezione antidogmatica di Kant non poteva essere completamenteignorata, Barié inizia una profonda revisione del proprio sistema teoretico chelo porta a diminuire drasticamente le sue pubblicazioni (di questo periodo sonoil Compendio sistematico di storia della filosofia, e Descartes) e che culminacon la pubblicazione de L'io trascendentale. Fonda l'istituto di filosofiadell'Milano con lo scopo di renderlo centro propulsivo di una discussionefilosofico-culturale con le realtà filosofiche del tempo che si sarebberoconfrontate con la nuova visione di B., adesso orientato verso una concezionedi filosofia come metafisica, ossia di metafisica quale causa della realtàsensibile e del pensiero. Con lo stesso scopo nacque la rivista Il Pensiero. Altreopere: “La posizione gnoseologica della matematica – e dell’arimmetica inparticolare” 7 + 5 = 12” (Torino, Bocca); “Oltre la critica della ragione e delgiudizio, il criticismo (Milano, Libreria editrice lombarda); “Spirito e anima:La spiritualità dell'essere e Leibniz” (Padova, MILANI); “Compendio sistematicodi storia della filosofia con particolare attenzione alla filosofia romana sinoCicerone” (Torino, Paravia); “L'io trascendentale non-psicologico” (Milano-Messina,G. Principato); “Il concetto trascendentale” “Il trascendentale” (Milano,Veronelli. Atti del Congresso Internazionale di Filosofia, Napoli, riproduzionefotografica (da Opa lLibri antichiriproduzione fotografica. Assael, Giovanni Emanuele Bariè, Milano, CUEM,Assael, "Il neotrascendentalismo di B.", in Rivista di Storia dellaFilosofia; Assael, Alle origini della scuola di Milano: Martinetti, B., Banfi,Guerini e associati, Milano, Milano Accademia scientifico-letteraria di MilanoUniversità degli Studi di Milano Scuola di Milano Giovanni Emanuele Barié, suTreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Emanuele Barié, su sapere, DeAgostini.B., in Dizionario biografico degli italiani, Istitutodell'Enciclopedia Italiana. Opere B., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofia Università Università. Giovanni Emanuele Barié.Keywords: Enea, lo stoicism romano, Enea, eroe romano, eroe stoico, Catone, ilnoi trascendentale, vico, storia vichiana, arimmetica. Refs.: Luigi Speranza,“Grice e Barié” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Gricee Baricelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuoladi San Marco dei Cavoti – filosofia campanese -- filosofia italiana – LuigiSperanza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Marco dei Cavoti).Filosofo italiano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. San Marco dei Cavoti,Benevento, Campania. Grice: “Italian philosophers can be eccentric;Baricelli started commenting Plato but his masterpiece is a philosophical tracton sweat, as experienced by the athletes Plato was familiar with!” Filosofo, medico, e chimico,di fama italiana ed europea, Giulio Cesare B. è da molti, pure erroneamente,ritenuto originario di Benevento o di San Marco Argentano in Calabria. Erudito e studioso di poliedriche attitudinie capacità, studia medicina. S’interessa di filosofia tanto che è autore dicommenti alle opere dell’ACCADEMIA. Publica De hydronosa natura sive de sudoreumani corporis, sulla natura e la terapia della sudorazione umana, e scrivel’Hortulus genialis, edito a Colonia e Ginevra, ove raccolse antidoti e sudisulle intossicazioni. Da alle stampe il Thesaurus secretorum, in cui sonoelencate le cure ed i rimedi per svariate malattie e problematiche quotidiane.Pubblica un trattato sull'uso del siero del latte e del burro come medicamento,intitolato De lactis, seri, butyri facultatibus et usu. Gl’è conferita lacittadinanza beneventana. Cultore di studi umanistici B. scrive anche alcuniepigrammi latini. Muore in Benevento. A San Marco dei Cavoti, gli vennenointitolati un circolo ricreativo, la scuola, ed la strada ove si troval'abitazione in cui vive, già denominata Via Pastocchia, che ospita anche unmonumento in suo onore, opera di Calandro A proposito dell'intitolazione dellascuola, su espressa richiesta dell'allora commissario prefettizio Jelardi,l'insigne storico Zazo propone la seguente epigrafe che ne riassume le doti imeriti: A B. CHE DEL RINASCIMENTO HA LOSPRITO INFORMATORE E LA VASTA ATTIVITÀ PROFUSE NELLE SPECULAZIONI FILOSOFICHEIL COMUNE DI SAN MARCO DEI CAVOTI A RICORDO ED INCITAMENTO PER LE GENERAZIONICHE IN QUESTA SCUOLA SI EDUCANO NEL FERVORE E NELLA FEDE DEI NUOVI GRANDI,AUSPICATI DESTINI DELLA PATRIA. Zazo, Dizionario bio-bibliografico del Sannio,Napoli, Fuschetto, B., Jelardi, Dizionario biografico dei Sammarchesi,Benevento. nis Hortuli Genialise RERVM MEMORABILIVM,QVÆ IN HORTVLO Geniali continentur elenchus. A Beſton accenfus, perpetuòarder.A cos. poribus effe &tus procreari. Admirandumauxiliuin advefica calculum,qwo abſque inciſione diffoluitur de expurgator Alapides renum vefica frangendosmirabile remedium Ammantium lac ab alimentis recipere qualita tem. Agricolanonſemel tempeftates e Serenitates pre dicunt. Abſyntbiumroborat ventryAbfynthij Romani mira Abſalonformararus. Acorescapitis bufonefanartit Achatislapidismirabilis Acetum ad i &tus venenosov Acetiſcyllitici miraoperatoAdam eratſapiennriſsimus Aegyptiſ in annimenfura Aegyptiorum opinio deelementis. Isbe Aepyptij in morborum -Chrafacileadiguem recara Aemorrhagia (electumprefidiunaAegypti hierogliphicis vacabant Aegyptiorumarcana ait quartanam Aegyptijregesoperamagnifica do admiranda an. Liquitus conftruxiffe.zi. Aegye MONACENSIS. REGLABIBLIOTHECA Tunt. Aegyptiorum in condiendis corporibus obferuatio. Levisſalubritatem ad vite produktionem maxå moperè videmusconducere AegyptiorumAuditim ir lapidis á vefsica extra Sione Aegyptij quomodoignea prefidiacomponent Aerisnatura quomodo nofcatur Afflictionem tribuere intellettum.Agricolafilicibus in horreis cur vtantur Agricola cwufdam interitus. Alexandrimors.quo veneno fuexit caufata Alexandri ſudoredolens. Alexandriuder.fanguineus. Alexandri magnanimitas in ftudiofos Amazones mammas dextrasſecabant. Amoris originis controuerfia Amantes surfacile irafcantur Ambarum viebrietatemfaciat Animalia quadam Arni tempora pradicero. An transformatiorealis detur. An animal in igne viuere poſsie Anni computum diuerfimode fa&tum Animalia ex putri materia non ſemper extitiffe. Anicularum quarundamfacinona. Antimony in vitrum redu et io. Anuli Bubali ad gramphum vtiles Anularisdigitus cordi amicus Antora napello inimiciſsima Anginaprafocatina vtcompefcatur Animalia a vteerikus Dis dicata, Anguil Anguillarum cum Aquiloneaffe &tus Animantiumcobur à cominé oritur. Anni climacterici quales.Annibalisſtratagema in boftes. Anniprefagia à quercus galiis: Ancitodorumaliquor obferuationes A priteftium virtus mirabilis Apri ægrotantes hederamquarunt. Api efum infauftum veteribus Apri dentes adanginan dompleuritidemvtiles Apes imminente pluuia adalucaria redeunt Apiumri usherbafcelerata; Apummirabilisſagacitasdan officium Aqua mirabilis ad viſusdefectum Aquilinumlapidempartum accelerare, 126 Aquafrigidaqualiter apparetur. Arcades qualiter annumcomputabant Archelai Regis in populos immanitasi go Arborisficusmirabilisnatura: Arietislingualantium ostendit. Araneorum reła in medicinavfurpata Arbores quandoquein lapides mutate Artemiſia quando in radicibuscarbonem producati Articulares dolores quomodo curentur. ArchelausRexaſtronomie ignarus Ariſtotelis opinio demularum ortu. Ariftotelis rerumindagator, Ariſtolochia piſces ftupidosfacit. Archelaus turrim incombuſtibilemfecit: Aſphaltirisla 'usmirabilis natura, Apronomia medicis neceſaria Ararumvomitu humores expurgat. Aparagor um 2u corporis nitorem producit. Afphespropèhalico ibum fiupidi Aſparagi vi mirabiliter erefcant Ap.dum natura qualis.Athenien esfacerdotes cicutam comedebant Atrila canis instarlatrabat Athenienfiumura erga fiicos Aues vfu Taxi nigra fiunt. Auri vfus in medicina Aufonij locusde mecha uxore Afilici odor vermesgignis Bafilijanhabitat pelicudinibm AphriceIbid. Bafilifcum haudàgallo excludi. Bardana mira vis in affe& u uteri.Bituminis vis in hiſterica paſs. Braſsica, dorura fimul fatahereunt. Brutaaliquot lafciuiffe in fominas, Bryonia mira virtus in affe&tu-matricis.Braſsica fuccus contra ibrietatem. Britânnurum præfidium in furiofos.Bubuloftercore colicam,anari. Bufonis lapis cóntra vinena. Bufonis.mirapropriet as in Aſcite. Arnes dura utfiant teneriores. Canes.obmutefcunt vmbraHyena. Capramaximè epilepſia tentatur, Capillorum defluussm laudano curare CaniCanicula exortum à veteribus previſum, Carnes cocta,quomodo crude videantur Canesfabrorum exiguos habent lienes Cancri vini quomodo co &tifimulentur Capre inluftinis montibuseuomunt Capilli noftri plantis affimilantur Caftratilienem,dan vitella ouorum deglutire ne. queunt. Cauſtica remedia,qualia adftrumas Caryophillgtevis adcorporismacular Caftorei teftespropèrenes adeffe Caminus quo fumum nonemittet, Calphurnius beftia uxores dormientes necabat.Catelli membrorum doloresconfopiunt, Cacodamonem mali nnncijpraſagiumattuliffe Calendula folisamica. Capiuacceiopinio demenftruofanguine Cantharidum mira vis nocendi Carthaginienfium prefidium addeftillationes in. fantium. Cati.cerebrum hominesdementat.Cornilacrymaſworesſuſcitat, Corui renouantnr eſos ferpenris Cervi carnes advita produftionen Cepamab Hyppocrate deteftari Ceruorum vita longiſsima CeriusAlatus Francorum inſignie Cerninum penem.conceptum facere. Ceraforum aquaepilecticis vtiliſsima Chamedrij mira vis ad lienofos Chalcanti vfusquidoperetur Chymici forebantapud veteres: Cibm Chuslapidus quomodo apparetur.Cicutam uterinum furorem domare Cicuta virginum mammas detumat Cynorrhodi radixad hydrophobiam Cyminum hominibupallorem inducere. Cyprinorum vfuspodlagricisinfeftus Cyprini officulü caluarisad spilefiä mirabile Clarorum virorumexitus.Lorui morientiúm fæditatem fentiunt Colicu dolor quomodofanetur Collegium veterum pro tuendaſanitate CotoneorumfeminaadcombuftaConfedtio fenibuspraftantiſſima Corpusutglabrum reddipofit Corpora venenatávtnofcantur. Coralline vis adlumbricos Corniplanta hydrophobiam ſuſcitatConsensus de disensus animantium Corneliu Celji valetudinis precepta.Creationis mundi opiniones. 10 Croci metallorum.compofitio.: Crinesmulierum qua via denfiores fiant Cuprefffolia Strumas auferre. Cur fit vtquis clauos vomere videatur. Cucumeres oleumabborrent. Cur quiti impronisè moriantur. D. Ature flores Defunium capillorumab hydrargiro, Demoris afturia apud indos. IS Democrittfedulitas in oleicaritare. Demofthenes quomodocuraffet lingue impedimen Denti Dentium doloresbufonis tibia janari: Dentium ftuporàportulacaremouetur Dentium dolores paſtinaca marina radio conquieſterr Defipientiamulieribus familiaris, Digiti annularis ſympathia. E. EBura quoartificiocolorentur.Ebriy variafufcipiunt deliria Echini ſagacitas in ventorum mutationibus Elephanttein fæminam mirusamor Empiricorumremedi4periculofa Epistola quomodo in ouoceletur Equam grauidam marem admittere. Equagrauida fomas occiditur,abortit Equorum teftes adſecundas depellendas praftan. tiſsimi. Equusphaleris accinctus acrior. fot. Asiesrugata quomodo emendentur. Faciem hominis diuerfimode alterari Familia in Cretamire faſcinatrices Faces ardentes ex Betula corticibus Fætor extin &talucerna grauidisperniciofu Febricitantium fitis qualiter compefcatur Febrem àquodum pifceillico exitari. Fæmina aliquot inrares mutate,, Fæmina pruritucorripiuntur in pudendis in prima menftriornm eruptione. -Fæcula Brionie inaffecte vteri Feniculorum femina aliquando exitialia Filij Filij â parentibusfigna recipiunt. Ficorum efumfudoremparerefætidum Filices ab agris qualiter exterminentur.Flores in Aegypto fine odore. Flamma quomodo in aqua excitetur. Fluuij aliquotmirabilis natura. Fructum vinearum, iumentorumg interitus pre ſagium Ferarumnatura in hominibus mirum in modum deft. 8a Fons mirabilis apud Garamantes.Frigida post pharmacü exhihita, felici fucceffu Fraxinum ferpentibus inimicum:Furiofi in pleniluno,magis infaniunt. Futi vulnera quomodo curentur. Fungi ubiin lapides mutentur. fumus hydrargiriquid efficiat Galenu,Medicorum princeps Aline appenfo milui capite furisunt.Galega, defcordij vis contra peftem. Gallinarum.stercus adfungorum viru. Gallinarum adeps quomodo diu ſeruetw Gallinaquomodofæcunda fiant. Gentium.don populorum ingenia. Germanorum mos circacoitum. Gigantes quando in orbe fuerint, Gymnofophifta apud Indos mirabiles.Grauidationis muliersus affertio.Grauida mulieres marein admittunt. Grauidaconceptü quomodo valeant occisltare. Grauidaaliquando fætupariuntfine vnguibus.Gra Greuide mulieres curpallida. Grecide Iudeorum monumentis nihiladduxe H.Auftulus aqua matutinus falubris. Heclaignis aqua nutritur Hemicrania Gagatefubmouetur. Homicrania à carduobenedi&to fanythr. Herfetes cerorotabacci coufanari. Hellebori nigti ele&tio in Anticris. Hederam cumvinohabere diſcordiam Hemorrboidailisherbe mira virtus, Hellebori nigriextra et nm. Hybernie miraaerisſalubritas, Hidropsà viridilacerto confanata Hydrophobosè poto catuli congulo aquam illico ap petere.Hippocratis opinio de balbisdefe&tiua, Hydrargiri minera quomodoreperiatur. Hyppiatriquo studioftellas albas in equorum fu cis confingantHydrophobia rara dicuffion Hydrargirimira natura..Hydrargirum remedium eft advermes. Hydrargirum utilead celidoloremHydrargirumremedium in pofte. Hydrargirum defluuium capillorum facere. Hominis vite longitudinisbreuitatis figna, Homo repertus mira vaftitatis. Hominumcur aliquotfubtilioris,vel graffiorisin. genijfiant. HominesPrincipis vitam imitantur. Horai. Homines inuenti miragracilitatis. Hominis compofitionismirabilia Hominesquomodofiant abfemy. Hominum corpora olim vaftaIbis in degyptofolum moratur, Ignispraſidra admorbos fele &ta. Infantes à quibusnutricibm ladandi. Infantisinumbilicum animaduerfio. Indi ante Hiſpanorum tranfitum variolas baud paffifunt. 88 Infania ex folano fyluatico quomodoemondetur Indus quidam longiffime vite. Infantes eiulareautoladein mammillu,Infantium ruptura ut curentur. Infantesvipreferuentur ab epilepfie. Infantes ànutricibus mores recipere Infantis umbilicum conceptum facere. Inser Lupum eAgnum diſcordia. Inter brafficam,de vitesfympathis. Iumenta clitellariafibilo, cantu á laboribus fubleuari Aminas aris& vitrileo extrahi Lapidisignem redensis compofitio. Lapathiam camas duras,teneruofacit, LacertaapudIndosmira magnitudinis, Lu,fanguisaliquandopluers viſs. Lepusannisdecemviueredicitur. Letargicos à Satureia vigiles fieri. Leonardi vatri departu opinio. Leones Leones aftatttertianampatiuntur. Leporumnonomnes hermaphrodui,Leo timet Gallung. ISO Linteaapud Indos igne depurari, Littera aurei colorisquomodofiant: Lignum èviſco Latum diſcutita Lienem adcorporis turpitudinemvalere Lolium praun inducit ſyptomata.Lolij nocumenta Aceto fanari. Ibid. Lups afpe&tu hominesobmuteſcunt. Irupi pauci reperiuntur,ones autem multa Zapi quomodo ouibusnacere nequeant., Lumaca lapispartum accelerat Ludi in conuinijsfeftiuiquales,Lupi,canes, doFeles ut curentur, Lupi infenio ſerpentesin renibus generant. Lunaconfinusad inferiora, mirabilis. Luegallica canis infeftus Lumbricosquandoquegenerari virulentos MAmirimum vitulum àfulmine non ladi, izg Arisyubri admiranda: Maleficas artesir Septentr. exerceri Mascitius, quàm fæmina animatur,Maritimarumtempestatumprafagia Maculanigre in morbisquid portendant.Mădragoravitibus infundit vim ſoporiferam: Mares in mammillisſapè Lachabent..Marina pallinace radiusad dentiumdelores yti lis. Mommarum sum vtero ſympathisMedicinepraktamsia quanta fit.. Menftrualisfanguinis immanita, Medea an fueritvenefica. Memoriaquo prafidio augeatur.Mercury pojisura in hominūnatiuitatibus, quan tum valeat. Mergorum i anferumproprietas contraHydropho biam.. Mellis vfu vita vtiliffimus. Medicina multaabanimalibus capta. Meſpulilignum ab ab ortu preferuat. Menftrua plerifqsfæminis in fenio. Mirabiles in hominibusproprietates dari. Mithridatesinculpatè venena bibebat. Mithridatis antidotum ad venena. MirafontisinEpgroproprietas, Mille pedum preparatio adcalculos. Mille folium aduulnera conſolidanda. Morborumprauorum natura, Morus planta prudentiffima. Morfusquidam à cane rabidolatrauit. Mors inArthritidequandofuccedat. Mures futurorum praſcj.Muftela cur rutam comedat. Multa prafidia ab animalibus hominesaccepije.Mulierum capilli quomodo in vermes mutentur.zo Monftruofa Dæmonisapparitio. Mulieres pregnantes vt nofcantur. Muftella fanguisadepilepfiam.Mundi creatio.ornatus. Mullus sterilisatem producit. Mulierum pinguedoſuamis.Mutin Mulieresrarò inebriantur.Mulorumgenuspropagare nequit. Mulieresin. Ponto animalibus.nocentes. N: Naturapresidentia in brutis.. Natsuitates.hominum quando ob'eruende Naturaarcanaprovira producenda. Neronis crudelitas quoque pads a nutrice wiginemfumpfit. Nero Tapfiam magnificauit. Nereides, Sirene lepe vifa fust: Niliproprietu admiranda Niues rubentes in Armenie. Nodi in vmbilico infantis quidsotentas Nuxairiftica quomodofiat vigore for O Learum fterilitatis preſagium:olei, vini,fegetumquefterilitatis prefagium. olei balneumproconkulfis laudatum.aleun amigdalarum dulcinm advariolarum veftigia probibendu. olea Minerka ayeteribu dicata: slei cinemaniraracampofis. elina olinarum oleumadunguium pannas. tur. Par Oleum latris colicum affe& um domato Oleum lixiuio miftum albeſcit. Opthalmiaaliquando.folo afpe et u communicar @risulceraquomodofanemtur: Oryalus viſu auriginoſos.sanat.. Orestis cadauer odtocubitorum. fa de corde Cersui.corina uznena.. Oxes capitemouentpluuialmininente. Quesalba ubi nigrefiant. P Arimdi difficultasquandoqueà curto umbi lcoprouenit. Paracelfafalſa opinio dehomunculipartu.Panaritiumqualiter illicofanetur. Parthi, Scytheque quo venenofagittas linjrent.Pestilentitemporeinterprecipua præfidia.neris Aifcatio fummumiudicatur. Papauer agreſte contra pleuritidem, Papauer ſolisfpheraminfequitur,Perfa.aliis coquinas replebant: Pediculicorpora morientium relinquunt Beftem exocculta antipashia oriti. Penna Ibidis ſerpentes-terret, Perniones:quomodo fanentur: Phalangii'ueneniopera. Phrensuci cur fortiſsimifint, Phrenetidem exnigro-corallio quiefcereBhreneticialiquando mirabilia loqui. Pharmacum dare, quando periculofum. Philomenaà vipera deuoratut. Pifa Piſces marinifalubres, japidi, Pifiesfrixiquomodo in venenum tranfeunt. Pici mirandulani ingenium; Picem cum oleo habere colligantiam Piciopinio de fcientiarum varietate Portulæca foment contra lumbricosaPlurimamèterra furfum rapi iterumque deorfumi cumpluuiis precipitarz. Polypodijmira viscontra cancrosa Porricaputquomodo augeri pofsit: Potentia imaginatiua in conceptu mirabilis. Plantafimileseffe&tu fimiles, vinute... Pluvia imminentisprofagia. Plumburglansin coli dolorepraffans. Prognoftica tempestatis pluusoſa. Prafodiam mirabile adcalculos Preſedia admiranda inangina. Pfli, do Marfi ferpentibus amici.Pulchritudo, deformitas afpeétuo quid portono. dat. Pulchritudo corporis quotermino confitna. $. Euella à teneris veneno odusara. Pulſus deficientesanfemper mali, Queen Vanium profit neris puritasin peffe. Wartanarii improuifo rimore fananiky. Mr. Quavia volucrumpennacolorentur. Quartana quomododebellerur.Quibuscorpusflorsfcit,his lien decrefcit. Quo artificio es aduratur. QuorumdamiAnimalium vitalongitado Quorumdamanimalium naturl. Quorumdam homină virtutes, et ornamenta. quo artificio mares ab. uxoribus. [tyfciperevales Quo Artificio duriſsimafaxa frangerevaleamus. Quomodo inurdieriſomasexcitari valeamus. mks. R Aneterreftris oleum aditrumas !Rexbarbarumcidoniatum gravidisfummum medicamentum. Rerum Sympathiam in aliquot brutis Admirabi.lem effe;. Rută inter alexiteria medicaméta cõnumerari, Rores marini virtusmiranda, Ruta mira. vis contra venenum. S jabbarici junijmiraproprietas,Sanguis menftruus quandoque ex oculis velgingi uis excluditur, Salis prunellevirtus,de compofitio. Sartyriam carnofum venerems excitat,flaccidum veroextinguat. Sanguis menstrualisexucis, ſcarabais venenū. Sanguis caninushydrophobis vtilis. Saliua bominisfcorpionesnecat. Scarabei miraproprietas.Scarabai cornuti vis in febre ciendo. Sciffure laborum.usmanuum remed. Scythequomodo diuabfque cibo vivant: Berpentesquibus fufficibusarceantur.Sene&tutisincommodah Sepermusinter mafculos meră retinet virtutã. Serpeniumsona, velgenitura in pornfumptaSerpenting gignunt. Singulis quopatto cohibeatar,Socij Diomedis in volucres conneri. Solis confuxm ad inferiora maximus. Solatripotencia contra parafitos.fomniorsuspreſagia à Deoconcedi. Sodami -Gomorrbi fruétus vari. Solisdefe et us quomodo comprehendatur. Spurij robuftiores legitimis fuus Spe&acula veterum vbi celebratamagis. Spuweis epilepticis non femper filoSpatiuwvil e fecundum Acryptias. Stygis Arcadiemortifera natura. Sirumarummirum remediusa. Strumaper vrisano quandoquepurgalai Sterilituin bomineytdiriwratur SAMIremedium temporepeffu. Succinum parium mulieris accelerare,Syrupus fpinæ infeftorie ad temelusume. SS SwimeisterSidera calidißima. T.sbacci vw apud Iudos. Talpeoleum ad Aruma. Taurifanguis inter VEREBANwerari.Taurilapillu veſice contracalcules. Taum Philoſopbw famen cabiberet. Ferrolenonia contra ventna. Tbagfia mira vis in facillasi. SO Thappa Thapſiaveſsicas, do ademata excitat. Torpedinismira vis in capitis dolores.Trauli,cobalbi,do femilingues unde finns. Tuberum efufrequenti hominescadunt.Aleriane vis contra epilepfiam, V Variola,morbilli affe&tmnoni, Verruce quomodo extirpentur. Verbena vis incapitis doloresi Verbena virtus contra frumas Vermium in corporibus hominumvaria figura 18 periuntur Vermes rubei in cerebro adnati. Verbafci florss Sole aecedente decidunt,Veterum fepulchra mitèconftrudia Veterum ruditasdo, in foribendovarietas. Venaſarustella ſpleneticis auxiliatrix Veterum in nuptiisconfuetudo. Veteresequoram lacrymas admirabantur. Venenumà diſsimili extinguigecontra Vermes incordis.capſula exorti Ventorum mutationes ab Echmo previderi. Vifusacies,inquibus fueritadmiranda. Víres collapſa odoribus reſarciri poffunt. Vitrioli,com fulphurisoleumad vermes. Vipera catellosfuosparit,utnutrit Vipera interſerpentes fola parit animal vinã.ibe Viperamorſus Hellebori nigri radicibusfanan. Vinum pro Afthmate ſele&tum Vito longena quomodo apparemme zur. VinaVina alba quomodo rubra fant, Virginitatismulierum figna. Vitrum quo mododiuidarur. Vinumvenenatumquibus profuerit. Vinum à veteribus feminis interdi et um. Vifcumquercinum epilepticis falutare Vitri puluerem calculus comminuere.Vimivſuselephanticis falutaris.Vlcera formicantia quomodo breui fanentur. Vricornu proprietas, bet cognitio. Volatilium, piſciumquefecunditatispreſagia. Vrtica folia ſalutem, vel mortem informi in lotioprefagiunf. De Medicine praftantia. Edicina decçio demiſla eft: itaMercurius Trifmegiftus apud Aegyptios ſapientiſsi. profectoad fluxilis naturagoltre remedium Deus altiſsimus ho minibus conceſſit; vt fanitatem conſer.uare, &perditam recuperare commodè valeamus. lofa autemà vitæ conftitutotermino, et à morte nequaquam viuen. sia omninoliberare; ſedcorpora à corsuptione, et feftinadiſſolutione præfer uarepotius iudicatur. Amazonescurmammasdextras refecauerint. Mazones illæ, tantum à ſcriptori bus celebratæ,proptereafibi má. mas dextras refecari curabant, vt magis A armis gerendis aptæ fierent;vel potius Demannum, et brachiorum impedire tur motus. Mihi zutem Galeni opinio7. Aphor. 43.ex fententia Hippoc. admo dum placet; qui has mulieres id feciffeaferuit, vt manus dextra robuftior cua detet.Hocautem à ratione alienum mi.nimèeft, quippe nutrimentum,quod in mammam dextram à natura diſtribuidebebat,totum in manum, et brachium immittebatur. Strab. Olearum fterilitatisprefagium. Ergiliarum occultatio, et emerso Sucularum tempeftuofi fideris, fipluuiofam tempeftatémouerit, et vitis, &olei germinationé fuffocabit.Ex haccauſa Democritus olei præuifa caricate, magna vilitate oliuas in toto co tractucoemit, mirantibus, quipaupertatem, do et rinam, et quietem homini oble et a.mento cffeſciebant: at vt apparuit cau. fa, et ingens dinitiarum acceffio,reftituismercedem, contentusleita probaffe, 0. pes fibi in promptu eflc cum vellet. ExFran, luncino in Sphæra. Do&oris Medici, et Philofophi, Hortulus Genialis.DeMedicinepraffantia. Edicina decçio demifla eft: ita Mercurius Triſmegiſtusapud Aegyptios ſapientiſsi musfcriptum reliquit. Hát profecto ad fluxilisnatura noltre remèdium Deus altiſsimus ho minibus conceffit; vt fanitatemconfere uare, et perditam recuperare commodè valeamus. lofa autem à vitæconftituto termino, et à morte nequaquam viuen. sia omnino liberare; fedcorpora à cor ruptionc, &feftina diſſolutionepræfer uarepotius iudicatur.Amazones cur mammasdextras refecauerint. AMiszonesilla, tantum àfcriptori.. masdextras reſccaricurabant,vt magis armis gerendis aptæ fierent; vel potius Demanuum, et brachiorum impedire tur motus.Mihi autem Galeni opinio 7. Aphor.43.exfententia Hippoc. admo. dum placet; qui has mulieres id feciffe aferuit,vt manus dextra robuftior cua deret.Hocautem à ratione alienum mi. nimé eft,quippe nutrimentum, quod in mammam dextram à natura diſtribui debebat,totum inmanum, et brachium immittebatur. Strab. lib.11. Olearum fterilitatis præfagius.Ergiliarum occultatio, et emerGo Sucularum tempeftuofi fideris, fi pluuiofamtempeſtatemouerit, et vitis, et olei germinationé fuffocabit. Ex bas cauſaDemocritusolei præuifa caritate, magna vilitate oliuas in toto co tractacoemit, mirantibus, quipaupertatem, do et rinam, et quietem homini oble et amento effe ſciebant: at vt apparuit cau. $ a, et ingens dinitiarum acceffio, reftituitmercedem, contentusleita probaffe, o pes Sbi in promptu effe cumi vellet. ExFrap, lundino in Sphæra. V O aqua Nili,Nilifluminisproprietas uædam aquæ reperiuntur, quæ fæ. cunditatem proprietatequadam inducere celebrantur: ita eſt quæ ſua vi nitroſa, vt voluit Seneca 3.Natur. quæſt. natura. fæpè vteros per petua fterilitate occluſos aperuit, et conceptumfecit:Vnde mulieres in AE gypto,vtfcripfit Ariſtot.quinos, et qua ternos frequenrerfætus edunt; ratio non alteri tribuitur, quàm Nili aquæ, quæ illis in potufamiliariſlima eſt. De Mundicreatione. N qua Anni parte Müdus à Deo creatusfuiflet,diſcordes interſe ſcriptores funt, vt Hebræi, Iſmaelitæ, Chaldæi,Arabes,Aegyptij,Græci, et Latini.Mula ti enim in Aeftate, nonnulli in vere,alijverò in Autumno conditum fuifle con tendunt. Moyles fuiſſe in Autumno affe.rere videtur, cum in Geneli dicat, Ger minet terra berbam virentem,&facientem emen, Glignum pomifera faciens fru &tung iuxtágenusfuum.ExAegyptijs nonnulli A eſtate creatum afferunt. Inter Latinos CardinalisAliacenfis vere nouo condi tum voluit.Inſuper variant,quia Plane tas aliquotafferunt in mundi principio fuiſſe creatos in fuis domibus: Solem ſci licet inLeone, Lunam in Cancro, Martē in Scorpione, Saturnum in Capricorno, Venerem inLibra,Mercurium in Virgi ne, Iouem in Sagittario. Alij, Planetas volunt, infuis altitudinibus, præter Mercuriú, omnes fuiffe collocatos. Que autem opiniofit verior, D.Thomas 4 fons dif. 2. artic. 8. videnduseft. Murium fagacias.Vres ex ônibus animalbusquo dám do cognofcuntur. Cum enim domus aliquaconſenuit, &ruinam aliquam iamcom minatur, primi ſentiunt; et reli et isfuis cauernis, priſtiniſque fiabitationibus, domum relinquunt, properèfugientes, aliudque domiciliú quærunt. Aelianus de var, hift.lib.z.& Leuisius Lempius dofest. nat. Pluuja Mamodofuturorum præcij effe Pluuioſa tempeftatis Prognoſtics.' Ergiliarum occafus matutinus, lo nubile Coelo accidat, hyené plu. uiofamdenunciat,fi fermo Cælo,alpe ram.Sic Veneris,aut Martis per Pleiades tranfitusaliquot dicbus pluuioſam ciet tempeftarem.Saturnus inſuper cum cor pore, autradijs ad a &turum accedit, i dem minatur.Ex Plinio,óobferuat.Stadi.Agricola non femel tempeftates, et f renitates predicant. Vltos profe et ocognoui pafto res, plerofquc agricolas, quiin prædicédislerenitatibus, et tépeftatib.magnæ mihi erant admirationi, quare tanquamcnriofus fciſcitabar, qua via,&ordinc hęcſcirent?ratus forfan fimpli ces, &idiotas non poflc tantacertitudi. ne futura prænoſcerc;nifi vel Dei mu. nere, vel Demonisa et uidfieret. Exre latu diuerfas ftellarum conftellationes abijs experientia cognitas,no et u, ani. maduerti:quarüobferuatione vera pre M dicunt. Experti enim ſuptPleiades in Autumno, quæ in principio no&is ori. untur cum Marte, velVeneremouere tempeftatem. Aréturum non fine gran dine emergere. Hadorum ortum et oc.cafum tempeftatem pluvioſam in regio. nibus noftris prænunciare; et alia, quæin promptu tales habent, licet alijs no minibus hæc fidera nominent. Quaremirum non eft, priores ftellarum per fcrutatores circa carum prædi& ionesmulta nobis reliquiffe,cum id ſapientia, et obferuatione perfecerint, quod iamidiotæ fine magiftro facere valent. Valeriana miraviscótra epilephan. lerianaſylueftris, quęlpontènal. citur,præter innumeras, quæ ab au et oribus eitribuuntur virtutes, hancia diù, in multis, atque in fe ipfo Fabius Columna inbifter, plant. expertam ape suit,vt ſemel,velbis radicis puluerisco chlearijdimidium cumvino,aqualadte, aut alio quouis decétifucco et proggrosicómcditate, et ætate fumptü,epilep Valeri Ga correptos liberet. Extirpaturante quam caulem edat, et puerisexhibetur, et preſertim infantibus, qui morbohoc facilè laborant. Retulit auctor ſe multis puerulis lac propinafle; multiſ“;amicis donodediffe: qui deinde diuino prius numine glorificato,puluerehuiusplan tæ illis reftitutá fanitatem affirmarunt. Transformationeshominumin beſtia as noneffe reales. Vædá monſtruoſæ hominü tranſ formationes inbeſtias à multis au Storibus fcribuntur; et inter alias, de il la Magafamoſiffima Circe, quæ ſocios Vlysis in deftiasfertur mutaffe: de Ar codibus,qui forte ducti tranſnatabant quoddam ftagnum atq; ibi conuerteba tur in Lupos:de Diomedis ſocijs, qui in voluitres conuerſi ſunt, plurima'addu cunt. Hoc non fabuloſo mendacio,fed hiftorica affirmationemulti confirmat, vt in fpec. natut. Gib. Vincentius Beluacenſis retulit.Aflerunt enim (vt ajtSolinus )velmagiciscantibus, vel her barum veneficio inferas corpora tranſ formari. Dicunt in experimento Neuros populos Aeftatistempore in lupos mu tari, deinde fpatio, quod his attributun eft exacto,inpriſtinam faciem reuerti, Anautem huiuſmodi trasformatiorea. lis ſit velillufivè facta àDemone,D.Au guft.lib. 18. de ciuit. Dei ita nodum enu. cleauit:Quod transformationes homi numinbruta animalia,quæ dicuntur ar te Dæmonum faétę,nonfuerint fecun dum veritatem; fed folum fecundum apparentiam. Quippe opus hoctantum Deieft; vt in Concil, lacro A Acyrano fancitum eft. Demonis aftutia apudIndos. Erba, quam Tabacchum appella mus, apud Occidentales Iodos in magnocratpretio.Cum eniminter hos dere graui agebatur, ad Sacerdotemil. licoaccedebat,quitotuoegotiúexpone bát. Sacerdos auté corá illis fronde, vel furculumTabacchiſumebat, qua carbo. nibus inic et ta, fumum peros, et nares ex.cipiebat, et inftar mortuiin terrá cade bat. Paulo poſt conſumptis fumivirtobus in cerebro, reſponsa, ſed ambigua, prout Dæmones perilluſiones, et fimuJachra fuggefferant, populo dabat;qua tanquam religioſa, et veriſsima cunatirecipiebant. Ita profi eto hominum ini. micus Gentiles decipere confueuerat.Monardes de rebus Indicis. Quid Picusdefcientiarum varietate fentiret. CH *Vmquodam die Ioannes Picus Mi Urandula de fcientiarum varierate diſſereret,inHebrçorú, inquii, Philofo phia, omnia funtveluti quodam numi ne facra, et inmaieftate veritatisabdita Ceu prodigia quædam, et arcana myfte sia. In Græcorumveròdifciplinis, in genium, acumen, et omnigena eruditio apparet, vt nullavnquam gens fuerit, quæ dicendi copia, et ingenij elegancia cam illispoffitconferri.InRomanaved sò Academia, ca ferè omnia, quæad ci. witaté, et vitæmorespertinent, &graui. *, et copiosè funt explicata,ac magni fica ficèdiđa. Sic ve grauitas maximè Roo manis, et imperijmaieftas, Grçcisinge nium,&acumen; Hebræis do et rina fe. cretior, et quaſi diuinitasaſiribi poſsit,Crinitus da honeft. diſcipl. lib.g. Subditos, Principis vitam vtpluri.mumimitari Rincipis vitam fubditi maximopere imitantur. Hinc fa et um eft,vt exPhilofophica vita Marci Imperatoris, magnum virorum doctorum prouentu ærasillatulerit. Solent enim plerumque homines vitam Principis æmulari iux. ta illudPlatonis à Tullio in epift.ad Lé tulum reperitü: Quales fum in RepublicaPrincipes,sales folers effe cines.Quapropter ex bonitate Principis Marci,plurimila philoſophari finxerunr,vt abeo ditarë. tur. Ex Herodiano, et Xiphilino.Rutam allium ferpentibuset werfari. Vtä odor,allija; ferpentibus max exteftimonio Ariſtotelis 9.de.biſtor. animal.c. 6. habemus muſtelam, cumdimicatura eft cum ſerpentibus, rutam comedere. Hac etiam ratione ducti Perfæ(auctoreSimone Sethi ) coquinas allijs replebāt, vt ipfasà ferpentiú contagiotuerentur. Animaliaoriri, et viuere poſſe in ig ne compertum eft. Agnaadmiratione dignum eſt illud, quod ab Ariſt. s.de hiftor. animal adducitur;animalia ſcilicet oriri, et viuere in igne,cum elementum hoc omnia comburat: etnullatenus pu treſcat. In Cypro, inquit, infulaærarijs fornacibusvbi, Calciteslapis ingeftus compluribus diebus crematur,beſtiola in medio igne naſcunturpennatæ,paulo mufcisgrandibus maiores, quæ per igne Saliant, et ambulent.Equidem fià tanto viro hocnon aperiretur; vix credere homincs auderent, cumtotum rationi aduerſetur; fed hæc, et alia maiora à po fentiſlimanatura fieripoſſunt, 10 Lacus Lachs Affhaltitis mirabilis natura. Yommemoratione dignumputo Alphaltitis lacus naturam expo nere.Salfus ille quidem,ac ſterilis eft,fedtanta leuitate, vt etiam, quæ grauiſſima ſunt,in eum iacta fluitent:necquiſquam demergi in profundum ne de induſtria quidemfacilè poſſit.DeniqueVeſpaſia mus, qui eius viſendica uſa illucaccelle sat, iuſfit quoſdam natandiinfcios, vin &is poſt terga manibus, in altum deijci, et euenit omnibus, vttanquam vi fpiri. tus farſum repulfi, deluper Auitarent. Joſepbas lib. 5.debello Iudaicri.9. Piſces marinos falubriores, et fapidi. ores efe fluminumpiſcibus. lices, tum pidiores, tum falubriores ſunt ijs, qui in fuminibus,ftagnis, lacubus, auc riuulis viuunt.Salfedo enim duriorem facit carnem, et fubtiliorisfubftantiæ. Contra in piſcibus, qui ſunt in fiuminibus, &perinde eorú caro excrementitia eſt muccoſa, et infuauis. VndeapudCo. lumellam extat lepidum didū. Philip pus cum ad Numidam hofpitem deueniſlet, et fibi è vicino fluminelupi for moſum appofitúdeguftaffet,ex puiſſetguc dixit: Peream ni piſcem putauerim ! vſque adco à Tyberino,velmarino dif.ferre putauit, vt illum piſcis nomine in. dignum iudicauerit. Mulieris cinnifogant ſerpentes, da in vermesmutantMr. ulierum capilli, quibustantoperegaudent, et pro quorum ſtructu ra in exornandis multum conſumunt te. poris,cremáei,ferpentes abigere vifi sūt: fin autem in aquam inijciantur, in ver mes non diùretenti commutantur. Plurimos homines aqui per tenebras, de per lucem vidiffe.Erum natura opulentiſsima admi ſus aciem,oculoſgue ſplendentes pręſti tit; vtmulti felium more noctu vagari liberè potuerint. Legitur de Alexandro per tenebrasæquè,ac per lucem vidiſſe; viſum adco acerrimum habuit Galenus, quod in lomnis,patefactis repentè pal pebris, magnamante oculos lucer via debat, vtiplede ſefidem facit Hip port. Go Platon, plac.6.4. At mirabilior erat TiberijCeſarisproprietas; qui in tenebris exactè videbat;de qua re adeo admiraturTranquillus, vt id pro mira culo ſcribat. Cibus fapidiſsimus quomodo apparetur.Viſapidissimum cibum habere de liderat, Gallinaceos pullos, qui la &te et panismicis laginati lipt, in menſa procuret, ij profe &to præſtantiſsimumſaporem exhibent, mireque cum palate ineunt gratiam. Andereriam carycis nutritus, tum ad medicinam, tum ad gula faporem eſt optimus, et piçlertim iccur.Vnde non mirum L in Inſula Hiſpa niola apud Indos, porci harundinibus zaccharifaginatitantæ, ſapiditatis, et bonitatis ſint, vt febricitantibus etiamexhibeantur, Gigan eft muccofa, et infuauis.Vndeapud Co. lumellam extat lepidumdi& ú. Philip puis cum ad Numidam hofpitem deuc niſlet, et fibi è vicinoflumine lupi for mo ſum appofitú deguftafſet,exfpuillet guc dixit: Peream nipiſcem putauerim ! vſque,adco à Tyberino,velmarino dif. ferre putauit, vt illumpiſcis nomine in. dignum iudicauerit. Mulieris cinni fogant ferpentes, do invermes mutantur. ulierum capilli,quibustantopere gaudent, et pro quorum ſtructurain exornandis multum confumunt té poris,cremári,ſerpentesabigere vifi sūt:fin autem in aquaminijciantur, in ver. mes non diù retenti commutantur.Plurimos homines aqui per tenebras, acper lucem vidiffe. REErum naturaopulentilsima admi randam fæpiſsimè hominibus vi. ſus aciem,oculoſqueſplendentes pręſti tit; vt multi felium more noctu vagari liberè potuerint.Legitur de Alexandro per tenebras æquè, ac per lucem vidiſſe; viſum adcoacerrimum habuit Galenus, quod in fomnis, patefactis repentè pal pebris,magnamante oculos lucern vi. debat, vtipfe de ſe fidem facit lib. 7.Hip porr.Platon. plac.6. 4. At mirabilior erat Tiberij Ceſaris proprietas; qui intenebris exactè videbat; dequa re adeo admiratur Tranquillus, void pro miraculo fcribat. Cibusſapidiſsimus quomodo apparetur. QlideraGallinaceos,pullos,quila &e et panismicis laginatiſipt, in menſa procuret, ij profe&to præſtantiſsimum ſaporem exhibent, mireque cum palato ineunt gratiam.Anderetiam carycis nu tritus, tum ad medicinam, tumad gulæ faporem eſt optimus,et pięlertim iecur. Vnde non mirum G in Inſula Hiſpa niola apud Indos, porciharundinibus zacchari faginatitantæ, ſapiditatis, et bonitatis ſint, vtfebricitantibus etiam exhibeantur, Gigantes in orbequando fuerint? G. Igantumfoboles paulo ante Dilu (uium apparuit, patet hoc in Geneſi c.6.quando ingreſſiſunt blijDei ad fili as hominum: poſt autem Diluuium aliqui fueruntgigantes,qui tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ (vt inquitAbulenfis c. 3: Deuteronomij) in cibis, et afpectu cæli ad terran habitatamremen humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris, et ftaturæhomines ætas illa produ. ceret; Poftea paulatim deficiente natu, ra,tanquam adfenium múdus ifte decli. nauit, et humana corpora cum viribus minorata funt.Adfacies mulierü rugatas ſelectum præfidium. (N gratiam rugatarum mulierum, et quæmaculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium, turpitudinemque faciei abfconderevalcant, optimum adduca mus præſidium. Alumen tritum, et cum recentis ouialbumine agitatum,ſi dein de ferbuerit in olla,& { patula ligno coti nuomouebitur,in vnguenti ſpiſfitudi nem tranſit. Hoc f biduo, vel triduo faciesmane et vefperi collinitur, non modò emaculari et erugari, verum ſum mepulchram&gratam eam reddi ani maduertent. Maxima eft folis excellentia, do in hecinferiorainfluxus. Am maximè Homerus Solis natura, et excellentiam admirabatur,vt illú Deorú patré,hominūá; vocauerit. Ipfe enimomniú aftrorú Rex eft, et temporacuncta moderatur: annos,menfes, et di os diſtinguit, et efficit; nos fua lucelæti ficamur, et eiuscalore ſanamur. Ipfe vi. rentes herbas, et terræ nafcentia germi.narefacit, et flores redolere. Ipſefruges, producit, fructusmaturat, aerem purificat, lucem affert, tenebraſque repellit, elementa tranſmutat,animalia gignit,gemmaſque pretiofas cum admirandis viribus ex terræ viſceribus mira virtutespitøre facit, Hominųm ipſe, cum ho mine Gigantes in orbequandofuerint? GlucosIgantum foboles paulo ante Dilu (uium apparuit, patet hoc in Genefi c.6.quandoingreſſi funt alij Deiad fili as hominum: poſt autem Diluvium aliquifueruntgigantes, qui tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ (vtinquit Abulenfis 6. 3. Deuteronomy )in cibis, et aſpectu cæliad terranhabitatam femen humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris, et ftaturæhomines ætas illa produ ceret; Poftea paulatim deficiente natu, ra,tanquam adfenium müdus iſte decli. nauit, et humana corpora cum viribus minorata ſunt.Adfacies mulierürugat asſeleétum præfidium. Ngratiam rugatarum mulierum, et quæmaculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium, turpitudinemque faciei abſconderevalcant, optimum adduca mus præſidium. Alumen tritum, et cum recentis ouialbumine agitatum, fi dein de ferbuerit in olla, et ſpacula ligno coti nuomouebitur,in vnguenti fpiffitudi nem tranfit. Hoc ſi biduo, vel triduo faciesmane et vefperi collinitur, non modò emaculæri et erugari, verum ſum mepulchram&gratam eam reddi ani. maduertent. Maxima eft folis excellentia, din hecinferior ainfluxus TO Am maximè Homerus Solis natura, et excellentiamadmirabatur, vtillu Deorú patré, hominúý; vocauerit. Ipſe enim omniú aftrorúRex eft, et tempora cunctamoderatur: annos,menſes, et di es diftinguit, et efficit;nos fua luce læti. ficamur, et eius calore ſanamur. Ipfe vi. rentes herbas, et terrænafcentia germi. nare facit, et flores redolere. Ipſe fruges producit, fructusmaturat, aerem puri ficat, lucem affert, tenebraſque repellit, elementatranſmutat,animalia gignit, gemmaſque pretiofas cum admirandis viribus ex terrævifceribus mira virtute qpicere facit, Hominum ipſe, çum ho minegenerat,&tandem quicquid in ter ra oritur, et occidit, corrumpitur &ge neratur, ineius poteftate eft:fic ait Ari ſtot.z.degener.d corrupt. quod propter acceſsú,&receffum Solis in circulo ob liquo,fiuntgenerationes, &corruptio pes.Hæc, et alia tali lideri Creator om. pium largituseft. Falfißimum eftSalamandramin igne viuere pole. B Ariftotelc, et Aeliano,Salaman dram non modòin igne viuere, verum etiam illum extinguere proditú eſt. His ſuffragaturPlinius lib.io.c. 67. qui tantum alleruit Salamandræ rigore elle,vt ignéglaciei ad inſtar extinguat, Hi autem famigeratiſſimi viri dormi. tarevidentur, cum omnia et comburi, et conſumi ab igne poſle iudicentur, Falſumergo axioma eſt;breuique fpatio animalillud, antequã comburatur, licet rigidiffimúforet, in igne viuere verifia mile eft.Totú hocexperientia innotuit. Narratenim Matthiolusin Dia foridisin agro Tridentino,Veris,& Au. Tumpi tempore,maximamSalamandra rum copiam reperiri, fe autem,vtexpe rimentum caperet eius, quoddeSala mandra vulgo fertur, plurimas in igne conieciſſe, fed eas prorſusexarſifle,bre uique penitus eſſeconſumptas. Sabbaticifluuj admirada proprietas.I Nter Arcas, et Raphandas ciuitates (teſtimonio Iofephi.7.de bel. Iudaico )regni Agrippę, Sabbaticus fluuius repe ritur, ita à leptimo die, quem ludzireligiosè colunt, appellatus. Hic copiofus fluit, nec meatu ſegniseſt,mirabilemg; naturam obtinuit, liquidem interpofitis lex diebusà fonte luodeficit,audumq; et ficcum alueum relinquit. Quod auté mirabilius eft, nullamutatione facta ſeptimo die fimilis exoritur, talemque continuo ordinemobferuare pro certo ab omnibus cognitum eft. Quam fitexitiofumpro lattandisineFantibus vitioſas eligerenutrices. Vtrices pro lactádis puerulis ma lis moribusimbutas, vitiofas, in. B eptas, crudeles vel ſuperbas reijciendas exiſtimo:mites autem, benè moratas, fine vitio, et prudentes cligendas. Pueri enim exijs educati ob acceptum nutri mentum à parentum natura recedunt, et 1 adnutricisvitia, vel prudentiam aliquá inclinationem habent. Indelegitur Ne Pironem crudeliffimum à fuis progenito ribus longè degeneraffe(quamuis praváinclinationem vincerepotuiſſer) ijenim benigniffimi fuerant: ipſe autem à cruedelillima nutrice lactatus, et connutri tus, propriam matrem interfecit. Menſtrualisfanguinismulierum immanitas. Aximum contagium in mulieris i ei F credidit.Refert enimnouellas vites eius pernecari contactu,rutam, et hederam illico mori, apesta etis aluearijs fugere, lina nigrefcere, aciem in cultris tonſor rum hebetari, æsgraue virus et ærugi nem contrahere: equas, li lint grauidæ, ta &tasabortire,multaque alia pernicio famala ex illius contactw fieri tradidit. Sed longeà veritate diftar hic auctor: cuiuslibet enimmulierisfanguinēmen i ftruumvirulentum effe falfamum eſt, quippe in ſana muliere, non differt et Yanguis àfanguine vitiumque illius in i quantitate tantum perliftit,vtbenè Capiuacceusin fua Praxi recenſuit, fecus eft in morboſa muliere, ex menftrualienim iſtius fanguine nõmodopericula, quæà Plinio adducuntur, eueniunt, ve - rumetiam alia. Equidem canes epoto · menſtruo in rabiem vertuntur. Homi nes in heet icā, et phthiſim, fià veneficis, eis in potu tribuitur, deueniunt: Olezecontacte ſterili fcunt. Alia ctiam ex illius virulentia contingunt, quæ reticere melius eſt. Frigidumpotumpoſtpharmacum af fumptum magnæ vtilitatis afue tis fuiſſe. Egrotabat oliin inSicilia Prorex Ioannes à Vega: ſumptoque Phar maco ſegniter purgationemhabebat. Medicusfamiliaris, vtaluum irritaret, juris pulli ſine ſale pararúcyathum co B 2 A ram Principe habebat; illumque nau. ſeantem, et tale brodiumabhor. rentem, vtebiberet exorabat. Super ueniens autem Philippus Ingraſsia,iua ris vice, libram aquæ frigidæ cum vn cia zuccarimediocris albedinis propi.mauit. Erat enim ille frigidæ potioni af fuetus,atqueiecore percalidus. Atfrigi. da cpota, deſtructa eft confeſtim naufea fedatilque nonnullis in oreventriculi morſibus, talem è veftigio purgationé feliciter perfecit, vt gratiasreferre In graffiæ pro tali frigidæ potione,cupiens, argenteum illud vas,in quorepofita fri gida fuerat, pretij aureorum nummo. rum quinquaginta, gratiſsimoanimo donauerit. Ingraff. de.frig.por.poft medic. Verrucas cuiufdam animalculiliquo reperfanari. Eferam quod mihi in Apuliæ quo dam loco, circa verrucasfucceflit. Expetebat à me quidánobilis, qui ma. nusà verrucis nimis deturbatas habebat aliquod pro illisabigendis præſidium. Ego coram nonnullis multa,quæ aliàs RII veriſſimaeflecomprobaueram,illicon it'o fulebam.Inter hosrufticusquidam ino to pináter,feele &tiffimum habere remedia pro ijs penitus dirimendis non rogatus I.faſſus eſt. Sciſcitor quale fit, animalcu Di lum eſſedixit: ad experimentum veni Before mus, ægro confentiente. Ruſticus ani. imalculum inuenit. Hoc'in floribns 1. Eringij, et Cichorez æftiuo tempore ukmoratur,eft coloris calaſsini, cum ma of culis rubeis, et quodammodo aſsimilatur proportionecorporiscantharidiyli y cet paruulum ſit. Acceperat aliquot 12i- fticus, et ſingula in ſingulis verrucis digitis exprexit: exibat liquorquidam, o manus intumuit, et doluit,fed cum mo. derantia: intra tres diesdetumuit, et fana facta eſt, nec verrucę ampliusviſę ſunt. Tauriſanguinem interlethalia vene na connumerari. Nter atrociſsima, et fuffocantia ve nenaTauriſanguinem recenter epo tum connumeramus; congelatur enim 2. in ventriculo,reſpirationemqueimpe s diens, hominem fuffocat. Themiſtocles B 3 Athe Inesta Athenienfistanti veneni tentauit expen rimentum. Hic enim ciuium inuidia à Patriarelegatus,ad Artaxerxem confu git, à quo diues factus eſt.Dum autem in patriamingratiam Artaxerxis pugnare cogeretur,in Dianæ téplo,hauſto Tauri fanguine,vitam cum morte commuta uit.Ex Plutarcbe. Quo artificio duriſsim afaxafrangenre valeamus. Aris ſaxa non alia re frangendag quam larido accenfo retulit Olaus.Hoc equidem rationi conſentaneum efle ducimus, cum pinguehumidum,fax liquecommiftum illud fit, ob id enim flamma potens et acris eſt diùque ma net.Annibal verò dum Alpium rupes, ingreſſurus Italiam, comminuereopta ret, faxapotentiſsimo igne concalefacta; acerrimo aceto humectabat;: ita enim eamolliebãtur,& in fruſta cædebátur, fra ctioniq; facilior erat locus.ex TiroLiuip. De lapidis Asbeſti mirabilivirtutes LAsbeſtos lapis,qué Arabia, et Arcadiaproducit, fi verus et probus fuerit, femel accenſus perpetuam flammam retinerevidetur.ExhocGentilestemplorú cane delabra conficere folebant, clarè animaduertentes fortiſsimam flammam et i * inextinguibilem elucere, quęnecabimabribus,nec tempeſtatibus extingueba tur. D. Auguſtinus lib.21.deCiuit.Deiz.Athenis Veneris Phanum fuiſſe referty in quo de di&to lapide lucernæconſtru Etæfuerant,quæ aliqua intemperie ex tingui minimè poterant. AegyptiReges opera magnifica, &admirane da Antiquitus conftruxiſle. Pera abAegypti Regibus conſtria et a omni admiratione digna ſem per exiſtimaui. Hi porrò Labyrinthoi rum,Pyramidümqueprimifueruntau et tores, et Mauſolea fepulchra, et Obe. Hifcos erexerunt, Ferunt admiffofaci: nore, Pheronem Regem è veftigio vi-, Cum amififfe,decennioquecæcum-fúiſle. Vndecimo autem anno ab vrbe Buci, accepto Oraculo, quod viſum reciperet, fi oculos mulieris, quæ tantum B 4 lui ſui viri amplexibus contentafuiſſet, cum terorumque virorum expers, lotio ab luiſet. Hic ante omnia vxorislotiura tentauit, cum autem nihil cerneret in. finitarum mulierum vrinamexperiri voluit; viſuque recuperato, præter eam (vxorem enim eandem duxit)cuius lo tio vilum accepit, omnes concremauit. 'Abea autem calamitateliberatus, cup alia in alijs templis donaria pofuit, om nia egregia ad memoriędiuturnitatem, tum maximè memorabilia, ac fpe &tacu lo dignain templo Solisgemina faxa, quosobelos vocant à figuraverucēzenam cubitorum longitudinis,octonumlati tudinis. Pelõdor. Virg.ex Herod. lib.z. Cacodamonem malinuncijpræfagiumaliquando attuliffe. Arcus Brutus cumexercitu ex A Gia nocte media et profundadum fplendidum erat lumen, et filentium vndique caftra tenebat, multa fecummemoria recolebat. Cum autem ad fe venire aliquem præſentiret, intentusMarcusBrutus cumexercituex A intentus adintroitum afpiciens,horren dam, et monſtruolam corporis feri et terribilis ſibiaſliſtere imaginem reſpex it.Quis (inquit)interrogans erutus,ho minum, autDeorum es,quid tibi vis? quidad nos veniſti?Murmurans ille,tu. us Ô Brute(dixit)malusgenius ſum, in Philippis me videbis. Tum brufus nihil perterritus, Videbo,reſpondit,cogita. bundusqueaccubuit. Verum Caſsiana cognita clade deinde,cogitationeſque fuas videns, et fpes fallaces ſublapſas re tro referrifinPhilippis fibiipfi mortem coniciuit.Ex Plutarcbo. olei, vini,ſegetumgſterilitatisprafagia. Irij vefpertinus occaſus, fi biduoana teuertat, vel fequaturPlenilunium, fegeti rubiginem,&foreftentibus vre. dinem pronunciat.Procionis occafus veſpertinus,fi interlunio eueniat, flores ti yiti, et oleugerminanti iniuriam ex vredine adfert.Aquilæ verfpertinus ex. ortus, et Ardurioccalus, in Pleniluniú B S incidit, et olei& vivi ſterilitatem, vtrosquetum florente denunciat Ex Iunitino - deris falubritatem advitæproductionanem maximopere videmuscon: ducere.. N Hybernia quaſdam Infulas, ir quia bushomines longiſsimæ vitæ funt, re periri compertum eſt,tanta eft enim ibi: aerisſalubritas,vtvita humanalongiſsi me producatur, Cum autem ad maxia. mamſenectutem homines deueniunt, deficiente pauliſper humido radicali, calorisnaturalis opera, quia anima pro-. pter complexionis bonitatem recedere: nequit,in corpore magni ſuſcitantur dolores: Idcirco illius regionis homie nes poftdiuturnos labores, vitam aber forrétes, longèà propria regione fede portari procurant;præſertimque ad lo. cum minus falubrem, vbifaciliter mon n'antur. Abulenfis inGenef.c.2.6. Anania: in Vnis.Fabrica. Linica.magna proprietatisapud! indosfiering 1 Maximi valoris lintea ex Asbeſti. no lino,& Amiancho lapide contexere Indiani fo !ent. Hæc in ignem; proie et a flammam quidem concipiunt,detrimentumautem nullum recipiunto Cum autem vſu commaculata Indi hæc linteadepurare coguntur, (ſpreto more noſtro )non aqua,non cinere, vel ſmege matevtuntur; fed in ignem proijciunt:: certiſsimoexperimento perdocti ab eo noncóluni modò; ſed potius-exempta. fplendeſcere,nihilqueillis deperire. Ta.. leCarolum V..Imperatorem nonnulli habuiffe ferunt. Mizaldus. Hominibus àgrauivaletudine opa preffis varias hominum figuras appa: rnilleſepißime, expertumoft. Ignum ſpeculatione illud fempers primuntur valetudine ex affe &tocere. bro, an actu Demonis figare diuerſçapa pareant? Quippèno ſemel audiui,non. mullos. Dæmanes,alios veròfæminas. B 6 vidiſſe, vt inter cæteros Alexander ab Alexandro de ſe teſtatur.Cum (inquit) Romæ ægravaletudine oppreffus eſſem iaceremque in lectulo,fpeciemmulieris eleganti formamibiplanè vigilanti ap paruiſſe confiteor, quam cuminfpicerem diù cogitabundus,&tacitus fui, repu tans nunquid ego falfàimagine captus, aliter,atque res eſſetafpicerem,cumque meos ſenſus. vigere, et figuramillam pufquam à me dilabi viderem, quæ nam illa effet interrogaui, quæ tumfubridens et ea quæ acceperat verba reſpondens, quaſi me planè derideret, cumdiù me fuiſſet intuita diſceſlit. Quomodoau hæcfiani in lib. 1. de pita hominis difa fusè enucleamus. Hydropes lethalesmultoties ab occul. tis,abditiſq præfidiisdifparuiſſe. Vltiequidem morbinon àme dicorum remedijs, fed à caufis abditis curati funt.Refert Schenkius l.be3.obferuat. Medicinal, Chriſtophorum quendamin deſperata hyeme, ab hs dropelethali hac via fanatum fuifle. Illi dormienti in Sole aprico lacertus viri.dis occurrit in laxatumque eius finum irrepfit, et toto cotempore, quo dormi.it,per tumentem,nudatumqueventrem oberrauit. Poft horam expergefa et uslacertum in ſinu ſubfultare animaduer tit, quem veluci homini amicum et innoxium dimilit. Huic ab eo tempore hydropicus tumoromnis,citra alia re mediaintra paucosdies ſubſedit, et diſ paruit. Quicafus mirabilis eft: et nonminori admiratione dignus, Bufonis fylueftris, quam fit proprietas. Hoc e nimanimal fi per ventrem fcinditur, et fuper renes hidropici ligatur, aquofita temper vias vrina, quæ in Aſcitelupet abundat,mirabiliter educit.Hoc VVie rusexpertuseft,Napaulli ſecreto rema dio hydropicorum aquas Colubri a quaticilapide ventriapplicato ſenfim abfumunt. Infupervituli marini pelle aquam corpori fuffulam Hermolaus Barbarustolli prodidit.Cæca igitur,& abdita via multos hoc morbo ſanari comperimus. B7Mediana II Medeamà veneficiorum calumniaa Diogene fuilevindicatam., moriæ ſcriptoresmandarunt,Meo. deam illamconcelebratam magicis arti bus, maximam dediffe operam, ijſque latiſsime fúilleinſtructam.Hic.n.apud Srobæum dicebat,Medeam fapientem, non veneficam fuifle,que acceptis mole libus, et effæminatishominum corpo, ribus confirmabat ipfagymnaſijs,acex ercitationibus, et robulta vigentiaque reddebat.Hinc, vtveriſimile eft,faina emanauit, quod illa coquendo carnes hominibus ivuentutemreftitueret, Si. enim ad ea, quæ de ipfa dicuntur, quod nocturnis horis coramLuna proftrata maleficia fuo nudato corpore pararet, refpicimus, vt patet perSeneca in Tras gæd.7.Quod vero alia attinet de quie bus ipſam accuſent, neſcioquomodo. ab infamia eam liberare valeamus. ImPlenilunio vtplurimum furioſos:vehementius infanire Luna dum Soli opponitur, vehementius furiofos infanireobſerua-: mus: tunc enim ex. fuperabundantium humortin copia-cerebrum adcranium vique intumeſcit,eofque ad furiam du.. cit.Hac (vt reor) caufa,furioſos Britan. ni luna quarta decimaverberibus affli., gunt, conſiderantes ſailicetſanguinem, et fpiritum tunc temporis efferuefcere.. Verbera.autem non fineratione ad talie um ſalutem conferre videntur; vt enim larga proſperitas adinſaniam homines, ducere potenseft:ſic dolor, et calamitas, prudentiam inducereconſueuit: quod, fapientiæPrinceps perbellè fignificauit: dum dixit, affli&tionem tribuere intele lectum.Bodinus in tbeat.net, Annicomputumdimē ſuramàquinbufdamnationibus ru diordine fuiffeconstructiuni Noi.certus modusapud felos Argyptiosfemper fuit, eorum enim Sacerdotes ab Abrahamoedocti,& veráanni-menſura, et Solis curſumcogno., frese fcere valuerunt. Apud alias nationesdi ípari numero, parique errore annus no tatus eft:fiquidem Arcades trium men.fium annum faciebát. Lauinij tredecim. Acananes fex.Gręci reliqui .diebus.Romulus annum decem menſibus, qui 304.dicbus conficiebatur ordinauit.Hic åMartio incipiebat,eo quod Marti fuo genitori credito, menſem hunc dicauerat.Numa poft Romulum quinquagin. ta dies computo huic addidit, annum. queconſtituit 354.diebus. At. C.Cæſar Aegyptios imitatus, ad curſum Solis,quidiebus et quadrante conſtituie tur,annum dirigereftuduit. Céſorinus, et Suetonius.Solatri maioris, e Serpent arie mio norispotentiacontraparafitos mirabilis eft.Irabilis profecto Solatri maio. ris, fiue herbæ Bella donna radicis potentiaeft: fi enim contrita, et exiccata vnius ſcrupuli pondere per horas ſex vinoinfunditur,illudque facacolatura uno homini potui datur,vt illecibum guftarenequeat,efficiet. Hoc paraſitis idoneum eft remedium,hi'enim apertoore,tanquãomnia deuoraturi,in menſa cófident;fed hac via pænas luent, quip pèalios vidcbunt comedentes, ipſi ta men inſtar Tantaliin menſa fameſcent. Vndeapud conuiuas ridiculi, et confuſi apparebunt.Sanantur hiconfeftim ace tobibito.Idem facit radix Aron, fiuc -minoris Serpentariæ in acetarijs recenscontrita;qui enim guſtauerit, apparebit Suffocari cibumque relinquet. Sanaturhie allio comefto. Ventorum ortum,occafumque terre Arem Echinuinmira fagacitatehominibuspraſagire. Erreftris Echini, quiautumnalitě. pore in vineis, dumoſilquefpinis verfari præcipuè conſueuit, in ortu oc cafuque ventorum præfagiendo miral'eft fagacitas.Horum porrò latibula du obusconftru &ta foraminibus, quorumalterum Boream, alterum verò Auftrú reſpiciat,conſtructa reperiuntur. Pre fentientesautem Boream Auſtrum,ali umve ventum fufHaturum, longè abe orum ortu, vnum velalterum cauernæ meatum obturant; ventorum enim cog nitio-ijs innata eft, vtabipſisſe tueri va Jeant.Hoc ordine Venatores Echinorú Jatibula, eorumque fagacitatemcond derantes, nulla ſtellarum obferuatione habita, fed folum ex cauernarummea. tibus clauſis,velapertisVentorú indagia nem cófequentur. Ex Plutarcho inDialog. Animi pudorem, timoremque hu. manorumcorporum diuerfimoda faciemalterare. agna inter animi pudorem, et ti morem cum vtrumque fit triſti. riæfoboles, videturdiſparitas:quippe in pudorehomines facie rubefcunt,timen tesverò pallefcunt. Natura(vt inquit Macrobius 7. Saturn. ), cum quid ei oc currithoneſto pudore dignum, imum petendo penetrat ſanguinem,quo conto motodiffuſoque cutis tingitur,rubora; saluitur, Thelelius auté (vt ex Taſſonecitatur M citatur) faciem inpudore,voluit affe &iū recipere, et proinde erubeſcere. Hocà rationealienum haud eft, fiquidem vo lunt Philoſophi naturam pudoretacta, fanguinem,inftarvelamenti ante fe ten dere.Experientia infuperhoc docet, e rubeſcentes enimmanum fibi ante faci. em frequenter opponunt. At timentes palleſcunt,quianatura cũ quid extrinſe. teoccurrens metuit, in profundum de. mergitur: ita&noscum timemus,late bras quærimus, et loca occulta, Natura itaquedefcendens,vt lateat,fanguinem fecum trahit, quo demerſo dilutior cuti. humorremanet,pallorqueſuccedit. Animaliaex putrigenita materit inmundi primordiominimè fuiffe. Væ ex putri materia generantur, ſex animalium genera communi terexiſtunt. Quædam enim, vt bibio nes, quæ ſunt minutifsima animalia,ex viniexhalationibus fiunt,vt papiliones ex aqua.Quædã ex humorú corruptio pibusproueniunt: vt vermes in fter core,velciſternis. Quædam ex cadaue ribus, vtapes ex iumentis:crabrones,fi ue muſcægrandes,quæ volando ſonant. Scarabæi liuemufcæ virides ex equis, vel canibus mortuis: fcorpius de caucti mortuicarnibus:ſerpens de medulla ſpi næ humanæ. Quædam ex lignorum pu tredine, vtteredines, qui lunt vermek intra ligna, quando non abſcinduntur tempore debito,exorti. Quædam ex fructuum corruptione, vt girguliones ex fabis. Quædam exherbarum corrup tela, vttinex.Hçc autem in mundiprin cipio immediatè à Deocreata fuiſſe, nulla ratio confiteri cogit,cum ipſa na turaliter ex corruptioneprocedant;poſt autem mundi exordium huiuſmodi ex corruptelis generationeseueniſſe verili mile eft;Deus tamen feminarias cauſas horum materijs indidit,fine quibusori. ri non potuiſſent.Abulenfis in Genefi 6.2. Defygis Arcadiamortifera natura, Alexandrimorte. CircaGerialis. ferunt, ille, CircaNonacrinin Arcadia,fons quidá teperitur èpetraexoriés, quęStyx ab in colis appellatur, tantæ mortiferæ natu rę, vt ſummaceleritate corrúpat corpo ra. Equidemprotinus hauſta (Seneca teſtimonio 3quaft.natur.)induratur,in Itarque gypſi ſub humore conftringitur, et ligatviſcera.Quia autem, nec odore, nec fapore notabilis eft,fæpè fallit, nec eaepota,amplius remedio locus eft.Fe runt nonære,non ferro, non teſta aquíhuiuſmodi continere,necaliter quam in equi vngula ferri poſſe. Huius vemenipotu,magnumAlexandrum in Babylo. nia fuiſſeextin et um multi ſcriptoresremedico,ob aquę feritatem in media po tione repentè veluti telo confixusingemuit; elatuſque (vt ait Iuſtinus) è conui yio ſemianimis, tanto dolorecruciatus eft,vt ferrum in remedia poſceret, et è tałtu hominum velut vulnereindole. fceret. Achores tineafque capitis,ex bufonis oleofeliciter fanari. Dum46 prope Luceriam Apuliæ ſemel me dicinam faceren, ibi quendam achoribus,tineiſque per multos annos turpi. ter affe et um,cui varia fuerantapplicata temedia,omnia tamen inutiliter, prop termorbi reſiſtentiam repperi.Tande noſtro conſilio hicele &tè ex pharmaco purgatus, folum linimento exoleo in quo ad exactam co &tionem Bufo fue Rana terreſtris ebullierat,optime cura tus eft, quippe fimplici hoc remedio per paucosdies in capitevtens,fanus, et capillatus fa et us eſt; durante autem lini mentopiliersortui,vulſellis à chirurgo extirpabantur. De Cerui lachryma, eiuſque inciendo fudore potentia. Antæ creditur elle efficaciæ Cerui lachryma inTudoreciendo, vt' li grana quinque vel ſex potui dětur, totü corpus fere foluiiudicemus.De hac lo quens.Abinzoar lib. I.tra &. 13.6.6. le tria grana Azirfilio Regij magiſtri equitum in lacte, vel aqua cucurbitæ, vel.roſatæexhibuiſle:retulit,illumque à virulento ictero liberaffe.Hæcautem in Ceruisante ceptelmum annum (teſti monio Scaligeri)nulla eft,temporis au tem proceſſugeneratur, et in iuglandis molemaccreſcit.Dicitur magnam habe read venenumefficaciam, vt in Afia fe Hiciſsimo fucceflu fæpè experiuntur. Vires infirmorumcollapſas, odoribus refarciripoffe. Nfirmorum deperditas vires non potionibusmodò, verum atqueodo, ribus reftaurari pofſe obſesuatum eft. Aiunt enimDemocritú in dies aliquot, amicorumgratia pomi odore vitam fic bi prorogalle.Hinc multi panem cali dum vino odorifero immerfum nari busadmouentægrorum, quema tem. poribus, et coſtis cataplafmatis more imponimus,vtique vires egrigiereſti tuimus. ConciliatorApponenſis mori. búdá vitá, ex croco, et caſtoreocótuſis, vinoq; cómiſtis producere fecófueuifle tefta. teftatur,ſenibuſque eam compofitioné exhibuiſſe,nullatenus olfa et u magis quam potu profuiſſe. Ferreriuslib.2.Me thod. De olei Balnei mirifica inmorbis præftantia. O Lei Balneum, vt Herodotus anti quiſsimusmedicus prodidit,quià diuturnis affliguntur febribus, à laſsitu dine, vel neruoſarum partiumdolori bus oppreſsis, conuulfis, et vrinæ, fup preſsis laudatiſsimum, acſalutare efic remedium experimur. Vidit huius pre ſidij experientiam Heurniusin quoda extenuato, ac ferè exhauſto, dumeflet Patauij:illum enim validiſsimaoccupa uerat conuulfio, at tepidi olei pleno vafe immerſus,ac fotus fanuseuafit.Inlib.no ftro de Hydron.nat. Adam et fuos contemporaneos, perfc.etiſsimamrerumnaturalium ha buiffe cognitionem. Nter aliasrationes, quasAbulenſis in Genef.in c.f.de longiſsima vitæ pri. morum parentum,quiannum ferèmila Jeſimum ateingebant,retulit,hácaddux it;quod'Adam'rerum naturalium perfeEtamà Deo cognitionem habuit.Intele lexit enimfru et uum, herbarum, lapidú,lignorum, animalium, mineraliumque virtutes, et do&rinam, quibus vita hvmana diutius conſeruari poterat; quæ omnia contemporaneos,(vt ipfi etiam vitamproducerent longiſsimèJedocuit. Hæc autem cognitio, et ex diluuio, et gérium diuifioneperdita eft. Reperiun turtamenin præfentiarum multa mira bilia,naturęqueſecretiſsima apud ſapi entes, à temporuminiuria foslitan vin dicata; quæaliquando hominesvidentes aut audientes, tanquam lupernaturalia operaadmirantur Rutaminter alexiteria medicamenta connumerari: Nteralexipharmacapræſidia, Rutam minimęconditionis haud efſc perhia bent,fiquidem ieiunoftomacho come fta multos à veneņiviçulentia liberaſſe C. degi legitur. Dehac Athenæus in 3.Deipn.la. quens,Archelaum Ponti Regem fuos populos veneno interimete confue uifie fcribit,illos autem à quibufdam edo &tos, ob id antequam è domibus ea grederentur, quotidieRutamcdere fo litos à Tyrannicrudelitate.le.defendiffe. Solaſuſpenſione,capitiscruciatus verbenam mitigare. Trabilis eft Verbenæ proprietas M.in dolorecapitis mitigando; 'fi quidem à Petro Foreſto traditur hoc folo præſidioquendam fuifle perſana tum.Ille netlis remedijs, quamuis opti mis curaripotuerat,non venæ ſectione, non ſcrupis digerentibus, neque steco &tispilulis, cucurbitulis, nec alijs topic cis auxilijs. Cum autem nulla iuuarentsemedia,ad collum Verbenaviridisafe penſa eſt, et fanus fa et useft,lib.9.ebſer.3. Detkapſie virtute in fugillatis faci nandis, Neronisquecalle.ditate. Nero Imperator in ſui Imperij ex 36 ordio Thapfiam, eiuſque excellé totiam magnificauit; Ille quidem dumno. et u incederet incognitus, et in multosimpetus faceret,nå ſemel facies fugitla Do ta,cutifq;livida,piftula; ab illisfuerat. L. Confeftim hic,ex Thapfia,thure, et cem ra commiſta,linimentoljuentem vifum collinibat,quopræſidio antelucem à fe daſugillationeliberabatur; dum autem die in populiconſpectu, faciem fanamoftenderet,facinoris ſui famam, et igno. miniam occultabat. Ex Durante in Her.25 g. barie. I je obſtétricibus animaduerfio. præcidendo diligentia adhibendaeft;quippefi ni mium curtè vmbilicus religatur,ætatis progreſſu pariédiconatumreftringere, imminenti vitę periculo,poteſt. Ex M46 mbia Cornace. Dearboris ficusmirabili natura. I coctu faciles habere deſideramus, in arboreficus eas ſuſpendemus, ita votum noftrum procul dubio aſſeque mur: credoforſitan ob acutum, et incil: uú odorem, quem arbor Ipirat id cauſari;velforſitan occulta cæcaque proprie tate.At quod mirabiliusin huius arbo.ris natura eft, Taurum indomitum, fe rumque in eodem alligatum manfuef ceretradunt. Neſcio autem annaturali viapropter-odorem,an aliqua antipa thia, quæ inter talia exiftat hoc eueniat.Audiui tamenà multis vtrumqueexpe rientia fuille confirmatum. Quomodoà vitrioloarislaminas.ex. trahere valeamus. Lui momenti illa cognitio, quomodo àvitrioloæris lamellę extrahantur,ape riam modum, qua facilitate id affequivaleamus.Bulliatur Romanumvitrio. lum in olla cú aquafontis: in eaque cha lybislamina per horæ quaternionem demergatur: extrahito demum chaly bem, ipſumenimlamellis æris inftar suginis colligatum habebis, quęculcro radende fút, vtalias chalybem immera. gere pofsisznouaſquelamellas extrahe.. re. fiquidemtamdiù corradi poterunt, quouſq; Vätrioli portio in aqua fuerit. Arrigat auresingeniofus; quia ex hoc: minimo principio multa, precipuèinre: medica, yriliaaſſequetur. oléum vitrioli,&fulphuris rostris: lumbricos plurimumvalere.NITlfi magnis experimentis præſtana tiſsimum remedium ad puerors ilumbricoscomprobalſem,haud audia. rem hic inter arcana ſele &tà fórerepezia nendum confiteri: quippe tanta eft eiuss virtus,& potentia, vtmortuos ferè pur erosè vermibus ad vitam trahat. Hic: induſtria paratur,In librisſingulis aque fontis oleifulphuris, vel vitrioli chimi.. cè extractorum,aliquotguttulaadden dæ funt,ita vt aqua acidula frat, quæ pu eris,natuquemaioribus danda eft diù noctuque ad placitum,.e et enim præſtaa tiſsimævirtutis 0 T! 10 Da De Caraba mirabili virtute invuula cafum,Amygdalaruamque tu.mores ArtinusRulandusvirin chimicis M celeberrimus in Amygdalarum inflāmatiene,et tumore, vuulæquecaſu ex humoribus à capite fluentibus exci tatis ſola Carabâmirabiliaparauit-Prie mo fuffimétum cófuebat,hoc modo ex. ceptü.AccipiebatCarabæ albiff. drach. 7.qua redacta in puluerem craſsiorem, et carbonibusimpofita,fumus per infa dibulum,ore excipiebatur ab ægro mar. ne,meridie, et veſperi,multa vtilitate, Accipiebatetiam fermenti veteris vnc.. et quam moreemplaftrilinteolo indu cebat, afperfoque Carabæ albæ pul uere vertici imponebat per diem,pernoctem vero fequétem recens applica bat. Quibus paucis remedijs, &ex fola:quaſi Carabayquam plurimos à fauci um tumoribus, vuulæque cafu,Amyg dalarumqueinflámationibus oppreſlos perſanauit. Ex eiusCurationibus. Spina HorTvivsGENIALIS Spine infeftoriæ Baccas" ad. Tenaf mumexfalfapituitaexpertiſsimum verumque ad illum exiftere remedium. St mihi remedium proTenafmodo quadam fortafle mille kominum, qui endemiali fere morbo hic ſugebantper fanafle quam citiſsime. Syrupum ex Baccis fpinæ ceruinæ, fiue infectorice:Aromatario parariiufferam. Hæinfine: O et obris, cum bene maturuerint, collieguntur, exprefloque fucco cum melle vel Zuccaro ad formamfyrupi ducitur:additurque in fine maſticis, velzinzibes sis, anih, vel cinamomiad drach.j.vet?in maiori dofi, fi libuerit.Datur hic fy rup.ab vnce vſque ad duas cumpaucovino dilutus,abitemijs datur cum aqua cinamomi:epoto, cibatur eger,parceta men,et ieiuno ftomacho, præcipiturque ne dormiat.Equidem vna die fanaturę ger,foluitur enim aluus,abfque mole tia, et excretis féroſis.viſcidilg; humorib.Tolo hoc preſidio integrè liberatur C Ariet mo Arietis linguam futurum in ouibusmilanitium, commonftrare.. M Irantur multi Virgilium in 3.. nere, vt linguampaftores conſpicere debeant, deſinant autem admirari, cau ſam enim adducimus exPlinio, quipro pterea Arietum ora introſpici à pafto ribus voluit, quia cuiuscoloris ijlin guam habuerint, tále in fætibus gene randis forelanitium. Audiuià multis, hocyeriſsimum reperiri. Ouis enim e. tam cum vterum gerit, fi linguamhabueritnigram nigrum pariet agnum, fi albam album, et fic de aliis coloribus.Ridiculüm eft quod fertur; Bafilifcum àGalliouoexclwdi.. On modo à plebeiisverum atq;: à nonnullis ftudiofis, Bafilifcum: abouo galli veteris connaſciperhibe tur. Fingunthi ex aliquorum fcriptorú teſtimonio, quos eriam egoperlegia: Gallo decrepito, quiſeptimum, aut no.. olm, vel ad fummum decimumquar.. Na tum annum agat, ex putrefacto ſemine, aut humorum illuuie altiuotempore, ouum conflári, ex quo ab eodemfoto (vt à Gallinis alia fouentur oua )Bafi... liſcusoriatur.Sed hoc animal nemo vio dit,habitat enim (auctóre Plinio) in Aphricæ folitudinibus: proinde hæc creo dere difficile eſt. Inſuper ſi hancfpecie em mafculinam poſſe fætare conceſſum. eflet, contingeret etiam inalijs,quod minimèobſeruamus. Mihi aliquotoua: in experimentum à mulierculis allatafünt, dicentibusGallum peperiſſe: erát oblonga,& in caudam ſerpentis quibuſdá nodulis terminabátur:at hæc à Gallie nisex plurium ouorum minutorů colligatura (cu kuperfætatione,non autem a Gallis fieri dixi. Homines ex impromiſoLupi afpects: veluti mutosdo; attonitos fieri. Vlgatiſsimum illud eft,hominesex improuiſo Lupi aſpectuadeo mutos et attonitos fieri,vt nec fari, necvociferari valeant. A Lupiquadá prietate id fieri aſlerunt, contenderse tesLupum,fiprior obuium quempiam conſpexeritillico vocem adimere, can demque illumluere pænarn,ſiab homis ne prius videatur. Ad hænugæ ſuot.Si quidem exterribilişimprouiloqueLu.. pi aſpe &tu,homines terreri, timotequeconcutiqveriſimile eft: ex timore autem: valido mébra frigefieri ex raptu ad interiora fpirituum,inde corporis, et ar.. tuum fieri impedimentu, vociſque priuationem mirum non eft.Alijalia fin gunt, mihi autem hęc omnia ad folum timorem,tanquamadcaufam proporti Onatam reducere viſum eſt.. Multa facinoraàMagisanicalisperpetrari pole. Etulit Leonardus Vairus lib.1.de: Faſcino multas hac noftratempe fate exiſtere aniculas, quarum impurie tate, nonpaucos effaſcinari puerosillofa quenonmodoin grauiſsimum incidere diſcrimen,verum etiam acerbam fæpiſefimè ſubire mortem. Pecudes inſuper: partuqalacte priuari,equospacreſcene RFalcin Cquote et emorislegetes abſque fructu colligi, arbores arefcere;acdenique omnia per ſum ire quandoque videri, AFucovulnera illata,Muſcis contritisbreuifpatio perſanari.. " Vm quadam die apud amicos alie, quotcómorarer,& læti in měla de more varia confabularemur; ecce vous ex ijs inſuperiori labro à Fuco animali vulneratur,quo morſu ſtatim intumuit vulnus,cummaximo patientis dolore, Amici in riſum ſoli, patientismedelamminimeprocurabant.Ego quidem alias morfus hos curafle recordabar; quareconfeftim, vt nonnullas muſcas feruus meus caperet, iulli, quas contritas, dumfupermorfū impofuiſset,breuidolorie datuseſt;.tumorq, cúmaximapatientislætitia;aliorúg, admiratione detumuit, Quafacilitate vlcera formicantia dancacoëthica fanarivaleant. Vidam amicus meus, cumir Hya pochondrijs,viceraformicátia,pra maque, quæ à nonnullis vermes dicun Q tur,paffus eſſet, ſauitatcm,poftmultat do et ifsimismedicis tētạta remedia, ac. quirere non potuit:ylcera enim licet fac parividerentur;renouationem tamen continuo recipiebanta,Vltimò poftan.. nos,&menfes in empiricum chirurgum incidit:quipaucorum dierum ſpatioita hominemperſänauit. Abluebat primo vlcera albo vino,tum ex - patellis -mari-. nispuluerem, fiue cinerem Ex Corici bus (exemptis interioribus) couſperge-.bat,vltimoherba marina vlcera coope riebat; faſciaque premebat, femel in diehoc vſus remedio vigintidierum fpatio, ægerconualuit. Procurauit arcanum a..micus, et mihi fideliter communicauit, Fallſsimumeft, quod fertur Viperă ocoitu mafculumoccidere, ipfamque asfuis.catultsinpartunecarie LAG Grauiſsimisau et oribusaffirma, mine) maſculi caput'abſcindere (ille.n.. infæminæ os caputinferit ) et fic củoca. sidere, ſed poenam täti facti illam luere. ſiquia fiquidemViperinicaruliconcepti, gra-. Jiores facti vifceramatris cofrodunt,e am queoccidunt. Sic voluit Plinius lib. 10.&Nicander in Thoriacis, quare Vipe.ram aiunt diciab co, quod vi pereat,aut vipariat.vtrumque autem falfifsimumeffe, et experientia, et grauiſsimorum e. tiam ſcriptorum auctoritate cognitumeſt.Apollonius apud Philoftratum Vi... peram aliquando viſam fuiffe catulosſuos; quos peperiſſet lambere, et expolire aſſeruit. Bodinus in nat.theatr. inGallia,ad Clapum Pictauorú flumen, vbi Viperæfrequentiores ſunt, vtriuſq. fexusviperas lagenis vitreis inclufas fu iffe reculit; illafque peperife, et concepiſle vtroq; parente fuperſtite, Matthi olurs ex. Obferuatione FerdinandiImperati Neapol.Pharmacopolæ Viperam parere catulos ſuos, et non occidiafts-,ruit;catuloſque-non viſcera matris,led membranas quibns incladuntur diſrúapere. Quarerectiusſentimus,fi Vipera non à viparere,vel perire dicimus,fed quafit quaſ Viuiparam, quod non oua, vtcæ.. teriſerpentes, ſed viuum animal pariat. Iraulos, balbos, et femilingues fieri obnimiam cerebri bumiditatem, VA communiseft fententia ab experientiaalienumreperitur. Rauli, et Balbi non ob cerebri hus midam intemperiemfiunt, vt ferè omnes autumant; inueniuntur enim hi' modo calidi,modofrigidi,modo humi di,vel ficci, vt et reliqui, qui nec Traus li,nec Balbifunt;imò et hi modo (putis " abundant; modo ijs carent:quare non obbumiditatem nimiam cerebri buiure modi Traulos-& Balbos fieri, fed obtvarietatem mearuum, in intrimentis; pertinentibusad locutionem exiftenti um,docuit experientia.Porrò Trauli, qui literam R.exprimere nequcunt, in mediapalatiregione, vbi quartum eſt osfuperiorismaxilta, duo inueniuntur foramina,quæ nullo modo adeo aperta et obuia sút, vt ijs, qui optime loquútur, Balbisveròiuxta dentes maioraobſer. samus foramina,per quæ ſtillans pituita,linguamque irrigans in parte illa an. teriori,bleſam locutionem facit;; vndebleſi, et ſemilingues fiunt: quod fi hæc non eflent haud balbutarent, licet àca pite copiofa defcéderet pituita, vtmul tis contingit, quiex hac tamné balbinon fiunt.Quare fententiaHippocratis 2.A phor.32.malè verificatur, cum afferit,balbos ob frigidam, humidamque ca pitis intemperiem fluxu tentari: Auxio. enimtalis et Balbis, et non Balbis fuc cedit: concurrit tamen hæc fluxio, vt caufaremota, qua aliquando cum pro zima,dicitur affe &tum facere poffe, fi.iunctatuerit:: fola autem facere nequit. vemale Hippocrates,& alijopinatiſunt ExSanctorio Sander.de pit.en.lib.3. Morbosperniciofos; velmortem, vebaffectus longitudineminducere. Jana ciuitate, et in circum vicinis propèNeapolim perniciofifsimi orto funtmorbi,vbiſectis aliquibus corpo, tibus, eorumVentriculus bilis copiaz, vitellinæ plenus inuentuseft, eiuſque: tunicæ, et inteſtinaeodem colore per tincta viſa ſunt. Meatusqui ad fellis; chiftim protendit, abhumoribuscraf fis, viſcoſis, et tenacibus obftru et us ea. rat. Fellis veſicadiſſecta, bilis flaua haud inuenta eſt; fed eius vice atra, et inſtar atramentinigerrima.Hepar quo ad externam partem album erat, in in terna autem nigrum,&atrum, veluti carbo accenſus, et extindus. Langueno tes,in febrium initio,vomitu,&nauſea, moleftabantur. Eorum lotia craſla icte. rica, et fubrubra ſempererant. Omnes. ferè erant icterici, et longo tempore,ſi: quieuadebant,indigebant, vt fanitatem acquirerent, Ex -Io. Bapt:Cauallario deMorebo Nolano, ſeu demorbo epidemiali Lupicur paucireperiantur, ouess autem multaTidetur quafi abftrufum illud quxar, aucs autem multæ?'profecto in partu plureslupaedit catulos,quamouis,quæ vnicum, vt plurimum parit; Inſuper o. ues, et agniin hominú alimoniam con tinuo occiduntur; luporum autem caro eſui apta nonprobatur; nihilominus Q. ues-agni, et arietes ſemper in maioriny meroreperiuntur, quă lupi.Huius cau fa, prima eft Dei bonitas, qui tam imma neanimal in eius ſpecie excrefcere non permittit, in facra enim Gen. c. 7.Noe, vtex omnibus animantibusnūdis fepa, tena, et feptenamaſculum, et foeminam inarcam tolleret monituseft:ex immu dis vero duo, et duomaſculum, et foe minam.Secunda cauſa luporum eft faga citas, et in propriam ſpeciemimmanitas. Hi enim;cumrationesviuedi deficiunt, ob cibi inopiam in multo numero con ueniunt:atque incirculo vnus poft aliú currit;vt apud vulgum á villicisparatur ludus,diciturqueŘotalupo;primusau tem,qui viribus deſtirutus, currere ne. quit &in terramcadit,fit aliorum cibus, renouaturque ludus ad omnium faturi taté.Hæceſt poitísimaratiohuius ſpeci Vhelin ei decremen i, alius enim comedit alii um. Ex Aeliano vtreor, Antimonij in vitrum reductio, eiuſ quevires in medicina. 7ltri ſtibium,quodin longis, et dif ficilibus morbis propinatur, in e. pilepfia fcilicet,melarcholia,podagra,elephanticis, reſolutione, in febribus quotidianis,tertianis, et quartanis,peſtifentia correptis, venenatis, hydropicis, tæphaleis, ictericis, et fimilibus;robu ſtis tamen corporibus, ita præparatur. Stibiū, quod ex auri fodiniscolligitur, in puluerem tenuiflimum contunditur, teriturq; et fupra ignem in fi&tilio, rude ferrea,aut cochleari continuo agitando vritur, vſquedum omnishumor, ac fu mus euaneſcat, quod in ſex,aut octo ho rarum fpatioexpeditur:deinde calx có teritur, carilloque impoſita,in fornacē intercandentes carbones collocatur, et igne luculentiſsimo vrgetur,dū liqueſ. catpicisiftar, poftea ſuper marnorfun ditur,atq; fic ex Stibij vncirs duodecim,vitri ipfius hyacinthi modo pellucidi, wacja M vncias quinque coliges.Andernacus Co ment-z.Dialog.7.de nou. vet.med. Solo Metronchita auxiliomulieres offepragnantes (omiſsis ceterisindio cys)experimur. Vlta apudfcriptores, quibusin primis menfibus mulieré præge nantem comprehenderevaleamus, inu. dicia reperiuntur.Dienntmulti,lorij tab. fpe &tione grauidasnofci;fillud album, clarumque fuerit,in eoque atomi afcen dentes, et defcendentesapparuerint.Alt ex ſuppreſsis menſibus,deie &to appeti. tu,vomitu, et nauſea anteprandiumid conſequuntur.Nonnulliex la et te in.ma millis,ex arterijs gulæ fiplus iuſto pul fant,ex lentiginibus,fi in mulieris facie oriútur,ex tumefa et ismámillis, et a ful co earú capitú colore pregnátes venatur. Cæteri tú ex his,tú ex pódese circa pe dé,ex: vmbilici egreſſu, ſiin dies fit ma ior, ex tumefa&tis venis, quæ vidétur in nariú angulis iuxta lachrimalia. Obftetrices.digitisexperiútur an vteriorificiáfue-fat claufum, vel apertum, exclaufo te nim grauidationem patefaciunt. Non défunt alij, qui HippocratisAphorifs mis confiſi hydromel, et fuffumigia e x periuntur,epoto enimhydromelle poſt cenam, fi tormina fequentur arguunt prægnantem eſſe mulierem.-Siiliafuf fumigio acuta per pudenda vfa fuerit, fiadnaresodores non perueniunt ', indicant vtero eſſe gerentem.Hæc autem figna, quia pathognomica non funt ve lútifutilia reijcimus,& tanquam abſurdaad meros Empiricos committimus. Nonenimex lótij afpe et u vere mulie rem efle prægnantem diuinare poſlumus,nam meatusvrinarius cum vtero: nihilcommunehabet, lotijque claritasy; albedo,&bulloſa granula in eo,poflunt morbosetiam ſignificare, vtin cachochimo corporeſæpius obſeruamus; hoc itaque indicium prægnantium verum non eſt:Nonexmenſibusſuppreſsis,nó ex vomita, &nauſea, ſiue appetitus de iectione hocconſequimur: quia affc et i oneshęc ex multiscaufis, in m ulieribus, quæ pregnantesnon funt, affe &tiones e uenirepoffunt. Non ex lacte in mam millis; quiaid etiá virgines habere pof Lunt,vt voluit Hippocr. Inſuper inult mulieresinprimis menfibuslacinon ha bent: lacergo non eſt grauidationis ved irum indiciumPulſatio arteriarum gule, ſolito crebrior conceptum peculiariter haudarguit,quia ex retentismenfibus, {plenis et ventris tumore et ex pituita in -pe&tore colle &ta etiam fieri poteft.Len tigenes non in foloconceptuapparent,:: quippeſignumihoc, neque omnibus,nes queſemper competit, et innonprægnā. tibusetiamifta fiunt.Mammillæ tumes fa &tæ,earumque capitumfuſcus color, communiafignafunt &retentis menfi bus,&prægnantibus.Pondus circa pe et en,non in grauidismodò fed, in rete tismenfibus, in mola, et veficæ calculo obſeruatur, Ymbilici egreffusex mul 6 tiscaufis præter naturam fieripoteſt,nó ergo peculiare grauidarú indicium eft,Yenæ tumefadęin nariú angulis iuxta lachrimalia, non in grauidis.modo ap 7 parent,fed in quolibet abdomin's et fplenis tumore, et in occlulis menfi bus. Obſtetricesanatomiæ ignaræ de queunt intimum Vteri orificium tangesc,licetmanibuscontractent,illud enim valdeà labijs matricis diftás eft,ipfe auté externá Vteri tantummodo orifici um tractare poffunt, quod femper, et grauidis,et non grauidis apertum ma net, experimentum Hippocratisde hy dromelle, et acutoluftumigio non æter næveritatis eft, vtGalenus et Auicenna comprobarunt. Hisitaque indicijs vere conceptum explorari non pofle expla natumeft.cognoſcimustamen ſigno e uidenti et infallibili indicio prægnan tes mulieresinprimismenfibusMitren chitæ fue Specilli, quo liquores in Vte ruminijciuntur,auxilio.hoc apud vete. resin magno vſu erat. Profecto;li illius inforamen Vteriexternum apicemin. mittimus, quod fumma cum dexterita te finiftræmanusdigito indice inuenie. mus non enim quilibet inexpertus in yenirefciet,eft ſiquidem externum V. çeri foramé in vuluæ apice particula obe longa, et duriuſcula,quæ exigui penis puerorum exprimit imaginem)ſi ex pice ſpecilli liquor aliquisfuauiſsimus ficut efle vini tenuiſsimi pauxillumine forte exiſtente coneep'ufequatur:abt ortus) exprimitur, breui tractu votum I affequemur, Sienimobturatum eſt in timum vteri foramen, quod fit concep tu pera et o liquorVterum non ingredi gur,& mulier faftidij njhil perfentiet. Sin autem exintromiſlo liquore velli, cationem paruam pertulerit mulier: quod facile fietex maximo ſenſu parti um vteri,vưiquegrauida non erit; et V teri intimumforamenapertum reperiea tür, vt experientia liquoris oftendet.Sand.Sanctor.lib.1.de vitand error. Periculofum eft pifces frixesin humidolocarefor matos fomedere; Nter magna venena piſciú frixorú, quireſeruanturinhumido, vel qui Aeterint cooperti calido vaſculo, eſus eft;bi enim inlethiferú cómutantur ver nenú, &fymptomata pernicioforú fun gorumcorporibus inferút, quæ quan doq; non ftatim,ſed poft diem, vel bi duumeueniunt: oportet igitur frixos pifces in loco aperto,vtfrigeant, demita tere,fi venenimalitiam cupimus euita re.Ex ArnoldoVittan.lib.de venenis, 10. Lałtisbalneum procorporis decoratie onemultum præftare. Pud veteres lactis Balneummax A idve vu, illiusfiquidem lotione,corpora, et candore, et venuſta tevigebant. Hinc memoriæ proditum eſt Poppeiam Neronis vxorem quin gentas ſecumaſellas ducere conſueuifle, quarü lacte,vt candefieret, totü corpusbalneabatur. Mercurialis de Decoratione. Germantantiquitùs corporis firmitadinimaximèvacabant. M Agna profe &to faude Germano rum conſuetudo, dignaiudicatur in corporum hominum vigore confir mando:ijenim legem habuerunt,neantte ætatis vigelimum annum, quiſpianti Venereis amplexibus commiſceretur, recteexiftimantes corporum viresà nim mis tempeſtivo coitu eneruari.Cefar 6. debelloGalico. Fæminas vtero gerentes, libenter: marem admittere:bruta autemgrauida nequaquam. ! Olie Vam diſsideatmulier à brutis gra uidationis tempore,bene nouit A rift.7.de biſt. animal. cap. 4. Hæc enim ſigrauida clt, maremadmittit,brutoru vero omniumſola equa coitum patitur à conceptų, reliquaautemminime. Ma nifeftifsimum eſthoc in ſpeciehumana mulierem grauidam coitumpati, et ap petere. Cicutam, vterinum furoremex ": tinguere. Icet cicutainter frigida connume. retur venena, præcipuè quæ in quis, &lacubusinuenitur,furoris tamen vterini, fiue Satyriaſis remedium it. Hic affectusVeneris eſt immoderatus appetitus, cum vteriardore, et delirio, Narrat DiuusBaſilius quaſdam vidifle fæminas, quæ Cicutæ potione rabioſas capiditatesextinxerunt.Hoc legiturs. Liebe Homil.fup.Hexaemeron,cuiusverbanotr nulliintelligunt de ciborum appetitu, ego tamen potiusadfurorem vterinum, &adrenereos incentiuosappetitus de ducerem, cuius auxilio compefcuntur: quippeAthenienſes facerdotes cicutæ vfu,libidinisincendia extinguere conſueuiſſeproditum eſt. Variolas&morbillosmorbos effe no yos, et hereditaria, &paterna prom prietatevagari. Agna eft difcordia inter feripto, origine. Aflerunt multi, hos fub nomineexanthematum, veteres intellexiſſe, cauſaſque illorum reliquias efle excrementifanguinis menftrui, quo nutriun fur fætusin vtero, et naturam, fiue calo.remnaturalem, ita exprimunt materiá, et efficientem. Alij minimeà veteribusfuille cognitos volunt, digladiantur que:num vitio.coli,vel ab internis cor.poris principijs apparuerint: quippe Arabes, quorú tempore cæpiffe hic morbuscreditur, eos peftem efle, fierique in pefte, et à corrupto cælo contendunt.de Equidem ante Arabum tempora nul lus-reperitur au et or, à quo morbos hos LTaut generatos, aut clare explicatos ha beamus.Proptereamulti latini, &nonnulli inter ipſos Arabes, propter labem menſtrualem, lactis corruptionem, vi&tus rationem, et alias cauſas fieri fcrip ferunt.In tanta rerúdifficultate, et ob > fcuritate.Hieronymus Mercurialis virdoctiſsimus, hosefle morbos hæridita o rios,ortúqueà cæli vitiotemporeſcrip e torum Arabum, et proinde à veteribus haud fuifle cognitosenucleauit. Adhu ius viri opinionem libenter deuenie, quippęſi à menftruivitio,homines in ficerentur, quia hocab Euæ peccato à mundiorigine fempiternum fuit,debuiffent homines hac menftruorum labe conta&i ſemper Variolas, et Morbillospari,tamcn vec inprimaætate, nec poſt Noe,nec ante ſcriptores Arabes quem piamhos habuiſle, apertè legitur. Aperiunt iſtorú fundamentum efleiro walidú brutafanguinea,hæc enim (teſti monio Arift.6.de hiſtor.animal. 18. ) mé ſtruaspurgationes habent, et inter cæte. ra Equus,Canis, et Alinus,tamen hæc àVariolis, et Morbillis non tentantur. At quodhuius reimagis negotium conualidat,eft,Indosante Hifpanorútranſitú nequaquã Variolas paſſos, dirco non àreliquiis nutrimentià menſtruo fangui ne,velab iſtius excremento ortú ducuntMorbilli; quia ſià tali fuifsét variolarú, morbillorúq; origines,vtiq;ij hosmor bos experti fuiſſent. Legitur apud Ra mufiúIndiæ incolas,vitioCęliplurimosVariolis fuiffe extinctos, eoq;tempore, quo noftriáb illis gallicam luem acceperunt, cordemmet viciſsim à noftris Va riolas, et Morbillos recepiſſe.Suntergohi morbi noui à Cælo productiprimò, cuius vitio adco homines fædati funt, vtinpofterosper hæreditatem maliſée minarias cauſas tranſmittant, proinde morbihæreditarij dici merentur, quia paterna proprietate vagantur. Ex Mer. caridi. A1th Dearaneorum telis,earumque ufuo inmedicina. Iro artificio Araneus telas ordiM tur, quibusmufcaspro vi&u ta. piat, hasad Tertianę febris circuitusdepellendos,multi præftantes, et celébres tempeftatis noſtremedici,non fine felici fucceflu in vfum præſtitere:fiquidem exiis, et populeo vnguento pilulas pamrant,corporiſque locis, horisaliquot an, - te acceſsionem,in quibusarteriariume uidens deprehenditur pulfátio, colligātas &relinquunt; indėvotum conſequun. tur. Ioannes Moibanus. - Natur& cautela inmenftrualimulierrum fanguine purgandomaxi-, ma eft, MalenAgna eſt, in depurandis femina rumcorporibus à menſtruali luc, naturæ fagacitas; quippe fi oculos habueritmeatus, quibus lingulis men fibus illam deponere conſueuerit,nouas adi illiusexpulfionem vias molitur. Proptera.multæ, ex oculis cruentas, laie.chrymas,aliæ ex narium venis farguinis profluuium emisêre,nonnullæ ſputa rubentia pafſæ ſuntin menftruorum cefla tione.Ipfein quadam ancilla noſtra, cuimenſtrua occlufa erant, ex gingiuisſan guinem profundere obferuati.Atquodmagnam infert admirationem, multæ per minimum manusdigitum,& per an nularemfingulis menfibusfanguinis fu. fionem habuerunt,vt in religiofa qua damafoeminanon menſtruante ter in fin niſtra manu Ludouicus Mercatus fami. geratusmedicus obferuauit. Inter rutam do braſsicam nullam imao effe antipathiam.Xſèriptoribus in re ruſtica malti, fi. fecus rutam feratur, braſsicam illicoarefcere tradunt. Aliam von adducant cauſam, et rationem, quam antipathiam, et diſparitatemquandam inter talium naturam.F utile autem eſt hotum argua. mentum, nulla eniminter rutam, et braſsicam.contrarietas eft, quia tamen alte. Elec NO altera prope alteram areſcit, id in cauſameſle poteft,quiavtraque calida, et ficca - eft, inde facile euenire poteft, vtob humiditátis inopiam altera, vel amba i ariditate perdantur. Pediculosmorientium corpora miris Jagacitate relinquere. on leue à Medicis præfagium àpediculis in grauibus hominum valetudinibusſumitur. Hi profe &to inmoritüris; quandờadeo intenfà eft huis morum corruptela, ve calor innaus refoluatur, vel putreſcat, circaventricule regionem, vel fub-mento, vbi maior eft" ealiditas congregantur,parteſque extrbó mas, tanquam calore proprioorbatasderelinquunt. Quodcalorem proprium penitus exſolui cognouerint, abinfirmi corpore mira celeritate longius abeſle: confpiciuntur. Lemnius. De Achatislapidismirabili. natura A Chates lapis, qui ex India fertur, tum coloribusdiuerſis, tum ve D4 piss TA m nisvariari confpicitur, ex quorum in.. terſectione diuerlæ imagines multoties,fabricamtur.Quod autem mirabilius eft, nuncferarum genera, flores, aut nemora,nuncvolucres, autRegum naturales, hic lapis portendir effigies: quippe fertur in Achate Pyrrhi Regis, et capuri, et feptem arbores in quadam planitie apparentes extitiſſe, Ex Camillo Leonardo de. lapidib. Ferarum natura inhominibus mie rum in modum deteftanda.. On eſt à ratione alienum, quod deAttila circumfertur, quod Canis more latraſſet: quippe Ioannes; Langius clarinominis medicus ab equi-. tibusComitis Palatini feaudiuifle retu lit, quod inAuftria homine, qui latra. tu,ac curlus pernicitatecumcanibus co tenderet, et cũillisinſyluis illæfus ve naretur,vidiffent. Hæcauténaturaabfq; dubio deteſtanda eft,quippe tales. im manes ſunt, et in hominum occiſiones procliues, vtAttilacrudeliſsimus fuit, NRege in es Ees et in viuentium cædes pronus, à quo totVrbes, et populi vaſtati ſunt.. Non modòinfæminaslaſcinire homi: nesverum,etiam brutacernuntur. Omines laſciuire in fæminas, nec nouum, nec inauditum eftcum anebo fub humana fpecie contineantur. Quod autem bruta in eafdemlaſciuiant, mirabile eft,Plutarchus in Dialog. Ele phantem in Alexandriafæminam qua- - dam,quæ coronas ſutiles componebat, fuiffeque AriſtophanoGrammatico rio ualem, adamaſſe retulit: A micę,per pla team tranſiensElephas,&poma, et frum et us donabat, multiſque indicijs, et a morem, et adfervitutem promptitudi nem declarabat,læpeque à latereafside bat, et laſciuèmammarum loca tange bat,Serpens etiam quidam (teſtimonio eiuſdem ) puellamardentiſsimè adama uit,no et u ad illam accedebat, placide. - queamplectebatur, &à latere dormie bat, luce autem aduentante nulla illatakelione diſcedebat.Parentes,ne à ſerpé tele. t n itas te læderetur, aliòpuellam afportarunt: Ille autem ad amicam vltimo peruenit, quánonmorefolito'amplexa,ſed qui dam amantium ira in illam irruit, ma nuſquepuellænodis vinciens,caudæ exe tremitate amicæ tibias verberebat, profecto præreritęfügæ,atqueablentiæ: iniuriam vlcifci videbatur: Quomodofamine vterogerentes:conceptumvaleantoccultare. Aximam Sabini cuiuſdam Roe mani vxoris in occultandoconceptu referam ſagacitatem, quo præfi dioaliæ confimiliter,fi optabuntfæmiö.næ à conceptionis.indicijs faciliter oe cultabuntur.Illa quidé dû aliæ mulieres;fecum lauabantur ventris tumorem ce.. Jare cupiens, vnguento, quo ruffas, et aureascomas.reddebat,abvtero corpus vniuerſumlinire folebat. Illius erat vis pinguitudinem, ſiuecarnis inffationem, aut laxitatem efficere, propterea com. Go: lange incorporis particulis vtebatur, Hlud tumeftumrepletumque redde MA bat, ventriſquetumorem ' occultabat. Parabatur(vt' puto )'vnguentum ex res busrubificairtibus,& puftulas inducend tibus,calcefcilicet,auripigmento, tiaps. fia, et lulphure, hæc enim alijs rebus co --- mifta veteres ad capillorumcultum cad 1 piebát,ſin a.in aliqua corporisparticula applicantur ex magnacaloris vijaut hu mores ex alto ad fummum:trahuntur; aut ipfisfuſis.gignuntur:flatus cutis, et extima corporisſuperficies attollitur, et inmaiorem molem ducitur.Ex Plutarc... inlib - epwTikā. Fructuum, vinearum,iumentorumgainteritus praſagium. Agnun à mori germinatione ca Lpiturpræſagium, mörus enim.ideo à Theophraſto prudentiſsima vocatur, quia omnium nouiſsima gera minat, et pruinisnon tangitur: Idcirco fructus, et Vineæ à mori germia minationeà pruinis liberifünt. Ea tam menquando à pruina lædi contingit(fia: D G quidemosi M Ty et fiquidemlæſam in Aegypto, vt in pſala mo77 legimusMoyfis, tempore prodia tur fuiſſe)Colimaximamarguitintema periem,& proinde fructuum, vinearum. que interitumdeclarat.Atmaius ab vl. mo &perſicopræfagium capimus, quip pèvlmi, et perfici,folia, præter tempus decidentia,peftem inomniiumentorű,. &pecuino generepræfagiűt. Ex Cardano., Fætoremextinéta, lucerna vteroge Trentibus,infeftumeffe,&ini. micuin... Dor extinctælucernægrauis,adeo tur, vt in abortum faciliter conducat. Id: alleruitAriſtot.8.de hiſt. animal.c.24. vbi non modo mulierés grauidas,,verú.didit.Profecto malus odor fi odor. fi prægnana. tjú corpora ingreditur, quiafætus im becilliseft, et à quolibet alteråtur,facili negotio inficitur, eiuscaro tenerrima, et ſpiritus inde abortusſequitur.. At no Kemelextinctalucernæfætor perniciē. quoque Ila He 4 i quoquc hominibus attulit, vt carbones incameris teſtudinatis facere accenficó. fueuerunt. Duos monachos retulit Pe.trus Foreftus in obferunt. medicin..cum nodu cellam ceruiliariamintrașent, vtfæcem cbullientem exportarent,(fortè candela extincta )cum exitum non inue nirent,ſuffocatosfuiffe,acmancmortu. os effe inuentos. Infania,& furori àfolanofluatico contrattisvinum potentiſsimnmfora gulare eſe prafidium. Olamur. fyluaticum, quodà multisBelladonna dicitur,tantæ eft immani tatis,vtinlaniam, &furorem hominibuseiusacinos.comedentibusinducat, AC cidit cuidam (referente. Hieron. Tragodib.i.hiftor. ftirp.) quiin fylua plantam vi. derat talis calus: hicmultosdecerpfit acinos, et deuorauit: altera verò die in tantam inſaniam,&furorem deuenit, vt plerique illum à Dæmone obſeſlú cre derent.Intellectotamenmorbo, vinum fortiſsimumà. Trago illi propinatum Spelaria D? esto) eft, quo facto conſopitus,paulòpoft conualuit, et abfquelslione vixit, Lolium tritico", alýſque cerealibus:commiftum varia hominibusfymptom mata attulille. Anis,in quo- lolium fuerit,ſtuporem quendam,ac veluti temulentiam efi tantibusparit cum fòmno inexpugna.bili.Id Gatenus afferuit lib.1.de Aliment: facult.Etenim (inquit )cum anniconfti tutio praua afiquando fuiffet, lolium tritico affatim ispaſci contigit,quo haud feparato, quod paucus effet tritici prouentus ftatim quidem multiscaput dolere cæpit ineunte æſtate in cutemula torum,qui comederant vlcera; et aliafymptomatafunt fubfequuta, quæ fuc corum.prauitatem indicabant, Lolijta.mennocumento acetum efle præſenta Deum remedium iudicatur. Quare tum Htritico,tumabalijs feminibus cerealio busdiligenterloliumfeparandum eſt. ScorpioScorpioidem herbam Scorpionum: iltus feliciter fanara. Irabilis eft herbæScorpioidis in: M Scorpiones potentia,illi quidem huius tactu,exoccultadiſcordia exani. mantur, &intermoriuntur, tantam in ter eosanthiphatiamnatura indidit.As' quodmirabilius eſt exanimati Scorpi. ones,fi Hellebori albiradice tanguntur; ad vitamreuocantur. Propterea.Scorpi oides,Scorpionum ictibusimpoſita fe liciter et citilsimè illorum virus mor, - tificat,viculque perſanatex, cuius prz. tentancain illos virtute à Scorpione now. men fumpfit, et Scorpioidesdi&taeft. Mirabilesin biomiwibus proprietatesquasedoger adfuiffe. Dmiranda profe &to in homini bus quandoque vifa funt. RegemPyrrhum aiuntpollicemindextro pede natura habuifle, cuius, taču lies nelismedebatur: bunc cremari eum religae A réliquo corpore haud potuifle perhibet..De Samplone legitur infacrisLitteris, quod in capillitio mirabilem contineretvirtutem, qua aduerfis quibuslibet re fiftere audebat. Veſpaſianūtactu.&fali ua, et fine his quandoquenon paucis af feátibusmedicatumeffe tradunt.Egoe. quidem idiotam cognoui hominē, qui Ipuitione ſola in osinfirmi ranulas perfanabat, &licet primoafpe et u a&u De Monisid perfeciffe dubitauerim,quieui tamen,cum fimpliciter curamagere illú: cognouerim. Dolorem colicumBubulo ftercore per Sanari. Agnam Bubulo ſtercori" dolorem colicum fanandiindidit efficaciamquippè apud fcriptores legi, et à fide dignis audiuiffe virisafferit Geſnerus, illius potu complures ruſti.. cos fuiſſe liberatos,qui enimftercus ari dú in iuſculo bibit, ftatim fanatur. Hinc apud multos mosortus eft,vtnonnulli nonmodo ipſum excremét aridum,ve rum. 1 E1 uum recens, et expreflum iufculis ebi bant, et meliushabeant. Ego quidéru fticis tantummodo remedium præbe rem, nobilibus vero, nenausean indu cerem,non auderem,cum nobiliora pro ijs habeamus præfidia,ſufficerent tali.. bus ex eodem ftercore cataplafmata, vt enim reor,exproprietate tale auxilium colico dolore vexatis,ſubire confueuit.Epilepſiamfrumafqueverbena ako xilio evaneſcere. Aturalis Magiæprofeſſoresverbes: nam (Sole Arietemi ) colle et am graniſque pæoniæ fociatam,contritam, et ex vino albo hauftam per colato, epilepticosinftar miraculi fana.re prodidere.Hoc exHermetetraditur. Nop.minoreft ejuſdem radicis efficacia,quippe collo eius appenfa, qui ſtrumas, patitur,mirū,ac infperatum adfert prafidiumReferunt Aſtrologi hanc Vene ri effe dicatú, ffrumaſque delere,quodVeneri ancilletur, quæ collo præeft, propter Taurum eius domicilium.. Ex.Durante inHerb. N1111 i Arbores quandoque in lapides commutantur: N Danico mari,iuxta Lubecenfem vrbem Alberti Magni'ætate, arboris ramus inkientus eft cumNido, et pullis, qui cum in lapidem omnes, cum arboré et nido eflent conuerfi,purpureumta = men,(vtipfe retulit Jadhuc colorem fa um retinebant. Georgius Agricola etiam memoriæ tradidit,in Elpogano tra étu, iuxta oppidum à Falconibus cognominatum, Abietes integras cum cor tice in lapides verſås elle,atque, quodmaius eft, in rimisetiam porphyritidem Japidem continuifle, quod maximè focTertiſsimæ naturæ operibus tribuen dum eſt. Bardanamaiorcum mulieris pieromagnam baber ſympathiami quæ MPerfomatia diciturinmulieris yra rum, magnaqueeft cum illo eius fym. pathia, quippe illius foliun lämmo ca. pite geftatummatricem furſum tollit, fub planta pedis deorſum. Propterea huiufmodipræfidiumaduerſus matri cis ſuffocationes,præcipitationes, ac tiſo locationespræſtantiſsimum à multis iudicatur. Ex Mizaldo, Quomodo literas axreicolorispinger. valeanks. VI T literas aurei coloris habere pole fimus,auriſolia quot libuerit, eli gemus quibns mellis tres vel quatuor guttasmiſcebimus, hæc infimul conte renda funt. ad vnguenti fpiſsitudinem, inofleoque vaſculo conferuanda, Cum autem ad ſcribendum.huiuſmodi mir ftura vtivolumus,aquæ gemmaræ ali quid addendum eſt; vt operi liquorap tior exiftat:itaprofe et ò litteras habebi. musincomparabiles. Ex Alex. Pedemono Lano.Qyomodoveftigia; et défórmitates vario lis,&morbillis bomines poſsint.euitari. Ne 92 E morbillos. in facie,corporeque hominum remaneant, expertifsimum apud me, quod in publicamvtilitatem placuit aperire,eftpreſidium,quo vten tes pueri puellaquedeformidate, quæ ab ijs relinquitur, carebunt. Cum va riolæ,fiuemorbillimartruerint, et in medio oculi quafi albicantes enricu erint, quodeft fignum bonæ matura tionis,omni die bis oleo amygdalarum dulcium recers.expreffo plura leuiter oblinire oportet, donecexſiccentur, ita profe et ò, vtfæpius experiri libuit, ve Itigia non remanebunt; et quod melius eft,oleumhoc'excoriatas variolasmira. bilíter ad fanitatem perducit. Quantum inhominibus: vfus vene norum valeat. Ithridates fæpè veneno epoto, adeo venenorumtis auxilijs corpus diſpoſuit,vtcitra of fenfam venena ebiberet. Cum autem àPompeio profiigatus eſſet,atque in ex trema:I trema fortunæ miſeria conſtitutus,è vi e taillæſus diſcedere feſtinabat, quaprop ter venenum hauſit, et pluſquamfatis eſſet,nectamen emori potuit,cum con tinuus venenorum vſus in hominumnaturam pertranſeat.Ex Plinio. Inhominibus vermes figura maximè differunt. V 235 admodum funt differentes, quippe in quodam Antoniano CanonicoMon tanusobſeruauit.Hiccolico dolore tor quebatur, cuius moleftia Hierameramdeuorauit,vermemque deiecit.Erat ille viridis, figura lacerti, ſed craſsior,hirfu. tusq;, et pedibus quatuor innexus.Breui tempore à fera propulſa,canonicus obia ic:contra illa in vitrea phiala aql a plena, per menſes aliquotviua ſuperſtitit. Ex codemMontano lib.4.6.19. Calculusrenum,veficæque in homi mibus, quopacto confumi valeat. Lapil t Apillus, qui in Tauri veſica,men {e Maioreperitur, magnam habet in conſumendo calculo efficacia. Hic fi vino imponitur,mutato paululum ſa pore, colorem croceum contrahit. De hocvino quotidierecenseffufo, donec lapis vino impofitusomnino conſum peus lit, à calculo infirmosbibere opor. tet. Hac enim ratione, nó modo calculú comminui, verum etiamconſumi mul. tos experientia edocuit. Ex Quercetane. Filiosà parentibusfignumaliquod recipere, vulgatifsimumet. " Ilii omnes patrium aliquid, aut auitum ad vnguema retinere folent,ver Tucam ſcilicet, vel cicatricem, vel effigiem,velmores, autmanuum lineas.In domo noftra omnes à parentibus verru cam inbrachio habuimus, et Marcellus filius meus ex me confimiliter. Proue niunt hæcà feminum miſcela, ſpiritu umquevtriuſq; parentis ſeminaliú,auo rumq;effuſione. Proptera etiá ſuccedit, File (fire fi feminain filiorum generationebenc mifcentur,atque in minimas partesiun guntur) vt fætus robuſti euadant. Hacenim rationefpurij robuftiores exiſtunt quoniam ob amoris vehementiam, vetriuſque ſemina multum, beneque.co. ráiſcentur:Ex Cardano de subtit. go D:Marerubrùm in plantisproducendis terre vigorem obtinuiffe videtur, to Adel Dmare rubrum afbos nulla in terra prouenit,præter fpinam, quç dipras vocatur.hęc autem propter fer uores, &aquę penuriam rara etiam eſt, quippe non nifiquarto, quintoue anno pluit, et tuncquidem impetuoſe, breai quam te?mpore. At-in mariexeunt plantz, cat quelaurum et oleam appellant.Läu rus arię fimilis intoto eft, olea folio ta tum fru et um oleę proximuin his noftris oliuis parit,et lachrymam -emittit,ex qua medici, Irftendo fanguini medica Hentủ compopunt:Cú auteaquỵ plures inceflerit,fúgi iuxta mare quodãin loco crum HM erumpunt,quiSole tacti, in lapidem co mutantur. Ex Tbeophr.in 4. de hift.plan. Incapillorumdefluuio ex Hydrargynı lac epotum peculiare iudicatur auxilium.. rifabriscapillorum defluuium in ducere conſueuit, aliaque ſymptomata; quæ tales inmortis pericula conducunt. Pro huius immanitate, vtiin potu capri no lacte,illudque cum pane commede re,fingulare et expertum eft remedium; quippe ſedataillius vi,atque potentia,à veneni morte liberanturægri, et piliite rumnafcuntur. Ex Foreſto inobſeruat.med. Inter Lupum, Agnum maximam effe antipathiam. Tantralisdifcordia,vt ipfisemor., tuis in eorum chordis id etiä eluceſcat. Si enim exLupi, Agnique inteſtinis, chordæ conficiuntur, in inftrumentis muſicisapplicatas minime concentum vocefque lonoras reddere,fed continuo tadas Bo ta&tas dillonare obſeruatum eft:at quod mirabilius eſt, agninas chordas àLupi funiculis corrodi, et confumi, fi fimul n repofitæ fuerint,comprobatumeſt. I demde Aquilæ, &anſerum plumis fer tur, Aquilæ enim pluma naturaliantia pathia anſerinas poſitæ interplamas, vt docuit experientia eas conlumuntet corrodunt, Quadam pro Epilepſia admiranda reperiun. RiaabHoratio Augenio ioluiscá. (ult.pro epilepfiacuranda magne efficacię proponuntur remedia. Primo lococarbo eftille odoratus,qui fub Ar timiſiç radicibusęſtiuo folftitio colligi tur, quiperdies40.infirmis,aliquocon ucnienti liquore exhibendus eft mane ieiunoſtomacho.confircor ego cuidam, epileptico huiuſmodi remedium adamodumprofuiſſeSecundo loco,Mufte lę fanguis adducitur, hic pręſtantiſsi. musproepilepfia ſananda cenſetur,au. joris experimento, vidit enim fanatum Eepilep probauit, fanari confueuit. Colligitur epilepticum fupra 25.annum,ſolohuius fanguinis vfu potati ſcilicet ftatim at queè venis exiſtadvoc.ij. cumvnaacer. ti:Vltimo loco tefticuli Apri,aut faltem Verris fiueSuisdomeſtici-Venere vtéris; &tefticuliGalliexiccati in furno mira bilescenfentur;hi in puluerem tenuiſsi. mèredađi, cum zuccaro mifcentur, et decemcontinuis diebus epilepticis ad drach.tres,cum aqualettonicæfelici cũfuccefsu.exhibent. Flatuofam inmembrisconuulfionem lignoce peſcoperfanari,Onoulſio illa, quęà flatu in mufcus lis, et membrisoritur cum dolore, Chancnoftrirampham,ſiue gramphum.yo cát)nodis ligneis à viſco, quod in quer.cubus'adnafcitur, vt experientia com С. viſcuin aftiuo tempore,Sole in Lepoisfickere commorante,tunc enim perfectia onis complementumadeptum eft, Dc. bentnodi ligneiillius, loco patienti fu perponi, vtitarimfiatus: diffugiat,pio guificco, renuiq; prædirum eftlignum, * aut occulta ratione, vtvoluirCardanusConfiteor,multis taleprælidium ad pre feruationem meconfuluiſie,votumque $fuiſſe aſſequutosſola iſtius ligni tuſpen y fone. Annult ex bubalorum cornibus| huiufmodi etiam dolores prohibere multa experientia, ex eodem Cardano iobferuati ſunt. Quomodo nonnullorum animalium vent num corpora vostraingrediatur. Pedido Halangium cum aliquem momor. dit, quamuisparuum fitanimal,ex. - iftimare tamen debemus, venenum ex ipſius ore, primo quidem inſuperfici em,deinde vero in totum corpus defer ri, Præterea marina turturis,ficuti, et terreni Scorpionis aculeus, quamuis ir extremam illam acutiſsimamquepar temfiniatur, vbi nullum foramen eft, per quod venenum deijci pofsit,neceffeen eft vt excogitemus ſúbftantiá quianda ineſſe illi,aut fpirituale,autAgidam,qnzE vt mole minima, ita facultate eft quam maxima.Siquidécú nuper fuiſſet quidaict Scorpione, videormihi eſle(inquit) percuſſus grandine:eratque omninofrigidus,frigidoq;fudore perfufus.Quip pe vbi exicta parte,pertotam iplamceleriter diſtributa fuerit venenivis,con tingiteam, endemrurſus.contactu,infingulas ſubiectarumei partium recipi: mox ex illis inalias continuas, done: inaliquam peruenerit principe:quo tem forémortis periculum inftar. Ad hanc reminprimis conferunt vincula parti bus fupernis inie et a, abſciſsioque pare tiumvenenatarum. Noui equidem ru fticum,quiepoto è viperis medicamen to, reſciſlopriusdigito euafit, ficut, et alium quendamqui ſola ſectione circa medicameneſt liberatus. Hac Galat. 3.deloc. aff. Mirabile ad Strumas gurturis, ramicem, Adem44 Yemedium. Dmirandumremedium ad ſtru. A mas. Cupreſsi foljaneque teneri. ora,neque duriora inpuluerem com di minties, tortiuo vino confperges, atque ita volutabis, dum infæcis corpus coe TH ant, inde fruma, velramex indecitur, pe tertio primum diefoluitur medicamen tum, contractum locum inuenies, quidie o gitis-exprimidebecrurfus ad tres dies idem pharmacum applicabis,eodemque modofolues, &exprimes;feptimodie, vel ad fummum pono, ſtrumæ velut miraculo abolebuntur. Valet etiamada ramicégutturis, parotidas,omnemdur se ritiem, et ædemata. Hietollerininhere fit.Chirurg.6... Peftilentitempore in:er pracipua-prafidia: aeris re&tificatio fummum iudicatur.Mnilaudedignus, omniq; decore admirandus Hippocratesiudican dus eft,qui peſtemillam ex AEthiopia ad Græciam venientem, non aliorepu lit auxilio, quá aerispurificatione.Præ cepit enim,vt per totam ciuitatem ignes accenderétur; qui nonè fimplici folum materia,fed etiã beneolenti conftarent. Qua propter, et coronasodoriferas, florefquearomata,vnguenta pinguiſsi magrati odoris, et aliaiucundosodores fpirantia, ciues igniſpargebant, quo paa Eto aer purusfa et useft,&ijà peſte tuti fuerunt. Ea fuit magni Hippocratis dia ligentia. Ex Galeno.Portaldara fenuinis contra lumbricas: magna estefficacia. Nlumbricis necandisnonmodòPon tulacz aqua ftillatitia aptiſsima iudi.. catur,verum etiam illiusfemen.Narrat enin: Arnaldus Villanoua, quendam puerum, dum effet in mortispericulo Conſtitutuspropter lumbricorum mula titudinem drach.jem. feminisPortula cæ cum lacte fumpfiffe,atque lumbricas multosemiſiſke,fuiffequeliberatum. Quorundam animalium vita terminus con. ftitutus,quis fit.epusannis decem viuere fertur, et Catus totidem. Capra o et o. Afinustriginta.Quisdecem: fed vir gregisfæpè quindecim. Canis quatuordecim, et quandoquevigintiTaurus. quindecim. Bos,quia caftratus,viginţi. Sus, et Pauo vigintiquinque.Equus-vigioti,&non punquam triginta, inuenti funt, quiadquinquageſimum peruenerint.Colum biodo, vti etiam Turtures. Perdix vi. ginti quinque, vt &Palumbus, qui nonnunquam ad quadrageſimumperuenit. Ex Alberto Låddoloresarticulares electuarianomirabile. Periam electuarium illud mirabia le, quo ego in doloribusiun&tura rum, et in arthritide cum felici fucceffua nor femel vfus fum. Huiusauctor Pem trus Bayrus eft,licetipfe Galenicompofitionem efle dicat in -lib.18:fuæ Praski. Confiteor fubito ſoluere finemoleſtia, ignitum caloré extinguere,et membra patientis adeo contemperare, vtmultas viderim, endédie, qua pharmacumacce. perant, à ſella ad locú propriúſine alte rius auxilio languētes redire.Capiútur Hermos Qua propter, et coronas odoriferas į floreſquearomata, vnguentapinguiſsi magrati odoris, et alia iucundosodores fpirantia, ciues igniſpargebant,quo paa cro aer purus fa et useft, &ijà peftetuti fuerunt. Eafuit magni Hippocratis dia ligentia. Ex Galeno.. Portulara feminis contralumbricos. magna est efficacia. Nlumbricis necandis nonmoddPon tulacæ aquaftillatitia aptiſsima iudim. catur,verum etiam illius femen. Narrat enin: Arnaldus Villanoua,quendam puerum, dum eſſet in mortis periculo! Conſtitutuspropter lumbricorummula titudinem drach.jem. feminis Portula cæ cum lacte ſumpfiffe,atquelumbricas multos emifiſke,fuifíeque liberatum. * Quorundam animalium vitaterminus.com ftitutus,quis fit. epusannis decem viuere fertur, et Catus totidem.Capraodo. Alinus triginta.Quisdecem: fed virgregis læpè. quin io rabia quindecim.Canis quatuordecim, et quandoqueviginti.Taurus quindecim. Bos,quiacaſtratus,viginti. Sus, et Pauo viginti quinque.Equus-viginti, et non punquamtriginta, inuentiſuật, qui ad quinquagefimum peruenerint.Colum biodo, veietiamTurtures, Perdix vi. ginti quinque, vt &Palumbus, qui nons nunquam adquadrageſimum peruenit. Ex Alberto Laddolores articulares electisarianosmirabile. le,quo ego in doloribus iun et tura rum, et in arthritide cum felicifucceffu non femel vfus fum. Huius auctor Pew trus Bayrus eft, licetipſeGalenicompo fitionem efle dicat in lib.18. fuæ Brasti. Confiteor ſubito ſoluereſinemoleſtia, ignitum caloré extinguere, et membra patientis adeocontemperare,vtmultos viderim, eadédie, quapharmacum acce perant, àſella adlocú propriú fine alte rius auxilio languētes redire. Capiútur Hermodactylorumalborum à cordis fuperiorimundatorum, et Diagridii an.. drach.ij.cofti,cymini,zinziberis,cariophyllorum an.dracij.trita, et cribellata conficianturcum fyrupo fa et o exmelle,et vinoalbo inuicem coctis,donec ſyru. pi bene codi formam recipiant. Dofiseſtà drach. ij.ad drac. iiij.fecundum in firmi tolerantiam. Auctorconfiteturter ab huiuſmodi doloribus fuiffe correp tum,& femperinaurora huiusele et uarij(quod Diacoftum vocat )vnc.ſem, acces piſſe, et in vna die conualuiffe. Egodia-. gridium in minoridofi,exhibuifemper et beneſucceſsit. PericulofumeftBafilicum continues adorari. Vantį ſit periculi, herbæ Baſilica frequensodoratus plenus,ex Hol Jerij exacta obferuationeperfpicitur. Quidam enim Italusex continuo eius odoratuin vehementes, &longos inci-. dit dolores capitisex Scorpionein cere bro epato,cuius caufa morsconfequuta eft ck Ratio apudaliquot huius euentus,ea potiſsima eft, quod Bafilici folia ſub te. ftafi et iliputrefaéta in Scorpiones mu tentur, ex quo arguunt, frequentem o. doratumanimalcula quædam Scorpio onuminftàr, in cerebro geocrare. Vte cumque tamenfit, Bafilici odoratus ad Syncopim, et animi hominum deliquia, mirumin modumprodelle compertum cfts Piſcem Torpedinem, dolores capitis àcaufa calidafeliciter fanare. Nter fele et a, et quae dolores capitis à caula calidaauferunt remedia,Tor. pedo piſcis eft. Aitenim Celfus, quem ſequutus eftSeribonius Largus, huius Puciscapiti affricatu,adeo tales dolores remoueri vtinpofteru redire nequeant. Cauſa torpedinis qualitas eft,ipfa enim viua in mari,et procul, et à longin $ quo velfi haftá; virgaveattingatur,tor porempiſcatoris mébrisinduceredici. tur, vt Plinius lib.23.prodidit. IdcircoetMatthiolus dixit) mirum non eft huiuſmodi affe& us, quodam ftupore:feliciter ſola confricatione fanare. Queexocculta natura proprietate fiunt, mirabilia videri. Aturæ arcana femperhominibus, admirationem præſticere:ratio eſt,, quia caufas ignoramusproprias,et pro.. pterea in ſpeculandis his ce pitamus, necaliud nobisreftat, quam følaadmi. ratio. Quis enim non admiratur, cur: Hyænæ vmbræ conta et u, canesobmya.teſcant?Cur Eryngium ore Capræſum. ptum totum gregem fiftat? CurGallina,appenfo miluicapite nunquam quiefcea. re valeant? Curappenſo allij flueſtriscapite in ouis collo, quz in grege omnes antecedat, Lupi ouibus nocere neque.. ant? Profe &to hæc mirabiliafunt, et in refum fympathias, et antipathias, et na-. turæ arcana reducuntur.Nonnulla animaliareiuuenefcere: proditur. Agnum natura quibuſdam anie. inalibuspro fene&tute euitandai, COA conceſsit releuamer, Ceruus enim elu,ſerpentum renouari dicitur, quippès dum fentit fene&tute fe grauari,ſpiritu, per nares è cauernis ſerpentes extrahit, fuperataque veneni pernicie,illorum:pabuloreparatur.Colubri quoque alijq; ferpentes quoniamper hybernas latebras.vifum obſcurari ſentiunt, primo vere, maratro, feu feniculo feſe affricát,illud,que comedunt, ita vifum recuperant, &, exacuunt, et vetuſta tunicadepoſitag pelleque priori reiuuenelcere dicuntur.. Qgorandam animalium carnes ad vitæ lorem. gitudinempalere. Longifsima vita aliquorum ami.. malium vel eorum proprietate, multifapientés vitæ longitudinem in hominibusinuenire conati funt,volunt enimcarnium efu longæ vitæ animali um,vită poffe produci, re& ecenſulen. tesſolidá nutrimentă,multú,diùq nutri R, et à morbis defendere. Hac rationeCeruicarnesprecipuè iuuenisadlógitu L6 dinem vitæ valere autumant, ReculitPlinius quafdam nouifle principes fæ minas,omnibus diebus Cerui carnes depaſtas, et longo ævo febribus, caruiffe.. Dioſcorides lib.z.longam ſençđutercos agere dixit, qui Viperę carnibus, veſcuntur.Propterea Pliniuslib.13»Antonium Muſam Cæſaris Augufti medi cum dicebat, Viperas in cibis ijs dediffenqui ab vlceribus incurabilibus affligea bantur,ratus hoc auxilium, vitam illis,producere,atque omnesſanafle.Exlib.3; Conuiuij noftilitterarij. Abfürdan,ridiculain effe Paracelli opic. nionem,de homunculi inpbialia vitrea g !..meratione, de partu. NPara Onmodo ridicula,ledinfanda eft: Paracelfi, damnatæmemoriæ opi-. niode homymauliconceptione, et partu.. Scripſitenimexfeminehumano in ama pulla vitrea. conie et o:;: et aliquandiù: fub cquino,fuma, Itabulato, homun-. Cului culum gencrari. Vt autem hanc hypo..thefimfaliam ille impiusdoceret, exo uo fumpfit conie &turam,quod cum opſeruaret in loco calido concludipofle, et ex eo tandem pulliim excludi,perſuaſit hoc idem in humano ſemine in vitreo vaſculo reclufo poffe contingere.Sed vana, et fabulofa ſunt eius figmenta, fi-. quidem ex putrefa& o femine,in an. pulla fub fimo recondita talis homun.. culi partus fieri nequit, qualisenim eft cauſa,çaliseffe et us conſequitur,proinde ex putrefacto nihil,piſicorruptum ori.. tur. Infuper in fetusconceptu,vt ex fa. ais:diuiniverbidecretiscapitur,ſemen virumque viri: &mulieris concurrere opuseft, præterhęę conceptiohaud ori turniſi. fuerit vterus benetemperatus, tanquam hortulus à Deo deftinatusad hanc prolem, cui fanguis maternns fi mulaffluar: quippè fi.materni-fanguinis deficeretappulfus,necfemenaugeri,nec ali planıę inftar, necpartesconformari pollenr,, vt omnium philofophorum E. 7 conſenlus eft. Ad hæc interfætum, et vtero gerentem fympathia quædami requiritur, vr calorem, et nutrimená.tum à matre recipiat, et à fætu viuena te inatsis calor augeatur: et abia' adcona coctionem, et produ &tionem feliciter fuccedant. Quæ omnia fallaineffe Pas tacelfi coniecturam atgtrunt: ille enim non perfpexit in ouofemen,exquo puls dus fit, fimulcum alimento vernaculo conferri, et in teſta per feporracea tans quam invteroquidemconcludi; ex qua pullus ali, et refpirarepofsit Semen vero humanum caloris, et fpiritus Cu iuſdam viuifici particeps,&conforss quorum vi, et beneficio fir generatio, antequam in vitreamampullam per funderetur, eodem temporis veſtigio exhalaret, et conceptioeuanefceret: Hue aceedit, quod deeſt fanguis, quo femen nutritur, et augetur.Adde quod per ampullam vitream, fub fimo recon ditam tetas fpirare nequiretconfuta.. maergofunt Paracelfiftarum fomnia,& fabula fabulofa eorummagiftri conie et ura; et vana de homunculi partu affertio. Ex. Georgio BertinoCampano. In Armenia nines rúbentes fieri. Iues omnes(fublata philofophand tiumratione)albæ funt, et ita ius d cat fenſus, vtnon immcrito Plinius lib. 17.capite z: niuem vocaverit cæle ftiumaquarum ſpumam. Nihilominus EuftachiusHomeri interpres, in Ara menia niues rubentes confpici retulit. Harumcolorçmmulti fapientes rummi Aantes, non natura niues rubentes fieri, fedaccidentaliter illic voluere. Illa enim loca minio luxuriant, cuius colo re exhalātiones, è quibus in Armenia ninesgenerantur, pallutæ, rubedincm.acquirunti. Pro quartana febrejſalitaremedia. A Rnaldus Villanoua pra fecretoha. buit in febrequarrapaexhibere taxi barbaſsi radicem ex vino per dúashoras.mote acceſsioné, et Dominus osdecorde: Ceruiad drach. Itidemex vino alteratordi& amocretico, ſaluta, chamedrio, chamæpithio, &myrrha ex fuccoabfynthit ad ſcrup.ij.caftorei eriam, et bituminis anſcrup. ij. ex vino:Alij,vt quartanam excutiant, infirmis dum in acceſsione affliguntur, timorem eximprouifo incu tiunt. Proptera Titus Liuius fcripfit, Quin et umFabiuin Maximumin con fictu febre quartana fuille liberatum... Terra Lemonia contra venenamiram: babet efficaciam. Nterpræſtantiſsima auxilia contra venena,terraLemniaconnumeratur, quæ ad Cantharides,& adLeporem ma rinú adeò pręſtat, vtquadam proprie. tate, deuorata, omnevenenum per vomitum expellat, quemadmodummul tis experimentis hæc omnia didicifle. Galenusconfitetur, Lumacalapidem,partümulierumfacilitati. Icitur Lumaca, lapidem nobiliſsi.. me virtutis in capitcretinere,qué fi trio I tritum ftranguriofis liquore aliquo conuenienti dederis, vrinamfoluere, i breuiterq; fanare comprobatum eft. AL mirabilembaberingrauidamulierecó. Senfum:quippe appenfam fi ſecum por tauerit,in abortumminimè incidet, fin autem tempore partus tritam,cum vino capiet,multafacilitate pariet: fiquidem lapides himeatusmuèaperiunt, è qui-. bus fætuifacilior datur tranfitus. Ex: Ifidoro.. Kamum fympathian in aliquet brutomirabilem. elle Izaldus lib. 1. arcan: &Podinus: lib.3,theat.nat.obſeruatű,expertumque audiuiſſe aiunt,Vaccam,Quem Equam, Afellam, Canem Suem, Felem; fimiliaq,foeminei generis animalia do meſtica, et manfueta, dum vtero gerunt,autinterire, autabortum parere, fi mas ex quo conceperunt,ma&teturautocci.. datur,tam valida eft,ac vehemens-illo rum inter fe fympathia. Hocautem an verum fit,confiteor, menondum fuiffe expertum.. oletno Oleam -arborempuritatis virginitate of amantifsimam. Liva fimanuvirginea plantatur, et educatur,,vberioresfructus præbe redicitur:, vſque adeo puritatis eſtamā tiſsima, et labis nefcia.Hacde cauſa, ve Teor,abantiquis ſapientibus olea, Mi neruæ dicata, et confecratafüit. Audiui equidem àmultis, alearum à laſciuis mulieribus non femel fuiflecollectas fructus,calq; fequenti amo parum fru et ificaſſe,ExCaroloStephanointideraruftia Aftronomiam Medicis effe neceffariam. PRudens PhyſicusAftronomiam in telligere debet, aliter perfe& usMe dicus effe nequit.Cumautem ægros -Cųe rare intendet, Lunam afpicereoporte bit, fi enim plenacſt,crefcitfanguis, et humiditas in homine, et beftiis, et me dulla in plantis,ita voluit Hippocr.inl. dediſciplina Mahemas: qui apud Galore peritur.Cum ergoquis in morbum in ciderit,fi Luna è combuſtione exit,tunc iei creſcitinfirmitas vfque ad oppofitio bis gradum, quo tempore per a &to ccelithemateaſpicienda Luna eſt,an cum alia quo planetarum ſocietur fortunato, velet infortunato;numin malovelbonofue. titalpe et u; et an dominúdomus mortis.afpexerit; ita enim de morte, et vita; de morbi longitudine, et breuitate infiremorum accuratiusconie &turarepoterit.. Ex Hippers. 10ak. Ganjucto.Saturni,Martiſque coniun tionem inTauro, Bobuspeftilentiam pradicere futuram.A. Strologorum ex multaobſeruan tia decretum eft, cum Saturnus. Hupiter,&Mars, vel iftorum duo fimul iun &ti fuerint ſub humano figno, cona.currenti ad eam ftellarum fixarun vea Denoforum animalium afpe et u,morbospeftilentes hominibus effc futuros. Ex diuerſitate autem Zodiaci brutis quandoque contagium appariturum, faluis hominibus. Vnde notat Auguftinus Sueſſanusin comment.Apotelaſmatum Pro. Lomai,non multis ante annis,obferualle, cumSaturniMartiſque coniun et io in Tauro horrendiſsima frigora'excitallet, magnamBobus calamitatem eueniffe. Ques autem licet imbecilliores, füper tites tamenfuiffe. In Boues tamen pe ffis illa defçuit propter cceleſte fignum, ad quodterreftris Bos refertur. Quæfi fuiffet in Ariete, forfitam in Oues graf fataeffet. Anno 1479. in figno humano Martis, et Saturni fuit coniunctio (teftimonio Ficini ) et peftis crudeliſsima ho mines inuafit,,vt& prius anno1408.et omnium peſsimaanno 1345. ex trium Planetarium infimul conjun et ione.suffiiu bituminismulieres ab byfterice '. 3 Vltis experimentis comproba audio,,lieres ab vtero ſuffocatas lubitòad ſanie. tatem reuocari, et quodmirabiliuseft, Hyſterică extemplobituméacceſsionen corrigere, fiue crudum, fiuevſtum mu. licrum naribus admoueatur. Propterea mulieres,quętali pafsioniobnoxięfunt lans paſsione liberari. CA lana exceptum, fiue goſsipiocolloappenſum,Medicorum conflio (Mizaldo · auctore ) in romullis locis habent, vt e,crebo olfactu paroxyſmum arceant. Cantharides quandoque ſolo olfa et u fangui.nens, veltactuècorpore euacuajſe. Antharidumvis, et venenú in fane guinepurgando per vrinam, apud paucos incognita eft, quippe in potui ex ceptas nonmodò veſicam exulcerare, verumatque fuffocationes, et horrendaſymtomatainducerecomprobatum eft. Imò tantæ feritatis funt, vt quandoqué et tactu,velolfactu hec efficiant,vt cui damchirurgo Mediolani ſucceſsit, qui bisfanguinisprofluuio correptus fuit per vrinam,folum portando cauterium excantharidibus in Byrfa. Ex Micbarle Rafraljo. Podeortum fit adagium, NanigaAnticres. } MXneotericisMedicis,nigrum Vlta obſertatione &à prioribus, et neotericis,helleborum ad infanos, et mente captos peculiare auxilium eſſe, probatum eſt.Huiuspotio licet periculoſa fit, cú cau telatamen fumpta, mirabiliter ijs prodeffevidetur. Hellebori virtutem De. moſthenes innuere volebat, dum acti. onemmouens Aeſchini, vt ſeſe pur. garet helleboro dicebat.Hoc in Anti. cyris duabusele&tiſsimum, et magniva. loris naſcitur, quo nauigare oportere a dagium,quiab intania Canari cupit vt Strabo lib.9.Geograph,loquitur. Hinc StephanusdeHelleboro loquens addit, Anticorenſem quempiã fuiſſe, quiHer çulem datoHelleboro infania libera uerit, Grauidas simio fale prentes, parerifetus finevnguibus. Noneftàratione aliepum, quodab Ariſtot.dicitur 7 de biftor.animal.c.4mulieresgrauidas, fi nimio ſale in cibis vſæ fuerint,fætusparere finc vnguibusvngues enim,vt dixit Hipporc.in lib.de care FOS. 1 Carnibusex glutinoſa, et viſcidamateria geperátør, hincaecedente Galitorum v. Tu,materia illa viſcida adeoattenuatur, &adimitur, vtfacilè illorum ortusde. ficiat.Comprobaturhocetiam in ladá, tibus, quibusex aſsiduo, et nimio ſali torum vſu,lacomne,paulatim deficere conſueuit. Oui badiin conuiuijsiucundi, feftiuiquelasbeantur. N conuiuijs profecto,vt hilariter'iu: Du { 11 X G 3 epulétur,tronfemel ludi aliquotper io cum apparantur qui omnes in iftanti um riſus,&cathihnos mutantur. Inter multoshi erunt Feftiui:Si lintea;& map pæcalchanti puluere confricantur, qui foti fe deterſerint ea parte nigrifient;liceti lintea prius candidiſsima apparue. sint.Si cultri fuccocolocynthidis, velafòe ta et ifuerit,amara oíaex ijs incita le tiétur:ex afla fætida autem cunctafæti da audientur:Si fuperpaſtillos nuper e fixos inſtrumétorü chordas minutimin difasproieceris inftar vermium à calore V contracte apparebunt, naufeamquerei inſcijs mouebunt. quibus vinum potui dabitur,cui caftancarum cruftæſubtiliter tritæ fuerint inie et xà ventris «crepi tibusſollicitabuntur. Deamorisorigine aliquet controuerfia. OlentesPhyfici amoris originem, velpotiusfuroris amatorijreperi te indaginem,ex correſpondenti homi num complexione, leuverius ex con formi ipfius fanguinis qualitate,nempe calida proficiſcivolunt,hancenim como plexionem valde amorem gignere af firmarunt, Aſtrologi inter eosamorem exiſtere aiunt, qui in codem aftrorum gradu conſiſtunt,vel qui in aliquacon Itellatione ex æquo participant, et con formes ſunt,tunc enim fe redamarecó. fingunt. Alij Philoſophi amorem naſci afferuerút, quoties noftraluminainde. fideratumobic&um conijcimus,voluat cnim quoſdam fpiritus exſubtiliſsimo, puriſsimoque fanguine cordis noftri in rem concupitam exhalare,acque ocyſsi * IN me ad mè ad oculos noſtros recurrere, ibique a invapores'& 'humores refolui,quifen. fim ad correlapſi, diffuſiq;per corpus,in oculis, rei dilectæ quandam idem, inſtar fimulachri, et imaginis,non aliter,quam in fpeculo macula permanet ve nenofi oculi, vel menſtruatæ,auriginoſi, autfimili aliquo morbo infecti, impri munt.Hacde caufa miſerum amafium, hiſcenouisille &tum fpiritibus,qui natu ralem fuam fedem repetunt, et ad corpermeant, perditam libertatem fuam dolere, lamentarique cogi affirma. Nonnulliautem naturalis fcientiæ ad. 'modum ftudiofi,cum multa de amoris fcaturigineeſſent imaginati;nec veram tam furiofi morbi originem inuenif. fent: inhæcproruperunt:Amorem effe neſcio quid,natum neſcio vnde, qui vee wit neſcioquomodo, &accendit nefcio quo pa&to,certam aliquam rem, &per ſonam.Hominem apud Indos longiſsimam pitam babuiſſe. F Apud Lufitanicæhiſtoricæfecènti ores ſcriptores(interquos eft Fer din. Caſtanneda:)fidei probatiſsimę,longa narratione, et certa, cuidam nobia li,apud Indosannorū, quibus vixit tre.to centorum, et quadraginta fpatio,iuuenis tæ florem ter exaruiffe, et terrefloruiffe: inuenimus:atque ex cuiuſdam Epifcopi relatunouiterpercurrimus.(Hocprofe to mirabile eft, et paucifsimis à Deo conceſſum.At non minori admiratione illud dignum eft,quod à Langio de Or benouoproditur,inſulamquádam fu. ifle repertam, Bonicam nomine,in qua fontis reperiatur ſcaturigocuius aqua vino preciofior fenium epota in iuuen tutem cómPomba. Ex lib.1.debominis vita, vbi de Priorifla anu facta, et reiuueneſs eente fcribitur.Hydrargyriminer aquomodo inueniatur. Ńter metallica ônia,hydrargyro excellétius vix inueniri aliud cryditur, cum ad infinita tale accómodetur.Solertiinduftria opus eſt, vt vbi eius mineræ fit ſcaturigo coniectores deprehendant;propterea menſbus Aprilis, et Maiiſub aurora, ſereno autem cælo afcendétes,vapores in montibus fpe et ant; ſi enim inftar nebulæ fuerint, non altius feattollentis,fed humillimæ, ac quaſi terrae ad hærentis, argenti viuiibi ſedemeſſe allequuntur. Ex Cardanode Subtil. Aqua mirabilis pro viſus obfuritate.Periam aquam, quam ſcribuntre ſtituiſſe viſum cęco nouem anno. rum.R.ſucciapij,feniculi, verbenæ,cha medryos, pimpinellæ, Garyophilatæ,Caluię,chelidonię,rutę,centinodię,mor { usgallinæ,garyophyllorum, farinæ vo.latilisan.vnc.j. piperis craſsiuſculètrití, nucis muſchatę,ligni aloes an.drach.iij. Omnia imergătur in vrina pueri, et lex: ta partevini maluatici.Bulliátbreuite pore, tú exprime,& percola.Repone va le vitreo benèobturato.Hora sóni fingu. las guttas ſingulis oculis inftilla. Holler. Rorismarinipraftantiſstma'virtutes, Lanta illa, quam Romani, et Itali Roſmarinumdicunt, inter plantas: nobiliſsima eft, magiſque quam ex F 2 iſtimeturexcellens, quamuis mulcitu. dine, et frequétia vilefcat.Eftenim fem pervirens,nulli nocens, et multis infir mitatibus inimica maximè comitiali morbo,quiferè dæmoniacuseſt. Radix eius cum melle purgatvlcera, tormini. bus medetur,et medendis ferpentum i et ibus cum vino bibitur.Prodeſt etiam contra morbumRegium in vino cum pipere. Et tanto contra maiora mala præualet, quanto maiorigaudet tutela, et fauore cæleſti, à quo omnis virtus confouetur.Naturefagacitas in difficillimis morbus fac mandis magna ift. Agna eft naturæfagacitas in ali quot morbis ſanandis,qui medi. corum auxilijs perdifficilceft,vt ad fa nitatem perducantur. Ketulit Alexan. der Veronenſis lib.2.Anatem.c.9.tr ulie rem Venetam,acum crinalem, qua cirri capillorum intorquentur,quatuor die gitorum longitudine ore detinuiſle, dú obdormiſceret, fomnoqueſopitam de M glutif Etv ghuiuifle: decimo autem menſe, quod m mirabile eſt, pervrinam eminxiffe.Lan. Er gius etiá in alia iuuencula,quæ aciculam deuorauerat,id etiam eueniffe fcribit, e Naturæigitur induſtria maxima eſt. * Lapidiscompofitio ignē fricationereddernisi. Ricatione cuiuſdam lapidis facillimeignem excutere poterimus. Hæc eius eft compoſitio. Capimus ſkyracis, calamitæ,ſulphuris, calcis viue, picise an.drach. iij. Camphorædrach.j,Alpalit. dre iijcritahæc pobanturinvalesce Teoroptimèconcoctecca Hapidécouertátur.Hic pannofricatusu ceditur,fputo veròemoritur.ExRole! Naturam beftis,ad corporis tütelammulta remedia indicaffe. PlurimaşürNaturæ beneficiaquebê ftiis fuiffeconceffa legimus.Hæcpro fectoruminans Plutarchus, præadmi. rationeinextaſinraptus,Maturan mulo.. to plura in pecudes, quam in hominem contuliffe dixit.Quippefibeſtijs Fors bus accidit.Naturamoxantidotum in F dicauit. Hinc Palumbes,monedula, merulę,perdices, Lauri folijs deguftatis humores fuperfluosexpurgant. Lupi, Canes,Feles ſięgrotant,vel li excreme torum colluuie ftomachum,vel viſcera oppleta fentiunt, gramina comedunt ra, re perfufa,herbam frumenti,&rapiſtru decerpunt:quibus ſtomachum, aluumg; exonerant.Columbæ,turtures,pulliquegallinacei in morbis heliofelinum degu far. Teſtudincs morſus ſibi in flictosci cuta perfạnant.Cerui volnerati dictami paſtufagittas, excutiunt.Ivuiteladůmures venatur, ruta ſe munire confueuit,. vc validiuseosoppugnet. Vrlimandra-. *goram quærunt in mala valetudine. A. priauté egrotanteshedera ſe colligunt.,Ceteraverò animalia pro virę tutela di uerfa alia retinent auxilia.ExArifter.pl njo,Nipho,&aliis. Lapidem Aetitem mulierum partus. accelerare.Maison Agnam intulitnatura Aetitilapi. diin partu prægnantium accele rando efficaciam:quippefiearum coxis argento cóuolutus partu inſtante fuerit ligatus, miramytero generabit láxitam tem,ex qua prægnantesfacilius parient. Ab Aquilispręlidium hoc'captum reorg illa enim dum arctiores ſe ſentiunt et oua cumdifficultate pariunt, Ae titem quærunt, ex quo laxiori matricis orificio facto,leniusouaexcernūt.Hinc Aeritis S-apis, Aquilinus di et us eft, quiaz Aquilă hos in nidumportant,ibiq;verii reperiuntur. Intellexi ex feminis, pria marias aliquot hoslapides in vſu,& pre cio habere,beneratas partuslaboresfu Bleuare.Hellebori nigriradićem, Viperemorfus in bon Aysſanare. (N magna æſtimationeapud multosis Helleborinigri radix habetur, ipſa enim inter carnem, et pellemiumentià Vipera demorfiinſerta proculdubio faa - mat.Confiteor profe &tofubulcum qué dam porcorú numerüigne perfico, fiue cryſipelate peftilentipollutum (hunc morbum vulgares, eo quod porcorum caput in excreſcentiamagnádeuenit,apo pellap (męobſeruante adfanitatéducti funt.. pellant Capoatto.) folahuius radice om.. nes incolumes feruaffe.In porcorum au. ribus cultellocirculum ad viuum fane guinem formabat,deindecentro,ex ſtye. lo ferroperforato,radicisfruſtulum éfo. fingebat, ad paftumý;porcosmittebat, itaequidemſolo học auxilio, omnes Hippiatros in equorum faciepitorum euul, maculasalbasfacere. N hominum canitie frequentescapil. larum euulfiones, vt nonnulliinviu habent,vituperantur, eo quod illorum cuulſa niaior generaturcmitics:Hippiaatri enim cum maculas albas in equo-... tum facie fingere intendunt, frequenotiſsime pilosextirpant, qua continuata euulſione,pilos excreſcere albos expertum eft. Queapud Veteresmagis erantcelebrata: pectaculam Nterorbisterręcelebrata {pe& aculag, Mauſolæum, hoceft: 9.Maufoli ſepul chrum ES Noun ehrum;Coloſſus folis apudRhodiosiosuisOlympici fimulachturm,quodPhidias -fecitex ebore:MuriBabylonis,quos ex.citauit Regina Semiramis; Pyramides in Aegypto; Obeliſcus in via nobiliſsimaBabylone à Regina ſupradicta erectus, Rodigingso Marinum Vitulum à Cåelifulmine non mo leftari. O pauci ſunt ſcriptores,quiMaria num Vitulum, (multaobferuatiu. one peracta) à fulmine incolumem effe perhibent.Propterea SeuerumImperaitorem Lecticam fuam Vitulimarinico riocontégi voluiſſe legimus,hoc enimanimal ex marinis, à Cæli fulminemio nimè percuti audiuerat. Inde fa &tumelte vt veteres, pauidi,pefulmine ferirena tur, tabernacula ex iftiuspellibuscon-.. tecta retinerent,ita profecto àCæli fula. mine præſeruari poflcputabant.ExPline. Captaminter bruta maxima Epilepsia tentari: Ippocratesin lib. de facro-morbou: H Fs (si liber ille genuinus eius est) vt ab ' Èpilepſia hominespræferuari valeant monet, neque in caprina pelle decum. bendum effe,neq;eandemgeſtare opor tere,beneratus tale animal; maximè ab Epilepſia tentari.Hocetiam Plutarchus rerum naturalium perfcrutator indefef ſusaſleruit:proptereaveteresSacerdotes ab eius carne,ve morbida,abftinuiffe fe runtur, neguitantibusaut tangențibus. modo, aliquid eiusmorbi induceretur.. Dinum in Asthmatisçuraſele &tiſsimim.". V TInum pro fanando Aſthmate ab, mo, quo pater eiuscum fælici ſemper: fucceflu vſus eſt,adducitur. Habet yie. ni dulcis, quaiepotiſsimùm Verpacia eft,non craſsi,ſedtepuis,mellicraticoctii an, lib.decem:puluer.Foliorum Tabe. bacciexicc.in vmbra vnc.j radicum polypodii quercinirecentis,acminutiſ.. fimeconcili ync.iij.radicum hellenij re..motomcditullio,& inciſarum unc. iij..:? macerentur horis 48.pofteaverocolentur per manicam Hippocratis vocatam, conſeruetur vinum inloco frigido.Dá - tur vnc. vj.pro vice; ſingulis diebus,; horis ante prandium quinque. Homines a phrenttidecorreptos sania fortiores fierii On pauci admirantur, cur homi.nesphreneticiflicet in ſanitate debiles fuerint prius ) ipfis fanis fortiores:euadant?Equidem à morbi naturato- · tum procedere verendum non eft: cum autemin phrenitide magis, ob exficcationem lædantur nerui fenſitui, quam motiui,nulli dubium eft, tales quo ad motum ipſis ſanis fortiores, et debilio. res,quo ad virtutem fenfitiuam fieri;: ratio omnium eft,quia operationes,ner uorumfenfitiuorum humiditate magis perficiuntur: fecusmotiui. Huicadiun gitur, quodphrenetici (mente læſa ). doloremnon fentiunt,idcirco fortiores.com Ek Arculano.Tuberum efufrequenti, bomines in epile Pliam incidere. 2 M2Aximopere (ve valuitSimeon Zethus) ſuberum continuattis v fus vituperatur: adeo enim horninescrebro eorú eſu afticiuntur, vtepilepti ci;vel apoplectici fiant. Apud veteresautem in pretio habebantur,illifq; cum Colo quandam affinitatem,nec niſi to.nante loue nafai, credidit antiquitas.. Vnde Iuuenalis: Facient optat atonitrusCHAS - Offri de corde Cerui à morfibus venenofas; hos minespreferu476. Irabiliseſt profecto oſsiculorum, proprietas, quæ in Ceruorum; cordereperiuntur;geſtata enim ad præ feruandiim à beftiarum venenofarum morſibus, eti et ibusmaximeproſunt. In officinis tanquam præſtantiſsimum an.. ridotumcontra venenum, et febres pe tulentes,hxc eſſa conſeruatur, &cumfeelicifucceffu mediciindiesad hæc valere experiuntur:: multi tamen pre.ofic.cordis ceruipi, os.bubulum tradunt in magnam languentium perniciem, et ped.comM propi eterمه 27 that medicorum afamiam.Ex Alexan.fro Be Pedido.Hemicranian lapide Gegatisſummoueri. MW Vleo experimento Democritus:Hemicranian, lapidis Gagatis ſo'a ad collum appenfione tolli com.. probauisfcribit enim huiufmodi lapi. dem geftatum ſeinperniagis ponderare, quamantequam appendatur: quafi in eo quædam attrahendi in fe fe humo. rem,à quodolor in parte cranij fufcitam. tar proprietasreperiatur.Mercurialis.Epilepritof non perpetuoconcidere nee quefpumam facere. Vicomitiali morbolaborátnánili in magoa ventrico !orum cerebriz cralo s humoribus obftru et ioneconci dere, et fpumam ferre confueuerunt: ſe cus vero in alijs cauſis, vtinquadapu.. ella Aretina Beniuenius obferuauit. In cidit illa in Epilepfiam,tamen neque concidebat,pequeexorefpumam emito. tebat. Sedſtanscaput hinc indecücerewice uice, ac fi quid infpicere velletmous bat; nihil interim loquens, nihil fenti ens.Cum auté ad fe reuerteretur,inter rogata quid egiflet, penitus ignorabat. Cauſam Beniuenius exiſtimauit,quod non caderet quod contra et io, et tenfio ad cerebrum non ferretur,cumfolusva por ſurſum aſcenderet: ex quonullor gore cerebrum ipfum intentum, abotdinatis motibus-reliqua membra pre feruare potuit. Vermes rubros in hominumcerebro, in qua dam epidemia natos effe. y Beneuenti,cum multi ignoto morbodecederent è vita, medici tandem, hoc morbo quedam mortuum incidere voluerunt,et in huius cerebro vermem cubeum breuem inuenerunt, quem cummulrismedicamentis vermesoccidendi vim habétibus interficere nequiuiſſent,fruſta raphani inciſa in vino-maluatico vltimo decoxerunt,quo vermis occiluseft,atque hoc eodem remedio deinde - mili morbo, quali epidemico affe et iomness. Omnes curabantur. Foreftusex lib.Corne tỷ Roterodam. Capillorumdefluuium ex Laudano curari. TOn femel morboacuto egrotantia bus (-ſiadfanitatem reducuntur è capite capillos decidere expertumelt. His facilliinèfuccurritur huiufmodilia nimento, quo 'capillorum defluuium non folum amoueturverú etiam amiſsi irerum renouantur. Laudanum cum vi. ño, et oleo rofato addecentem vnguen ti fpiſsitudinem coquitur, quo caput v niuerfum linitur;breuique capillatum redditur, Ex Bayro.. An empiricis tradararemedia,mortem !non paucis:attulije.. ftrum baudelt, remedia, quæ ab Kempricis adhibentur,morté aliquádo hominibus attulife, ij a. nulla ra. tione, nullaq;methodofuffulti, fed fola experiméti indagine,nec caufasmorbo Tum verècognoſcere,nec ordine auxilia applicare poſiúnt.Proptereamilesquidainmorboinueteratoluinepotis,quicapi. Member Aximopere (ve valuit SimeonMZethus) ſuberum.continuattis V.. fus vituperatur: adeo enim, hornines crebroeorú cſuafticiuntur,vtepilepti ci;vel apoplectici fiatt. Apud veteres autem inpretio habebantur, illiſq; cum Colo quandam affinicatem, necniſi toe. nanteloue nafai, credidit antiquitas.. Vinde Iuuenalis: Facient opfataronitrua,Cen45 -offi de corde Ceuiàmorfibus venenofisshos minespreferuatge -Irabilis eſtprotecto oſsiculorum, proprietas, quæin Ceruorum corde reperiuntur;geſtataenimadpræ • Tóruandum à beſtiárum venenofarum I morſibus, et i&ibusmaximeproſunt.In officinis tanquam præſtantiſsimum an-. ridotum contravenenum, et febres pe.. bilentes, hæcoſſa conſeruatur, et cum. foelicifucceffumcdiciindiesad hæc va lere experiuntur:: (multi tamen pro. ofic.cordisceruidi, osbubulumtradunt in magnam languentium perniciem, et M pedice medicorumafamiam.Ex Alz xan.fro Bem nedido. Hemicranianlaide Gagatia ummoueri. Viro experimento Democritus Hemicraniam, lapidisGagatisfola ad collum appenfione tolli com.. probauis fcribit enim huiufmodi lapi. demgeſtatum ſempernagisponderare, quam antequam appendatur: quafi in eo quædamattrahendi in fe fe humo rem,à quodolor in parte cranij ſuſcita.. tarproprietasreperiatur.Mercurialis. -Epileptites nonperpetuo concidere nee quefpumam facere, Vicomitiali morbo laborát nánili in magoa ventricolorum cerebriacrais humoribus obftruatione eonci dere, et fpumam ferre confueuerunt: ſe cusvero in alijs caufis, vt in quadá pu ella Aretina Beniuenius obferuauit. Incidit illa in Epilepfiam, tamen neque concidebat,pequeexore fpumam emit tebat.Sed ftans caput hinc inde cucere vice, ac fi quid inſpicere vellet moutbat;nihil interim loquens, nihil fenti ens.Cum auté ad fe reuerteretur,interrogata quid egiflet, penitus ignorabat. Caufam Beniucnius exiſtimauit, quod noncaderet quod contra et io, et tenfio ad cerebrum non ferretur, cum folusva porſurſum aſcenderet: ex quo nullori gorecerebrum ipfum intentum, ab of dinatismotibussreliqua membra præ feruare potuit, Vermes rubros in hominum cerebro, inquae dam epidemia natos effe., Beneuenti, cum multi ignoto morbo; decederent èvita, medici tandem, hoc morbo quedam mortuum incidere voluerunt, et in huiuscerebro vermem rubeum breuem inuenerunt, quem cum multismedicamentisvermesoccidendi vim habétibus interficere nequiuiſſent, fruſta raphani inciſain vino maluatico vltimo decoxerunt, quo vermis occiſus eft,atque hoc eodemremedio deinde se smili.morbo, quali epidemico affe et ij, omnes Nous ) omnescurabantur. Foreftusex lib.Corne-, i Roterodam. Capillorum defluuium ex Laudanocurari. "Onfemel morboacuto egrotantia bus (-ſiad fanitatem reducuntur ) ècapite capillos decidere expertumelt. His facillimèfuccurritur huiufmodilianimento, quo capillorum defluuium non ſolum amouetur verű etiam amiſsi irerumrenouantur. Laudanum cum vi. ño, et oleo rofato ad decentem vnguen tifpiſsitudinem coquitur, quo caput y niuerfum linitur, breuique capillatumredditur, Ex Bayro.. An empiricis tradararemedia,mortem ! non paucis:attulife:ftrum baudelt, remedia, quæ ab tempricis adhibentur, mortéali quádohominibusattulife,ijn. nulla ra. tione, nullaq; methodo fuffulti, fed folaexperiméti-indagine,neccaulas morbo. Tum verè cognoſcere,nec ordine auxilia applicarepoflunt.Proptereamiles quidā. igjorbo inueteratoluinepotis,quicapi N + 136 tis achoribus eratfædatus, finecautio. os,more empiricorum,nec ætate obfer uata, vnguentum exarſenico, ſulphure viridiæris, femine ſinapis confe&tum capiti appofuit;itaenim ex quodam lio bro remedium collegerat, et mane ſee quenti puer ille, quierat duodecim an norum, in lecto mortuus inuentus eſt. Hi profe& o fru et usempiricorum ſunt. ExValefio.. Triplici auxilio homines longauam vitam Afquirerepofle. Ifi hominum frequens luxus exo NA vitasongior,ſaniorquevideretur,hi ay tem in luxum,epulas, et otia effuli, vixtrigefimum exceduntannum, abſque. fene et utis aliquo veftigio,vita enim los.gæua,non luxu,& profufione nimia, fed triplici tantum remediocomparatur;fiequidem pareitas cibi, et potus, bonus cibus,& moderatum exercitiummorta -lium vitam, ex Philoſophorum decre to,producere valebunt.Bartholom.Males **Dino Gagorio. Nmin Quo paéto fingultumcohibere valeamus. Onleui angaſtia angultum ho• mines cruciare quandoque videmus adeò quod multiin longiſsimā via. giliam huiuſmodi affe et u ducti funt,Multi funt, quieximprouifo timorem ſingultientibus incuitientes,votum allequumtur: alij verò auricularidigito ito bentintus aures diu confricari;Lyfimamchus tamen apud Platonem, fternuta. mento afperfione aquæ frigidæ, et re{pirationis coñibitionefingultum cxčke ti propalauit. Quopado plebrios, tinciosen admiration nem -dustus. Plebeiprofe &to qui populi parsfino plicioreft,ex leuifsima occaſione fa. cilè in admirationé ducuntur. Si optas autem vtadftantes credantvel magico Çarmine, vel quodammiraculo te open. rari, manècumVerbaſcum flores aperit æſtiuo tempore, iispræſentibus leniter moueto plantam:flores enim paulatim decidunt, et exiccatur, cum magno ile. lorum ftupore,fiquidem illius plantæ hæceſt proprietas, vt (Sole accedente ) flores decidant.Quod fi magis irridere velis inutiliter aliquid murmurabis, vt admiratio excrefcat,vltimòtandemor mpia in rifum finiantur. Ex Porta. Memoriam è thure epoto maximèAugeri. Maximo hominibusadiumento eſt firma memoria, triftitiæ verò, et Jabori,imbecillitas, iis præſertim, qui bonarum litterarum ftudio incúberec ptant. Itaautem cófirmatur.Thus albife Gmuin in pollinem attritum,& cú vino, lihyemsfuerit,velaqua deco et ionis paſ fularü, fięſtas;epotum,inLunęaugmen. to,orienteSole, necnonmeridie, et oC- t caſu, mirum in modum memoriam aya gere fertur. ExRafi. Quo pačtofamis importunitascohibeatur: Vis Taurum Philoſophum, eiufq;mendo famisimpetu? profe& o dumfa. maemaximèmoleſtabatur, eius importurnitatem,compreſsis hypochondriis et ventris ſtri et ione compefcebat. Apud. AulumGellium. Mulierem grauidationis tempore pallefcere., debilioremque effe.TOnlinerationemulieres, quoté pore vterum gerunt, virore pallia dæ fiunt, purusenim illarú fanguiscono tinuò ex corpore deftillat, et in vterum à naturademittitur, vtfætú tú nutriat; tú eius procuret augmentü.Cum autem ipfispaucior in corpore-refideat fanguis neceſſe eſt fieri pallidas, atq; alienos ciBos appetere.In ſuper exco,quia fanguis folitusipfis minuitur,debiliores fierine celle eſt. ExHippocr. lib. 1. de morb.mulier.. Myrifticam nucem à virageftat am, vigo rofiorem fieri. MIrabilis eft nucismyriſtice, quava cantmuſcatam, cum homine fym pathia: ſi enim à viro.geftatur, nomodò vigoreproprium cóferuare, verù etiam turgere,magifq;fucculentam, et ſpecio ſamficrialkunāt, pręfertim fiiuuenilis adultæque ætatis homines circumferát ExLiuinio Lem. Hepaticos, Gtienoſos decodochamading fanari. INter præſtantiſsimaremedia, quæ I hepaticis, et lienofis adhibentur pri mum Chaniædrium locumretinet: fie nim ex aceto deco et a,per pluresdies ex.hibetur,hepaticos,atquelienoſos pro. culdubio fanat: multisequidem experimentis comprobatum eft tale decoctí viſceraab infar &tu liberare:proptereaini febribus chronicis, eo quod obitruction tres mire abigat, fdelici fùcceffoà multis: pro fingulari ſecreto audio vſurpari. Pulfusdeficientes,&intermittentes in ix. uenibus mortem prædicere, O Vantitimoris in languentibus,pul sus deficientes, vermiculantes, et formicantesexiſtant,apud Medicos notiſsimum eſt: ij enim ex proſtrata natura exorti,exitiúefle in foribus aftédūt. In. termittentes autem duorúpulfuum ſpa tie tio,nonmodò in omnibus fufpe et i ha bentur, verum etiam omnibus maxime iuuenibusexitiofifunt; diſséticGalenus, qui in pueris, &fenibus non ita fore ti mendosafleruit.Huius rei habuitexse. rimentum Proſper Alpinus in Iacobo AntonioCortulo octuagenario,pleuri. tiro, et febreardente vexato, cui pulfus fueruntcùm intermittentcs, tum defi cientes; tamen ille citò conualuit.lib.s. de med.method. Mitbridatis Regis, ad venena maximum Antidotum. D Euico Mithridato Regemaximo, in eiusArcanis Pompeius inuenifle in peculiari commentario ipfius manuexarato compofitionem antidoti dici Inr.Cóftabat ex duabus nucibus ficcis iteficis totidem, et ruræ folijs viginti fimul tritis, addito falisgrano.Sialiquis hoc iciunus allumeret, rullum ei venenum nociturum illa die affirmabat,Ex Plinio. ONO Slidera Quo artificio offa, velebora colorari valeant. Ioffa,vel ebora coloratahabere de lideramus,ca in primis oportet abim munditiispurgare; deinde in aluminis aquadecoquere,tum demumin vrină, vel calcis aquamin qua diffolutum fit verzioum, rubrica, aut cæruleus color, fiue alius quemvolumus immittere, et vna iterum coquere.Cum autem perfri gerata in eodem etiamliquore fuerint, extrahenda ſunt; et pulchra, et bellè tin eta habebimus.Alexius Pedemont. BRICA Bryonieradicio è vinoalbo decoctum, hyfte. ricampaſsiorem reprimere. Ryonia in fedandamulierum hyſte rica paſsione,egregiamhabere vir tutem multis experimentis dicitur.Ex multis obſeruationibus inquadam mu liere, quæ quotidie ferè per multos an nos hocaffectu laborauerat, àMatthio lo experta eft. Hæccum ſemelper heb. domadam, cius confilio, ſub fcctiingressum, vinum album, in quo ip fius radicis vncia efferbuerat, hauſſet exilla paſsione optimè conualuit. Ne tamen amplius in fuffocationes deueni retvteri,perannum integrum hoc me dicamento vía eſt, nec morbus iterumrecidiuauit. Quo fuffitu Serpentes venenati à domibus, velpradiis arceantur.Vlta equidem reperiuntur, quo rum ſuffitus adco o diolus eſt, vtà loco, vbi is.fiat,penitus arçeantur. Scribit Florentinus in Geo pon. Venenatam feram numquamaccef luram, vbi adepsceruinus, aut radix Centaurij maioris, autLapisGagatesaurDictamus creticus,aut Aquilæ, vel Milui fimus cú ftyrace miftus fuffatur. ExGal. autem habemus in lib.de med. fac. parab.ad Solonem.Pyretrum, fulphur,cornu ceruinum, pinguedinem,& pulmonem Afini accenfum,ac fuffitum,cuncta animalia venenoſa efficaciter fu - gare compertum elle. HerpetesexedentesTabucoicereto felicitors Sanuri. Terorymus Aquapenders inl.:.de Tumoyprenat.6.20.5xedcotes her petes teſtatur curaſſe quoad totum cor pus, ex ſeroCaprino expurgatione con fecta,fæpèautem cum fa !fæ parille de co et ione:partesaffectas aquis therma lbus D.Petri lauabat,vltimoiis, felici cum fucceſfuſequens admouitCeratú. R.Succi Tabacci, ſeu herbæ Reginæ vnc. iij.Ceræ citrinænouiſsime.vnc. ij.Refie næpinivnc.j. Rofinz Tyerebintinæ vnc.j.Oleimyrtiniquantum fuffic. pro formando Ceroto. Vina alba, qua induſtrie inrubramu tentur.A Lba vina abſque vllo detrimento in rubra(auctore Mizaldo ) tatimConuertuntur,lipuluerem mellisad du rilsimă conliltentiam deco&i, et ficcatiin vinum albuin proiecerimus, et tran Suaſandomiſcuerimus,Idautem minori faſtidioefficier lapathorum radix, fi re cens, vel ficca in vinum mittitur. Flores inAegyptoprope Nilum inode tar os exiftere. O Dorin ficco fundatur, eidemq; innititur;hinceuenit(auctore Theop. 6.de cauf.plantar.) vt fru et us agreſtesvro- banis ſui generis odoratiores,eo quod - ficciores exiſtantvrbanis,habeátur.Heç quoq; caufa eft,quod in Aegypto mini mèodorati floresnaſcantur;vt n. Plini - us prodidit, Aegypti aer à Aumine Nile tum nebulofus,tum roſciduseſt: cuius cauſa odor in foribusadimitur. Abfynthium ventriculumroborare ſo lum adftri& ione. Vantam Abſynthium in roboran do ventriculovim retineat,in mul. tis locis à Galeno exprimitur:bancau tem virtutem non abamaritudinem fed propter adftri et tionem abfynthio inefle verfimilc eſt. Conſtathoc totum ab eius fucci natura, qui corroborandi facultate deſtituitur, ex eo,quod ter rez partes, in quibus adſtringendi vis poſita eſt, ab ipſo feparantur.Succus itaque folum amarulentiamhabet, quz tantum abeft, vt ventriculumroboret, fed vt potius illum infeſter. Ex epote Chalcantho, albos pilos è capite decidere. Icet Chalcanthi, fiuc vitrioli vſus, e reſumpti, apudGalenumſuſpeatus habeatur: à multis tamen audio maximè commendari. Inter grauesfcriptores, Rbaſes eft,qui 29. Continentis, 6.24. ſe habuifle amicum quendamſcribit; qui potata vitrioli drachma, propènoctem pilos omnes, quos in capitehabebatal bos, abiecit.Res profe &to mira eft, pbrenitidem ex nigro Coraliofelicitar Sanari. Oralium nigrum, quod Antipallas, fiue Antipatkesdicitur,inPhrenitide morbo corrigendo, et fanando perquá Airam haberefacultatem exiſtimatur. Hoc nigerrimi.coloris eft, et ob varie. tatem in magnoprecio tenetur, et cótra huiuſ HORTvĆvs G et NI ALIS. 14h ** Merete huiuſmodiaffectum tanquam præftan tiſsimům remedium vſurpatur. Ex Ense lio de Gemmis lib.3: Lethargicosà Satureia capiti admota excitari. Vltis experimentis obſeruatumreperio,Satureiam cumfloribus vino incoctam, et calentem occipitiad. #motam,Lethargicosdifficili ac pertina E ci sono oppreſlos, ac veluti raptos excitare, et reuocare.Vt autem curæ folici $, or fit exitushuius decoctiguttæaliquot fe infirmiauribus inftillandæ funt. Hana diſchius. I peftilentiasquasdam occulta anispat hia ho minum corpora depafcere. M Vlta reperiuntur,quæocculta qua dam antipathia, cun &tis hominis bus aduerfantur. Huiuſmodifuit aura illa peſtilens, quæ ex arcula aurea in quá miles forte quidaminciderát (referente Iulio Capitolino ) in Babylonia orta eft, Ex hac natafertur peſtilentia, quæ in - de Parthos orbemý; compleuit. Huic haud abfimilis,vel prauior vtique fuit G peſtisilla, quæ anno 1348.ab oriente in cipiens (teſteGuidone Cauliacenſi ) vniucrlum fere orbem peruagata eſt, tảntaq; lauitieperagrabat, vt vix quar ta hominum pars ſuperſtes euaferit. Bra M. Infanteseiulare quoties lar, nutricum mammas papillas pangit. Slidua experientiacomperimus f A mammasnutricum, et papillas lancinat, et pungit,quippeadinfanculos tunc nu trices redire videntur ftatim; cum pa pillarum mordicationem,ſiue vellica. tionem ſentiunt. Duplici autem id fieri caufa credendum eft; velquia quo tem porecoctionem infantulus perfecit, eo dem momento nutricis vberacomplen. tur, vel quia tutela Angeli Cuftodisin fantis nutricem ad officium,leuiſsima vellicatione follicitat.Hoc verius vide. tur eo,quod modo citiusmodotardin fanteseiulant: et vtriuſq; ſtatus non lem per idem eft. Ex Bodinolib.3.Theanatu. Sales Han 7 Salis Prunella virtus, &compofitio. al prunella,obfingularem vim do lores mitigandià quauiscaufacalida &inflammationeexcitatos, quam reti-, net, a nodynum minerale à chymicis apo pellatur. Eiuscompoſitio talis eſt:Para tur ex,nitro optimo; quod in cruſibulo. funditur,paulatim ſuperinijciendo flom res ſulphuris,quieiuspingaedinem tole Junt,idqueadeo pellucidum, purum que reddunt; vt fi luper lapidemmar moreumeffundas; omninò clarum, et dlaphanuin appareat vitri inſtar: quod? đšinde Salſjuelapis prunelle.dicitur,Sa lutare eit remediú ad ardentiſsimills febremHungaris familiaré extinguento - dam, et edomandam:cuius ferocia tana' ta eſt,vt ægrotantium linguas prorſus nigras, et prunis ardentibusfimiles ef ficiat.Cum autem tanti ſymptomatislę. vitia extinguatarhuius vlu,leniatur, et opprimatur:Sal prunellæ apellatus eft. Eft præterea idem remedium magnum diureticum,&diaphoreticum. Querceta mus in Pharmacopes. 63 Hy ilico appetere. 1 adduxeram:qui Leonem, Gallum ve.. Hydrophobos è poto Catuli coagulo aquami IrislaudibusCatuli coagulum in Aetio, ex tollitur: Illud enim fi femel tantum exaceto Hydrophobici guftauerint;ſta rim eos,aquæ pofus cupiditatem capere: ob idmedicamentum hoc præftantiſsi muth iudicamus, in huiuſmodi enim afa fe et u,nulla falus ſalubrior iudicatur, quam aquæ potus: quo deficiente,mors inforibus ſemper eſte Cur Leo Gallum timeat abfolutaz " izquifitio.CVVmquodam die Cercelliani gra tia apud Carolum Cifellum luriſ conſult.clariſsimum, meique amiciſsi. mum effem, forteinter nosde Gallina tura ortafuir diſputatio; illa preſertim, cur Leo illum timeret? Pro dubii folu. tioneFicinú inlib. z. de vit a celit. compar: reri ſcripfit, eo quod in ordinePhoebeo, Gallus eſt Leone ſuperior. Hoc etiá ex Proclo confirmare volui, qui, ApollincaDæmonem;qui alias fub Leonis figura apparuerat, ftatim obiecoGallo diſpa ruiffeprodidit. Ifle-autem quia bonarú Jiteraum citra legalem fcientiam admodumftudiofus et contraria rationeLeo i. nis timorem euenire contendebat. Adaducebat Leonardum Vairum in lib. 1. de Fafcino, quiex Gallorum oculis ſemina iquædam, ac fpiritus exire profitetur gr I quibus Leonib'dolor,acmeror incrediabilis inčuciatur, inde veluti effafciñatas ritere.Ego quidem licera Lucretiohac etiam opinionem fuftentari viditlemi tamen poft,pleraque vltro, cirroqueinter nios de re hac ventilata;confeſſus füi apud me neutram opinionem vide tivalidam. Vbienim naturales rationes præualēt,nec ad Aftrologicas,nec adoccultascófugiendium eft.Leonesquoniá bile faya, et copiacaloris abundant,faci lefit,vt ex fonoraGalli voce comoucka tur:ita profecto Canesex leui etiam al 2,G4 terius 30 II terius latratu faciunt. Infuperrubicun da Galli criſta,flammæinftarrutilantis, primo afpectu,colorisratione,bilem in Leonibus celeri motu excitat,vt panni rubri armenta quædam fugare, et mo uerefolent,inde fit, vt quodammodoLeones &afpe&tum, et Gallivocem ti meant. Haud tamen credendum eft iniis (ledato primo impetu ) perpetuotimo. rem ex hac beftiola durare, et inducipoffe. Corues, morientium feditatem ſentire, ob id fuperte&um infirmorumcrocitare. Orui, quia hominibus meliorem habent odoratum, vt voluitÀrift,corporis morituri fætidum odorem de longe fentiunt: fecus eft in hominibus,licet prope maneant. Propterea ſuper te et um infirmiCorui volitant, &cro.citant, quando eius corruptio, &fædi tas magna eft, vt ea paſcantur:huiufmo dienim animalium genusrerum foeti darummaximeauidum eſt; quibus pafcitur: Charlie [ citur: idcirco in bellis, &in peftilenti tempore, cumcorpora mortuorum vel hominum velarimaliū humi ia&a funt;Coruorucopiaprcualet.Homines vulga tes, et quiparú prudétes funt;dů Coruos crocitantesfuper te &tum infirmiaſpici unt, illum moridebere afferunt:hoc au. temfalfum eft: ii enim tantum fæditaté inſequuntur. Sæpè tamen Déus permit titDæmonesin Coruorum, et aliorum animalium forma ſuper domos: vel indomibusmorientiúapparere, quando be ftialiter vixerút. Et Bernardino de Buftis.Quo artificio es aduratur, ut cinnaba. ricolorem acquiraté Iæsvífum colorecinnabari, et ad ru bedinem verlum habere volueris, o quemadmodum vultDiofcorides; AC i cipe æristaminascuttricoftę profundas: non ſint autemęrisalias fufi, quia in hoc ſemper ſtannum commiſtum eſt, Has e ſuper ignitoscarbones apta, cum autem i illæ rubeſcere incipient,ſulphurispul.. ueremtenuiſsimum leniter deſuper có iicito, Sleepin ijáto', videbisenim (cellantefulphuris Máma) Pris (quamu'as euidenter extra hi,& euelli.Tumodol.perfe ete nó pol. Te cuelli cognoueris, addito ſulphur. remtoties, quouſque lamulæeradicari videantur:caue tamen nevrantur, et ad nigredinem vergant. Extinétatandem Sulphuris flamma, et refrigeratis lami. nis;æris rubei ſquamulas habebismagni valoris,quasloco Hydrargyri præcipi-. tati in medicamentis recipies aliasaut tem huius vires apudGalen. et Dioſco videto. Theodorus Ga4,quedinfelicitertex Arist,', deHydrophobia conuerterit, à crimine abfoluitur.Heodorus Gaza vir do et iffimus, dumArift.tex.8.de hiftor,animal.c. 22traduceret,omnia animantia voluit à Cane rabidodemorfa, ip - rabiem ági,. acmori, excepto homine. Hoc autem qqantum ſit falfum,quotidianademon Strátobferuantia. Homines n. demor fi; in rabiem aguntur, et pereunt; niſi Tectècurentur, vtcuidam (pauci sunt menses) hic iuueni accidit, quià Canc rabido inmanu demorfus, nullo adhibi, to to medico, fed folum circulatoribus com fiſus,in 40.die in furorem deuenit; quo temporelicetme parentes vocaffent,fas s&o tamen preſagio,quodbreuimorere I retur, tanquam deploratū reliqui. HęcigiturTheodoritradu et io pleroſq; in vi rioslabyrinthos deduxit:multin.,tum ivtGazá defenderent,tum iavtArifto telem ab erroris ſuſpicione vindicarent,textum ita acceperunt animantia omnia à cane rabido correpta interire, hominē 3verò folum abſque periculo non ferua. rizita expoſuitIulius Pollux. Alii verèsinter quos eft Leonicenus, textum malè fuifle conuerfum, veleſle depra suatumcontendunt, et fic loco a pocos i legendum mpirs afferunt, quafi homocorreptus, &in rabiem, et mortem deueniret, fed non ita citiùs, vtceteris animalibuscontingit.Hic fenfus quoad - negotij veritaté vereſt,quiahômo pro i pter oprimú téperamétum, tardius, qua: cætera violatur:tamenAriſtotelisinten. 2 tio neutiquam eſt ipfe enim ex profeſſo hominem à rabie, etmorte ſeruari fcri pſit,cuius textů Gaza fideliter traduxit, neque deprauatum,neque commutan dum exiſtimo, quia mens Philoſophi peruerteretur. VtautéAriftopinjoom nibus innoceľçat; hydrophobiamin ho minemorbum elle nouum,illiuſq;tem peftateincognitum proponimus,ex quo iure expofuit animantia omniaé: Canis rabie emori, homine excepto,quia hæc lues in homine nondú innotuerat.Con-. firmat opinionem noftram Plutarchus 8. Sympoſiacorum, in probl.9. dumexfen tentia AthenodoriMedici ſcripfit, hy drophobiam eſſe morbum nouum, atq;apparuiſſe tempore Aſclepiadis, qui Sub Pompeio Romæ claruit. Confir mant etiamhoc Scriptores ante Aſcle piadem, quideHydrophobia mentio. nem aliquam haudfaciunt:e od lima. nifeſtum fuiffet, non video cur lub fie lentio tantum morbumoccultaſſent, E go quidem Hydrophobiam antiquitus haud extitiſſe,perſuaderemihinonpof fum:innotuiſſe autem veriſimile eft, nó ob aliud, niſi quia morbushicnon ſtaa tim à vulnereaperitur: Siquidem multi in 40.die rabiunt, aliqui poftfextum, autoctauum menfem,vel etiam poſtane num, vt fcribit Gal. Auicennaadnota - uitpoftfeptimum; Albertus poft duo decim.Proptereaantiquitus,&precipue Ariſtotelis tempeftate,huius morbi cau fanóaduertebatur à Medicis innoteſce bat quidem aquę timor taméàcanisvul nere et tabiem,et illa praua ſymptoma ta oriri imaginabantur: idcirco Ariſto teles etiam,interillos, hominem com morſum à canerabido,necrabidum fi eri,nec emoriſcripfit. Alai radicem pro expurg andis vomitu te nacibushumoribus àventriculo,effico cißimum eleremedium. Vanta Git Affari radicis non modo inciendo yon: itu,verum etiam in expurgandis àventriculo. et ab eius par tibus,humoribus craſsis et tenacibus ef ficacia,fapientum aliquot edocuit obler:uatio: fiquidem multinon folum in vis tiis ventriculi, ſed etiam in quartanafeabre, aliisque longis affectibushac eua cuationefeliciſsimo cũfucceflu va funt..Præparatur è fcrup.ij.aut Drach.j.radio cis Affari, quæ in hydromelite, autpara fularum decocto fit diſſoluta, cuitan - tillum cinamomi, &firupiviolar. ade iicitur. Ex Fernelio. In conftruendis ſepulebris veteresfuiffeadu!modum diligentes... Xáca Veteres in conftruendis fer Epulchris, webanturdiligentia:id circo admiratione maxima dignum eft illud, quodà LudouicoVluenarratur memoria patrum fuorum fepulhrim fuifleerutum, in quo ardenslucerna inuenta eft.Hæcibidem (vt infcriptio ata * teftabatur Jante Ann.M.D.condita'erat,- et poſita: manibusautēcontreccata, ex templo in puluerécóuerſa eſt.Ex Langit.Ganicula exortum à veteribus maxime fuiße obferuatum. Canis cAničulæ exortusantiquitus à prifcis ex eius colore, deami ſtatu côtecturam capiebant. Illan,fiobfcurior, et veluti: caliginofa oriebatur, graui, et peftilentéforeannu;ficlara et pellucida ſalubre ac proſperu predicebant.HeraclidesPõticubi. Aegyptiorum de'quatuor elementis opinio. Vatuor elementa feceruntAegy,et fæmiam conftituunt. Aerem marem iudicant,quà ventus eft, feminā, quà nebulofus, &iners. A quam virilevocant mare,mulieréómnem aliam.Ignévocátmaſculum;qya arder fáma; et fæminami quà luct;& innoxius eft tactu. Terramfortioré marem vocent;faxiscautibusq; fæminçnomen aſsignant, tractabili adculturam. L: Senecakb.z.Natur. Quaft. Pbreneticos aliquandomirabilia loqui.Mirabile eft, quod aliquádoin Phre« neticisobfcruamus,isturum enim,aliquot(benè inflammato cerebro )}in guaLatinaloqui vel carmina cóponere cumprius fuerint eorum igna viſ funt, fed quod mirabilius eſt, Nicolaus Florentinus refert, fe fratrem phrenericum habuiffe, qui futura pradixit, quæ euernerunt, ita vt eius prædictiones magna ex parte poftea veræ inuentæ fuerint:dequibus tamen fanusexiftens,nullam ha: bebat cognitionem. Infantium rupturn; quavia Sanare: valeamus. Vltis obferuationibus, nullum remedium; Salubriusinfantium rnpturis inueniri expertum eſt, quam extritis cochleis, thure,&oui albumine emplaftrum confectum. Hocenim fi pare in affi &tæ apponitur,& infantes eo temporinlectodetinétur miram in fa nando' affectu retinet efficaciam. Ex Matthiolo. Digitumanularem, maximam cum cords retinere ſympathiam. Valem anularis digituscumcorde habeat confenfum, in animi defe et ibus, et in fyncope experimur. Qui e. nimà talibus paſsionibus vexantur,vel. licato articulo anularis digiti,feu medi.ci, vel attritu auri ad eundem cum croci momento eriguntur. Per hunc prefectovis quædamrefocillatrix ad cor perue nit,ex qua ab animidefe et u collapſi vigorantur, et in priftinam valetudinem redeunt. Ex Lennio. Carnes code quomodocruda vje deantur. N lautis conuitiis,nevoraces gulofi que carnes coctascomedant, ticarti ficium parabimus.Excipitur:leporis,aut agni ſanguis, quemcongelatum, et fico. catum in puluerem comminuemus,hic: fi fuper carnes coetasfpargitur ftatim foluitur, illæq; colorem proprium mu tantes ſanguinofævidebuntur, venau feabundus, reijcias. In comeffationi.. bus contraparaſitoshoc eſt ele &tumra medium. Ex Vuerckero... Adoris plcera,labiorumque fciffuras exper HomasThomaiusin Idea fuivirida rij, NicolaumZannonem Chirur. gum guim Rauennæ retulit, mirabili fucceffu: et artificio,oris,gingiuarum linguæ,&: palari, nulla alia re, quam radicis penta phyon, fiuequinque foliorum decocto vlcera fanare,atque labiorum fciffuras linimento,exoleoamygdalarum dulci-, um, cera, &maſtice, quam breuiſsimè adianitatemperducere. Exapri tefticulis,fterilitatem in bomi nibus remoueri. MA Agnaeftvxoratis inquietudo, et Gerileſque exiſtere: propterea.vt à xan to infortunioliberentur, prolemq; ha beant,peraliquot dies ieiuno ſtamacho vir, et vxor cumiure galli veteristeſti culorumapri,que verrisin vmbra exico catorum pulueremcapiant:ita profectò. breui tempore optatumadipiſcentur, vt in multisfterilibusex quacunq; cau « fa non ſemel expertum eft.Ex Democrito. Bufonistibiisdentiumdoloreseuanefcere.'. Nter maximos cruciatus à quibus; dolores perniciofiſsimiexiſtimătur,ad?cò quod multi et in animideliquia,& in manias deuenerint, multi etiam invitę deſperationem.Huius doloris remedio. um in odioſo et abominabili animalinatura repoſuit. Aperiam hoc arcanum maximum. Tibiæ Bufonis, fiue' ranzterreſtris à carnibus mundatæ, fi fuper dentes condolences fricabuntur,immediatè dolorem remonent; adeoque cru ciatus ceffabit, vt quafi in dentium ſumperficie dolor collocatusvideatur. Ex. perire modo, et fruere tanti arcani theofauro. Ex Florauanté. Cepam ab Hippocratemaximèdeteftario ' £pam Hippocratesafpeétu inagis, quam efú coinmendauit, viſu bonā, elu malam elle dicens.Idcirco lucubram tionibus, et litterarum ftuţiis addi& is fùmmècauenda eft:oculos enim vitiati &viſum obtenebrat,bilemque exacuit.. Villicis, et folloribus,qui literis non ind. cumbunt huius eſús maximè collauda tur: eius enim calorevires ad opera exercitanda magnopere excitantur.Ex Plinio.. C Anima 164 B1: 1 c:L L /, Animalibus naturam non modo terra, perum etiam fi um pra terminoconftituiffe. Agna fuitconftituendis terrarum terminis, et fitu quibufdam animalibus: ne simul vbiqueviuentia, et hominibus et fibi ipfis perpetuo effent nocumento. Pro ptereaanimalium pleraque in diuersű à proprio addu &ta fitum vtplurimum ægrotant,et moriuntur. Hinccolligi musin Meda, Sylva Italia, nonniſiin: parte repeririglires. In OlympoMaceo doniæ monte Lupi minimè habitant,nec in Creta Infüla. In Africa nec Vrfig. nec Apri, nec Cerui, necCapreæ videntur: In Illyria, Thracia, et Epiro Afini paruigenerantur: In Scythica terraa..tem, &Celtica neclunti Alini, nec vio. uunt Leones in Europa, Pantheræ inAſia, Ibisin Aegypto lolum commora tur. In Creta: nec Vulpes, nec Vrfifunt,necaliud animal maleficum pręter Pha langium. In Ebulo Cuniculi non funt,catent in Hiſpania, et Balearibus, In Seripho inſula Ranæ ſuntmutæ,illæ au temfialiò transferuntur, vocales fiunt. In Italia mures aranei venenati ſunt hostamé regio vltcrior Apenninohaud generat. Ceruiin Hellesponto ad alie nos finesnon commeant. In Ithaca illati lepores no viuunt. Sunt et alia animalia quæ indeterminatis locis, &non vbiqi viuunt, et generantur. Apjefum in menfisapud Veteres infauftum extitiffe. X veteribus maiores nullum A pij genus incibis admittere folebant defun &torum enim epulis feralibus ab ipſis eratdicatum, vtex Chryfippo Pli nius retulit. Multiautem non folum ex hoc, quiaſepulchra coronabantur,Api umà veteribus fuiſle damnatum à men ſis, fed etiamquia eius eſu viſus dimis nuitur, et Epilepſia generatur autumát: vnde àMcdicis nutrices moneri conſue lo, (frequenti enim huius vſu, lactumdecrementum, tum malam recipit qua titatem ECO 9. i > Samen litatem )vt abApio abſtineant,ne lacté tes in morbum comitialem proni fiant. Dicunt in eorumcaulibus nonnulli cru diti ſcriptores vermiculos naſci, eoſque fterilefcere,qui comederint in vtroque fexu: Satyri teſticulum carnofiorem Veneris in.cendia excitæreflaccidum vero extinguere. Atyrium; quod Canis teſticulos vocant,magnæ apud fapientes eſt conſi derationis:in hoc enim,tum Veneremexcitandi,tum reprimendi à natura vi. detur eſſe remedium collocatum. Quip pèmaior planta bubulus, quiplenior, et mollior eft,ex ſuperflua &ventola eiushumiditate, in potu aſſumptus Veneris incendia excitate cóſueuit: minor verò,qui flaccidior, et aridior eft illa reprime re,Veneremque extinguerevidetur. Obid(vt aiunt) in Theſſalia mulieres molle teſticulum in la &te caprino adſtimulan. doscoitus,& bibere,& hominibus inpo tu;præparare ſolent.Quodautem in Sa tyrio mirabilius eft,aiunt, alterú alterius in poo Sier o in potu ſumptų potentiam et efficaciamrefoluerezlı vterque teſticulusvpà exhi betur. Sterilitatem hominibus,àfterilibus animali " bespoffe prouenire. I verum eſt, quod ab Athenæo prodicur,Malluin ter in vita parere,relis quoque tempore fterilem efle, quod ineius vtero naſcantur vermiculi, à quibus femendeuoratur non abfque rationeexiftius naturahomines pofle fterileſcere. Terpſicles apud eundem dicebat.Mul lusenim fi viuusin vino fuerit fuffoca. arus,atque id vir biberitçrei venerea -operam darenon poffe creditur, quod ex 3 Plinio etiam confirmatur, qui venerisincendia extinguere fcripſit. Cynorhodiradicem ad Hydropbobiam pluri mumvalere. Dmorſum canis rabidi vnicum " A Pemedii,quodá oraculoropertiproponit Pliniuslib.8.cap.41. Hæc radix Hlueftris roſæ eft, quæ Cynorhoda aplpellatur.NarratB.Fulgofius de quadam s fæmina quæ per ſomniú admonita eft, vt12 Hvide vtradicem Cynorhodi filio à cane ra. bido demorſo, et aquas iammetuenti præberet, quæ ftatim ex Hifpania affer ri curauit radice quaHydrophobicus ce, lerrimè fanitati fuit reftitutus. Ex Gem. m4Cofmacrit. lib.1.ap 6. Hominis vitam quibusfignis long am,velbres nem metiamur. Ominis vita pomoperfimilis effe videtur; quod aut maturum,deci. dit Spóte,aut ante iniuriatempeſtatum, ventorumue impetu deijcitur. Vitae breuis figna colligimus,raros dentes, prelongos digitos,ac plumbeum habere colorem. Contra longæ,incuruos hu meros, nares amplas, et tria ſigna primis contraria, multosſcilicet dentes, breues digitos, craſfosque atque clarum reti. nere coloreinForcius. Extra£tum Hellebori nigri ad morbos inue ter atosmagnaeffe praftantia.N thrities atqueaffectibus inueteratis, iiſque potiſsimum, qui ex atro, et meolancho T! ta ļ lancholico humore excitantur, extra Ecü migriHellebori,remediumpraſtancil efimum femper clle inueni.Capianturnie gr Hellebori radices àfordibus purga tæ, et in pila terantur groſſo modo: in fundantur vinoalbo,& in vafe terreo e bulliantur quousquc radices benè emol liantur, quofacto prælo exprimantur,& iterum in vaſe terreo leniter ebulliat (deic et istamen radicibs) quod fucrit expreſsum. Acquiretfuccus (piſsitudi nem inftar picis, quicum modico cinna. somo,& pulucreaniſorum miſcendus eft. Dofis in grandioribuseft fcrup.ſem. in minoribusàgranis quatuor vſque ad ſex. Datur cum zuccaro in forma pilalar. Confiteor inobſtructionibus, in c pilepticis, retentione menftruorum ex cralforum humoruminfarctu, et in alijs inueteratis affectibus, mirabiles huius remedij fucceflusvid.Conficitur eti, am extra et um fine expreſsionc, et cffi. - Cacifsimum cſt.AdLejenem induratum ejufqueobfrationen efficacifsimaprafidia TE 3 Inte Nter earemedia, quelienem, &fple. neticos ab obſtru &tionibus liberare repertasút,mihi femper ex voto fuccef GtAbſinthijRomanideco &tum,ieiuno ftomachoepocú,quod à Cornelio Cel fo fummècoromendatur:Vt autem eura felicior ſuccedatpoft cibum,aqua Fabri ferrarij; in qua pluries ignitum ferrum extindum fit,Lienoſis præbenda eft. Experientia id totum manifeftauit, ani Talia enim apudhuiulmodi fabrose nutrita, ob eiuspotum, exiguos habere lienes obferuatur.Beniuenius, ciuem Florentinum per feptennium ſplenis fcirro malè affe et umcuraffe gloriatur, atque ſolo eſucapparorum, et aqua per lanalle.Debenttamé hæcremedia mul to tempore vfurpari,vtfcopú attingat. Hominem quendam fuifferepertum, mira vaftitatis,&ingluuiei. NdixeratMaximilianusCæſar Ann, MDXI.apud Auguſtú comitia: quã. do illi vir quidam, prodigiofæ vaftita tis, et craſsitudinisoblatus eft;at in illo incredibilis, et inſatiabilis erat ingluuies itavtintegrű virtulü crudun,vel ouem UN It incođá vna vice deuoraret, nec taméfa.mem expleta diceret. Ferunt(vt Surius) hominēBorealibus regionibus ortú fuiſ fe,vbiob locorú frigora folent homines elleedaciores.Hoc taménon folú in Scptentrionalibus partibus,verú etiam alibi bi repertú cft:Voraces n.fupramodúfuifle referunt Aeliano auctore lib.3.de var. hift.) Pityreú Phrygem, CambetenLy dium,Charidamcleonymu,Pifandrum, Charippum,Mithridatem, Ponticum.Et eAnaxilas comicus dicit, Cefiam quendā infinitæ voracitatis extitifle. Antidoterum aliquet contra penenum ab ſeruationes. Rcareca Viperamorfus, per impofitioné tormentille à campo penſili colle etę,illico liberatus eſt,Altercum ingenti dolore, et ardore premeretur fuper | dextra spatula, et ita angeretur, vtvix ſe s pedibuscontinere, oculis videre, et lo. qui poſſet, veritus neàfcorpione eller comorſus,oleum bibit,multú vomuit,& à dolore leuatus eft,et quod mirabilius, Ha in ſpatula nihilerat ſigni,vbi prius fue rat dolor.Quidametiamà fimili dolore, et tremorecorreptus ex aflumpto Bolo armeno cum aceto ſubito cuafit.Puellus etiamputredinem timens, et vermes al fumpfit Scordeum, &liber fa et us eft. ExFranci.Thomaſio depeste. Quoartificio Cancri pixiextemplo sodi vi deantur. Inumſublimatum, fiue aqua vita magnam habet efficaciam ia rubi ficandis cancrisviuis: propterea fi vis homines in admirationem dicere,accipe viuos Cancrosatque in vino fubliaato fubmergas, ita enim confeftim ruber cent,acli perco&ti eflent cantaeft illius aquæ caliditas, et energia,vt inſtar ignisexardeſcat: admiratio tamen indenaſci cur, quod rubefa et i,& viui ab aquae. cmpti ambulent. Quorradoflamme excit etw inagha. I calcem non extin et amaccipias,Sul et lalnitrum in partes æquales, ac bene omnia fimul ailccas,puluis perabitur, qui forqui in aqua proiectus inflammabitur, ac ducem reddet:quod parui mométi haud Berit,prçcipuè ſinodu luce indigebis.Po e terit id fieriin valčulo aqua pleno, vt™ quidá amicusmeus dū no et u in itinerelefſerexpertus eft,qui totum mihi fideliter comunicauit. 9 vbivigent morbi, ibimaximè remedia oriri. M.Agna eft Naturę prouidentia ia ado iuuandishominibus,quippè obſeros suatú eft,vbi aliquimorbi copiosè vaga. ctur, ibiremedia accomodataad illlorum exterminiūnaſci voluiffe.Hincinaphri bea, quęferpentú eft feracißima,aromata? tanquã eorű veneno antidota,oriuntura In ArgoScorpiones plurimi videntur; propterea ibi Locuſta adverſus Scorpio.nesinſurgensnafcitur: ApudIndos Os cidentales Gallica lucs viget,ibi lignumSanaaGuaiacum di& á exoritur, et il. lincad nosdefertur.Catharides venenoierodunt:ex illis remediú caput, alias et e pedes earum exiftereobferuamus.Quia Stellionibus mordentur, iiſdem in potu Ghana fumptis,fananturCrocodili adeps, fi in ipfius vicera inftillatur,ſuo veneno me deri videtur.Scorpiones,Draco mari. nus, et Paſtinaca contriti, et eorum pla gisimpofiti,procul dubio fanánt. Na. pellusmortiferum venenum eft, vbita mennafcitur,ibi Antorareperitur.cuius radices cốntra Napelliperniciem,fingu Jareſuntpræfidium. Animantium lac ab alimentis recipere gut litatem. Lacomneinanimantium corporibus alimeati recipere qualitatem adeo verum et vtdemonftratione nonegeat: liquidem nutrices ex prauo in vidure giminenon ſemelinfecifle infantesvifa funt,hac etiá caufa lacin ijs modò.craf fum,modòliquidum,aut ferofum cer nitur,eo quod cibusaut craffus, aut in eiſsiusfuerit,modò infantium cóftrin git aluum,modò ſoluit,quod vel con ſtringentiavel foluentia nutrices come derint,Hocin pecoribus etiam manife ftum eft:inlocis enim vbi hæc fcamoniú Helleborum,aut mercurialem comedit, vtiq; lacomneventré,& ftomachūſub vertit: quemadmodú Dioſcorides in Iul ftinis moribuscontingere prodidit: vbi ficapre albúveratrū pro pabulo habue i fint, primofoliorúpaftueunmere, et ea rá lacnauſea n epotứcreare atq; ftomachúvomitionibus offendere ait: Cum a.. adftringétibus pabulis,robore,lentiſcogsfrondibus oleagincis, et terebintho pe cus hocveſcitur, lac ſtomacho accómoedatiſsimügenerare veriſimile eft. Ex pulcbritudine, da deformitate aſpoetuse'mures viuentibus coniectusari. MAgmá nobis afpe&tus pulchritudoveldeformitasnon folurn in homin I nib,fed etiã animalibus,& plátispreſtaci cóiectură,qua benignos vel prauosmon res et naturas veoarifolemus;intuitu nó pulchri corporiszfpeciofiq; afpe &tusmité naturam, benignofq;moresinhomine illo perfiſtere conieéturamus: contrain I deformicorpore,turpiafpe et utimemus. enim neſcio quid calliditatis, et malitie i In animalibus laudamuscatellos, canes Venaticos, et ſagaces, venamur in eis benignam naturam, et mitesmores: (6.. tra in Maloſsis,inLupis,Pantheris, et fi milibus, timemuscrudelitatem, maliti am, et voracitatem. In plantisex pul chritudine venamurfalutares naturas, ex deformitate autem noxias, Rola,Li lium, et Iris nobispræftát argumentum, quamplurimis pollere virtutibus: con tra Cicutam, Aconitum,Napellum.ex deformitate enim plantarumhuiuſmo di,mortem nobis poſſeinducere arbitraarur. Ex Poria in pbyſiognom. 1: partibus Septemrionalibu sdeficitate tesexaceri. Laus Magnus de gentibus Septena. rrionalibus loquens: Sunt (inquit )Biariniidololatrę, et hamaxobii,Scytha. rum more,atquein falcinandis homini..bus inftru et iſsimi; quippè oculorum, aut verborum, aut alicuius alterius reimaleficio, homines fæpe ad extremam maciem deducút et tabefcêdo perdunt.. Inhamorrhagia fele&tißimum praſidium. Nfluxu fanguinis narium copioſople..5i9; et in animi deliquia, et fyncopim deur.. perati intercant. A periam quodmihi deueniunt, multoties etiam tanti peri cali bicmorbus eft,vtægrià ſalutedeb u,fem * per adhibere profuit.Burſa paftoris co I trita, ficum ouialbugine,et aceto,com i mifta fuerit, et frontiapplicatur, confe * ftim fanguisconftringitur;ve mihinon £ femel in infirmorumcuracontigit. Vi infebricitantibus fitis, lingua ardor compefcatur. Nfebricitantiú querimonijs exſiti, et linguæ ardoribus, Criſtalli vfus inter præcipua iudicatur remedium. Itlad enim fi diù in aqua frigida agitatur, &ore deindedetinetur, fitim et calorecorrigit, atque linguam humectat: ma ioris tamen virtutis eft lapis albus, quiin lysacis capite reperitur. hic porrò ſub lingua agitatus non modo fitim caloremquerefrenat; verum etiam faliva in ore excitat: vnde febricitátibus,&ma kimè, fiticuloſis prælentaneum iudicae tur effe præadium. Ex Lemnio. SkolenAl ignis prefidia fuiſsimè in morbis CW AX: dis Aegypties TerueTATE. VarAegyptij admodum proclives in languentium cura,adignea prælia diaeligeada,propterea vftione vtuntur afthmatelaborantibus,in ſtomacho friegido,humidoque ab humorumque dea Auxu, &facibus repleto,Hepar,& Lic nemobduratum, &refrigeratum,multa cum vtilitate inucunt; Hydropicos ſubvmbilico, &fub hypochondrio finiftro linea petia ignita adurunt. Indoloribus dorfi,lumborum,colli, et orenium arti culorum,in ſpina dorli,lumbis,collo,et alijs partibusdolore cruciatis,hocpræſi-. dium frequentant, In tumoribus àcrue. dis, pituitofisquc humoribus generatis ad ignem confugiunt, tanquamauxiliú quod citò multosmorbos curet, inopia queproprium efle autumant. Ex Alpines de Medic. Aeg opri..Centium, et populorum ingenia bifuris, prouerbäs: excogitari.. Vlius Scaligerivir acutiſsimi inge nij,Gentium,& populorum naturas tum ex hiſtorijs, tumex prouerbijs, at que ex ore vulgi ita excepir. Alanoruto luxus:Africanorumperfidia: Europeorü acritas.Mótani afperi. Campeſtres molliores,deſides.Maritimi prædones, mi ftis tamen moribus: eadem ratione Infulani quoqueſunt.Indimobiles, inge nioſ, magiæ ſtudioſi,numcro fidentesoAffyrij,Syri ſuperſtitioſi. Perſæ, Medi Baštriani,Pyrrhi,Scythæ,Sibi,Phryges,Cares,Cappadoces,Armeni,Pamphilij, mercenarij, atquealijsbellicoſi, Aegyp tizignaui,molles, ſtolidi, pauidi. Afria cres infidi,inquieti.Aethiopesanimofi,pertinaces, vitæ mortifque iuxta con temptores. Thraces,Myfi,Arabes,Mo.ſchouitæ, Pæones, Hungari,prædones. Illyrij, Liburni,Dalmatrz, iactabundi,Germani fortes, limplices, animarum prodigi, veri amici, verique hoſtes,Sue.tij.Noruegij.Grunlandi, Gorri, beluæ, Scoti non ininus. Angliperfidi, inflati,feri,contemptorës,ftolidi,amentes, in ertes, in hoſpitales,immanes. Itali conAtatores irrifores,fa &tioſi, alieni fibiip kis bellicofi,coacti,ferui vine(cruiant, E H Dci 318 ! CEL: 1: 1: Dei contéptores. Galli ad rem attenti,mobiles,leues,humapi,hoſpitales,'pro-. digi,lauri,bellicoli,hoftium contemptoges,atque idcirco ſui negligentes, impa rati, audaces, cedentes labori,equites, omnium longè optimi.Hifpanis vi& us, afper domi,alienis menfislargi, alacres, bibaces,loquacesyia et abjadi lor 3.Poc-, tices. SCMabaum,SolisLunaque coniunčtionen piuentibus oftendere. Irabile eft, quod à natura Scara-.bæus animal notifsimúedidicit, omnibus enim Solis, L'unaque coitum apertèdemonftrat.Hicex bibulo fter core pilulam ab ortu, ad occaſum totá. döverlans,in orbis imaginem effingit, quam xxviii.diebus peracta humiicro beobruit ibiquecandiu abfcondit, dum ZodiacuniLunaambiens fiat interme.. itiis,&fileat:tum foueamaperit, et fide-. THM coniunctionem denuncians,nouam pralemcdit: hæc enim eft iftius beſtio la necalia nafcendi origo Ex Mizeldo.i. exo # Bobilin 2x Quorundam aimalistu natur &..Oseft conftans, afinus piger,equus: libidineincenditur, petitąue impe.. tnosèfemellam;lupusmiteſcerenequit; Vulpes inſidiola, aſtuta callida: Ceruustimidus;Formicalaborioſa:Apis parca: Canis gratioſus, ad amicitiam propēlus,Leoſolitarius,expers focietatis,nunqua pabulum externum admittens, tanta vocismagnitudine, aut fonitu, vt ſolo Tugitu celerrimaanimantia profternat; Visſapigerrima,ſolitaria,corporegraui, compacto, indiftin et o: Panthera veheamenis,& ad impetus faciendospropenfa, pernixoyedi& a quaſitotafera.Anguis fæniculi paſtu oculorum lippitudinem carat: Formica temporishybernipabu lum æfiate condit:Item - fides in canibus, in elephante manſuetudo,ftudiumore of natus in Pauone, çura vocis amanæ ſuam, uiſque in Lufcinia.Forciuss.Cervorum vitam,eße lengisimam. Piabat Magnus Alexander poſteria -jari, Ceruorumvitæ loogicudinem oftenders,propterea multoscapi iuſsit, quibus aureos torquesin collo in neđi voluit: in ijs temporis curri culum erat expreffum,&Alexandri deo creturn; illorum aliquot poft centum annosab Alexádri mortecapti fuerunt, qui adhuc ætatis ſenium minimè pręfe ferebant.Ex Plinio.Mafculinum fuum citius in ptero, gianfo mining animeri.. X omnium ferèScriptorum opi nionemaremfætum citiùs in vtero, quam fæminam animari capitur,aiunt enim marem io dextra parte matricis ex feminecalidiori concipifæminam:verò ex ſemine frigido, ſiue minus calido in finiftra partematricis,quæcomparatiuè ad alteram frigida eft.Hincmasdie40. foemina verò 80.vel90..vtplurimuma nimaridicitur:quod frigidum tardum fit,&pigrum in ſua operatione:calidum. autem velox: idcircò virtutem forma tricem invno femine velocius, et citiusmébra organizare, et formare, quam in alio obferuamus. Ex DominicoTbolofanofuper Leuit.cap. 1 o. Pici PictMirandulaniingenium, quam maximè collaudatum. A,&,+ PiciMirandulani,& ingenium, et et multiplicem do et rinam collaudabant,et miro ordine extollebant:Quando(in quit Picus) ron eft,vthac in re mihi,autmeo ingenio velitisbiandiri: quin refpi.. cite potius afsiduis vigilijs, atq;lucu brationibus,quàm noftro ingenio plau 9 dendum: et fimul aſpicite fupelleet ilem noftram,atque librorum thefauros:oité I debat porro Picus bibliothecamegre. gio ornatuconſtructam,atque omnigem nis libris ex varia eruditionerefertam. Ex Crimite InHydrargyro onnis metallica Supernatare. Akreexcepto.Ercij,vel fi mauis, Argenti viui; proprietas mirabilis cit, quòd, omniamineralia ferè,vtplumbum, fer Tum, æs, et alia ponderotiſsima(excepto. auro )ineo fuperpatent: aurum ditem, * fundum petir, et eius recipit, cola rem,quiignis tantùm opeabfumitut et in fumú mali odoris refoluitur. Hu. jus nidor,et virulentia nauſeam, nocu mentumque adftantibus inducit: inde membra ſtuporemrecipiunt, et nerui relaxantur; vt fæpifsimèip inauratorio bus obferuatur. ExLem. oleicinnamomai rara o pretiofa como pofitio,plerisque incognita.Icinnamomiolcum ad diuerfas infira: mitates parare optabimus caperec portet,cinnamomicontriti lib.j.quam adinftar liquid: pultis cum oleo amyg-: dalarumdulcium commiſcere ftude bimus, tum demum duodecim dierum ſpatio in loco tepidoclauſo vaſculo fituabimus, poftmodum ex torculari totam id exprimatur fortiter:hac ett nim methodo oleum, odoris,.coloris, et faporiscinnamomihabebimusad votum. Hocadvires reparandas, et Vio letudinem conferuandam rarum eft ro medium,prodeft parturientibus, et in ftomacho debilitatotam interius,quàna exteriusvfurpatur; ngritudines frigi 18g A E das arcet, et in partibus corporis ro u borandiseft tantæ efficaciæ, vt vix ale v toruin conſimile inueniatur remedium.. eMarimum Herinaechin tempeftates:mariti w pracognofcere. Dmiranda profecto: eft'Marini Herinacei proprietas: hic paruus pifciculus eſt, nullatenus tranquillitatis tempore naturali propenſione futu ram præcognoſcit tempeftatem. Ea im.minente ita fe præparat: faburram fa cit, lapidem ore percipiens, ne maris fluet us,vndaqueimpetuofæ facile eum diocodimouere, atque huc illuc in pellerevaleant. Nautæ id afpicientes: fucuram tempeftatem à piſciculo hoce. do et tipercipiunt, ob id anchoras et fue. des, et fe ipfos parant, tempeſtatibus marisreſiſtere poſsint.Ex D.Ambrofia, Miracuimdam fontis in Epiro Proprietasi Anaturz proprietas illius fontis, qui in Epiro (vbi Dodonæi louis tema. plumolim inftru &tú erat, quacaufa hic faces facer di &tus eft ) inuenitur.Ille fri. gidus eft, et immerſas faces, ſicut cx teri extinguitcum: autemfineigne pro culadmouentur,mirabiliter accedit, A bulenfis fuperGeref.cap. 13. dehoc menti onem facit, afferitque huiuſmodi pro prietatis cognitionem Adam, et contéporaneis fuiffe apertam, diluviogue et gentiumdifperfione effle perditam.videPomponium Melam. mHecla ignem emiffum,ficcis.extingui, to que verò nutriri.Dmirationem, &fidem omnem ſuperaret, ignem ab aqua nutriri, et nonextinguiintelligere,nifiGeorgi us Agricola,vif noftræ tempeftatis me moriadignus,oculatus adfuiffet in He cla.Narrat hic in Inſula Irlandia mon temnomine Heclam exiftere,, ex quo ignis emittitur,vt hodie in Vulcanopro. peSiciliam,Sicaniam dicam, et Puteo lis in loco vocato le Fumarole, obſer uamus.Ille autem à cæteris diſsimilis ficcis extinguitur, aqua verò alitur. Exlib:noftro de Hydrom:Naty. Hominum aliquot fubtilioris, plerofque au temgroſsioris ingenij adeffe. Ropterea Aftrologi, et præcipuè Al. bumas,hominumaliquos fubtilioris i ingenij,aliquosverò groſsioris inueniri volunt: quia ineorum natiuitate Mer. curius, vel bonam,vel malam habet pòa' fituram.In quorúenim natiuitate Mer. curius in domo,velexaltatione Solis fue sit, ij ſuntingenio prædici; fi verò fuerit + in domo Lunæ, nafcuntur groſsioresorPtolemæus, Bropoſ. 70. in quorum ortu | Luna reſpicit Mercuriú, fapientes fierivoluit;contra autem amentes:quiaLuna virtutes naturales infundit,Mercurius veròrationales:vnde eum virtutes naa turales,quibus corpusguberdatur, rati onemreſpiciunt, ille nafcitur sapiens; cùm autem non refpiciunt, amens. Hac etiam de cauſa efficiturmentis hebes, et obliuiofus, qui in natiuitate Mercurium babuerit retrogradum:fi enim dire &tus fuerit,ingenijceleris fiet. HancAſtrolo. gi ducuntrationem, quòd ftellæ nóim. peditæ,luas faciant naturales operatio nes;oppoſitum autem,fiimpediuntur. Hisdecaufis frequenter Aſtrologosve sapronoſticare de moribus hominiume" accidit; non quòd ita neceſſariò eue.niant, fi homo per voluntatem, ratico pis legem magis, quam ſenſusſequi voluerit:fed quia pronuseſt ad ſequendum appetitum fenfitiuum, in quo Aſtrainfluunt. Raxael. Matr. in Addit. Bartol.. Bibyl. Galenum omniumporiamcorporis,folum perfe& ifsimè inter veteres, morbos Caraffe. RatapudAegyptiosinuiolabile de cretum, vt fingulis morbis, finguli adhiberenturmedici. Hinc illorum 0. cularii, auricularij, et alterius,morbo rumnomenclaturæ aliquot vocabantur: arbitrabantur enim fieri non pofle, vt v nusomnium curarum difciplinam re&tè teneret; quamuis in vnadoctus habere tur,vt BaptiftaFulgofuslib. 2. adnota uit. Galenus tamen illic temporis interveteres, naturæ miraculum, omnium corporis humani partium, tanquamfa. E pientiſsimus,morbusperfe& ifsimè fo lus curarenouit. In lib.de Pet. Art.Med.c.2. Grecos feriptores de Iudeorum monumentirutibi pertractafle Riſteas, cuiushodielibellus extat de Translatione Interpretum,refert; Ptolomeum Philadel phum, fecundum Aegypti Regem poftAlexandrum, quæluille ex Demetrio Phalereo, quem ille inſtruendæ biblio thecæpræfecerat, curGræci ſcriptores,.nullá dehiftoriis, &monumétis ludæorummentionem feciſſent reſpondiffe autem Demetrium, tentafle quidem id facereTheopompu,& Theode&tem,no biles in primis fcriptores, et quedá ex lu..dæorum monumentis ioleruiſle fcriptis fuis: fed mox taméluifſe temeritatis penas:illum enim amentia: hunc cæcitate diuinituspercuflum; ſed poftea mali fuicaufam agnofccntes, et ex animo dolen tes, placato Deo,ſanitari ellereſtitutos. Eufebius lib.8 De Prapar. Euang. A Cane qido demo- fum, inftarCanisla traffe proditumeft. Ex corrupta imaginatiua non femel à cane rapido commorhlatrare vifi funt:cognouit enim NicolausFlorenti nus quendam, quià cane rapidomorſus, curationem vulneris minimè quæfiuit; exercuit hic per dies 35.negotiaſua abſ. que læſjone, maneautéfequentis diei è lecto ſurgens retrò vxorem ſuaminftar canis ſtetic, cæpico;pofteam latrare: dú autemab illareprehenderetur,lubridés ſurrexit, idque pluries eadé die reperi uit. Seròcorrupta ex eius ratio, et die 40.mortuusà morſu illato repertus eft. InArthritidey Chiragra, quando mors fuccedas. Arò mortem in Athritide, et Chi Rcorporis ignobilibus humor refideat; hinc (nouo haud fuperueniente morbo) talesàmortis periculo, vexatidoloribus vindicantur. Has tamen mori com pertum eft,quando circa finiftrum pectoris finum, cui cordis turbinatus mucro ſubeſthumorum colluuies den cumbat,atque Gniſtræ manus digitus an Bulan Di mularis nodum acquirat, ac valde intu imeſcat.ex Lemnis. Lienen ad -corporis tarpitudimem maximè Talere,Vantacoloristurpitudine,qui ab in dicuntur,exiſtant, in dies obſervamus, nonmodò in illius obftru &tionibus, verùm atqueScirrhis, alijſque tumori -ribus. Hioc iure dicebat Galenus z.de Natur. Facult. Quibus corpus florefcit,his lienem decreſcere,ac vice verla,qui bus lien creſcic, illis corpustabeſcere, et o vitiofis repleri humoribus. Caufa om nium eft, quòd lien abinfar &tu fa et us imbecillis,nequit(fa &ta humorum ſeparatione inHepate) melancholicum fuc cumad ſe attrahere: hinc demiflus ille cum fanguinecorporisatro colore ani. bitum maculat. Iumenta clitellaria in itinare fibilo,da Cana In à laboribus fubleuni. Vlicęconcencusſongriſ numeri maximè hominesdelectant, ob id multi et cymbala, et alia muſica inftrumenta frequentant, vtanimus à mæftitiis fubleuetur. Hac coniectura obferuatum eft:iumentaclitellaria in la boribus, et itinere, cantu, et libilo al leuari:proptereamulones, vt muli, ce seraqueiumenta dicellaria,& tarcinam, et alia oneraminus laboriosè fentiant, tincionabulorum torques in illorú col. lisfufpendunt,quorum fonitu, huiuſ modi valdedele &tari cognouerunt, et perinde refici,et à laſsitudinc fubleyari. Ex Vairo kb.z.da Fafcine, Mafalas nigras in acutismorbis apparentes, exitium prefagics. Neer ligna, mortem languentiuni, quæpræſagiunt in febris acutis, illud maxime obſeruatu iudicaui dignū, quod àSauonarola multa experientia com probatum eft. Sienim infacie, ſeu genisægrerum,maculæ nigræ obortæ contpi cientur,prcculdubio languentis exitiumminantur,quippè venenofæ, et peftiferę materiæ in corpore predominiú redun derearguunt, ex quo mors ſubſequitur. Has cum obſeruaſiet Sauonarola, ex tali ľprognognoſtico,magnumhonorem fua ifle confequutum refert. Acetum adictusvenenofos epotumplurimum valere. X Cornelij Celli obferuatione ace tum pertumeſt:quippecùm puer quidam ab j. afpide ictus eſſet, et partim ob ipſumvulaus,partim ob immodicos æftus, fiti premeretur,cum in locis ficcis aliumhumorem nó reperiret,acetum, quod fortè ſecum habebat, ebibit, et liberatus eſt:coniecturandum eft acetum, quamuis refrigerandi vim habeat, habere etiamdifsipandi,quo fit, vt terra reſperſa co spumet. Propterea eadem vi veriſimiale eft, fpifleſcentem quoq; intus humo. rem hominis, ab eo diſcuti, et fic darifanitatem, lib.s.de ictu afpidis. A quodam piſtisgenere febrem illico excitari. N Arota flumine Inſulæ Zeilã quod. dam piſais genus reperiri referunt,quod manuapprehéfum febrem accen, 1 dat.Equidem piſcesillic neutiquam elculenti ſunt, liceat flumen fitpiſcofiſsi mum, qui tamen piſcem febrium appelfatum retigerit,confeftini à febre corri pitur;ſed quod mirabilius eſt, demiſſopiſce, ftatim liberauit.Cardanus, et 566 lig.in Exercit. Fæminas in maresfuißecommutatas fabulo fum non est. Pudmultosauctores ex pluribus obferuationibusnotatum reperio, foeminas in mares quandoque commu taras fuifle:referam folum,quod tempo reFerdinandi I.RegisNeapolisfueceſsit. Erat Salerni quidarnLudouicus Guara rea, à quo quinque filiæ fufceptæ funt, quarum natu maioribusduabus, alteri Francifcæ, et alteri Carolæ erat nomen. Hæ ambæ cùm perueniffentaddecimu quintum annum,in mares mutatę funt: ijs enim genitalia membrainſtarmarių eruperunt,mutatoquehabitu pro mari bushabiciſunt: Franciſcus,&Carolus nuncupati.Ex Fulgoro. Sene et utis incommodatam corporis quàmAnimai NKINGT ANTUT: Quanta fint in fenibus, et corporis, et animi incommoda,non modò à Scriptoribus, verùm arquecontinua,ob feruatione experimar,vt iureafferere libeat,hanc hominis poftremam ætatis $ partem miferrimam iudicari.Mortales enim cùm ad fene &tutem perueniunt * cor eorum affcum eſt,caputtremulú, (piritus languidus, anhelitus færidus, frons caperata, corpus recuruum,nares mucores deftillant, vifus debilitatur, i capilli decidunt,dentesputreſcunt. In fuper ſenes ſunt iracundi, inexorabiles, moroſi,nimiscreduli, rarò obliuiſcun. tur iniuriarum,laudantveteres, prælen tiadamnant,triſtes ſunt, languidi, iniu cundi, et alperi:ſuntauari,ſuſpiciofi, o.neroli,difficiles.Exquibus fene &tutem fentina, et cloacam efleomnium fordú, et immunditiarum ætatis noftræ confia tendum eft.Ex Lauren. Cupero. + MagnumAlexandrum, corporis ſudorem ha buiffe redoleni em. Rat Magnus Alexander tam reet a humorúarmo I 2 nia, et temperamento conftitutus, vee iusanhelitus odorembalſamiexpiraret; imò fudor, quem è corpore emittebat, tanta ſuauitate, et fragrantiaredolebat, vt quoties eiuspori recluderentur, gra tiſsimis odoribus perfufuscrederetur. Quod autem mirabile, et difficile credi tu eft,cadauer eius tamfuauiterſpira bat, vt aromaticis ſpeciebus repletum efle iudicauerint.. Ex Quinto Curtio,& lib.noftro de Hydron.Natur. Diuerfe quorundam hominum virtutes, ornamentA. P tibus,tumanimi magnificentia col. laudantur,omnesin paucis earum per. fe &tionem, confirmant. Porrò Ablalo nisformam, et pulchritudinemextol lunt:robur, &fortitudinem Sampfonis: fapientiam Salomonis: agilitatem,et celeritaté Afaelis:diuitias, et opes Creo G: liberalitatem Alexandri:vigorem,et dexteritatem Hectoris: eloquentiam Homeri: fortuuam Augufti: IuftitiamTraiani: zelum Ciceronis. Veteran Baderoase no canna, et in papyro pennafcribebate Veterim ruditas, &infcribendo vari Arbara equidem,& miferaerat ve teruminfcribendo ruditas:ij enim primò in cinere, deindein corticibus,et folijsarborum,pofterin lapidibus,mox in lauri folijs, exinde in laminis plumbeis,conſequenter in pergameno, et tan dem in papyro fcribere politiſant.Eratpræterea illis in modo fcribendi, ins Itrumentorum diuerfitas: in petrisenim:.ftylo ferreo, in folijs penicillo, in cinere digito,incorticibus cultro inpergame. Eorum etiam atramentum varium erat, primum fuit liquor pifcis illius,quem nos ſepiam appellamus;deinde mororú fuccus;ad hæcex fuligine caminorum;mox eft fynopica rubrica,aut minio; vl. timò tandem ex galla,gummi,, et vitrioo lo fieri cófueuit. Bx Strabonede situOrbis. $ InAngira prauosatiuspilulamirabiles Periamnunc pilulas meas maxi mæ efficacia, quibus in angina 3 prafo А pręfocatiuaà cratsis frigidiſý; humori bus exorta, ſéper cu felicifucceeflu vfusfum.Interalias obſeruationes, in quibus tale medicamétum libuit experiri, luccefsit calus in R. Petro de Stephano Archipresbytero Cercelli, qui ferè fufafocatuserat, quare vocatus anno 16156 vt eius ſaluti confulerem; cognito morabo, quòd ex craſla et viſcida à capite de ftillatione fieret, pilulas meas inaurora exhibui,non fine loſephi de Simoncin medicinaDo&oris, mei collegæadmis. ratione, qui rennebat quodammodo. medicamentum. Eratpilularum comepofitio ex trochis, alandahal, et Aloes an.Scrup.Sem.j.Diagrid.Scrup.Sem.cúſyrup.de líquiritia conficitur maſſa. Ex hac plurimępilulæ,vtfacilius æger deglutiret, confe&tæ fupe:Hisdeglutitis, iuriscicerum fubitò cya mbum propine.re foleo,quemadmodum in hoc feci, qui fine moleſtia euacuauit, et breuidelituit dolor et gulętumor,benè reſpirauit,be nècomedit, et vna die fanusfactus eft, cummaxima multorum admiration et lgtigia. His pilulis vfuseftGalenus ad linguam tumefactam, vi lib. 14. Method s med. ſcriptum reliquit:Capitis noftri capillos, plant arumnatura mo ximè aRimilari. MAgnácapitisnoftris capillicumplá tis retinent fimilitudine: quemaddum n.plantęnónullæ humoris defe& u. inarefcétes contabeſcút,aliç verò alienis naturæipfarum humoribus occurſantes: o pereunt; fic &capitis noftricapillisaccia:-1 dit:vel n.ex humiditatisdefe et u,quanu. triútur; vel ex eiuſdé prauitatecorrum- 3 puntut, et decidunt.inc defluuiú et alir eapillorūdefe& us incap'oriútur.Ex Gal. Qya dia volucrum pennits varite coloribus tirgere valeamus:I volucrú pennas variisco !oribus tin--, gere 1 ter abluereoportet; mox in aquaalumi.. nisdecoquere,atq; du calent,in aquá cro co colorarā, ſi flauas eas cupimus, conii.* ciemus:lina.cæruleas, in fuccú, aut vinü acinorú ſambuci vel ebuli.In dilutofio. ris æris virides fiunt: codémodo colore minij,atraméti, alteriusuecoloristin &tas habebimus. Agric Poftulanie,à meluannesBerardinus Agricolas,Filicibus pro frumentoconfervant do in borreis pri. Oftulauit Mazzocca àVitulano,magna expe cationis adoleſcens, ob flagrantem in ſtudia amorem, cuiusfamiljaritas apud me gratiſsima eft:CurAgricolę pto fru mento conſeruando,filicibus pro ftra gulis in horreis vtantur; Equidem hu ius ingenium, et animiindolem fepè de miratus fum: proptera in recurioſiſsima complacerevolui.Vtuntur Agricolæ fie 1 cibus in horreis, vt cerealia à corrupte lapræferuent: quippè filix à proprietate generationi obeft, hinc agrifilice plenireputantur fteriles. Hinc filix epota ne cat vermes, &ex aluo deiicit: ingrauie dis necar fætum, mulieresque reddit ſteriles: quapropter multa rationeagria cula (1.cet tanti arcaniline ignari) filio cibus pro frumentorumſtragulis vtun ter: quia illorum corruptioni maxime refiftuor. TerrestresLumbrices digitorum panaricium: fanats. Panae sol PAnaricium in latere vnguium accidit,&interapoftemata numeratur,quod tantum inducitdoloris, vt patiens, ne. quediu, nequenoctu dormire valeat. Prohuiuscuratione, et dolorislenitionemultimultafcribunt: egoprofe et dcer. tiſsimo experiméto multoties compro baui,lumbricos terreſtres viuos ſuper pánaricium alligatos,præfertim in prin. cipio,mirabilitetapoftemacompefcere, et fanare, vt vix diei fpatium affe &tus pertranſeat. €Galega, atqueScordimir am,contra lüemo peffifentemefe efficaciam. M Trabileobſeruamus Galege, et Scordii efle virtutem cótra febres malignas, et peſtilentes;fi quis enim Galegęfoliainacetariis, autcarniú iure femetindiefumplerit,afebrehactutus, et incolumis præferuabitur. Idem (Gam leni teſtimonio ) Scordiumefficere pro batum eft:fiquidem ex.veterum quorú, dammonumentis aduerfusputredinem Scordium fingulare effe. remedium tra đitur, vt j.de Antid.capaz.legimus:nam Is cum nteremptorumcadauerain pręliog multosdies infepultamáſillent; quęcund que ſuper ſcordium.fortè fortuna cocia derant, multò minùsaliis computrue. runt; ea præfertim particula,qua(cerdi um attigerant:obquáremomnibus per ſuaſum eft,tam reptilium venenisquàm noxiis medicamétis quæcorpusputred ſcere faciunt, fcordum aduerfari. Anni bal. Camil En. Nodos. ininfantis ombilico filiorumrume-, rum haud oftendere. Pleriqueexnodis inkantisprimènato bliorum numerum ex eadem matre: naſciturumcognoſcere profirenturthocautem caretratione; fæpèenim fit, vt illa moriarur, aut cafta viuat:velplutesge neret filios, et pariat, quàm nodorum numerus exiſtat;fiue pluresviros habeat: è quibuscum alio plures, cum alio paung ciores filios fuſcipiat.Proptereà certio. kiratione afferendum,in nodorum vm bilici primi infantisconiectura, exiſtin, mosfæcundosvteros plerumque plures ! nodosininfátisparerevmbilicofteriles; miebe autem paucos, eofque non ad vnguem diſtincos, vtfrequens obſtetricum obą feruatio demonftrat, et vt euentui hæc talia,vtplurimum concordare.viden i tur. Ex Carda. 8.de Oryalum quem ſolo afpeétuauriginoſosbom. mines ſanare. Irabile eſt, quod de Oryalo aue ecircumfertur.Hæc potrò talem dicitur fuiſle naturam ſortita, vt icteria cum affectum, à quohomines plerum que moleſtantur, ad ſe valeat ſolo oculorum afpectu attrahere;proinde vocao tur I &teribus,fiue Galgulus à multis, ab ' Ariſt. autéinbiftor.animal.Goryon. Sed 1 quod mirabilius eft, auriginofus homo ab aliteviſus fanatur,ales verò moritur. Homines, quandoque ſolo intuitu Ophtbaho miamcontrahere. Vita obieruatione animaduerti Ophthalmiam fiue lippitudinis morbũquádoq; contagiosú elle, et folo perinde afpe et uab hominibuscontrahi:: oculienim tunc adeò perniciofam vim. $ retineat, xt in alios propriumaffectum, 6ciacus ejaculari valeant. Pulchraratione hoc Vairuslib.j.de Fafci, quomodofieri por fit, differuit:Siquidemanimus malèaffe et us fuum quoque corpusmalè habet; ob id fianimusaliquomcrore,aut vi. tio afficitur,colores.corporisetiam im mutar:ſi enimab inuidiacentatur,pallo re, &croceoscolore corpus. inficit. Inde fitetiam, winuidiatabefcentes,ftocle. Jos.inaliquem. liuentes.defigunt, animi fimul venenumvibrent, et quafivirule.. tis iaculis confodiant.Proptereamirumi non-ef,hominesaliquando ſolo.aſpe et uindippitudinemincideres,vt Hieron nymus,Thomafiusmedicusinſignis, (dú ipfe Neapoli ftudijs.vacarem ) defeipfo. teftatuseft. Adlapidessenum,din neficefrangendos mine rabile remedium.. Vidam -medicusecuditus, ad lapin desfrangendostanquam admiran dium.parauit cibum,cuiusefficaciama. dedimirabilem eſle cognouit,včad.lapi.. desexpellendos non folumàrenibus,& retisa;ſed etiamab anulo comedentis, efficacius remedium haudconfedus fu. erit.Paraturex hepate, pulmone, reni. bus,tefticulis cum priapohirci, quæ cú et croco, cinnamomo, et mellemifcentur, ac ijs hirci inteſtinaimplentur.Doſis fint duæ, aut tres.buccella Res porrò mon ftruofa,faveraeft.Ex.MicbaelePafebl. lib. 1.Metbed.Meck. Veterum medicornmpro conferuanda Sanin tatecollegium lans Rifx potentiſsimus Afiæ, et Syrie, quialter Alexanderdi &tusfum, it (vt ex Ariftiin libisecret.fiuede Regin. Principa.habetur)medicospræftantiores exregionibus Indiæ, GregiæMediæ,, ac aliarum mundi parciumcongregauit, quibus impofuit,vttalem inuenirent medicinam, qua fi homo vteretur,nec. medicis,nec adia: mediciņa indigeret, pollicitufque fuitRex dirüsimus maximumpræmiumefle daturum.Illi autem pro maturèconfülendo e rrium dierum fpatiopostulato collegiú iniuére. Mox ad Regem cùmomnes cffent requiſiti SanagesGrocus Medicinæ peritiſsimus, qui pręter ceterosdo et trina et fciētiaruatilabat omniú conſenſu Regiindicauit, quòd fumere quoủibet manè aquábispleznoore,efficiat,vt homo fanusperfiftat, &alia haud indigeatmedicina.blocprofeccò à rationealienu non eft:vtenim in Arabum, Græcorumque antiquifsimisvoluminibus inuenitur,aqua ponderofitatis ratione ad ftomachi fundum tendit,auget calorem, et citiùs comprimit, et digerit cibos, digeftionig; maximèau: xiliarur,ceteriſk; mébris corporispluri múconducit. Fabrorú exemploid torúinquiritur, quiin accenſoscarbones mo dicum aquæ conijciunt,vt ignisvi'maioriaccendatur.Idcirco binos aquæclear ræ hauftus manè potare, menfe Iuniopræſertim, propter choleram reprimen dam, multum confert ad fanitatem coneferuandam. EfBurtbolam. Moles in lib. de; ſanit.tuer.. Alexandrum Magnumfudorem fanguineum in pugna habuiſſe. * Vdare fanguinem puruminteradri Skadarranda, quæ rard luccedunt,puimera. SUT 1tur:vbenim in aliquot fudorex láguinis i iclore cruentus corpore malè affecto,:vifuseft; et is nequaquam fineadmiratie one, et iftuporezita di illeexputodanguis: nexortusfuerit,atquein corpore fano; ) vtique maiorem præſtat-negotijcaufaminueftigandi cupiditatem; vt futiſsimè nobisinlib.de Hydraniofazatura.olimediato pertraétatuet Referam nunc quod, Magno: Alexandro euenit; dum eſſet inextremevitae pcriculo conftitutus.Is cũ, in pugna quadamedererum fumma cumIndis.decertaters lub @ diarioque milisere deitituereto Milqucadedcholera: luccés,[useftzvékotocorpore purú languinédes fudauerit; Barbariſgulecotus igneisfiláns misardere vifus fit.Hocautemtantum ijs terroris-ingcfsit, vt feAlexandra.com mittere coactant, Lüpathium rantie darworetaſtas,tenetrier mas,efung aprusreddere. Rat apud veteres Lapathiorum vfus, pecu liare,eft,vtcarnes; &vedulia cú hiselixata vel link dugaa yesulta, et coriacea,terittitatem, et mollitiemacquirant.Propte. rea,quòdcibos concoctu faciles przſta,bant,& aluumemolliebant à vecerum à mélis raròhujuſmodi abfuifle legimus.Catoncorum feminum:muccaginem combusa fionibus maximèopitulai Nterpræftantifsimaauxilia, quæ có buftionibus: adhibentur', feminun cotoneorummuccagipesretinent prin cipatum. Referam:Petri Foreſti in pro prio filioexperimentum, Ille matri obo. fequioſus,,cümtefta carbone ignito repletamkappostaret,cecidit et igneoculos. combuftitit: Putem cum temen cotone.orum in quâ raſaceam coniecifset,atq; muccagineoculosiçpiusabluiffet;miraculi-infarpuer-comualuitabfq; combus ftionis veſtigio. Hoc etiãauxilio in f. milibus cafibus feliciſsimèſemper vsű fuiffe,idemconfirmat, In lib.6. Obf. Medo Aegyptiospermotasfiguras,fenfus,or. rummemoriameffingereconfueuiffe. A Egyptiorum fcientia,quiainter cæterasprecellerorerat apud ve teres, (illa enim ab Abrahan originem habuit)dcirco,& rudimento, &Hiero glyphicis ferè occulra indicabatur. Si à quiillorum primi per figuras animaliú (CornelijTaciti teftimonio)léfusmétiselfingebant, et antiquifsimamonumera humanæ memoriælaxis impreſla cer. auntur,et literarum inuentores perhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcis: - látceręreperiuntur,quæRegum illorum diuitias, acpotentiamdeclarant. Per a - pis enimfpeciemmella conficientis Re. gem oftendebant. Siquem memorem s fignificarevolebant; leporem aut vul. pemauritis auribus, quod fummieſlent auditus,& inlignismemoriæ,effingebát:fi veròmalum crocodilum:fi velocem, vel rem citò factam,accipitrem; quonis hæcaliarum fermè auium fit velociſsie ma. Si inuidum, anguillam, quòd cum piſcibusfit intociabilis.Si iuſtum,oculü: Gliberalem, dextram manum, digitispaſsis:fiauarunn,ijfdem compreſsis.Per inſtrumenta quædam, et membra humanapleraque fcribe Jant. De bis vide Pie arium, Diodorum, Srabonem. lum ritatem, &mollitiem acquirant.Propte. rea,quddcibos concoctu faciles præſta, bant,& aluumemolliebant à veterum àmėlis raròhujuſmodi abfuifle legimus. Cotoncorsimfeminum -muccaginemcombusofionibus maximè opitulari. Nter præftantiſsimaauxilia, quæ có. buftionibusadhibentur',, feminum, cotoneorum muccagines retinent prin cipatum.Referam:PetriForeſtiin pro prio filio experimentum. Illematri obo... fequiofus,cum teſtá carboneignito re pletamkappúrtaret cecidit& igncoculos, combuft Pitemaeumtemencotone. orum iniquárafáceam conieciſset,atq; muccagineocalosiçpiusabluiffet;mira.culiinffarpuce -Conualuitabſq; combus ftionis veftigio. Hoc etiãauxilio in fimilibus cafibus feliciſsimè femper vsű fuiffe, idem confirmat, In lib.6.obf.Medo Aegyptiospermotasid pguras, fenfus, re rum memoriam effingere confueuiffe.Aegyptiorum fcientia,quia inter teres, (illa enim ab Abraham originem habuit)dcirco,& rudimenen,& Hiero glyphicis ferè occulta indicabatur. Si quiillorum primi per figuras animaliú 5 (CornelijTaciti teftimonio )jēlusmétis -elfingebant, et antiquifsimamonuméta humanæ memoriæfaxis impreſia cer. auntur,et literarum inuentoresperhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcislátceręreperiuntur,quæ Regum illorum diuitias, ac potentiam declarant. Per apis enim fpeciem mella conficientis Re. gem oftendebant. Si quem memoremſignificare volebant; leporem aut vul pem auritisauribus, quod fummieſſentauditus, et inlignis memoriæ,effingebát: fi veròmalum crocodilum: lì velocem,vel rem citò factam,accipitrem;quonis bec aliarum fermè auium fit velociſsima.Si inuidum, anguillam,quòd cum piſcibus fitinfociabilis.Si iuftum, oculu: Gliberalem, dextram manum, digitis paſsis:fi auaruin ijfdem compreſsis. Perinſtrumenta quædam, et membra hu. mana pleraque fcribe vant. De bis vide Pie. crium,Diadorum,cSrabonem.Quamethodo peftilenti tempore àluenos tueri yalcancus. Retiofa,acbreuistheriaca reperitur, qua homines ab aere peſtilenti, ad jun et o vitęregimine,præferuari poſsúr: Sumuntur caricæ,nuces iuglandæ, folia rutæ,&iuni peri baccæ pondereæquali, confundanturfimul, atq cum aceto ro faceo,vel communi diffoluantur; mox per pannum colentur, fuauiterg; exprimantur;ſuccus verò, qui percolabit,fero uetur: vnúenim iftius cochleare, maneieiuno ftomacho ſumptum,non finit illa die hominemà peſtilentia corripi. ExAlpbane de Pefter Olivarum oleum unguium pun &tura mira biliter fanare. INfedando dolore vnguium expun, Aurisacu,vel ferro,atq; iisperſanan dis,nullamremedium oleo oliuarum fa lubrius inuenitur; confiteor multa obaferuatione,multisa; experimentis id toa tum comprobaffe. Honefta mulier; acvnicè dilecta, Laura de Otaro, mea vxor cariſsima, no femel, dum varia-ad femi liæornamentum,acucontexerer, in vn guibus digitorum pun&a eft; limplicita menoleo oliuarumiopuncturiscollini to;&dolor confeftim euanuit, et falus introducta eſt.Egoprofe et ò ſemel pun. aus ferri cufpide ſubter pollicisvngue com ſanguiniseffufione, fubitò ad lini mentum ex oliuarum oleo, antequam aquamtetigiſſem,deueni;quoadhibita dolor delituit,atque vulnus vnà breui ter, et conſolidationé, et fanitatéhabuitoAdmirandüauxiliü ad vefica calculã,quoabt que inciſione diffoluitur,&expurgtur. Nter admiranda auxilia, quæ ad cal INTE culoſos adhibentur,connumerandum iudico remedium, à do &tiſsimo Hora tio A ugenio experimentoconfirmatú in epiftolis addu& um,quo abfque inci fione in vefica multorumJapides com minuit,& expurgauit.Réferam qua via id, innotuita Aegrotabatcalculo veſicæ cuiuſdam Typographi filius Romæ poft varia aſſumpta remedia,cùmnulla lub fequutá noſlet ytilitatem,fecaricupidus; de pretio cû Nurfinoartificecóuenerate propterea Sacerdotem iufsit accerf ri, vt ſumptis Ecclefiæfacramentis, fex le &tione moreretur, animæ fuiffet confultum.Religiofus exfocietate Iefu, audita confeſsione, proponit illi phare macum,de quo in leipfo,et in alijs peri culum fecerat: expeririæger voluit, et magna aſsiſtentiumadmiratione fana s:Pharmacum ita erat concinnatum. Puluerris Millepedumpræparar,drach, i.ad fummum Scrup.iiij.aquæ vitæ vnc. Sem.iuris cicerumrub.vnc. ix.velx.ca piatæger calidum,horis quinque ante prandium. Efectusmedicamenti talis fuit. Horarin duarum fpatio totum corpus incalefcebat,anguſtiabatur z grotus fitiebat, ac ferè loco ſtare non poterat,aliquandocircapubem dolores vrgebant.Vrina hora quinta cceperunt cralsiores:feddi,fed nonmultæ.Secunda die à pharmaco contingebant eadem, fedvrinæcopioſiores, et craſsiores.Tertia labulumapparuit multum. Septima tandem adeò plena fabulo vifæ funt, verectequis diceret,easnihil efte quamfabulum aqua diflolutum: omnia in me lioremftatum redigebantur, ita vt, qui proximèincididebebat, liber abomni malo nonafuerit die. Miliepedum ad calculosRenum VP fuca preparatio. PRæparanturMillepedes ad Renum Velicæque calculos talimodo r.Az fellorumquam voluerisquantitatem, vinoquealbogeneroſo abluito diligen ter, mox in ollam copiicitonouam, vi tro obductam, lutoque aliquopiam ile lam incruſtato, demú in furnoexiccen tur,ita vt poſsit in tenuem puluerem rc. digi; tumverò affunde viniciufdem gee neroli quantum poterunt imbibere, et rurfus exiccato, ac tertiòimbibito et exiccato vt ſupra,quartò veròpuluerem irrorato aqua fragarumdeſtillationis &olei exCalchanto Scrup.j. permifce to inuicem, et exiccatorurſus: vbi verò fic fuerit exiccatum in tenuiſsimumque puluerem redactum,ferueturin vale vi. treo,aureo,yelargento. Es codem. Frequentem ficoram efum fudoremparere abominabilem. Licetficorumvfus multa hominibus commoda părturiat; ran etij citifsi mè nutriunt, et impinguant corpora, aluum emolliunt, et per vrinas,et per ambitum corporis non pauca excernunt excrementa: tamen eorum continuus,et frequens vfus fudorem generat abomi. nabilem, et corporis fæditatem; indicium huius rei eft, quòd illorum eſu pe diculorum copia innaſcitur. Hinc apudRhodiginum lib.6.Antiquar. teet. Anchie molum, et Moſchuni Sophiſtas,legiturtota vita fuiſſe hydropotas,acficis modò folitos veſci, et tamen robuſtosextitiflc, ſed adeò fætentes,vt propter abomina bilem fudorem certatim inbalneis aba. liis excluderentur. Mulieres eximiam, &fuauemrerinetepinguedinem. Orpora mulierum fuauiori, et ma: ori fulciuntur pinguedine, quàmhominium ipſa,quæ profe& ò ob ſiccitaa tis, dominium,minùshumidi, et oleofiaC ttatis retinere videntur. Propterea apud Plutarchú 3.Sympol -4.habemus, vbimul sta cadauera promifcuè erất cóburenda, veterú tempeftate, temper decévirorúvnú mulier brcímiſceri ſolitú: qualiil lud vnú tantú ſuppeditaret pīguedin is,vt cętera faciliùs cócremari valuiſsent, Aſtu demonum, mirabiles in hominum.corporibus effectus procreari.: ribus Dæmonis aftu cffectus con ců, ſpiciuntur, vtquando quis euomat am icus, clauos, pilos,oflamagna: vel quòd plumæ in lectofint ingeniofifsimè con ferta:multæ enim de iis obferuationes apud HieronymumMengum in Malleo Maleficar. Paul:Grillandum, et Delrium reperiuntur. Quomodoautem hæc fieri pofsint, talis eft ratio: aut enim ifta funt Diaboliillufiones,ita quòd ea videátur, quz vera non funt, fiue per a&iua naturalia hoc efficiétia, ſiueper acrifiam,fiue per aeriscondenfationem;aut funtvera; quippe Diabolusinuifibiliter huiuſmodi in hominis ftomacho intulit, et exindeviſbi. Emin viſibiliter educit,licet rammagna vide antur; nam &ea diuidere, et integrare poteft faltemapparenter,eò quòd loca ſiter huiuſmodi corpora, et partes eorú, ad nutummoueantur, et ad inuicem con glutinéter,Deo non impediente. Summa Sylueftrinade Malefic. Carduum Benedi& um ab Hemicrania homi. nes preferuare. X IndiaCarduum Benedi& um pri mùmomniumad Imperatorem Fri dericum honoris gratiafuiſle miſſum multi hiſtorici autumant, quod miris laudibus, ob peculiares eiusvirtutes, planta hæccelebrabatur,&obidà mula tis Carduus Sanctus dicitur.Hæcenim venena lupcrai, &confert cùm vlceri bus, tùm vulneribus, eftpræfentaneum remediumad peftem, necat vermes, et vtero prcdeft, et in cibo, et potuviit pata, ab immenfoillo præferuat capitis dolore, quemHemicraniam vocant. ExTrago. Infantes preferuari Apoplexia.Epilepfia fumpto prime fyropo deCichor.cum Rhabar. vei Corallio, aut ſucco Rute. tibus morbus epilepticus,apudau * Etores noftros paſsim legitur, ob id af. feetus hic vocanturà nonnullisiLorbus * puerilis, liue mater puerorum: Vtau iem cùm ab Epileplia, cùmapoplexia ghi præferuari valeant, multa obſerua tioneexpertum eft,iis,antequamlacgu ftent, in primo ortu prebendo fyropum in cichorea cum Rhabarbaro drach.ii.ab $ hacluepræſeruari,vt Nicolaus Florer - tinus fatetur. Arnaldus VillanouaCo mit rallium laudat:nam fi diligenter triti të y Scrup.Sem, infans hauſeritcum lacte, antequam aliquid guſtat, nunquam in Epilepſiam incurrere obſeruauit.Ego quidem Marcello,Hieronymo, &Mare i co Antonio filiolis meis ſuccũ ruiæcum modico auro ad ſcrup. ii. cuilibet dedi, antcquam lac guſtarent,&gratia Deiab Epileplia immunes exiſtunt.Helionora, K. quæ nunc ablactatur,feremortua nata eft fumptoque et ieiunato paruo cochle airo ſyropi de Cihor.cum Rhabar.re uixit, epilepfiam nunquam adhuc palla eft. Menſtrualem mulierisfanguinema Tontta # nimaliaefe venenum. Nter naturæ arcana reponendum eſſeiudicaui,quodàMetrodoro Sceptio traditur demulierismenftrualifangui ne.Mulieresfiquidem fimenſtruationis ſpatio nudatæ ſegetes ambiunt, erucas,vermiculos,fcarabços,ac alia noxia ani malcula decidere faciunt. Tale enim ànatura ijs virus inuentum eft.Non folú autem huiuſmodi animalculis menftru alismulierum fanguis nocere creditur, verùm atque grandioribus; quippè cao pes, exPlinij teftimonio menftruofan guine guſtato, in rabiemutari vifi funt, quorúmorſus inter difficillimos mora ſus fanatu reputatur. At de re hac fuperiùsaliàs tractauimus. Thapfiam veficas,do ademata corporifuper poftamexcitare. Magna profectò eft Thapſiæ effi cacia in veficis, et ædematibus generandis,idcirco à nonnullis in peftife Eris febribus vbi veficantia neceffariasúc cum felici ſucceſſu vſurpari audio.Cùm autem corporis locum aliquem inflarequis deſiderat, veloſtentationis, vel cu o riofitatis gracia, ponatur Thapfiain low i co conftituta:ibi enim breui veſicas, et ædemata excitabit; vt tandemcitra læ fionem id ſuccedat et breui etiam fol jů uantur, cheriacam linire, velcurninum, i aut acerü fuperponere oportet. Ex Car dano lib.8.devaret. |Antivfum inmedicinapro conferuanda va letudine mirabilem obtinera proprieMlimbi Irabilis efficaciæ aurum in medi Lcina eſt:quippe innumeras illud procorporis tuenda fanitate retinet vir.? tutes.Eiusvſusin vino maximèexcellitcapiunturpropterea aurilamellæ, quæ ignitętoties in vino extinguútur,donecferueat iſtud,mox colatur, et vſuiſerua tur. Vigum bocpotatum ventriculo imbecillofuccurrit, concoctionem ad iuuat,foedum colorem emédat, et prin. cipalia membracoroborat, et rcſarcia. Proinde obferuatum reperio,cor ab illo roborari prauoshumores calore fuo abi fumi,vitales ſpiritusclarificari, hepatia que plurimum prodeffefua virtute ile lius vſum. Multi certiſsimo experimen, to huiufmodi vinum vitamprolongare cognouerunt,fpiritufque fynceros face re,atque virestotius corporisrenouare Nonnulli leproſis multum conducere Scribunt,ve ex Mizaldo, et Zachariaà Puteo capitur. Quercetanus Auri falia in aliqua betonicæ,autabfinthij conferlacommiſta, ac deglutita ſua fpecifica facultate vétriculú corroborarefcripfit, Aliquot animalia ex nature eorumfimili tudine à veteribusfais Dầsfuiffedicat. veterum infania in rum falſa religione: quippe,& i nimalibus cultumreddidiffe,infinitis ae lijs federibus, et naturalibusrebuscircú. fórtur. Interalia, quædago apud eos PO animalia erant, quæ ex naturæ illorum proprietate, etfimilitudine, vtreor, ali quibus Dijs reperiuntur fuisſe dicata. Hinc CanisDiana { ace: eft, Aquila lo 1 ui, Tigris Baccho,Pawo luponi,LeoCybeli,EquusNeptuno,Cygnus Apollini, Anguis Aeſculapio, CoruusPhoebo A finusLibero,GallusMarti,Colúba Vara neri,No& ua Mineruæ, Lupus Marti, AnſerIunoni,Soli Phenix.Ex Fonio. Veri V nicornu proprietas, eiusque cognisio, ErumVnicornu, quod in febribus peftiferis propinatur languentibus veilitatemaxima,in fyncopemaximo. Pere prodeffe videtur.Illud auté non ex eocognofcitur, quòd bullas excitet, vt plerique hominum ignari perſuaſi ſunt:hocenim quodlibet cornu etiam facit: fed alia, diuerfaque methodo. Hoc eſtpræcipuum experimentum. Si ſcobem eius củ arſenicogallina,turturi,aut columbædeuorandum dabimus, fi fuper Itesmanſerit, vel vnicornuftatim poftarſenicum fumptum datum fuerit)verí K 3 et legitimum Vnicornu pronuntiabi mus.Alii in aurificis fornacem demit. tunt, fiodorem cornu à ſe emittet,ve rumefleprędicapt.Nonnulli experime toʻreferunt, quòd in vftionepon omni nocomburaturſed, augeatur potius minimeque in vſtione fætorem cornu *habeat, ttin cornu ceruinioexperirilor elet. Ex Føreſto. Oxo artificio mulierum cinnicrocei euadant. CApillorum cullui mulieresmaximè vacát, illud autemiisoprabilìus eft, vt Aauitiem acquirant. Referam mo dum, quo votum aflequipoſsint. Su mito Rhabarbarifabæ magnitudinem, fæniGræci, croci fylueftris,liquiri tiæ tabacci, corticum aranciorum quan.. titatem adtui libitum, paleætriticæ ft. militer, his quernum cinerem addito,, et incoquito, vttribusdigitisdefcen dat aqua, inde lauentur capilli: tanta enim fauitie“redundabunt, vt illos aurcos eſledicas.,. Ex Porta in Phitogn. tipios A4itib...Adexcitandum in fenibus nauralem caló lorem, eorum; vires deperditassenquandika confectio præftantiſsima. "Heſauris profecta comparanda eſt,Marſilio Fici 4. no, in lib.z.devita producenda, Medicina Magorum appellatur,quippe ſpiritus, naturalem, vitalem, et animalem fouet, confirmat,&Toborat; et proptereaſenie bus præſtantiſsima eſt. Conſtat hæcex thurisvnc.ij.myrrhæ vnc,j. auri in fo lia ducti drach. fem. contundere fimul į tria oportet,atque aureo quodam mero confundere, et in pilulas ducere. Sumi kä turhuius-mifturæ portiuncula inaurora ieiuno ſtomacho; in æftarecum aqua: roſacea;in hyeme verò cum exiguo Quomodo febris in aliquo confeftim induci palent.. VIfebrem in aliquo velad oftentatio.. nem, vel ad remedium, curioſi tatemqueinducereoptabimus,(fiquidem in conuulfionibus, parakyſi, aliisque frigidis affeet ibus,non parumaliquádo K4 febrew meri potu. 14 Sheh febrem excitare profuit, ) Scarabe cor buti inoleo decoquantur, illogue arte ria brachialis iniungatur: tanta enim eſt corumpotentia, vt confeftim febris, et accenſiones corporis criantur. Ex Car Nuno.Amultis animalibus anni tempora precognoſci. Tdcntur profe et ò plerac;animalia anni temporaprecognoſcere:fiqui dem ex corum inſtinctu, illa hominescommentiuntur. Grues enim autumnitempore ad loca calida peruolant, hye mis frigora fugientes. Hirundines vernali tempeftate ad regiones noftras re meant. Ficedulæ, coturnices. aliaque multa volucria, in annitemporibus,pa bula commutare,aliaque loca adire con ſpiciuntur. Hæc autem nonVer, Autu mnum,vel Hyemem dire et è præſentiút, quemadmodum nonnulli falsò ſibiper fuafi funt; fed verius ex facta alteratio neà calido, vel frigido in eorumcorpo ribus,fiue occulta qualitate,has viciſsi sudines facere cognouerunt. Am agoAmantis ex leuiſsima quidemoccafione sie furcenfere folent.: Viperditè amant,leuialioqui mo mento iraici videntur: ratiohuius rei eft, quiainiurias, licet leues,graues iudicant. Grauefiquidem exiftimatur, vtilleiniuriam in te committat, cuima ximeplacere ftudeas. Cæterùm quem admodum fubitò dolet», qui contra fuihabitus propenfionem facere quippiam conátur; ita &amantem facere conſpicimas;moxtamen rixarum,& odisper nätde, rurfusque fupplex iugumſubactaceruice repofcit.Ex Leona dojachine, IN Plenilunio, Nouilunio Pharmaci exbibitionem àMedicis maximè deteftai. Vlra rationc à Medicis in. Pleni junio, etNouilunio Pharmacam ehitatur: fiquidem Luna,cùm interme Hriseftzomhiijo caretlumine,atqueſub radijs lotaribus ia &ta, et proinde ſolica carethumiditate, quo fit vt corpora ne ftra magis licca maneant, et virtusteten trixrobuftior exiſtat. Idcirco fin No puilunio ipharmacum ægris exhibetur;a K 5 abfquedubiohumores noxiosagitabit, atqueob retentricis facultatis inobedie. entiam parumeuacuabit.InPlenitapig ob Lunç porentiam corpora noftu yali decalefcunt,humoresque augetur,Hing In pleniluniis no &tesicalidioreselle experimur,cuius caufa, cailorem à centro ad circumferentiam attrahi, verilmile:eſt's quas propter fihumores, corporis: noftriad ambitum tendunt, procul dusbio pharmacum improbatur:illudenim à circumferencia ad centrum trahitmg. tumquenatureperuertit, quo facilefut cedit;vt virtus kadetur,&humorumsystiacuatio,velmale,veldeprauana.coring gat: Ex loann,de Pitch19continuatamaſculorum generatione Jep, LR timanm mirabilembakere virtutem.:TIG apud multos fcriptores repe rifles, feptimun mafculum com tinuatægenerationis mirabilem habere virtutem interhæc noftra embammata minimehocadieciſlem. Volunt enim quando aliquis ſeptem filios maſculos Continuatim et intereos fæminam nul, Quod autem inHydrargiro mirabile pullam ſuſcipiat, ſeptimum mirabilem virtutem et ftrumas,et alios plerofque effe et us retinere ſanandi, An autem ve rum fit, ncſcio,cupiotamen à fapienti bus experiri. Forum Hydrargiri, fuperpofito yclamine, 1: inmolem Mercuriimatari, Yrifices dum valamineralla inau. rare cupiunt, Hydrargiropro bo peremoliendo vtuntur; illud autem in igneimpofitumin fætores grauem, et fætidasexhalationesreſoluitur,pernici--- ofas quidem, niſi abijscautè'euitantur. iudicatur,eft iftud, ſiſuper illius fumá linteolum extendimus, in quo colligi. poſsit,vtique in argentum viuum fu moſitas illa icerum conuertitur, et Hya, drargiramrenouatur. Experimur hoc. etiam in carbonum fumofitatibus in traffas fuliginesreuertuntur, licet die uerfimodè ab Hydrargiro,Ex Lemnie. Eæculas Bryonia vieramundificando mirane babere pirtutem. 5 K Singularis profe et ò fæcularum Bryo.niæ,tum pro matrice muodificanda, tum ad hiſtoricas ipſius paſsionesſanan daseſt efficacia:quippe ex multis expe. rimentis comprobatum eft,in huiuſmo diaffiEtibus curadis inter remedia,prin cipatum habere. Referam ipfarum conſtructionem, Exprimatur pręło ex Bry onix conciſis radicibus, et contufis fucacus.crit primò turbulétus,idcirco in va ſe aliquo afferuādus eft, vefæcalisma.teria ſubſideat: detineatur in locofrigi doper paucosdies; in hoc enim fpatiofinclinato vaſculo,viturbulenta aguia) Separetur, et proijciatur) fæces albiſsimas inſtar amyli in fundo inueniemus quas iterum in pluribusvafculis vitreis,aut terreis diuiſasin vmbra vt, exiccen tur feruabimus;ita protectòintra paucashoraşexiccabitur, et formáanjyli acqui rarexpreſlum, quã Bryonize foculá nominamus.Hac fingipoſſunt pilulex.aut xij. granorum pondere, et cú palico ca ſtorci,et alfęferidę ſummü; ac precipuú. aratur remediú cótra affcctusnarratos. Fæculæhuiufmodi etiamfi diffoluütur, inaqua florum faþarú pro fuco ad orna tummulierum,paneaſque defendas ef ficacifsimæ funt.Ex Quercerano, Miſaldo,&Zubariaà Puted. Millefolium ad conſolidande vulnera misam baberepotentiam. Lurimis experimentis comprobatú audioMillefólij virtutem ad vulnerum coitionem, indielğue nouis obſer: uationibus confirmari.Referam folum quodab Hellerioin Chirurg.adnotatur. Cuidam deciſus naſus erat,qua osin cartilaginem definit: Ruſticus propenden tem partem alteridigitis coniunxit,herbam tuſam,& èvino nigro tritam,quod Millefolium appellant,impegit, rudiusomnia colligauit, vede celerrimè reſti. tit fanguis profuens, et vulnus pulchrae cicatrice brcui coijt. Chymicam aztem, reterum tem; eftate floruiſe. PudVeteres i maximo prctio ars p !eriſq;illiusftudio vacabátur:inginte s A K7 enimdiuitiarum copias illa methodo homines componebant,quibus ditiores facti cumRegibus bellum adibant.Pro. pterca DiocletianumCæſarem legitur poftquamAchillem Aegyptiorum Du cem o et omenſcsin Alexandria obſeſsú: profligaflet,omneschymicæ artis libros, diligenti ſtudio conquiſitos, deflagral. fe:pereparatis opibus, Romanisfacilè. repugnarent. Ex Suidt, oOrolio. Quoartificiocorpus glabrum reddi: poßit L Itet varüs modis corpus depilatum; &glabrumreddipoſsit,nulla tamen via præftantior eft,Varronis teftimo nio, quàm localauare aqua; vbi Bufo nes decocti fint,donecad tertiam redcat: - quippè- fitali decocto corpus Jauetur, proculdubio glabrum,&fine pilis had bebitur..Natiuitatis hominum tempora à multis: obferuari On leuis profectò eſt.multorem:ſcriptorum obſeruatio in homia. EN lp mum natiuitatis tempore: à multis enim occafiopibustemperamenta corú. variant, &plerique àrnaturæ terminis,roaximédiftrahantur. Porròquiinipfor terremotus i momento nafcuntur femperpatent in tonitru ſemper lan guidifumo qardenet Cometa coex ar... dendicomplexjoneargentesfuntainter's Lühiikempordebiles cuadunt, vel fals, temiAriſtotelis teftimonio ) melan-; eholici, et atrabile laborantes. Hydárrgýrumnon effe vendnum in paura: fumptums quam itme', fed adver: mes nes andasexiftere remedium ydrargyrum, vel fimauisargenti vionm, quodà multis venenumexiftimatur, feliciſsimo fucceflu contra vermes exbibeturjzáptægue certitudi-.nis illud in Hiſpania reputatur, vtmu lienes, tenellis pueris, quila ĉçisvomi.. ty laborant, ad quantitatern granorumtrium in propria fubftantia propinare audgár:bacn, via morbuscellare videtur:frequen A Hedmare frequentatisexperimentis. Ego quidem viduam mulierem curani,quæ nouem dierum fpatio vomitibus continuis ex vermibuslaborauerat, et ferètriduono comederatznec cibum retinere valuerat. Haiccùm fcrup.ij. bydrargyrimortifica tii, cum tantillo adoniipropinaffem abfque vlla moleſtia peraluumcentum, et pluresemifitvermes, &eademdie lis berata eft, et folita exercuitdomi, et foris negotia,magna profe et ò parentum ſemper eventu, domiquecontinuò a quamhabeo, in quaHydrargyrum, in. furum retineo, illaa que puerulispro vermibus libentiſsimèconcedo, nec ad hucquempiam ex illo noxiam recepifleexpertus ſum. Vfuseft hoc remedioad vermesmecandos,MatthiolusHoratius,Augenius, et plerique alii celebres viri, qui omnes huiusauxilii maximè extol.lunt beneficium. Datur pueris in lub: ftantia Scrup. ji grandioribus Scrup.ij.vel drach.j. Corrigitur illud, et nrore ficatur in mortario vitreo cum zuccarorubeo: ibi enim tam diù conteritur, vt in partes inuiſibiles diffoluatur; ne autem in priſtinam formam iterum redeat, * olei amigdal,dulc.gurtulas binas addere oportet, et cum zuccaro rof. violato, vel cidoniato ieiuno ftomacho languenmtibus propinatur.Sciant igitur curioſiin hac dofi nullum præbere periculum,in# maiori tamen non dedi,neque concede tem:licet apud Aufonium Epigram.10. olegatur hydrargyrum contra medicinas venenofas valere. * Datura flores, com ſemper,hominem in ri(was; concitane. M ! Tra eſt Daturæ potentia in faſcinan.. dis, vtita dicam, hominum men tibus, adeò quòd, qui illiusflores, vel Temen ſumpſerit,à riſu, cachinnisque non defiftat,donec més alienata ex plan tæ viribus inpriſtinem redeat tempera mentum, Apud Indos à furibus Datura vfurpatur;foresenim, vel femen in ci bos eorum, quosdepredari volunt, exhi. bent, et in mentisalienationé, et in riſum 2. conci. MA itconcitant: ita profecto furádi parantin duftriam.Durat illorum riſus, et mentiserror, viginti quatuor horarumtermipc.. Ex Gozdab Horto. Lupesſenio confectosin renibus venenoſosgeo net areſerpentes. Agnum profectò in præſentiarü arcanumaperio, multis hucuſ. que incognitum de luporum natura. Il lud eft,cur à Lupisanimalia commorfa modòfanentur, modòautemmoriantur.. Anquòdluporum aliquivenenoſi, ali qui verò ſine veneno exiftant?Equidem CarolusStephanus lib7 JusAgricult.cap.i. ſe obſerualle fatetur, ib Luporum fenum renibus,primò ferpentesvno pede.Jona giores, et breuiores, qui temporisſpa tio venenauſsimieffecti,Lupum enecás. Hac via facilius nobis tribuiturconie &tura deLuporummorfibus.Si enimle piiuuenes fuerint, animahaa, momor derint, ex benigniorieorum natura, mortem baud inferunt,vtmultoties ob feruamus, niſifortè.vulnerain principi buscorporis fuerint locis, vel tá grádia, vimori neceflc fit.Sinauté ſenio fuerint confe et i,proculdubio leuiſsimo morſu animalianecabút, propterpeculiare ve nenum inLupo delitefcens,quod víu ve nit,vtpieraq; præmorlaanimalium, vel moriantur, velmembrum morſum pu treſcat, vtfaltem difficillimècuretur. Ex. Gaſp Benkino. Qualiartificio ab vxoribus homines mafcu losfiliosfufcipere pale ant. Vita à Scriptoribus ad marium M reperimus:hæcautem præcipua,et ve riora effe exiftimaui.Primovthomo ex exceatur,folidiorig;vtatur cibo,atq;ra rius cócubat: ita n. et calidius et fpiflius fe. méeuadit,fita; prolificum,et aptiſsimum ad marium conceptum. Secundo mater, et incongreffu fuperlatusdextrum recubat et à coitu confeftim fuper illud conqui elcat: SiquidemHippocratesmaſculosin dextris,fæminas verò in finiſtris genera-. ri ſcripſit.Indextris enim ab Hepate fo. uetur ſemen,quod eſt calidum: in ſini. ftris autem àliene frigido quoquo pa.; do refrigeratur, et ad fæminarunt 3conceptum'præparatur.Tertiò ſpiranti tibus Aquilonibus concubant, Auſtris verodefiftát:Aquilo enim admares fuf. cipiendos accommodatiſsimum eft,Au fter veròad fæmellas. Capimus huius rei ab ouibus experimentum, quæ fiflá. te Aquiloneconcipiunt, marem ferunt; Auſtro autem foeminam. Multi, inter quos Cardanuseft,ad marium concep tum Mercurialis maſculæ elum extol lunt,hæc duos quaficoleos pro feminie bus habet, et ab vtroq; coniuge depaſta, marem inducereocculte vi exiftimatur. Magnumele in hac inferiora Lune con fluxum. Trabilisprofectò eft Lunæ vis in hæc inferiora: ipfa enim noctes illuminat, et fuperhumida poteſtatem haber,marisfluxus, et refluxus per quae draturasfuasintētiùs, et remifliùs facit; quippèdum oritur,maria intumeſcunt, et inæftuariafluunt, quoufque ad circu. lum meridianum illa perueniat; cùm autem adoccafum inclinat, Oceanus ab æftuarijsrefluit ingurgites; quando ſub M Orizonte,percurrit,mare ad confueca æftuaria conuertitur, quoad nocte me dia meridieicirculum Luna atringat; poſtremdcùm ad Orienté tendit,Ocea Rusquoque ad folitosalueos regurgitat. Ipſa in Agricultura rebus dicitur do, mina;propterea antiquigentiles, qui in terræcultura proficere optabant, Lund libamina ſpecialiterobtuliſſe dicuntur; y ocabatur Diana, ſiue Latonia virgo, aut Plutonia coniuxvelProſerpin. Leonardi asri deOdtimeftri pariu ſenten tiamdebilem effe.Peculatur Vairus in lib. 2.de Faſcino, Cur partus odimeſtris vitalis mini mèlit,innuit hic, vir alioquin doctus, talem partum non viuere, ob femen imperfectum:quia non datur ſemen (vtar guit )quod ad illud tempus fætu procre.are valeat: ſicutin genere triticiquod dam eft,quod tribus menſibusgignitur;quoddam verò, quod nouem menſibus: fed debile eft huius fundamentum, quá do inHifpania, et Aegypto o et imeltres partusões vitales efle perhibcãt:Potior ergoconcluſionis ratio requiritur,quam nos alibi tábgemus. somniarumprofagizà Deodiuinare, aliqus bus bominibus concedi. Onomnibusfomniorum diuina N doconcellavidetur,fed quibusà Deo ex ſpeciali gratiapermittitur. Qui anim fomnia proprio ingenio diuirare intendunt (demptafomniorum intere pretatione, quæ et caulis naturalibus in naſcitur, quorumpræfagium ad media cos pertinet) aut cæcutiunt, et delirant; aut dæmonumfallacijs inuoluuntur. Iofeph apud Pharaonem, et Daniela pud Regem Chaldæorum (vtinfacris habemus) quia diuina afflati erant ſapi entia, fomniadiuinabant.Propterea mi niftris fuis Pharaonem audita fui fom.nijinterpretatione,dixifle legitur: Num inueirepoterimustalem virum, quifpiriruDeiplenusfit? et Rex Babylonis ad Da. nielem:Audiui de te,queviäm fpiritum Deorum habeas, ce ſcientia,inselligentiaq, as Sapientia amplioresinuentafunsintq.ExTa úello. Inter Polypodium, et Cancrosmagxam in. eſſe antipathiam. Aximavidetur inter polybodie M, i quòd fi polypodiumſuper cancirú abie ceris viuum,breuiſpatio tum pedum cortices,cum vngues ille eijcier:tanca eft i iſtiusplantæ in illum particularis viru 3 lentia,& efficacia.Ex Mashioto, ĆDengan Ibidis, ferpentesattonitos reddere. Irabilis eſt ibidis pennarumvis Mcontra ſerpentes, quippe fi illius penna ad illorum quempiam inijcitur,Confeſtim in veſtigiogreffus hæret: ad mirabiliustamé eft, quòd ſerpens querpis frondibuscontacta moriatur, quare circulatores aftantibus mirabilia fæpèprotrahere à racione inconucniens elle a non debet:multa enim iis funt, quæ adi mirandaiudicantur:quemadmodum eft Viperam viſo Fago perterri:experimé. "to enim probatum eſt, illiusramo ante hocanimal iniecto, veluti attonitú fiesi, nec ampliusmoueri Hoc etiá cuenic Gha. ti ſi barundine feuilsime percutitur:fin verò iterum eadem vipera incutitur confirmari videtur, et fugam repentèadire. Mulieres rard inebriari, acbrd autem ſenes, Ontrariam naturam ſenilecorpus, Contd et muliebre fortita funt:ob id mulie. res rarò ab ebrietatecorripi afpicimus, crebò tamen'ſencs. Mulier quidem hu mida eft, vtà cutiscenitate,& fplendo re.comperimus, fenex contra ſiccus, cucisafperitas&ſqualor confirmat. M11, lier ex aſsiduis purgationibus fuperfluúexonerat; ſenex autem ex corporis duri. tie,luperfluanonexcernit.Mulieriscor.pus, quia variis purgationibus crat de putatum, pluribus foraminibus fuit cófertum; non ſic ſenis corpus,propterea naturales meatus à corporis ſiccitate,et duricie potiùs obſerantur. Hæc funt în caula, vt ebrii fenes facilè fiant,muº lieres verò perquàm rard. Nam fià mu. liere largè vinumfuerit hauſtum,illud magnam mulieris humiditatem incidens,vtiq;vimluam perdit; dilutiulý; fit,et cerebriſedem non petit: nam per. varia foramina mulieris illius vapor reCurrit, et celeriter eius fortitudo euanel cit.In ſenibus vinum contrarietatemno recipit: quia corpusillorum ficcum eſt; ob id vinum firmiter adhæret,cerebría que petit, quia in durioribus membris; et aridis(vt ita dică )exhalatio nulla fit: hincab ebrietate facilècapiücur. Ex MA crobio 7.Saturn.Qua induſtria in vrgenti fomno, quis vac leat excitari. Agnus Alexander,vtingerendo imperio, occupatior eſſet,magnú contra ſomnum excogitauit remedium,quoſi quis vtetur,facilèin ſomni graui tate excitari valebit. Ille Vas æneu propè lectum conſtituebat, et pilamæneam fiue argenteam manu compreſſam habebat,brachiumque ſuper vas illud ap tè componebat,vt pila in ſomno elapſa inæneum procideret, et à fonitu excita retur, et furgeret.Mira equidé fuit hu. iasingenij dexteritas, licet hæc Alexandri dormitatio potius quàm fomnus dicipoſsit.Ex Ammiano Marcellino. Quibusfignü corpora venenata cognoſci yaleant. LIcet venenorum genera multa fint, ex quo difficile fit omnia figna reperire,quibus cognofci valeant,afferam ta men qua mcthodo corpora, quæ venenüfumpferint,intelligere poſsimus. Porrò magna fit in corpore commotio, dum quisvenenum hauferit;præcipuè fiillud calidæ fuerit naturę:doloribus enim va lidis,atqueacutisin ſtomacho, et inte kinis torbonibus languens cruciabitur, præcordiorumfentiet anguſtiam, fati gabitur vomitu,& fuxu ventris, ſudor fuſcirabiturin fronte cum vultu frigi do: colorægri erit pallidus, pulſus de bilis,inzqualis, et inordinatus,fynco pi, &animi deliquiis affligetur. Hæchiomania, vel in maiori parte fuccedunt, o porter celerrimèinggris.vomitum prouocare, vt aflumptum vencnum eiicia ur. Ex pal.Vilan. Luem Gallicam non modòhomines,fed canes etiam inuidere. Tanta eft morbi Gallici quandoque immanitas,vt non modò ex vno lan guente,vel reſpiratione,tactu, autcom merci oplureshomines ea lue polluan tur; verùm atque canes, ſi vicera, vel vnguenta infirinilingere potuerint.Ex I perientia hoc edocuit; viſus eft enim et quidam canisGallica lue captus, quihe I riſui emplaſtra linxerat. Ex obformatore if IuliiScaligeri. 6. Poet. Quotermi nocorporis hominispulchritudo conftitui debeat.Arii equidem funt Scriptores in conſtituendo termino longitudi nis, et latitudiniscorporispulchri:ihter quos, ſententia loannis Goropii, in fua Gigantomachia, magisacceptanda vide tur à fapientibus:colligit exHomeride Creto longitudinemhominis pulchri de bere eſſe quatuor cubitorum, latitudi nem verò vnius cubiti.Cymrinum bominibus palliditatem corporis inducere. More Multa profectd ſunt,quæ vultus colorem hominum deflorare ob ſeruantur: fiquidem panis hordeacęi vfus facit homines pallidos.Ex Ariftot. A quælutulentæ potus, vſus ſalitorum, etimmoderata Venus valde colorem de. turbant: inter ea tamen, quæ ex proprie.tate decolerare putantur, Cyminivſus, &olfactus eſt. Duo enim de hoc exempla habentur apud Plin.lib.20.C.24.V. num fe &tatorum Portij latronis, qui,ve illius imitarenturpallorem,cymino fre quenter vtebátur:alterum eſt IulijVine dicis,qui, vt Neronen falleret,palloré Sibicymino conciliabat. ExMercurialide Decorat. Regem Archelaum maximè Aſtronomie fi iffe imperitum. Tminibusneceffariaiudicatur,vt malè ciuitates, refpublicas;hominumo; cætus fineillorumobſeruatione ij con leruare valeant.Vtique horum ope té pora,annos,menſes, et horas metimur, &ſine his in, varia labyrintha inuolui mus mur.Hocapertè ille imperitus Aſtrono miæ Rex Archelaus oftendit,qui (vt vi ri ſummæfidei fcriptú reliquerunt) ob Solis Eclipfim,cuius caulam ignorabat, *tantotimore correptus eft,vt regiam is clauferit,filium totonderit, iudicia èfo ro fuftulerit, et iuriſdi& ionem penitts en intermiſerit: vltimum enimorbis diem. eſſe arbitrabatur.Ex Magino. Mira grecilitatis quofdam bominesfuilfe repertos. X Aeliano,& Athençoquofdam ho mines extremæ gracilitatisfuiſſe * colligimus:legitur enim quendá Arche ftratum vatem fuiſſe, qui captusab ho ftibus tantæ gracilitatis repertus eſt, vt cùmlanci apponeretur, pondusvnius obolihabuiſſet,quod incredibile,& ferè ridiculum exiftimatur.PhiletasCouse. tiaminuentuseft, quem ex gracilitate E vſque adeò inualidum fuiffefcribunt, vt ne à vento deijceretur, pondera ferrea pedibus, et foleis geftarecoge { retur, Anguit. Emine Anguillas cumAquilone mirambabere fyme putbiam.Trabilis profe et ò conſenſus eſt, quem Anguillæ cum Aquiloni.. bus habent:ipfis enim ſpirantibus fex. dies fine cibo, et aqua has viuere fertur; cumAuftrisautem diſſentiunt, quippe his flátibus diu ſine cibo, et aqua illæ vi..uere non poflunt. Ex Bodino in Theat. Aſparagorum vſum corporis facere pitorem.Nter ea,quæ nitorem; &pulchritudia nem tur, Aſparagorum vfusconnumeratur,cuius efficacia à multis in corpore colo.. rando ferè mirabilis iudicatur.Aſpara.. gi fætentem reddunt arinam, et perilla pratos corporisexpurganthumores:eb: id mirum non eft,fi,ijs euacuatis,corpus reliquum non modòodoratum redda tur, ſed etiam nitidum, et coloratum: quippeex humorum prauorumconge. rie, et palliditas, et defloreſcentia nobis jonaſcitur, quibusceflantibus, ceſat de. formitas, et colornitidus exoritur. Ex Auicenna. Picemcum oleo; maximam babere colli gantiam. E X congeneri ferènatura Picem, Reaſinam, et hujuſmodi, magnam cum oleo affinitatem retinereobferuamus:fi manusenim pice, vel refina fædantur vtique eas oleum extergit,idque ob col":Tigantiam oritur. Oleum furfur tollit, furfur aqua eluit; aquam demumlintco:ficcamus.Ex Cardino Mularumgenuse propriapecieminime propag ari: MVlasequidem,&monftraconfimis lia,nec parere,nechium genus prou pagare obferuamus:id fieriaiuntmulti;. ab improportionato generandi tempe ramento: veriùs tamen cumBodino in Theau.Natur: hot contingere exiftimo, une fpecierú fit infinitas: naturaenim in finitatem abhorret. Ariſtoteles in Syria fupra Phænicesmulas parereſcriplīt; et Theophraſtus in Cappadocia illas genus 3, propagare voluit:tamenhoc veriſimile haud eſt. Propterea magis credendum reor, in illis locisAſinarum quoddams: genus oriri mulabus conſimile, potiùs, quàm mulas, quarumpartus à noftris. prodigiofus, et funeftus effe dicitur, vt Iulius Obſeq.inlibde prodig: adnotauit. Leones, Sole in Leone'peragrante,a'febribus, moleftari:Irabileeſt, quod in Leonumfpecie contingit,dum Sol Leonis cælefte fignumingreditur:ijenim à febre tertia.. na in toto fyderis fpatio excruciantur:a deàquòd fateri oportet, talium genus cum hoc fydere antipathiam habere et tertianamrecipere'; proinde Leoninaà multis hæcfeprisapperiatur,bene iudi. cantibus,Leonemeſſe peculiarem. Leo. nes hoc temporetertio quoque die paſocuntur,neciemel etiam accidit, vt bidu um,veltriduum inediam ſufferāt, Stercustunc ficciſsimum, et vrinam fatente excernunt,vt Ariſtotelesadnotatum reliquit.Aiuntmulti, hocà natura forſitan eſſe factum,vt ferociſsimæ beſtiæ quoquo pacto cohiberetur impetus, et à fre quentiori rapina coerceretur. Quoartificio in fenibus barbas, albofque cam pillosdenigrare pale amus. Eferamnotabilem miſturam qua, ' R Jeant.Sumito lixiuij communis quantú volueris,decoque in eo faluiæ, et lauri folia cum corticibusiuglandium viri. dium; moxlaua, aut ablue madefa &ta fpongia:ita enimnigredinem compara bis, quæ diudurabit, &lætaberis effectu. Ex Porta: Mergum,& Anferem aquaticum inHydrsa phobiam plurimum valere Ntercuncta animalia adnotauit Arie ftotelesAnſerem aquaticum folùm non rabire, ob id à multis huius efum in Hydrophobiamaximè celebrarur: mirifico autem experimento contra ram. bidi canis morlusvalere dicitur Mergus qui in aquis et maridegit, quippe ab Ace. tio,eius eſuHydrophobosillicoaquam efflagitare narratur. Lacertasmira magnitudinisapudIndos iz... Meniria NInfula Sancti Thomę, quçdam La IN Ls certæ ſpécies miræreperitur magnitu dinis,quæ admodum illius gentibus fa miliaris, eft.In Ioſulaetiam Capraria,, quæ vna èFortunatis eft, ingentis ma gnitudinis hæc animaliacerpūrur;habis tatores autépro ijs interficiendis, bom. bardis,fiueſolopetis,alijfque bellicis in. ftrumentis vtuntur. Ex Amate Luſsin Dia. ofcer.In educandis iuuenibus, miran fulle aibe: niexfium induftriam. Moser OseratAthenientum in iuvenum educatione, vtij cothurnicibus, fio uc qualeis, autgallis pugnantibus ftudi. an impendcrent:Solent enim hiermo. divolucres,vfquead extremam virium defeâionem certare. Qulo exemplo adſubeundapericula; et vulnera contem merida, ifamınabant iuuencs increpan tès au:busminus ingenioſos effe homi. nes, non debere.Exsotino apud Lucianum Serpentumeumapudl kudosfrequentari.. NCuba Inſula penes Indos,ferpentes loua totiuscorporis ipecie, ac forma prediti inueniuntur,quippe ſelquipedis IM I plerumquelongitudine exiftunt,& ex terra, et aqua viuunt:Quod autem apud illasrationes mirabilius videtur inlay tioribusmenfis, horum animalium e fum,tanquamibum ſapidiſsimum free quentari.Fx Petro Bembo. Quomifico,Po ticaput; inmiramintumeſcentiam redderevaleamus. NterAgriculturæ arcana, non infimi momentimethodus eſt, quaporri cam put in tumorem magnum reddere poro Gimus.Aperiamabftrufum artificium:Si enim porri caput,arundine, vel ligneo ſtylopupugeris,atq; raporum,vel cucu- merum fomen vti foramine occultauerisproculdubio propria capeo in tan tamtumorem deuenire, vtid prodigio- fumiudicetur, Ex Mizaldo. Iwer Fraxinum, &Serpentes miram adeffe AntipathiamiRaxini fuccus ad ferpentum morfuss mirabili fuccelu à medicis vſurpa nec fineratione: hanc enim plans tam Serpentes, ex occulta antipathia ji miro odioinfequuntur: fiquidem illius L6 yobras OX tur, vmbras tùm matutinas,tùmveſpertinas euitant,& lógiusaufugiunt. Retulit Pli nius lib. 16.cap. 13.exfraxino experi. mentum quòd figyrum frondibus fra xini,& igne apparatur, incuius medio ſerpens lit proiectus,procul dubio ferá in ignempotius, quàm infraxinu aufu gere:tantusefthorum diffenfus, &co. culta ſerpentuminimicitia., Virginitatem in mulieribus, qua viaexperizi: paleamus. L Apathiūmaius in aperienda mulica rum virginitate aftantibus magnam retinet efficaciam:ſi enim ex huius folijs faraturfuffumigium,fiue hęc fuper ig. nitos carbonesinijciuntur,vteffument, vbi mulierum fit corona, cum odor ad pudenda mulierisperueniet, illius bon. nitatem,vel malitiam oftendet: quippe fi viro copulatafuerit,abfque dubio v rinabit, fim verò fuerit virgo,vrina po tiùsconftringitur, quam emictatur.Ide etiam faccre autumant,lignum Agallo chum,fiue Xiloaloem, vel femen portu-, acæ fi fuper carbonesiniecta,adeò effument,vt ad pudenda mulieris odor va leat penetrare: mouetur enim in deflo ratisvrina quantò citiùs, fecùs verò in virginibus.Ex.Perta. Quomodo ex duabus aquisclaris, lac effings re illud valeamus.quod Virginale Pocatur. Ac illud,quodàpleriſque ob colo Cris ſimilitudinem,liue ex nouo ori gine, Virginaleappellatur, ex duabus, aquis artificiosè corifedis exoritur ad multa equidemcorporis mala yti. Lifsimum.. Eius modus talis eft. Su mito lithargyrij inpuluerem redacti Vnc.ija acetialbivnc.si.commiſta infi-, mul per filtram lineumdeſtillato, et a quam clară habebis.Vtautem alteram componas, fumito Salisgemmæ Vnc.), Aquæ cómunis, fiuepluuialis claræ Vnc. Mimiketo fimul, et ficbimas habebisa quas magni valoris. Cùm verò vel ad oftentationem, velcurioſitaré fiue ne. celsitatem lac Virginale conficere opta bis,aquas vtrafqueconiungesfimul mil cendogita profectò confeftim laquor la L7 Ereus M deus ſuſcitabitur, qui Virgineusvoca.tur.Verrucæ in manibus fi hoc lacte per dies aliquot beneconfricantur, euanefcunt. Impetigines,omneſq; faciei macu. læ,rubores, et ex foleardores, hoclini.mento facillimè curantur. Caftrates lienem,velonorum vitellós durios? resdeglutire non poffe. Irabilc elt i: lud,quod in caftratis, circa cibumobferuatur: hi enim nec lienem,nec duriores ouorum vitels losdeglutirepoffunt,vt frequentiſsima apud multosinoleuirexperientia.Retulit Bodinus inſuoTbea.tales priùs fame fe necari pati, quàin lienem vorare por fe.Huiusreialia non creditur effe ratio, quã xſophagiiſtorú ex nimia adipecoão |guftatio, et cóftri& io; cũ auté lienis fub-. Itātia spõgiofa &flatuoſafit,atq; in mã. ducationemagis infletur;facile fit, vtiji i ex ælophagianguftia talem cibum deo to glutire nequeant. Eadem ratio eftino uerumvitellisdurioribus', qui ex ſuba Itantia glutinoſa,per anguftum non facie latranſeunt. Spatium humanæ vita, centum annorum fom cundum degyptioscompenſariin. teruallo. in. * " Vriofa magis, quàm veritari confo nänsmihi videtur Aegyptiorum aliquotopinio,dehominum vitęmenfu, ra:quippe illorúmulti, qui medcata cadauera feruart conſueuerant, ex quada conic et ura àcordis humani ponderede fumpta in eam deuenerefententiam, ho. minisviram centumannorum fpatio de Gniri.Sumebant experimentum in cora poribus, quæ finelabemoriebantur; ho rumenim anniculi duarum drachmarú. pondtrisgcorretinerevidebantur, bini quatuor;& fic in iingulis annis, quo in anno quinquagelimobomines centum. drachmiscor in pondere retinere affiras mabant:à quinquagefimobinas: dracha mas fingulisannis decreſcere, atque à cordis pondere detrahi,minuijè dicea. bant, &fic in anno centefimo ad primum, fui ponderis:fecundum iftorum conie... awan,corredibat.Ex Teicntio / arrone. Claro Pblibotomiam ex vena ſaluatella,pleneticis: plurimumprodeffe. "VrabatGalenus ſpleneticum qué dam;&cumdiù (vtipfe narrat)de illius cura eſſet ſollicitus,atque diligen. terremedia quæreret quadam nođeſó niauit,fe in infirmo de vena faluatella, quæ eftinterminimú,& annularem ma nus digitos ſäguinétrahere; quod fecit, et fanatusilleeſt. Hoc diuinæ bonitati tribuendúexiſtimo, quæ multoties, ho mines perbonosfpiritus dirigit, vt ca perficiant, quæ in corpornm valetudineconcernuntur.Ex Bartbol.Sibylla. Gymnoſophiftas apud indosmire,viſus, &ingenij dexteritatis inueniri. MIIrabile profectò illud eft; quod de-Gymnoſophiſtis quibusdam apud Indos narratur. Hienim ab exortu, vf quead Solisoccaſū; oculis contentiscan. didiſsimi fyderis orbē intuentur,inglo bo igneorimantes fecreta quædam,a renilgue feruentibus perpetem diem al ternispedibusinfiftunt.Ex Solino. Quibus auxilysforumarum materia,per pri nispaleasensachari. Bseruatum eft huiufmodi præfi O sibus euaneſcere.Adhibenturprimò in firmis aliquot clyfteria, ex fucco bryo niæ, et mercurialis,oleo, et faleconcin nata, quibus patiens tum gelu, tum ma. terias.viſcidas copiosè purgarividebi. tur:mox cum oleo amygdalaru dulciū, vel mali aurantij coleis, manèdilucu.. lo, cantharidum præparatarum grana quinque,velſex iuxta corporisnaturama. capiet.Cantharides autem per horas 24.. in acetoinfundantur,deindeexiccentur, &in puluerem reddantur.Hic enim ea.rumpræparationis modus eſt. Huiul modiauxilijsftrumarummaterias, vri paseuacuari compertum eft., Obferua uit hocDo et orPhyficusJoannes Domi. nicusDonnus,cuitis familiaritas,animi queindoleseſt mihiſemper gratiſsima, mihiquetale remedium communicauit; robuſtis tamen corporibus folú adhibe ducéleo: exillius enim experiméto do lors BARCE- 1 II! lores ad inftar parturientis circape &tine tale præſidium commouereaudiui. Alijs etiam modis, et auxilijs(trupęcurătur, quippe fioleo,in quo rana terreſtris,tal pa vellacerto, (vulgòdicitur racano )fi ue lacerta magna vocata ebullierit, diú ftrumæ,purgatocorpore, liniantur,abf que dubioexiccátur, et euaneſcunt.Het animalia viuaprius in oleo fuffocantur, cùm ad carnium ab oſsibus ſeparationé ebulliunt, et oleummirabile ad ftrumas componitur. Nonpulliad earum extir. pationem caufticisvtunturmedicamen tis, quorú potentia caro aperitur, et ftrumæetiacuantur.Componuntur hęc talia ex arſenici fublimati drach.j. lithargyrijaur. et aluminis roccean.drach.ij.fabari vftulatur:numero quinq; hæc in pulue.rem reda et a cum frumenti farina,aceto que acerrimo mifcentur, et fit malfa, èqua orbiculi, vel plancentulæ formantur et exiccantur in Sole, vel furno,admouétur fuper ſtrumas, &fpatio horarum24. opus perficiunt, Alexandri Magnimagnanimitas in pofteros: ftudiofas. MVlta ratione Alexander MacedoMagnusdi& us eft',cùm eius excel lentia non modò in litteris apparuerit..Ille quidem, vt Ariftoteles de animali bus hiftoriasfcriberet,multaliberalitate in pofterum vtilitatem, octingenti auri talenta, cum tribushominum millibus dedit, vt fyluas,aularia, et viuaria, omnis. generisdiſquirerét, et opusab ipio per.. ficeretur.Illi autem per Europain,Afriw. -Cam, et Afiam peragrantes,multa anima: tium gencra ad Ariſtotelem attulerunt,quarum difle et ionibus, de vniuerfa fen? rè horum natura accuratiſsimèPhilofon phus fcribere potuit.Ex loanne Bodeno. I WA Mulieres quafdam inoculis, equi effigiem, pel: geminaspupilas babere compertum eft. NO On raròquædam mulicres magæ reperiuntur, quæ vt plurimum a-. niculæ funt, hominibus,animalibusý; vilu,nocentės. Solent hæ in fingulia, acut oculis, velgeminamhabere pupillam, (vt HieronymusMengus de Arte Exe orciſt. adnotauit ) vel equi effigiem,quemadmodùm nonnullas Pontumin colentes habuiſſe legitur. Referuntex iftarumoculis quofdam emittiradios, qui non ſecus iacula et ſagitrę pro homi numcordibus faſcinandis exiftunt, ità profe et ò totü pernicioſa quadam qua litatecorpus inficiūt,breuique velnullo temporis conſumpto interuallo,homienes,bruta,ſegetes,arbores polluunt, et ad interitum tæpè deducunt. sanguinemcaninum HydrophobosCupareba PotumAutumant Galenus N Serapio,&pleriq;fapiêtes,fangui nis canini potu, canisrabidimorſum ca. rari teftantur:quæautem fit ratio,apud hos non legitur. Referam tamen, quæ àMarſilio Ficino inlib. z. de Vit.produc. adducitur. Ego opinor (inquit) ſali ziam canis rabidivenenoſam, impreſ fam hominis pedilæſo,per venas paula tim ad corafcendere moreveneni, nifi quid in tereadiſtrahat.Si igitur interim canis alterius fanguinemille biberit,fan guis illecrudus ad multashoras natat in ftomacho, eum deniquevelutperegrie - num deie et uro per alium. Interea cani. pus languisifte,faliuam caniná fuperio ra membra prenſantem, priufquam ad præcordiaveniat, deriuat ad ftomachű: ná &in canino ſanguine virtus eft ad faaliuamcanis attrahendam, et in ſaliuavia ciſsim viftus ad fimilem fanguinemproſequendum. Venenum igitur à cor defemotum, fanguiniqueimbibitum, in aluonatanti, vnà cum ſanguine per inferiora deducitur, hominemque ita relinquitincolumen. Corallinam, ad puerorum vermes necandos maximè laudari. COMOrallinæ,quam plerique muſcum marinum appellant, in puerorum ť vermibusnccandis,miraeftvirtus, et cf. ficacia.Hanccirculatores in plateis vene dere folent,talegueremedium ad lum bricorum internecionem, fummis lau. dibus extollunt. Profectò àveritate in hoc negotio haud abſuot:hoc enim cão teris medicamentis, inrehacaccommo datis,excellétius eft:experimento fiqui. dem comprobatum eft nonmodòlum. bricos interficeretale præfidium; verùm atque eadem die, cùinaſtantium admi ratione, oxpellere, vtiure dixit Mat thiolus, quòd quandoqueviſus fit puer, quiex aſſumpra huiuspulueris drachma, a centum vermesexcreuerit. Qua induſtria, labioram,meruum, capia tamgmamilarumcitifsimèfifuras fanate vale anus. Periam ele &tiſsimum præfidium, A tumquemamillarum fiffuris feliciſsimo fucceflu fere millies vfus fum. Sumirolithargyrii argent, myrrhæ, zinziberis an,vncj.redigantur omnia in pulueremfubtilif. et ex cera recenti, melle,& oleo oliuarum ad fuffic. fiatvnguentú. Vfus talis eft: primò liniantur fifluræ ex hu mana ſaliua, moxdefuper in tela exten fum applicetur vnguentum,ita cquidem paucis diebusfanantur, Rhabarbarum cidoniatan, y terogerensabs que periculoalue exonerare.IN graudis mulier bus, cùm grandi inorbo affliguntur, magna cautela ſo lentmedici medicamenta cuacuantiae ligere: vel enimhaud porrigunt,ne con Ceptumdiſperdant, et matrem occidant; velmitiſsima, et benigniſsima excogi tant, et propinant.Multi Rhabarbarum ob eius caliditatem, et amarulentiă recu fát: ſed perperáquidé, quádo illud cido nio Correptú, inter ele& ifsima &benig piſsimaconnumerari debeat, Rcferam i qua induftria à Ludouico Mercato,viroceleberrimo,prçparetur.Sumanturcoto nea, ab interraneis repurgata, tes diuifa, (ſedfuperftite pellicula, quæ valde eft odorata) in aquadonec tabuc rint ebulliant:mox per linteum colata, et exprefla, optimolaccaro coquantur, et dumidfit,adiicies ad lib.j. huius con diturz,vnc.j.Rhabarbari. Doſis cuius fitvnc.j.vel Aliud cidoniatum compo nitur, quod eftgratius, et abfq; moleftiaefficacius euacuat. Diuidatur cidopium &fub God &in par 1 (264 et fublatisfeminibuscủfolliculis, parti um ciuitates puluere optimi Rhabar, negligentertriti,ac Drach.j.velj.- aut ij.imp cátur, vel, ſi affectus poftulaueri agaricitantundem, vel foliorum ſene; mox vniantur cidonij partes, papyro queinuoluantur, et ligata in clibano,vel furnello coquantur ad perfe &tam coet i onem;poftremò abie &tis medicamentis internis, pulpa manducetur. Hocpro fe et ò medicinæ genus fecurè cuacuat, et viſcera omnia corroborat.Animantium robur animi, à femine inge terari. Vanta fit feminis efficacia, inaoda. cia hominibus comparanda, nullo aliomedio ſecuriùs cognoſcitur, quàmcaſtratorum natură compéfare.Hipro fextò ſtatim atque teftibus priuantur, animirobur amittunt, atque máſueſcár: fiquidem et à fpirituumcopia, et calorepotiſsimùm naſcitur audacia, quæ in teſtium natura valde { pongiola ge.merantur, et ab ijs in corpus deferuntur.Ob id Galenus,in lib.1.de femine,leméSolicóparauit, quod ſuo fulgoreorbe illuſtrat;iuxta cuius fulgorcs ſemē,&ipi rituú,& caloris potentia, ferè corpusil luſtrare admonemur.HincAegyptijſa pientiſsimi,cum Regem fractum, hebe temq; repreſentarevolebant,meritò Ti. phonem caſtratum pictabant benè ani maduertentes,nil poſleverius hominem infirmum oftendere,quàin hominem fie nc ſemine. Aegyptiorumaliquot ad Quartanam febrens ſecreta experimenta. х bris quartanas Aegyptisfamiliaria ſunt, hoc pro ſele &tiſsimo remedio ha bent,ægrotisdeco &tumex menta para. tum ad femilibram,calidum cum (polio ſerpentispuluerizatibinisdrachmisan te accefsionem per horam propinare.A, lij cumdecocto affati temporeacceſsio nisvomitum procurant cum felici fuo. ceffu.Suntet nonnulli,quiante acceſsio nem pilularum drachmam exhibent. M Heexagarici,gentianę,caftorei,mytrhe, rutæ an, drach.ij.piperis longi,calamiaromatici,crocian. fcrup.iv.theriacæ an tiquæ drach. iij.conftant, et cum ſyrupode granat. dulcib.conficiuntur. Aliis ve ſitatiùs eft,exhibere drach.agarici,cum myrrhæ ſcrupulo, diſſoluram in pulegi deco et o, Ex Alpino deMedic. Aegyp. Auesbacciarum taxi eſu nigro colore fieri. Axus inter plontasvirulentiam ha bere maximam videtur: quienim fub iftius vmbra dormire audebit,in grauem affe et ionem incidet. In baccis autem venenum potiſsimum viget.nam àviris comeftæ,ventris profluuia, atque funefta pericula mouent: boues illarumvfu moriútur, quemadmodum &peco ra,ffortè has comederint, Aues verò iftarumeſu minimè moriuntur, penna rum autem color in nigrediné mutatus, ChelidoniumLapidem MIT APN epilepfiam baberepirtutcm. VIItrus Chelidonii lapidis àpleriſque maximè extollitur: prelentaneum enim Epilepticis réputatur remedium,adeò quòd non pauci iſtius vſu à tanta morbi forociate liberati funt. Feruntin.Autumni principio,Luna creſcente, hũc lapidem à ventre hirundinis extrahi, et contricumaliquo liquore epilepticis in potum propinari:quippe facultatem re tineredicitur, tenacem, et vifcidum hu morem, qui caufa caducimorbi eſt exica candi.Multi,chelidonium non folùm elu, fed etiam ſola ſuſpenſione, Epilep ticos àproprietate ſanare contendunt, Ex Lomnio. Miram interafpides, et halic acabuminejſe Antipathiam. Irabilem natura inter alpides, et halicacabum, quemaioremveſi cariam inuenit diſlenſum, et antipathi am:ijenim, fi iuxtà huiuſmodiplantæ radices quoquo pacto corpora admoue rint,tanta ſtupiditate, et fomnolétiacor Tipiontur, vt amplius nequeant excitari. Ariftotelem rerumcaufis maximumnoſcena dis adhibuiffe ftudium M M 2 Erat Aristoteles adeò cauſarum re, Erumcognitionis ftudiofus,vedie cilè quiefceret, nifiad quæfitum exas ctumſcrutinium deueniret: ob id cumà. graui valetudineopprimeretur,atq; me dicuscitra morbicausa,pleraq; vetaret, fertur(teſtimonio Polybij ) sc.medicodixiſſe:Nemecures,vt bubulcú, et for forem; fed prius caufas ediſſere, et itapre ceptistuis facilè memorigeratum habe bis.Cum autem in Chalcide exularet;atique Euripi, qui inter Aulidem Bcotia portum,& Eubeam infulam ſuntaugu itifreti,feptiesinterdiu noctuq;alternis fluctibus ſtato tempore refluerent, illemaris recurſus excogitans,atque caulam reddere non valens, tanto mærore affe etus eft,vtmorti occumberet. Ex Iufting Martyr. Infates a nutricib mores,&téperiē recipere, nfantes profe et ò à nutričibus non foi lùm circa temperiem,fed etiam mo res multum recipere videntur.Ob id fat pienterà veteribus,Romulumà lupafu. idela &tatum, proditum eſt, velhocfinx I erring erint, vel veranarrauerint; fuit enimRo mulus ferinis moribus, callidus, fortif limus, et incommodipatientifsimus.Atpræter hunc,multosà feris enutriros, et educatos legimus; num autem hoc ijs, exanimi feritate fuerit tributum peſcio. Scribitur Cyrum à cane fuiſſe nutritum,TelephumHerculis,filiumà cerua,Pelia Neptuni filium abequa, Alexandrum Priamiàvulpe,A egiſthum à capra,quo rum inores,apudScriptoresnoti ſunt,vtapertènofcamus, quid nutrices infanti bus afferant.Equidem quià capra lactátur,ftulti fiunt, et fälaces;& ita hircuselt;. quare ex hac conie et uratales euadere in.. fantes, quales fuerint& nutrices com perimus;fed moresvirtute animi mode fari poffunt. Qdo artificio vitrum diuidere valeamus. Icetvitrú folum ab adamante, cùm plicabile haud fit, diuidiinueniatur, tamen aliainduſtria etiam compertú eft illud poſle diuidi,vt Cardanusrecenſuit Hic eftmodus: Filum fulphure, et oleo irabue, L M3 370 imbue,locum circunda,accende,repete, donec locus optimècalefcat;mox confe ftim alio filo, aqua frigidamadefa&to circundato, et vitro in eo loco fractum, &diuiſum habebis.Egoquidéalio artie ficio, et fecuriori vitrum, diuido,caſug; hoc mihi notuit.Habebat quadam die cyathum vitri vino ſublimato,fiue aqua vitæfemiplenum, adcuriofitatem non nullorum amicorum,a quamin flammá, accenfa candela,reddidi, vtvinum fub. limatum accendi folet, confuiripta all tem flamma, cyathusin mediodiuifus eſt,atque co potiſsimùm loco, quema qua fupernatans attingebat.Ita excurio. loexperimento, vitruin diuidere apud alios amicosnon lemel valuirGallinaceum ftercusà fungorum virulentia bomines tueri. ' Vngorummalitia,exmultorum ex.. perimento, pleroſquevita priuauit quia autem homines ab illorumelu ob luxus abſtinere nequeunt,referam quid àGaleno,tanquam arcanum,proiſtorú. Fe virulentia extirpanda,leu ſuperanda ada notetur.Erat in Myſiamedicus quiho mines penè ſuffocatos ab elu fungorum ad vitam ducebat, remedioa;tanquam arcano quodam vtebatur: huncprecibus exorauit, vt tantum auxiliumaperireta Stercus gallinaceum ille adduxit, quo contrito ad- læuorem vtebatur,et cum: oxycrato,autoxymelite propinabat in firmis, qui celeriteromnesadiutiſunt. Hoc vſus fuitmox in quibuſdam Vr- r banis Galenus, et veruminuenit: nain: qui præfocabantur, paulò poftvome bant pituitofum humoré omninòcral hiſsimum, et exindeplanè liberati funt. Infuper Myſius ille vtebaturhuiuſmodi præſidio in diutinoColi dolorecú oxyo melite,propinato vino, velaqua,cum felicifsimo fucceffu lob id Galenus ex Bolilongo dolore fpafmo correptos,tali remedio quoſdam perſanauit: nam et hoc colicum doloremaufert, qui caufaſpaſmi eſt.Ex Gal.16.simplic.cap.io. Varia deliramenta di vinipotentißimipotua.r exoriri. M 41 Multa Vlta equidem deliria in ijs,quia vinopotentiſsimo inebriantur, fecundùm humorum in corpore prædo-. minium ſuſcitariſolent:quippe iltorum nonnulliin riſum maximum mouentur, aliqui plorant,pleriq;vociferantur, alij. profund ſsimo lomno quiefcunt.Refert Alphinus,in lib.demedic, degypt. muliere quandam à vini potu largiori ebriam, primònimis euafiflehilarem,atq; in ho.. mines la ciuiffe, quoscomplectebatur, et ofculis tenebat;moxèrifu, et cantu,ad ram, et furias deueniffe ex quibus fami.. liares eam pertimentes,præcauebant;de. inumin mæftitiam,vtdefun &tos lamě. tabili vocedeploraret;poftremò à fom. no oppreflam,omnem ebrietatem digef fiffe.Caufaomnium eft, quia vinum pri mòcalefacit,fecundò adurit,tertiò refri gerat; ſipotésfuerit, et immodeſte poti. Ego profe et ò quendam cognoui, qui a pudMarchionem primum Sancti Marci dominum meum erat in culina,vt lances vaſaqueculinaria in dies-collueret; vo cabant Iulium Colauentre. Hic epoto vino grandi,quodBeneuento pro domi 13 ni menſa forebatur in tam immanemde uenit ebrietaté,vt Dæmoniacus appare ret,os,manufq; extorquebat,in fe ipfum fæuicbat, ia&tabatq; membra, et infinita agebat deliramenta. Aulæ Sacerdos fa crislibris accingebatur ad exorcizandú hominem: quando vocatus, ebrium illi effefaffus fum,meoqueiuſſu ferula,mo Te puerorum, circa nates,flagelliſá; contačius, breui ebrietatem dereliquit. Syrium inter fydera.calidißime exiſterematuth., Riente Syrio tantum aëris concipi.. præ ardore langueſcant;canes inrabiem trahuntur;furiunt viperx, et ferpétes; ftuant mariajaer occultam nocendiqua. fitatem recipit;ſemina, ia era ſub tali ſy dere,minimènafcuntur: talisprofectò eft Syrij natura. Exlib.2.de Hydr.natur. Viterum in nuptis mulieribusvarios fuiffe mores, o confuetudines.. 3 MS NonN.DE dumprima On vna equidem apud Veteresin. nuptis fæminis eratconfuetudo: quippe conſueuerát homines in finuPer. fico, littoreg;Orientali,Virgines nobi. les nubiles haud deflorare, nifi brachijs, margaritarıım ļineisornatæ incederent:: ab id illæ in magņo.erantprecio.Deſije. a nuncmosille, et margaritævilius illice. muntur.E « Garzi4 ab Horto. Catullus, in nuptijs Pelei, Tetbidw,aliam natat con ſuetudinem, Virgo nupta, noctecun marito erat concubituva, itatra et abatur:ante coitum eiuscollinen.. fura filo circumdato meníurabatur,maenèhocrepetebant, quòd fi latius, quam vt filo comprehenderent, collum inueniebant, defloratam ça nocte cenfebant:ſin: Vitò dibilomaius,integram, aut antea.fuille deuịrginatam habebant. Aļijalias. habuere confuetudines. Pupauetagreftemirabiliter Pleuriticum mere bum fanare, Efeet Galenuspapaueradolores miti gare,atq; interanodyna reponiina multis locis referat;tamen agrelte,pleu, ritidem,inlib deremed paras.facil.confel, - fus eſt perſanare. Aperiam quodà mo nachoempirico mirabili fucceflu in hoc morbo fa et um vidi.Hic folia et ſeminaagreſtis papaueris,in vmbra exiccata,ſe cum continuo deferebat:cum autê quislaterali morbo infeftabatur, eius confr lio ſanguinem à brachio ſecundum ca 1nones extrahi curabat,mox deco&ú fo liorum in brodio pulli collatum, cumdrach.j.velj- iplius papaueris ſeminis capillamentorum, quæ poft colaturamaddebãtur,capiebat tepidè, et ieiunio * ſtomacho. In loco doloris hæc Epithe.cata adhibebantur.Parabantur ex pul yere roris marini, et ſalis,farina, et aqua"tres placentulæ,quæ ſuper calido latere in firmam ſubſtantiam ducebantur: hisslocus,epithematis inſtar,fouebatur, et breui tim dolor euanefcebat, tum etiá:apoftema rupebatur, et infirmus ad fa. lutem magna admiratione priftinam rew.dibát, Corni plantam, Singuinarie,vel SörbiHydrom phobiam curatam fufcitare.1.1 ter 276 Je Nterrerum admiranda, connumera tur aliquot plantarum energia,quæ ſopitam, atque curatam in hominibus Hydrophobiam ſuſcitare, et renouarecouſueuere. Pluries etenim obferuatum reperio à Canerabidocommorfos, fi plă tamcorni, yel fanguinariæ tetigerintan. te annum exa et um, velfub forbo dormierint, ineuitabiliter in rabiem incide. Tę. Salius in lib.de affe&. part,virus hoc potius à toto ſubſtantia, quàmàtempe ramenti ratione ſufçitariprodidit; nec enim à taląu, necab vmbra intemperi es introducipoteſt.Itaquemirabileelt, ab iis lopitam rabiem renouari, quod. fieri non poſſet,niſicum rabidalue, ha plantæ aliquam haberent antipathiamy cuius alia potiorhaud adduci poterit ratio, quam tetigimus, quod huiufmodi a proprietatehocperficiant. Qua induſtria penenum illumptum deſcen.. diffe ad gibbum Hepatispèlinteftina. rognoſcere valeamus... iquopropinato,nullamajor me dicis, difficultasexoritur, quam veneni refidentiam reperire, vtritè ca adhibe antur pręfidia,quæ talia oppugnare re perta ſunt. Si enim venenum fuerit in ſtomacho,vomitumproderit excitare; fecus autem,li tranſiuerit hepatis regio nes,Hiceft modus.Ponaturoui vitellus cumalbugine, cum infirmi lotioin ma tula;fiinfrapaucashorasnigrefcit, et fee tet, venenum adiecoris gibbú peruenit; Tip veròrugetur,çitrinefcat, et non fæte at, inteſtina haudtranfiuit. Hinc indica tionem corradimus, veneno ad inteſtinaTraiecto,non conferre vomitum prouo care, ExBAYTO. Plantas peduconfimiles;congeneresretine YENİKHI€s. MVltis experimentiscomprobatum Teperio,plátas,fruticelý;ligna, quę quadã aſpectus ſimilitudine cóueniunt, congeneres retinere vires.Sicmulti mea dicorum peritiſsimi locolingniGuaiaci, Buxo vtuntur;loco falſęparillæ,ſmilace it aſpera, loco ſaſſafras, žylucftrifoeniculo; pro polypodio,filicecligunt; protipfa M 7 na nyhorleum pro myrto,liguitrů; pro ea buio,fambucum;pro china radicem no ftræarundinis;pro Rhabarbaro, hippo lapathú.Hçcn.facie corporeg; aſsimilá.túr,proindecöſimiles vires habere exia ftimatur. Exlib.noftro de Hydran. Natur. Inter Arundinem. Fräcem,maynam inefſe extipathiam. Aturali quodam odio inter ſe Fi lix, &Afandodiſsidere videntur: moritur enim filix, quæ ab arundinem: plantis circundatur;et arundo quæ à fio licum virgultis: quo dudi experimen to agricolæ, arundinisfolia in colendis agris, vomeribus alligant, perſuaſi ab iſtorūdiſſenlu,ſilices ab agris extrudere, &,vt audio votum in dies conſequütur. Apridentem ad Cynanchen, Pleuritiden mirabiliter valere. Agna eft efficacia dentisApriin NA ! uis eius oleo linino excipitur, ac locus affe &tus tangatur cumpennę' extremitaa: tę,cx Arnaldo, et Auicenna habetur,bảo morbum præfeptiſsimècurari.In curan da pleuritidenon minor eft virtus eius. propterea folentpracticantes admiſcere tum fyrupis,tum electuarijs huiufinodi dentis puluerem,benèpoſcentesab oc ! culta,&aperta proprietate talem pulue rem prodeſſe: quippèextenuādi, et exic, candi vim habet. De hocdente mirum. feribitur;occiſo enimApro recentar,ip fius détes adeo feruere referüt, yt capil losadmotosnonnunquam comburant. Id accidit., quia Apricalór magous eſt; dumý; occiditur,ira et exercitatione fer uefcit; proinde dentespropter denſam ſubſtantiam,magnamrecipiunrcalidita tem,cuius indicium ipmaeſt. Aparagos ju arundinerosfatosmirabiliter ex. crefcere. FAximuseft inter arundines, et af par gosnaturalis cófenſus;idcir... Iragos, et pulchriores, et core pore?s atq;ſapidiores habere op tabit,ue, arundinetis leminare procu rabitquippe exnaturali ſympathia mi rum in modum excreſcere, et germinare, animaduertet. Meani co qui MVltis profe& ò notiſsima eft, an Vierogerentes eſu cotoneorum induftrios; acuri ingenij parere filios.. Mirab Trabileeft illud, quodà multis de cotoncorum proprietate affirmari audio: ſienim.grauidæ mulieres,quàm læpius cotones-comedere folitæ fuerint, filios et induſtrios,et maximaingenij pårere dicuntur:fiquidem cotoneis mia ram hanc facultatemineffe credunt. A. liud autem mirum in ijsreperiri apud Mizaldum legi,grauidasmulieres háud parere, velfalte difficulter fætum ede re,ſi in cubiculo,quotempore partus fuerint,cotosca feruauerint: credo ex eorumconftringentiodore, velocculta. rationeid euenire. Heder am cum vinomiramhabere diſcordiam. tipathia, quæ inter hederam, et vinuinànatura infita eft; fienim ex hc deræ trunco cratera componitur, in qua vinum dilutumfuerit impofitum,procul dubio vinum confeftim effluesfun detur aqua verò intus retinebitur,adeò viniimpatiens hedera exiſtimatur.Hoc ducti experimento nonnulli in vinise mendishederæ poculis vtuntur: ita e quidem num purum, vel dilutum vi numexiftat;examinani, et cognoſcunt, Volatilium piſciumg;fecunditatis,Ginteria.Tuprafagia. Oletin quibuſdam annis animanti bus quædam peculiaris peſtis graſſari;hinc fit,ve (liannus valde pluuioſus extiterit(auium, volatilium, bombycúſericeorum,araneorum,erucarum,inte.. ritum videamus;piſcium verò ftirpiúq;: fertilitatem,et valetudinem.Annus ay. tem ficcusvolatilibus (apibus excepris) falutarisiudicatur;piſcibus verò perni... ciofius:ficut enim in angulto aere, obim.pediram reſpirationein,fuffocamur, vi. uereque nequimus;ita piſces in anguſtisaquis concluſi diu vicam agere mini mè poſſunt. Gallinarum adipem(accharoobuolutam,vor modò a corruptela preferuari;verùm atque oleum redderepretiofisfimun. Mira Mina Ira equidem eft facchari virtus, in conferuandis àcorruptelaadi pibus. Cum quadam hyemePrudenria filiamea gallinarum adipes collegiſſeteracfaccharo albo benè conuolutasin va ſculorepofuiflet,æftate ſubſequenti, illud oleo femiplenum reperit, adeòpel lucido, vtcumad medeferret excellen tiushaud inueniri poffe iudicaui. Hoc licet illa pro exornandis capillisvtere tur,tamen pro mitigandis corporis do loribus,pro carnis (cabritie tollenda, aeliifque infirmitatibus vtiliſsimum effe į cenfeo:Quod autem mirabiliusiudicaui:adipes illas:poft multos annos conſerua.. tas, eodem colore,atqueodore, quo re-:centesin vafculo fuerunt claufæ anim aducrti. A quodam Chirurgo amicoet ianintellexi, humanam adipem faccha. ro conuolutam;per longifsima tempo ra àcarie, et rancido præferuari: quodiſi. ita eſt, credo in omnibusanimantiumde.dipibus id euenire.Qrare Magpatú cor pora condienda melius faccharo imple. ta,quàm aromatibus pofle conſeruari crederem;eò magis, quia hoc præſidio, corporain propriocolore, vi deadipe dixi perfifterent. Cucameres naturali odżooleumabborreres - aquam verò appetere. INteſtina iudicatur diſcordia, quæ in,ter cucumeres, et oleum ineft: nam, et ijaquam,appetere.à lege naturæ viden.tur.Proinde virentes, atque è propriis. plancis pendentes, vafcula ff aquaplena ſübterhabuerint,adeò longius extrahús, tur, vtaquam inſequiex certitudineex. iſtimentur; fin autem oleum fub his fue. rit eie et tum procul dubio infeipfos, ve Juti vncus, retrahuntur;fiquidem ij olei impatientes ex naturaliantipathia co gnofcuntur.ExMatthiolo, Mandragoram pitibusapplántatam,vim il tisinfundere ſoporiferam. T Antam habét Mandragora inducena, di ſoporem efficaciam,vteius pom vel comeſta, vel odorata,quandoque ca taphoram exuſçirent. Illudautem mi rabilc eft, vitibus Mandragoram com plantatam, propriam iis naturaminfun-. dere, adeò quòd vinum ex huiuſmodi: confectum ſophrem bibentibusinducereconſueuerit, vt Rhodiginus adnota-, uit. De Mandragora Iulius Frontinushiſtoriam feripſit Strathagemwoz.Arn balà Carthaginenfibus cõrra Afrosmit. ſusfuerat, qui cùn ſciret gentem illam vini auidam eſſe,in quibuldam vini do liis,quæ in caſtris habebat, Mandragore copiam coniecit,indeleui comiſſo bello, exinduſtria celsit, fugamque ſimulauit. Barbari,occupatis caltris,auidèmedica.tum merũ cùmhaufiffent, in captapho ram lapſi ſunt, et ab Annibale trucidatia:Quando, Aegypti mortuorum corpora come dire foleant: E condiendis mortuorumcorporibus, Aegyptiorum ex monumena tis multa, tum ab Hérodoto, tum à Cæ. JioRhodigino exempla afferuntur. Ae gyptii enimmortuoscondiunt, atq; do miferuant: Ageſilai cadauer cera condi. tum fuit, yt et Perfæ facere folent; Alexandri corpus melle colitum eſt. Apud Iudæos exmyrrha, et aloe cadauera condiebantar,vé apud Ioanné Euangeliſtam cap. Iceportabile equindependenciaenelsC. 19. legimus: quippeNicodemus myr rhæ, et alocs ad libras fermè centum mi.furam fecit pro corpore Ieſu Saluatoris noftri condiendo. Magorum eratmos, nonhumare fuorum corpora, nifià fer - ris ante laniata forent: Affyriorum Re gurefepulchra in paludibus condita fu ile tradunt. Mellis vſum, vita hominibusinducere diuturnitatem. Nenarrabili equidem potentia mel, corruptione cuſtodirevaleret, à natura productúeft:propterea Plinius l.20.maximè huius virtutem admiratur, ClaudioqueCæſari Hippocen taurum, exAegyptoin melleallatum, vt citracariem eſlet, commendauit: nam et hoc corpora computraſcere non ſinit; fiquidemmulti fenium longum mulſi tantum intinctu tolerauêre.Celebre eft mellisexemplum in Pollione, qui cen tefimum annů excefsit: hicenim ab Au. guftointerrogatus, qua ratione, &ani mi, et corporis vigorem, maximè cuſtodifíet,hocreſpódiſſe fertur:Melle intus, foris oleo. Proditur etiam Corficæ infulæ populos, ex aſsiduo mellis vfu, vi. tæ acquirere diuturnitatem, cuius reili cet Diodorus non comprobet exemplu eò quòd mel Corficú peſsimum cente at,tamen non per hoc vſum mellis ad vi tæ produ et ionem improbauit. Gulinasouaparere quolibet anni temporefi femina urtica, velcanabisin cibis habuerint.Scripſit Ariftoteles6.de Hiftor.animal. cap. 1, Gallinas toto anno oua parere,exceptis duobus menlibus brumalibus. Hoctamen tempore, quo à fætura deti ftunt,ferninis vrtica, et canabis auxilio faciliter gallinæ fæcundantur:fienim incibis iſtorum ſemina Ticca comederit, procul dubio tota hyemis tempeſtate, nonmodò calidis temporibus oua pari ent. Hæc profectò earum corpora cale. faciunt,et ad fæcunditatem diſponunt. Curyepbylatam infantium maculas è corpo Olenttenella infantium corpora, dű vtero exiftunt materno, maculis 0 pore extricare.Solenereexiftuntmaterno, quibusdam, næuis, lituris, veruciſque, quæ à matrisimaginatione fiunt, com maculari: hæcporrò quali ſigilla impri muntur,&difficulter poft ortum elui poſluņi. Pro iis delendis principatumhabetCaryophyllata, cuius vis,& po tétia in huiuſmodi maculis extricandis,mirabilis iudicatur.Sumitur enim plan ta hæc cum ſuis radicibus in fine menfisMaij, quo tempore virtus vigorofror eſt atque à terreitate emundata, in alembicco deftillatur, mox ex aqua ſtil lata infantium lituræ maculæque Tæpiuslauantur, abſque dubio, eua. Deſcunt. Vrrica folia in lotio infirmi cuftodita,vitam, vel interitumpreſagire. Ira equidem, ex abdito naturæ eſcrutinio, invica,morteq; infirmi praſagienda, vrticæ virtus,&potentia eft. Si enimrecensplanta extirpatur, ac -24.horarum ſpatio ia ægri lotio aderua tur,vtiquefiviridis colore permanebit ex multorum experimentis,falutem, et vitaminfirmiſignificare dicitur:fin auté haud A cantu haud viridiscuſtoditur,colorema; mura bit,mortem, velgrauepericulum deno tare, Ex CaftoreDurante. Philomelam axem miro conſenſu à viperade. pafci. Vis Philomela cxcantu dulciſsi mo omnibus cognita eft; incogni tus autemeiusconfenſus eſt, quoàVipe rà depaſci permittit:dum enim ſub ar bore,in quacantans auis fuerit,viperam viderit paulatim ex illa defcendit,&ad viperam accedit, vt illifiteſca. Ex Thoma Tomai. Caftorem fià canibus inuaditur, minimè te fticulosfibi amputare. Linius,Solinus, et grauiſsimorú Scri ptorum multi,caftorem fibiteſticu. los amputare referunt, quoties venato tes ipfum canibus aggrediunturquafi confcius exiſtat,quod(ijs reciſis ) à mof tis periculo ſit ereptus;fiquidem vena tores hæc infequuntur animalia, vt ex his accipiant,quodadmedicinam vſur patur.' Rci autem veritate hi om. nes grauiter errant; quippecaftor, Ppioru testiculi iuxta ſpinam inclufi funt, vt multis ex anatomeobferuatum. eſtiſte rum error ex velicis quibuſdam ortus eft, quæ in vtroque,maſculo et fæmina, loco teſticulorum pendent, flauo plenæ liquore ad medicinamvſurpatæ. Has vocant caſtereum aromatarii, teſticuii autem minimè lunt. Quoatsficio miliciæ Duces, vt hoftes offen danti gnemmiſsilem perniciofum -conponere valeant. APeriam potentiſsimiigpis miſsilis, fiue artificiaricompoſitionem,cuius potentia tanta eft, vt eiusminimaItilla non modò hominemviuum, verùmat que ferrum comburere valeat. Sumun turſandaracæ factitiæ lib.1o. ſulphuris viui lib.4.oleiè rafa, fiue ex adipealbur ni ftillari lib. 2.ſalinitrifib.j. thuris lib.j.camphoræ vnc.6.vini ſublimati, fi ue aquævitæoptiinę vnc.14.Omniahọc lento igne bene mifceátur; deinde fupa obuoluta, atqueaccenſa in ollis, in ho ſtes inijciuntur. Ignishic, infernalis di citur,tum exeo,quòd mirabilia agat; tū N atque ex Paracelfi impij ceſtimonio, qui retulitfc à quodam Dæmone fuille hunc ignem edocum. Demoſthmen lingua duritiem,quibuſdama Lapillis confregiffe. DEmetrius Phalereusalloquutus.com, quomodofibi curaſſet linguæ impedi menta ſciſcitatus eft.Habebat enim ille linguamduram, et ſcabram, &proinde adoratoriam exercitationem impoten. tiſsimam ).Sanatam refpondit atque la. xatam fuiffe linguam raſpondit ex non nullislapillisoreretentis, quibus loqui conabatur.Cuius Demofthenis præfidi í umdifficilem habentibus loquutionem faluberrimum iudico, vtexpeditius fer mocitari valeat.Ex Plutarcho. Vinum quoddam àferpentibus venenatum, pleroſqueàdifficillimis morbisconfanaffe. Trabilise{t hiltoria,quęáProlpe Milocro Alpino,lib.4.deMedic.Method. de vino à ſerpentibus venenato affertur In cella vinaria quidemciuis Ferrariz inter alia,vinidolium habebat, quod (i ne operculo diù apertumextiterat: - et proinde compluresſerpentes,quos vul gus angues, et anzasappellant,ingreſsiin vinum ſuffocati, et putrefa& i fuerát. Multiægroti ex febribuschronicis;atq; difficillimis vexati morbis ignari,quod ſerpétes in eomortuielent, vinum àci ue emebant illud, quod guſtui gratum iudicabant, et breui fanati ſunt. Alijab huius viniſama ſuaui, cum paucos dies bibillent,itidem lanati funt, et pofthos alijitidem eodem modo fere innumeri. Quare vinidominus tantæ vini facultatis admiratusvinum e dolio torum edu xit, et ferpétes complures ſemi putridosinuenit,qui ré manifeſtá planè fecerunt. Veteres equorum lacrymas inter auguriarecepiſſe. Agnifaciebant veteres equorum Llachrymas, atq; ex ijs auguriunvaniſsimumrecipiebant.Propterea ante Cæfaris mortem ad Rubiconemcqui dedicatiab eo flebant,idquemagno au gurio excerptum eſt. Illorum autem N 2 inanitas,ſiueruditas vt ita loquar, mani feftiffima nobiseft:fiquidétépeftate no ftra fæpiusequos collachrymātes afpici mus, necperinde ex ijs alicui ſiniſtri quidaccidereobſeruamus. Vt ipſe non Semelexpertusfum, æftate potiſsimum equoslachrymari conſpexi, idcirco vel illorum naturá efle,velmorbú iudicaui.Crocimerallorum compofitio. Fferam Quercetani, Croci metal. Jorumcompoſitionem,qui potens medicamentum tam vomitiuum, quàm purgatiuum fimul eſt, variisqueaffecti bus accommodatum. Præparatur cum zquis partibus MagnefiæSaturninæ, et Nitriinuicem mixtis, et inflammatis in quodã crucibulo vt vtar artis vocabulis, et remanebitquædam materia calcina ta in colore Hepatis, quz puluerizata, rubicunda apparetinſtarcroci Martis, quæque dulcoranda eft: Doris -grana x. vel xij.cum vino,autațio liquore. Hominis compoſitionis mirabilia. Ntet mirabilia, quæin hominiscom I pofitionecontingunt,illud quidem mirum eft,quòd tali corporis fit collatusproportione,vt partes omnes pera. que toti cópofito correſpondeat. Licetauto in eius ftatuia nec certa nec deter, minatareperiatur mēſura;ex hominiboenim aliquibreues,aliquilongi ſunt;la pienus nihilominus perfectioré homi. nisſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi cauerunt, vel quod ſaltem feptem nontrárcédar.Interproportiones voluit Vi truuius cubitum quartam partem totiuscorporis exiftere; eandemſ;penſurat. eſſed capitis vertice, ad pectorisinitiskoManus longitudo à cõiun &tione ad mee dijdigiti extremū corporisdecimapars:eft.Facies à capillorum radicibus ad ex® tremum barbę,eade eſt menſura.Maiorpollicis coiú et io,oris eftaltitudo.Tota manustotius faciei menfura eft, Maioriudicisconiun &tio, frontiset altitudo, cilijs fcilicet ad capillorumradices; cæ teræ autem iftius coniun et iones, nafi longitudinemoftendunt:Hominisproe funditas, ſi ſub brachiis, pe& ore, et humerismeluratur,ftaturæ illiusmedietas: 3 reperi inanitas,ſiue ruditas vt italoquar,mani. feftiffimanobiseft:fiquide tépeftate no ftrafæpius equoscollachrymātes afpici mus, necperindeex ijsalicui finiftri quidaccidereobſeruamus. Vt ipfe non femelexpertus fum, æftatepotiſsimum equos lachrymariconſpexi, idcirco vel illorum natura efle, velmorbú iudicaui. Crocimet allorumscompofitio.Fferam Quercetani, Crocí metal. A medicamentum tam vomitiuum,quàm -purgatiuumfimul eſt, variisque affecti busaccommodatum. Præparatur cuin zquis partibusMagneſiæ Saturninz, et Nitri inuicem mixtis, et inflammatis in quodá crucibulovt vtar artis vocabulis, et remanebit quædam materia calcina ta in coloreHepatis,quz puluerizata, rubicundaapparetinftar croci Martis, quæque dulcorandaeſt: Dofis -grana x.. vel xij.cum vino,aut alio liquore. Hominis compofitionismirabilia. I' poſitione contingunt, illud quidem mirum mirtim eft,quod talicorporis fit colla tus proportione,vt partes omnes pera quetoti copofitocorrefpondeat. Licet autē in eius ſtatura nec certa,nec deter, minatareperiatur mēſura;ex hominibe enim aliquibreues,aliquilongi ſunt; la pienasnihilominus perfectiorë homi nisſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi cauerunt,vel quod faltem feptem non trárcédat.Inter proportiones voluitVi truuiuscubitum quartam partem totius corporis exiftere;eandemg;menfurami eſeacapitisvertice, ad gedorisinitiúko Manuslongitudo à cõiun et ionead mesdijdigiti extrema corporis decimapars: eft.Facies à capillorum radicibus ad extremum Barbę,eadé eſt menſura.Maior polliciscóiú et io,oris eftaltitudo.Totamanustotius facieimenfura eft, Maior Indicisconiun et io,frontisettaltitudo,acilijs fcilicet ad capillorum radices; cæ teræ autem iftius coniunctiones, naflongitudinem oftendunt:Hominisprop funditas, fifub brachiis,pe et ore, et humerisméluratur, ftaturæ illiusmedietas. 3 rreperitur. Cæteræ partes cumaliistra. bentrationem,vtſuperius tetigimus. Apedumnaturam mirabilem effe. INNeer terreftria animalia,Aſpidum ne, tura mirabilis iudicatur. Ex his enim maset fæmina infimul vitam agunt, ta. tula; amoris affectus inter ambdsinge ritur,vtfi cafu illorum alter occiditur viuens occiforem infequi, quouſque fodj,necem vlciſcatur,hauddeſinat.Quod autem mirabilius eft,ex Plinij, et IfidoriTeſtimonio, occulta proprietate occiío on noicit,(talem ifs natura indidit )igi quemIrruit, licet in quantovis hominu agmine reperiatur. Præceptum ergoo.mnibus eflc velim,vtocciſo iſtorum ani malium quopiã,celeri fugaiter occiſorarripiat,ne à compare animali veneno fiſsimoinfeftetur, Leporesomneshaudeffebermaphroditos,con traVeterum opinionem. Mneslepores vtriufq; lcxusexiſte revoluerunt Veteres, quod et M. Varro ctiam tradidit. Error tamen eſt, vtdiuturna docuit experientia, quama feulos fculos à fæminis lexu eſſe diſcreroscognitum cft. Porrò tantorum inſcitia, abhoc, vt reor,ortaeft, quia in leporumgenere lępius, quàm in aliis animantibus hermaphroditos reperimus: inde Hebreinaturæ arcana intimiùsſubodors tes, leporéfæminino vocabulo léper explanarunt,ARNEBETH, eò quòd in iis foemineusſexuspræualet magis.Rej ve ritatenoomncs hermaphroditiſunt,vt ex peritiſsimis venatoribus audiui; exic et ionemultorum cognoui,ficut.com iam Bodinus edoctus fuit,vtivrhluth confitetur.Equidem Hermaphrodig plurimi funt,fedfæcunditatem fervita. rumminimèrecinéignecmares vnquam vtero gerunt, necminus fuperfætant. Mirabilen eßeImaginationis po tentiam n vtero gerentibus imaginationis po tentia apertècognoſcitur.Si enim illæ inter virorum amplexus, et fuauia,ali quid intensècogitauerint, facilè in in.. fántium corporisexternis partibus imax ginataimprimunt. Hinc variæ rerum formar Ire N forme,næui,lituræ, verrucæ, et alia figa na ininfantibus impreſſa conlpicimus, Lingmultæ ex leporum obeutu fætuse-, duntſciſſolabello,aliæ fimis naribus,ore diftorto, vultumonftruofo,labris turpèprominentibus,corporedifformi,ocu-, liſq; horrendis infantes genérant: quiaconceptus, vel grauidationis tempore, turpia,monſtruoſa,& horribilia fixaco gitatione excogitarunt-Fæminisidcirce, præſertim nuptis, pulchras imagines damihaberecófulerem,atq;à turpibus av effe,ne pręuia imaginatione fætus mó.Atruoſos, turpefá; concipiant. Veteres, Climaftericos annos admodum ti muiffe.1 A mationis apud Aſtronomos exi ſtunt &re vera videtur in quolibet annifeptenario quædam hominis mutation deò quod, ficuti in morbis dies criticostimemus,ita in vita hominum annosClin mactericos,qui à multis ſcalares dicuntui, quòd gradatim eueniant.Sunthi an ni, .Inte hos annos 49.63. magispericulosos credunt; quiaconſtant è feptenario, duplici, &nouenariocomplicato,obfero uatumq; àgrauibus auctoribusreperio, maiorem hominum partemio anno 63. Mori contingere.Idcirco hos veteres ada modumpertinebant,&, vtcapiturin Gellio lib. Auguftus itaſcripfit ad Ça ium nepotem:Spero te lætum,&bene uolum celebraffe, quartum et fexagefi mumannum natalem meum:nam,vt vides,Elimactericum communem fenio rum omnium, tertium et 'fexageſimum annumeuafimus. Dehis tractatum edi dit Iofephus de Roſsi à Sulmona vtilem&jucundum. fMundiprimordiisinter homines, es ferpema tesantiparhiaminfurrexiffe. IRRreconciliabile odium eft, quod inter homines,&ferpérescadit,adeò, quòd expauefcit homo fi ferpentem inuenit, antvidet;magisautem fæmina: fiquidé obſeruatum audio gravidam mulierem (vifo ferpéte )prætimore abortire.Hu. ius difcordia illa ratio potiſsima eft quodàmundiprimordijsínterkanc, et QUnca Semuan -illum Gt ſtatuta inimicitia, et irreparaa bileodium, quo altera-, alteram fpecia em inſequatur. Carolum V I. Francorum Regem,Ceruum 4 latumpro infigniprimò habuiße. Iluanettum Rex Carolus venandi cauſa fecontulerat, canum latratibus excitatusin fugam Ceruus, æneam tore. quemcollogerere viſuseſt, quem vena bulis,aut ferro appeti Rex prohibens,in calles,et retia compellit.Erarin torque latinis litteris infcriptum:HocmeCçſardonauit. Exeotempore Caroluserua alatum pro inſigni habuit; &alii,regibusinſignijs (quęlilijsaurcis tribus conftát) circa latera, Ceruos duos apponerecon fueuerunt. Gaguilis in vita Carol. V I. HANC. Reg. Insaanimantia confenfum,&difcas diane ineffe. Vllidubium inter animantia fym pathiam, et antipathiamefle inter trpiantes ſubditur: fiquidem muſtelam miro eiulatu in bufonis osdeuorandam inueherelegimus; et bufonern in ferpen Npathi Lisa I tis,botrævocati, os ingredi.Inſuperci cutam, fturno eſle cibum; homini vero venenum indies obſeruamus: atqueveo Fatrum cotumices nutrire, hominem autem lædere noneft ambiguum. Senaterem quendam, exconiuge liberos ſur dos,&mutosfufcepiffe omnes. nature. omnesex, &mutos ſuſcipi,itaequidem à Fernelioobferuatum eft in quodā Senatore.Cre didit Ambianus huius reiobfcuram, et cæcameſſe rationem, mihi autem altera fubeft, quæa Phyficis minimè differt: fiquidem auditio grauis, atque ſurditas quæ à natalibus viſa fit à conformationis vitio exoriens, hæreditarios mor bosgenerare creditur, et perinde libe ros,exhuiuſmodivitioſis,ſurdos, &muin tos excitari:fæpè autem non in filiis,ſed! in nepotibus hæclues oriri videtur. Apud Garamantes. mirabilem fonterrosobferuari, Dmiranda profe& ò, eft fontis il.com ARJiusproprietas, quiinoppido Der 1 bris apud Garamantes reperitur. Hices nim die friget, no&cverò æftuat; adeò quòd memoratu incredibile videtur, quomodoin tambreuitemporis fpatio tantam natura ſui faciat varietatem. Equidem, quinoéte fontemafpicit, ibi flammasignefqueæternos exiſtere cres dit:quiautem die hyemalesſpectat: fca. tebras, vtique fontem perpetuò rigere exiſtimat. Propterea Debrisapud mudi nationes inclyta eſt: eius enim aqua qualitatem excæleſtivertigine,mutare confpiciuntur.Ex Solino. Quo artificio Caminus per ſuperiorem"api cem ſolum fumum emittere valeat. N Caminorum fru et ura,.non modi aimtufferimus laboris, ne ignis fi molimtesin nos ipfos erumpant: fiqu. dem inventorum mutationc facile fit, vt fumi quandoque potius defcendant;quàmadapicem aſcendant: ventorum enimvisillos deprimit, deſcenderequcpercaminum cogit. Egotale ad fumi ferlum impulfionem excogitaui artif. simm.StrukturCaminus, cuiusfuperius fafti. zor faftigiu rotundú fit,ibique foramen lapidibus fi &tilibus conſtructum fit: mox ahenum inſtar tympani ex-ære, incuius latere feneſtella extracta ſit, fuper lapi des affigito: ftylifớferreisfubcingito; ita tamen,ve intus vagari, mouerique commodèpoſsitapta demumfuper fer reos ftylos, et lebeten?' ex ære infuper vexillum,quod feneftellamfubiec dia recto habeat,taliq;induſtria,vtin quo libet vexilli motu, moueatur,et calda riumin gyrum,ita profe et ò è feneſtella, ventisoppofita,fumuserumpet, et non deſcendet.Pleriq;, vt fpero, huit noftro fcruinio,inelioremaddent Atructuram. meamque opinionem noníſpernent. Adconftruendum celerrimeHorologium muncrabile in paritte. Ncoritruendis, pingendiſque ſolari, busHorvlogiis, non modo lintā me ridianam,opuseft imienire, vthorarum tempusfidele reperiamus, rerum atque Ortum, et Occalum, Borcam, &All ftrum cumAquinoctia, et Solftitia: in is.n. Solarismotusquarnaxime variat. N 7 Ego quidem,vt labores fugiamus, tale excogitaui artificium.Globum planum. extabula ligneaformato in cuius medio ftylus ferreus ſitus fit;diuidito mox glo. bum lineis,excentro ad extremum du cendo illius in 24,portiones, demumin globiapice horasſignato, &vltimo in patiete contra Solis radios affigito. Vt auté exSolaribus vmbris diei, horas ve nari poſsis,Horologium portatile afpici.conglobumý; ad horam illam accommo. dato:ita profectò,abfq;alio auxilio, ceferrimèHorologiumvmbratile in pari cre habebis.In Aequinoctijs, et Solftitijs 1eodem portatilis Horologijauxilio,fa. cillimè ad horarum æqualitatem globůreducere poterimus. Infancium pir uitam, è capitefluerem, quo artificioChartaginenſes fiftere procurandTing, Xinfantium pituita, in capiteredú.dante,plerique fuecedunt morbi in. ter alios, morbus comitialis exoritur, qui àmultis puerilis vocatur, quòd ijs,ve plurinum,eueniat.. Vt autem infantes ab huiuſmodipręſèruarent Pæni, illorú vedas capitis lana ſuecida inurere,pitu. itainý;fuentem hoc præfidio compefa cere conſueuerunt. Athiopes infantes te ditos,abipſo quoq; natali die,in fronte adurút,ita profe et ò tumcapitis, tumo culorühumorfiftitur. Apud Inſubress. ex teſtimonio Mercurialis, et pleroſquepopulos,veícribit Scipio Mercurius,l ditos infantes fetonein collo muniunt,quod falutáre experti funt aduerſus mor. bos,qui à capite Huunt, Inmise rasispluuie,quapotiora ixdiceniny præfagia. pluuiam imminentem,tum ex Gallo rumcantu intempeſtiuo,tum ex fre quenti cornicis crocitarione multi præ dicunt.Hisautemaddendum puto muf cas(ca imminente)pulice's, pleraqzani malcula à furorevexari, intentula;mer il dere:hæc enini à vaporum inaerem ctc. rationc à radijsfalar bus perturbantur. Infuper (pluuia imminente )odoris fra. grátia infloribus sétitur;apes ad alueária - sedcut;bufones, vermeſi;èterraakédut Brinavifa eft per dies præcedentes; catti manibus caput, quafi linientes, comprimunt; ouescapitacommotient:afini hu miles habent aures; ftercora fumát, malegue olent.Horum omniumratio, va poresàSole exhumidisfublatifunt:pro. indeanimalia,cerebra humida habentia, nonnulla magis extorquentur. Vinum àVerrribus fuiffe mulieribus inter di& um. Agna fuitVeterum à vinivfuab.Itinentia:illudautem adeò muli. eribus erat interdi et um,vtcapitale iudi. ciuminirct,quæ vinum biberet. Porrò inoleuit confuetudo,vtcognati, et affi. mes,mulieres ofcularentur, ore explo rantes, an ex vinum bibiffent. Idem vefusMafsilienfibus, Mileliis, pluribus; Græcorum, &Barbarorum gentibusin,.valuit, apud quos muliereshydropota, et viri erant abftemiz: Intermemoran daillor um temporum,EgnatiusMetel fus, vxorem, quod vinum biberet,fufte necafedicitur. Quo artifii io è plumbo Antimonii flores ex Habere paleamase Ape nij,fiue Stibinon femel extrahere Periam artem,qua flores Antimo à plumbo valui,quo præſidioin multis corporis affe et ionibus feliciſsimo euétu voor.CapitoPlumbicampanam, è qua aromatarij rofarum aquam ftillatitiam extrahunt; hæchabet æris fundum: tu verò txargilla eligito,quodacerrimoa etto fupramedietatem implendum con fuilo,eaq; induſtria,qua rofæ ftillantur, in acetideftillatione carbonibus bene ignitisagendum cít:caue tamen, ne totus filletacetum, ne aqua extracta vftioné fentiat.Hæcaqua auri colore eft, fapore xeròfacchari, et mellis; mirabilis tamen tum in potu, tum extrinfecè vfurpata, obftib j flores ex plumbo extre et os. vomitu, et aluo purgat, ob id frigidisaffectionibus,obſtructionibusý; vtiliſ. fima': In vlceribus putridis, fætidisacoribus, ſcabie, herpere exedente, et aliis huiuſmodi,maximi eſt valoris.Doeſis in potu ſît vnc.ij. Deforisad placitū. Clarorum virorum exitum aliquot intefelicem fuiffe Aniene fluuio Aeneas poft tot vi. et orias, torque clarafacinora periiffe dicitur: nec diſsimilisRomulo, Cæfari, Alexandro, Annibali, Scipioni,Iugur thæ,Mithridati, atque alijs innumeris mors ſucceſsit:per quàm n. pauciviriex iis, qui clari,atque illuſtres tum virturi bus, tum fortuna habiti funt,quos non infælix exitus,tanq: á pro exemolo,fós offentäuérit porterial textcaligero. Defipientiam, mulierum natuefamiliarem indicati. MVlieres vterogerèntes,fiàphrenia tide capiuntur,Galeni teftimonio, rarò confanefcere legimus,vt fcribit tamen Cælius Aur.femper minus graui ter,minuſquc periculosè, quamviri,mu lieres ægrotant.Hoc autem, vt Merci. sialis opinatur,ab alia rationecontinge re non poteft, quam ab ipfarum natura, cuius familiarius eftdefipere,quam viri. Mirabile Annibalis, contra Romanos nauala fratagemia.Nfolita,& mirabilis Annibalis milita Eisafutia contra Romanos iudicarur: hicenim bello naturali cum iis dimica. curus, cum impares vires habere animaduerteret,rale ſtratagema inuenit. Ser pentibus, quorumvenenumconfeftimenecat,pleraſq;ollas impleuit,opertasq; repente in hoftes iaculatus cít, quorumictibus plurimi cecidere.Hifceftratage matibus vir hic tanquam alter ſerperis,multoties hoftium manus effugere con fucuit.Ex Gdenoin lib.de tbet.AkrijonAmbarum cum vino alicui exbibitum, cena feftiminducere ebrietaisn. Mbarum, quodà vulgo Ambrageye ſea vocatur,fomiſsisatiopam falfos opinionib et bituminofisfontibus,qui in maris profunditate exiftunt, oritur, Hocautem primòliquidum eft,cùmve rò aquarum impetu ſurfum rapitur, ex aerisfrigiditatecondenſatur, et Ambanrum fir:Siquidem in maris concauo, ple raq; mollia,teneraque obfèruantur, et interaliaCoralliú, quod ex aqua exea ptum, citiſsimè lapideſeit. In Ambaro illudmirabileiudicatur, quod ab alique antequam vinum hauriat,odoratum, ina sttarebrii eladat: cum vinoa, propina tū,confeſtim notabiléinducere ebrieta temmultis experimentis eft comproba. tum. ExSimeone Sethi Greco auctore. oleam Lathyris Tympaniam, Colicas, affe& ionesmirabiliter ſanare. Irabile quidem,quod è Cataputię -ſeminibus extrahitur,oleum eft, quippein expellendismorbis,qui à filao tu luccile;frigidis oriuntur,principem habet locum.Contundantur huius ſemi na, atq; in aquatamdiùebulliant,vt ex cocta videantur;mox oleum in aqua fu pernatans cochlearicolligendúeft. Mos eft apudIndos tale oleum cómodius per decoctionem, quàmexpreſsionem cola ligere. Vfurpaturhoc feliciſsimo fuccef. fuin Tympania,colicis,iliaciſq;dolori. bus,ftomachiaffe et ione,aurium furdita te,atq, in iismorbis,qui à ſuccis frigidis, fatua;fiunt. Huius gutta aliquo lique re in potuſumpta aquam citrinam euan euat,in articulorumq; doloribus pitui tam,humoreſque frigidos. Extrinfecè vfurpatur in omni Hydropis ſpecie: vbi tamenflatuofitas viget, maximam in expellenda proprietatem habere vi detur. Ex DonGarzia ab Horto. Verenum à diſsimili extingui; à fimili vero angeri.Hocpropriumelle veneni,àfapien Lrioribus proditur, à diſsimili ex. tingui, et aſimili augeri, et robuſtius fi erizea propter non femel à perfidisho minibusexhibita venena nullius valo risfuifleobſeruatum eft,cùmeadiſsimi libusfuerintfociata. Aconitú, et Napel lus miram retinent vim necandi, com pefcitur accamencorum potentia à ve neno diſsimili, ex quorum diſsimilitu dine,vtriuſq;vishebetatur.Mira eftAu. fonii hiſtoria de vxore mæcha, quzma rito venenumpropinauerat, vt a. illud robuftius effet, Hydrargyrum miſcuit ex quo toxicivirtusdempta eft, et vir immunis euafit. Hoc epigrammate ille monftrat; TexicaZelotypadedit vxor mecha marito, Necfatis ad mortem, credidit effe datum:Miſcuit HA Mifcuit agentelethaliapandera viui, Cogeret vt celerem visgemindanecem. Digid at ber fiquisfaciunt difiseta venenü; Ansideram fumet,quiſociala bibet. Ergo inter fefe dumnoxia pocula cortant, Cele lethalisnoxafalurifora Protinus,Go Vacuos duipetiêrereceffiua, Lubrica deie& is,quaria nota cibis. Quanpia cura Deumprodeftcrudelier vxor, Elçüm fata voluns,bina venena juuans. Cornelij Celfy devaletudine fanorum bomsi num conferuandatutißima præcepta. Ntergrauiſsimosmedicos,& fcripto res,nemo eft,qui in conſeruáda fano rum hominúfanitate oculatior exiſtat. Afferă ciusverba ', ytfaluberrima iſtius præceptarectius intelligantur.Sanus ho mo,qui, &bene valet, et ſuæ (pontis eft,nullis obligare fe legibusdebet, ac neq; medico,ncq; dcalipta egere.Húcoportetvarium habere vitæ genus, modo ruri eſſe,modòin vrbe,fæpiuſý; in agro: nauigare, venari, quiefcere interdum: fed frequentius fe exercere.Siquidé ignauiacorpus hebetat labor firmat; illa matură lepc ſenectute, hic longăadoleſcentiáreddir. Prodefteciâincerdúbalnco interdú,aquis frigidisyti;modòvngi,modòipsúnegli gere:nullú cibigenus fugere,quopopu. lus-vtatur:interdú in cóuiuio eſie,inter. dum ab eo ſe retrahere:modò plus iufto, modò no ampliusaffumere:bis diepoti us quàm femel cibú capere, et fèper quá plurimum,dummodo hunc concoquat.Secl vt huiusgenerisexercitationes cibi queneceſſarij ſunt;ficathletici,ſuperua. cui. Nam, et intermiſſus propter ciui. les aliquas neceſsitates ordoexercitati. onis,corpusaffligit, et ea corpora, quæ more eorum repletafunt,celerrimè, et fenelcunt, et ægrotant. Hæc firmis ſer: uapda fune,cauendumqueneinſecunda valecudine, aduerfæ præſidia cenſum mantur.Ex lib.i. Socrati àfamiliariDeironcde Plasonis indole Somnium fuiffe immiſſum. Solenequandoq;malifpiritus homi nibus fomnia ingerere futurarum re rú, vel Deipermiflione, vel vt nos ipfos dedecipiant. Hinc Socratem legimus, vidiffe perſomnium,oloris pullum ſibi in gremio plumefcere, qui continuò exorcispennis et expanfisalis,in altum aduolans, fua tiſsimos cantus edebat. Poftridie Pla tone adducto, hiceft (inquit ) Cygnus, quem ego præterita nocte cam fuauiter canentem fomnovideram. Hocfomnium, ve fcribit Henricus de Aſsia, à fpirira fa. I miliari, ſubforma Cygni, quem Athe nienſesVeneri dicarunt, fuit immiſsum Socrati, vtPlatonem in diſciplinam re ceperit ', à quo, quum ipſe uilil ſcrie ptumreliquerit, dulciſsimi ipfius et Caluberrimai fermones proderentur, Magia ſeuinc antatianis ris. Onmeras eſſe præftigias, quæ magica? arte efficiuntur;multis exemplis notum eft, fed vno in primis, quod deſcribere vifum eft.Rufticus quidam magnis doloribus ventriculi vexaba tur:: quos etfi variis,medicameutis depellere cogar zur illi tamen non 1 ceffarunt, fed potius in diesrecrudeſcere vifi funt. Quare agricola doloruin impati ens, cultello ſibiguttur abfcidit. Dum au tem tertio die mortuus ad fepulchrum ef ferretur, àduobus chirurgisin magna ho. minum frequentia, illius ventriculus iraci. fuseſt. In ee (res mira, et prodigiofa ) lignum teres, et oblongum,quatuor excha.lybe cultri, partim acuti, partim ferræ in. ftar dentari, ac duo ferramentaaſpera re. perta fuerunt:quorum fingulaſpithamęlos gitudinem excedebant.Aderat, &capillo. rum inuolucrum globi inftar. Credibileen fanè, hęcinventriculi cauitate congeſta fu iffe, non alia arte, quàm Dæmonis aftu,&dolo. Quo artificio epiftolam, in ouo celatam alicui afcribere valeamus Nterſcripturarum furtiuarum arcana non infinum locum tenere exiftimo, in ouoepiftolam celare, atq; amico ſcribere, Videbis enim oui putamen illæſum, mun.dung; illo tamen exempto, difruptos; cha paeteres apparebunt. Aperiam ſecretum.S? Atramento, ex gallis, alumine &aceto con. fecto, in ouicortice literasſignabis, votum pffequeris. Has oportet in Sole calente ex ccare, mox ouum inmuria concoquere ita enim à cortice characteres euaneſcune, et ad internagradiuntur:ſiquidem putami. ne exempto, notæ oui durato albumine inueniunturEx.Carolo Stephano. In aquafrigida captanda maximum veterumfuiffeftudium. Aximam antiqui curam adhibebát, vt aquam frigidam pro ætatis in.cendio temperando conferuarent: quareex niuibus eam parabant, vt Athenæusretulit.Dequa re perbellè loquebacur Seneca, et panas montium in voluptatestransferunt, Alexandrini aquam Soletepentem, in fene ftris ad ventorum incurfusexponebant, vt poctu frigeſceret;manè autem inte Solis or ruin hani ponebant,folijſque lactucæ, ac que pampinis iniectis frigidam tuebantur.HocGalen.parrat.6. Epidemior. Plasarchu: 6.Sympus cotibus et filicibus aquæinietti hoc fieri fcripfit. Neronis autem in re har ftudium nobiliſsimum fuiffeproditur: ise genim, vtninis voluptate, ablque njuisia iniuria fruererur,feruentem aquam vitro immifiam in niues refrige jarimandabat:Ex Heur nie. Ecua Fæminasin prima menftruorum eruptione in Venerem maximè incitari. e Erunpune,fceminisbera exurgunt:Pana guis ille,inftar occifi animalis videtur, atq; in maioricopia erumpit, cùm vbera ad du os digitos prominent, que tempore puella rumvocem in grauiorem mutari confpici. mus, Illud autem maximè adnotandum eft, inprima menſtruorum eruptione puellas in pudendis,valida tentigine, prurituquecore ripi,ex quo ad Venerem incitantur: quare per tempus illud cautè cuſtodiriexiſtimo. Ex Arift.7.deHift.anim. Qua induſtria Aegypti lapides à vefica,abfiga incifione extrahant.Irabile quidem eſt Aegyptiorum ftudium in extrahendo lapide à ve fica abſqueinciſione, quando noftrates me dici, lapidarij ſine illa facerenequeant, idquecum magno languentium vicę periculo. Hiligneamcannulam accipiunt, octo di. gitorum longitudine, et digiti pollicis latiatudine in opere abfoluendo. Hanc colisca nali admouent, fortiterqueinfufflant;neau. tem flatus ad interioraperueniat, extre. mū pudendimánu alteraperftringunt, fo. samen deinde cannulæ claudunt, vt virga 0 % cabang M Neagalisiotumeſcat, latiorq; fiar. Quo facto miniſter digitoin ano pofito,lapidem pau Jatim ad canalem virgæ, atq; in eius vasex tremun deducit. Quivbipræputio lapidemappropinquare ſentit,cannulam à virgæ ca nali fortiter, impetug; amouet, et lapisex. trahitur. Ex Alpino. Mult a praſidia ab animalibus, bomines accepiffe. Onpauca equidem præſidia funt, quæ ad hominum tutelam ab animalibus accepta ſunt.Chelidoniæenim virtutein ad oculorum morbos ab Hirundine accepi. mus, quæ hancconquirit herbam,vt furorú filiorum oculos, vel vitiatos, vel.cæcos cu rer,Fæoiculi virtutem ad eandep tutelam ab'anguibus didicimus, Ab Ibide, quæ inftar Ciconię auis eft, clyftris vſum habui mus: nam et illa roftre marinamaquamal lumere folet, illoſ; pro clyfteri vtitur, vt ventrem nimis onuftum exonerarevaleat. Inſuper marinus equus, Hyppopot mus di etus, venarum fectionein nosdocuit: illef. quidem mala oppreffus -valetudine, ad re center fuccifasarundines graditur, acutio. riſ;cuſpidefanguinem è cryrjuin venis adi mit. Quodautem in hocmirabile eft, vela guinem cohibeat, in fimo, vel cono volutatur, etica vitam tuetur, et fanguinem fim ftit. Ex Plinio, alis. Equorum teft:cilos ad ſecundasdepellendas miram babere pirt utern. Ingularis profecto Equi teſticulorum adnulierum fecundasdepellendas eft pro prietas, adeò, quod teftatur Genſerus in epift. Rufticum quendam, quinquaginta in puerperis feliciter hoc vſum fuiſſereme dio. Vfus eit et Horatius Augerius in plu. ribus mirabili euentu:præſtantiſsimuin id circo à grauibus auctoribus indicatur re ne diun),nam, et pluribusiamdeploratis pro fuit.Capiunturteſticuli equ: caftrati,& tria ftillatimconciſi in forno exiccantur, quorü puluis quantum capitur tribusdigitis è jurebibendas datur in neceſsitate; idé; fi opus eit, bis, auc ter reperitur.Humanam faliuam Scorpiones interimere. Ominum faliua Scorpionibus infettiſsimum venenum eít, adeò quòd ca tacti confeftim intereanc. Porrò ijs,ſaliua fora ſubſtancia aduerfaelt, ve Galenus lib.io fimp, medic. experimentoconfeffus eft; ist. nim à fola faliua morientem vidit Scorpio. nem, id;celeriter patientem à faliua elue riencium, aut fit jentium; tard autem ab 3 illis,quicibo, potuque fuerant impleti,ina. liis autem proportione, Apiumriſus,bominesridendo interfi. cere. Scelerata eft herba quæ Apiamrifusdiciacur, quod ridendo homines interficiar: fi quis enim gnftauerit ieiunus vtiqueridendo exanimabitur, vt Apuleiusteftatus eft: Ex hacillud adagium ortum habuit:Sardoniussiſus; nam et Sardonia eriam vocatur.Porrò on ex rifu, qui hác guftauerint,moriuntur fed potius,vt placet Saluſtio neruos labio rum, et orismuſculosillius,qui eam come dit, contrahere facit,adeò, vtridendo mori videatur. Qua induſtriaPartbi, Scytheque Sagittarum aciem venenajunt: AR'thorum, Scytarumque toxicum,quo fagicrarum acies inungi folebant, humano fanguine, et viperinaſanie conftabat, tantæquc feritatis erat hoc venenum, ve leui tactu animal interimerer,Equidem Scythæ viperas recenter enixas venantur, eaſque diesal.quoccontabelcerefinunt, do necip fapien putre.cane, mox com visus hominis fanguine in ollameffuſo, eam ex quifite coopertam; fimoque obrutam com putrefcere finunt, cuiusdemum.1. ick or fan. PAT fanguini ſupernatans, fiue ferum cuni vipe rarumfaniecommixtum lethale Scytharum toxicum eft. Ex Arift. Plinio, et Langio.Succinumpterogerentibus exbibitum, mire partum accelerare. Mvicis experimentiscomprobariaudio ſuccinum parturientibus drach. ſemis pondere ex vipo albo potuidátum, mirè par tuin accelerare. Hoc eriam facit eius oleum, fi gutta tantum exaqua verbenæ parturienti propinatur.Quidātamen medicusHetrufcus (Fallopiiteftimonio )exhibebatfcrup.i.bora• cis in decoctomatricariæ, velfabinæ diffolutæ difficulter parientib.mirag; faciebat: bre ui enim temporis fpatiofeetus,vel viuus,vel mortuns egrediebatur. Habebat ille medi euis pro arcano præftantiſsimum hocauxili um tamen neſcio quomodo postea fuerit de fetum. Ex Andernaco Serpentumoua genituramí per imprudētiam in petu haufta,ſerpentesin corpe ribusprocreare: Dmiranda fuccedunt quandoq; fym dem imprudenter cum ea femina, velova ſerpentú hauriuntur, è quibus moxſerpentes generantur. Genſerus in lib 2.hift animal cap, de Ranis Rubetis, bufones in ventriculis in reftinifq; hominumhaufta eorum genitura, fieri, &nutriri probauit. Iacobus Manlius, inlib.experim.in cuiuſdam equitis, exhau * Ita cuiufdam lacunæ aqua, vbierantſemina Serpentum, in ventriculo plures angues fu. iflegenicos prodidit:quibus per internalla extractis, medicorum auxiliis, fanus factus eft. Leuinus Lemnius Vermiculos caudatos, atg; infolita forma beſtiolas vomitu ciectas nouit. In nonnullis lacertasà phar. maco fuifle eductas obferuatum eft, vt Gé. maCoſmocrit vidit. Quaremaxima in a quæ potu hominibus opus eſt animaduerfi. one huiufinodi exhanftis,pernicies corpo. Tis conſequatur. In deſperato coli dolore Hydrargyruin, v4.glandem plumbeamexbibitam, multos confanaffe. Irabile videtur, Hydrargyrum,quodà mulis venenum reputatur, in der. peraro coli'dolore exhibitum, plurimunprodell:. Equidem Marianus Sanctus, ex multorum confilio, qui ab hoc lethalimor bo fanati fint, fuadet, fi obstructio perfeue rauerit, et fæces per osextrudantur, hau fire cum aqua fola argenti viui libras tres, Probat hicexratione vinetuin feu duplicatű inteltinum Hydrargyri pondere explicari, fæcesdetrudi,vermelý; fi ibi fuerint interi. mi, &ægrum liberari. Haud ab hoc difsi mili auxilio quidam nobilis, poftalia ten tata ad morbi huiuſinodi acerbita tem ma. chinamenta, liberatus eft.Hic hauftis olei amygdalarum dulcium fine igne extraćti vnc. iij.cum vino albo,&aqua parietariæ mixcis, mox deuorata glande pluoibea ar gento viuo illita,planè à colico cruciatit euafit, illamque exano abſquelaborerede didjt. ExPareo lib. 16. Infæniculorumfeminibus, vim quando que exitialem deliteſcere.Grauibus ſcriptoribus comprobatur, ſerpentes fæniculorum elu, &fene ctamexuere,&oculorum aciem rnonare. Hinc iis affricantur oculi anguium, vt vo.tum affequantur, Ex attritu foeniculorum feminibus, praya quædam imprimitur qualitas, è qua venenati producuntur vermi. culi,quorum eſu multi in peſsimadeuene. runt ſymptomata, &ab alexiteriis rarò ad iusj funt, tanta huiusveneni potentia eft. Quare foeniculorum ymbelli,antequam co. medantur,aperiantur, et diligenter concu, tjantur, vtå vermibus emundentur. Præ, OS HabisA A ſtabit al quantifper in frigida macerare. Ex Balthajaro Pifanello, Nouaadmirandag; prafidia, ad Ang i nam, gutturules apoflemata. Fferanı fingulariaauxilia, è quibus ex grauiſsimis fcriptoribus, ad anginam et gutturisapoſtemata mirabilia contigiffe proditur.Lignum hederæ ad gutturis apoſte. mataà proprietate valere fcribit Ioannes Marquardus: quippe obſeruatum eft, comedentem excochlearihederæ ligneo, fiue bi. bencem in aliquo ipfius vafe ligneo,num quam, vel raro in gutturis, vel vuulæ apo. temaińcurrere, Rubeta cocta,&pro em plaftroSynachicis impoſita,cófefim liberat. Vermes.quandog, incordis capſula pro creari, è quibus mors ſubitanea pleriſqueexoritur. Abulofumhaud eft, vermes in cordege: nerari. Hoc enim Melues docet, Holle rius, Marth.Cornax, Alexius Pedemonta. nus, et alij loan, Hebenftrit, in lib. de Pette,Principem quendam ex morbi fæuitia peri iffe narrar, cuius cadauere diffecto,vermis albus præacito roſtello, eoq; corneo præ. ditus, cordi adhęreſceredeprehenfus eft. Exmedicis, ſucco alii feram hanc, tanquain ex indubitatoremedio, interimi probatü eft. Petrus Sphererius (vt ScheukinsBarratti lem fiorentinum morte fubitanea correpti, atq;diſſecatum obferuauit, in cuius cordis caplula vermis viuus repertus fuit.Aiunt multi certiſsimo experimenco-ficco allii,ra phani, et nafturtii hosvermes pecari, qui, ex teſtimonio Pedemontani, in corde deli teſcentes, ſyncopim,Epilepfian, et mortem inferre folent. Mares pleroſque in mamillis, mulieruminstar, lac producere. Icet marium mamillæ fpiffa carne in fuiffe productumobferuatum eft. Nouit hoc Arift. vtlib. 1. dehiſt. animal. docuit. Veſali usnon femel id confpexiffe in 1: 4. 15. Anat. commemorat, et Hieronymus Eugubiusin libell, de lacte: fic et Cardanus,lib. 1. de Sub til. qui ianuæ viditAntonium Denzium, è cuius mamillis lactis tantum profluebat, vt infantem fernèlactàre potuiffet. At hifto ria, quæ affertur ab Alex. Benedicto mira. biliseft: aitenim, Syrum quendam,mortua coniuge, è qua infans ſupererar, ybera filioadmouiffe, ècuius ſuctu tanta lactiscopia i pupillam manauit, vt exinde locomatris nn trire valuerit. Ego quidem in duobus filiis meis, in primis diebus àpartu obferuaui, ab obftetrice.mamillas cofrectatas, lacimpulſo (magno multorumftupore) emififfe: idậ; in aliis etiam infantibus contpexi, Lumbricosquandoquetantaprocreari pi Tulentia, vt interior a corporis perfurare valeant. Nfanda equidé fymptomata àvermibus aliquando proueniunt: refert enim Om bibonus, lib. 4. de morb. infant.Lumbricos ex vmbilico cuiuſdam erupiffe. Tralliani teſtimonio habemus, hæcanimalia ob ali menti inopiam inteftina laceraffe, fuiffe ob ſeruatum. Id etiamab Aegineta confirma tur: jofuper Hollerius confpexit, vermes per inguina, et vmbilicumprorupifle. Ma. gna igitur cura opus eſt in horumredua dantia, ne interioracorporis valeant lace fare, A Infamis vmbilicam, et Ceruinumpenemmirabiliter conceptumfacere. Lexander Benedictus, 1.30. de curand.morbis,vmbilicü infantis, qui fponte caditquoquo, modo in ciboſumprú, fiignorauerit mulier,adconceptum facere, pro. didit;illumg; in brachialibus à mulierege ftacuin conceptum inhibere eredir. Cerui. aum inſuper penena aridum, et infari. namredactum, oboli pondere, à coitu forminis datum; procul dubio adconcipien. dum prodeffe experimento probat, Baueri. us tamen conf: 50.vterumceruinum fingu lari dote ad conceptum valere prædicat, Vlmi vſum, recentemElephantiafim curare fuiffe obferuatum. Inquam certum remedium, Vimi vfus incuranda recenti Elephantiaſi à laco. bo Douinero, lib.Tic.7. prædicatur. Vidit enim adoleſcentem taliaffetu laboranté, et decoctionis Vimi vſu (factis faciendis ) conualuiffe. Eaequidem pro omni potu vte barur in quolibet paſtu, cum pauco vino al. bo,&cantiſudores mouebantur graueolen tes, vt vix illos cuftodes ferrepoffent. Ita viſcera purgabantur, &magaa yrinæ copia excernebatur, quibusexcretionibus fanus factus eft. Cyprinorum efum podagricis elle infeflum.Vamuis inter piſces, Cyprinusnobi. lifsimus exiftimetur, cum optimum præbeatnutrimentum, exquiſitiſsimigsexi Atat faporis; tamen podagricis infeftuin ef.fe obferuatum eft. Nouit enim podagroſum Iulius Alexandrinus (vt retulit lib.15.6. 6.. de salubr. ) cui Cyprinorum efu pinguium, parata érat femper podagra,ve in manu illi th effet, eo pacto accerfere, cùm vellet. G Puluere pellisleporine, perniones à Sep tentrionalibusfanari. Laus, lib. 2. RerumSeptentrionalium,, tilsimè perniones experiri fcripfit, qui mor bus, non aliisab iis fanatur remediis, quàm puluere pellis leporinæ. Plinius verò Rapúdomeſticum feruen's calcaneis impofitúla. nareretulit. Ego ex Carolo Séephano,inlib. de Ragraria, in quodam expertus ſum reme dium, et bene fucceflit.Accipit ille, ficos crematos, è quorum puluere, et cera yngné tum parat;hocpernionibus impofitum bre uiliberat patientes. Hydrargyrum loco amuletigeftatumà pefte faſcinog corpora defendere. Arfilius Ficinus, et P. Droerus, in lib. M,fienim auellana perforatur, &extracto in. teriori nucleocum acicula,argento viuote pletur, et collo fuspenditur; mirum in mo dum à peſte corporatuta reddit: ira profe etò à peftifera lue fæniente fe defenderuut multi. Hoceriam præfidio mulieres lactan. tes, à faſcivatricibus, ne lac fic ademptum,quo infantes alendi funt, præferuari poffe, i Thomas Iordanus, in libe dePefte,prodidit. - Q " ppe multis experimentis obferuatum re, tulit (hoc fecumgeſtao - ullas prorſus laga. ruin, lamiarú aut ftriguin infidias lacrátibusnocere. CNICO Meſpili lignum,collo appenfum grauidas ab abo orth preferuare. Wmquadam æſtate apud D. Ioannem Nicolaumn Cucillum Brancacium, mei amantifsimun,ytpuerum curarem interef ſem, fortè inter me, et Doininam D. Man. já Cotoneam eToleris, eius vxorē, de abor tus præſeruatione, tunc vtero gerentem, có: uentumest. Retulit domina hæc Meſpili li gnum collo appenfum mirè ab abortu grauidasdefendere;idq; millies à fuis maiori bus foiffe expertum. Confiteor inplerifq;, tale lignum fuifle à me expertum, atq;certú, et rarum remedium ſemperinueniffe fe: fi quidein multæ aborrientes, et dolore, et fã. guinis fluxu (appeofoligno reſtrictæ ſunt, &ab abortuſeruatæ, adeò quòdined parti cularemvirtutem abortú prohibendiinefile seor, Qua induftriabomines abſtemios redderevaleamus. Vleis experimentis comprobatum re perio Anguillas, vel Mullos in vinoM fuffo peri sfuffocatos vini faftidium inducere: et enim ex eo bibant homines,procul dubio abfte mii fiunt. Infuperphiloſtratus in vita Apol loni, ona noćtuæ elxaca, et infantibus pro ciboallata, hydropotos in tota vita illos reddere ſcripſit. Mizaldus, Ragam viridem,ex iis, quæ in fontibus ſaliunt, viuam in vi. no fuffocatam, idem efficere, fitale vinum potetur, prodidit. Rotundam Ariſtolochiam mirè piſces ftu pidosreddere. Ira eſt Ariſtolochiæ virtis in piſces: ipfa enim illos odore ad fe allicit,moxftupidos reddit. Proprerea fi eius radicem contritam, calciq;commiſtam, fiue eius decoctionem cum calce pacato flumine aut maris littorepiſcatores confpergent, piſces agminatim confluere videbunt. Ili autem pulueredeguftata, veluti examina ti ſupernatantes capientur. Puellam veneno abinfantia nutritam, Alexandro ab Indorum Rege fuiße miffam. Ndorum Rex Alexandrifortunæ inuidés, vt illum interimeret, miræ pulchritudi nis mifit puellam,ratus forfitan Alexandru confeftim cum ea concubiturum. Illa au tem Nappelliveneno ferè à cunabulis erat educata, propterea more Serpentum ſcin tillanceshabebat oculos. Hos Ariftotelesar piciens, caue tibi ab hac (dixit ) 6 Alexander; nam virus peftilentiſsimum alit, vode tibi exitium paratur. Poft paucosdies pleri q; proci huius commercio venenari periere ex quo Ariſtotelispraſagium mirabile fuit iudicatum. Ex Auerroe. Quale fitigneum prafidium,quodin morbis ab Aegyptis, et * Arab.bus vfurpatur. N lib. deMedicinaAegyptiorum prodi. dit Alpinus, quo pacto illiin morbis cor. pora adurant.Accipiunteniin lineam peti. am cubiti longitudine, latitudine verò tri umdigitorum, quam ad formam pyramydis aptant goſsipioque implent; ipfius latiorpars, parti adurendæ applicatur, alterumg; capuc accendunt, comburió; cam diaper miteant, ye faſciculus crematur. Continuò ramen dum cutis vritur, ferrocircumcirca accingunt carné,ne caloris incendio aliqua oriatur inflammatio.Hocinfuperinuolucroparando obſeruant, vein medio meatus ex iftar fafciculi: ita enim euentatio fuerefa piratio aliqua paratur, In vftione autem per aćta offium medulla incarneaduſta, quoad eſchara cadat yantur.Hic vrendi modusAe. gyptiis &,Arabibus familiaris eft. Olim in Creta familiasquaſdam mirè faſes:natricesadfuiffe A quoſdam, tum fæminas in hiſce parti bus animalibus,pueriſque laudando faſci num attuliffe: adeo quodij;fiad ouile, por cilequequodpiam adiuiffent,confeftim in teritum pleriſque produxiffe: Quare mirum haudeft, quod legitur in Creta quaſdam fa. milias adfuiffe, quæ laudando faſcinumis. ferebant. His profectonatura quædam ferè venenofa efficitur, et ex oculisinde fpiritus efflant venenatos,quibusanimalia,pueri, et grandiores faſcinomaculantur. Laudando autem venenum promptiusoperatur: fiqui dem laus propria,gaudium affert, quo cordis fpirituumque dilaratio oritur, et veneno. a dituspræparatur.Ex Fracaſtorio - de fymp. sta Antypat.rer. Cyprint verticisoſsiculum mirabiliter Epilep. ticisfubuenire. N Cyprini caluarix verticequoddam re peritur ofsiculum triangulare lapidisin ftar, quod in curandaEpilepſia; principeng loců obtinereaiunt. Táta enim efficacia epi lepticicisfubuenit, vt morbusis numquam reuertatur,Hoc, vbifuturæ in vertice calua sixCyprinicômitrútur intus fubfiftit,prop I cerea terea ſi illa capellopenetratur, ſtacim fora profilit,Andernacushoc ofsiculum nummi Germanicicruciferi appellati,magnitudine exiſtere prodidit,atque ſalutare eſſe Epilepfiæ remedium, Calphurnius Bestia Romanus qua pia vxores dormientes interemerit.Nonnulliex veteribus in venenisnofçé et dili gentiam inter alia Aconitumvenenorus omnium elle ocyfsimam comprobarlot: fi quidem tactis huiufinotiveneno genitali bus lexus faninini animaliuin, eodem die mortem inferre viſiuneft.Hacvia Calphur nius beitia, veditaretur forſiçan, vxores dor mientesinteremit, de quo à M.Cæcilio ac cufatus eft.Hincilla -atiox peroratio eius indigito mertuas. Confimili induftria Ladica laus Neapolis Rex, cum cuiuſdammedici Prochytami filiam adamaret, cum eaque concumberet, Florentinorumconfilio ex cinctus eſt, AcetoStitillitieo Bythagoram vitam longiſsimeproduxiße. Afecit:feripfit enim eius viulongāhonia nes vitá conſequi, et vfqueadeius extremum: finem permanere integrè, et dextra valetu dine.lole cuquinquagefimum ageret awaum hoc remediovfus eft &eius vfu ad centefi. muum, et decimum ſeptimum productus etinteger et nulla vnquam aduerfa valetudine tentatus: cuius optimam facultatemadmira. tus, confanguineis co umuuicauit, vt illings vfum haberent. Oleiomlixiuio mixtum in lattis fpeciem tran fire. ' rmè experimen: o oleum lixiuiomixtú, fi diuag retur,in lactis ſpeciem tranfire, comprobatum eſt: eft enimlixiuium tenue, atque calidum,oleum autem cum aêreum fit à lixiuio attenuatur,et proinde aerem con cipit,ex qua albedoiunaſcitur. In aquis etis am, quæ diuagitantur,lactis ſpecies quædam exoritur ex confimili induſtria. huius indi. Incium ſpuma eft, quæ cun fic tenuis, aérem concipit, et dealbatur, Ex Cardano.Quainduftria Scythe abſque cibo, potu per plures diesexiftant. Miraett herbaScythicæ operatio, qua scythæ per plures diesfiue cibo, po - tuque vilieredicuntur. Hanc ij circa Boeri. am inueniuntcreſcentem, et ad famem ficou timquetolerandam vtuntur: fi quidem guftu dulcis, vt liquiritia eft, et in oredetenta fa mis, fitifq; fenfum habetar, Idem apud cales C: Hippice præſtat, eòquòd hæc planta equis confimilem generet effectum. Aiuntmulci, Scythas hisherbis duodesos eriam dies, fac mem, &ſicim non ſentire.Ex Martbiolo.Catellos calorem natiuum augere, membros rumque dolores conſopire. P Roexcitando nativo calore, membro. rumque cruciatibus demulcendis, Carelo lipræſtantiſsimi(Galeni teſtimonio,7. Me thod med.)exiſtimantur:illorun autem hu.ius naturæ haud omnes habentur, fed ijpræ cipuè,quibus pilus concolor eft.Propterea in Chiragra, podagra, et in omni Arthri. tis fpecie cruciatus,quamlibet efferatos, parti affectæ adhibitos s præſtantiſsime confopire àmalciscomprobatuni repe ris. plurima è terra furſumtapi, iterumque deorfum cum pluuispracips tari, Aximam yellera,rang,vermiculi,lapil li,ligna,vabijgenerisfrumentacealac, fanguis, et id genus alia terræ permixta, quæ cum pluuijsquandoque præcipitari afpici. mus,, nobis præftant admiracionem, adeo quod àcafu infolito plerique perterriti, Cæli mipas metuunt; Celiat aixen admira. tio,fieorúcauſas penfitamus:hæc enim pri mo mò ventorum effluuijs, ventorumque inipetu terræ permixta furfum feruntur,mox cum pluuijs iterum deſcendunt. Proptereanec ſemper mirum,autinſolens à ſapientibusiu dicatur: CorneliusGemma,inCoſmitriticaca 6.hæc caufas legitimas à coeleftibus Syzygi. is habereprodidit: fed tamen eo vſque pro gredi ſoiere,cum fpecie fua, tum magnitudine,vt etiam in portentis principem inue niant locum, Cum Pſylis, &Marfis,Serpentes haudbabere inimicitiam. M Irabile eft, Serpentes, quià mundi priuerfam,inimicitiainque iniuere,cum - Pſyl lis, et Marfis nec odium necdifconuenienti am retinere, Neceſſe ctenim elt, ve ijs aliqua miftio non omninocontraria oriatur,auto dor, autaliud, è quo fpecies minus ingraca videatur; itaprofecto inter homines ipſos. criam contingit: quandoque enim fine cauſanonnullos odimus,alios amamus,prout re sum.fpecies ad animam noſtram perue.niunte, quibus conuenientiam, et diſconnenientiain capta mus. Ex Fracastor rian- ) Oling Olim vasta, ego robuſtafuifle bominuincor pora. VamuisPlinius,cæteriq;ſcriptores, ho ninum corpora, robur, vitam ſemper imminuiconquerantur; tamen olim Gigan ces extitiffe, &vaſta hominum fuillecorpo.ra negandum non eft.D.Auguftinus lib.15.de Ciuit.Dei.dentem gigantis in quodamflu mine inuentum fuiffe prodidit,quiminutim diuiſus,centum ex noftris dentesſuperabas. De Pailante ſcribitur admirandum.Hic Ae neam contra Turnum RegemRutilorum adiuuit, mortuustandem, et fepultus, vbi nunc Roma eft, (referenceSolino)Anno O. atingefimo poft Chriftum Dominum dam quiædam ædificia Romefierentcafuin ſepul chro quo arte mirabili cum lucerna ardenti códitus erat, inuétus eft,et integer erectus altitudinem nuricapite excellebat.Quid de Aiace, et quid deTurno; et de ingenti,faxo, quodvterque in hoftem conjecir, referatur nouúhaudeſt.Quid tandem de Oreſte, filio Agamemnonis,cuiuscadauer oéto cub tirálongitudinem excedebat, atque de alijs in numerisdicatur,apud fcriptoresreperitur. Idcirco præter ftirpem giganteam,quæ poft diluuiumimminuca eft, aliacorpora vastitatem et robur maximum retinuiffe conce. dendum eft; inpræfentiarum verò homi. num corpora huiuſmodi comparata, tam pufilla funt, vtpræ illis inania effe videan tur. Ex Helinando Chronographo. Equum Phalerisaccin&tum pulcbris, acri oremfieri., chris ornantur phaleris, tum acriores,tum pulchriores iudicentur. Eſt de his cla. rum exemplum de BucephaloAlexandri, qui phaleris accioétus Regijs neminem præter Alexandrum (teftimonioAeliani) ad fe aſcendere paciebatur, et quoderat 18 illo mirabilius, veaſcenſusfacilior effet, demittebatur cum dominus equitare vole bat.Phaleris autemremotis,quilibet medi. aftinus aſcendere, &tractare poterat. Ego quidemdomimulam habeo,cuius tanta eft ſagacitas,vt fi feruus meus ephipium parat,habenafque illa humilis,demiffa, et quafi gaudens perfiſtic,viAernatur,hilariſque in. cedit, et acrior: fin autem clitellas, calcitro fa, indomita,feraque confeftim fit, necta lem ſarcinam, niſi vinctis pedibus ferre ſu Atinet,adeò quòd feruus ab opere defiftere cogitur. Exitiofißimum effe homini,ſubLunaradijs ſomnum facere. Vnæproprium eft,in hæc inferiora hu miditatemimmittere: quare exitioſum elt,lub eius radijs diu dormire; quippè dor mientesobleruatum eft ægrè excitari, atque proximos infanis fieri, Lunæ vires inlignis, quæ ad ædificia colliguntur,potiſsimum ex perimur:conciſa enim Lunacreſcente, funt ferè emollira per humoris conceptionem, idcirco tanquam ineptaà fabricis reijciun rur. Agricola'experimento cognouerunt, fruméta de agris in Lunæ diminutione colo lectadiutius ficca permanere. Hæc à veterie bus Lucina vocabatur, et àparturientibus inuocabatur: Lunæ enim diftendere rimas corporis,meatibuſgueviam dare munus eft: propterea, tale ſydus partui ſalutare, illum.queaccelerare putabant. Archelaum,Mithridatispræfe&tum, ligneam turrimincombuſtibilem confeiffe. Dmiranduin profectò iudicatum eftAArchelai,Mithridatispræfe&ti,cótra Syllam commentum:hic enim turrim ligue.ain iocombuſtibilem condidit,quam fruftra ille incendere conabatur. Eratcurrista. bulata alumine collinita, in ijs autem cruſta durior erat obducta, etalumen, plumbique albi albicinerespigmentis copioſè commifti: quia induſtria ab igne feruata ſunt. Confio miliartificio,Ceſar ex larigna materia cir. ca Padum,Caftellum etiarn conftruxit,Ex Lemnio. Viſcum quercinum fola fufpenfioneEpilepti. cis fubuenire. Xgrauibusfcriptoribusmultiorbicua losè viſco querciofola ſuſpenſione vulgarifilo transfixos idem præftare in 2 molienda,& præcauendaepilepfia tradunt,quod peonię maſculæ radix,aut ſmaragdus è collopendens efficere creditur,Reculit Iacchinus in Epilepticerum curatione, fe mel ea ratione,qua lignoguaiaco vtimur, Viſcum quercinum per dies 40. propinafre, et profuiffe quidem,non tamen Worbum abituliffe,nequelicuilleiterum id temedij iofaciliori morboexperiri. Isterbraſsicam o vites maxisnum ineſe dif fenfum. Focabilis equidemdifcordia inter braſsicam, et vites reperitur, propte reade Reruftica fapientesfcriptores, VICCE à braſsica offendi, deterioreſque et fucco, &odore, fiſecusplancatur, fieri prodidere. Experimento hoc comperitur:nam gerinenijspropius cu accellerit, auerſü ab inimico Notabilis compulſum odoreretrograditur. Infuper G inollam, vbi braſsica elixatur, vini vel mi nimumconijcitur, quippe nec braſsica cona coqui vnquam poterit, et quod mirabiliuseft, colorem proprium amitter. Hacmotira tione ſapiéres,ebriis braſsicæ ſucçúpropinát, quo ebrietas ſubitò foluitur. Conuiuates pa riter, ne à vini copiapotenciaģ; offendantur (Germanorum inftar ) braſsicam crudam primò comederedebent: ita enim viruna ad ſatietatem, abfq; ebrietaris periculo haua rirevalebunt. Cati nigerrimiefum cerebrum, homines dementare, Ericulofum eft,verſicoloris, &maximè nigerrimicati cerebrum alicui efirm prz bere: adiufaniam enim homines ducit, et quod peius, cerebri meatus obftruit, ſpiri.Etuſý; impedit animales, Inter fcriptores Per trusApoinenfis, huius efuadeò ioſanirehow' mines dixit,vt præftigiis quafiobnoxii videa antur. Ponzertuspariter cati pilos venenoſos eſſe prodidit, citly; anhelitumfebrem heoti caminduccre. Exbetulacorticibus, ardentesfaces comparari Etulæ cortices non modòignem confe. tim recipiunt, verùm atque flammam pariung Mha pariunt ardentem; quo fit, vepleriq;faces, pro noctis obſcuritate fuganda, ex iis com. ponaot, bene rati lucidioremhas flammam, quãpini fædam parere: ex liquore autem picis inſtar, qui dumvtuntur deftillat, oriri hociu dicatur, cuius natura cùm facile accendatur,mirum haud eft: talem effectum producere. Hæmorrhoidalemn berbam contactu Hamerrboides fünare. Ira eft Hæmorrhoidalis vis, et poté. tia in perfanandisHæmorrhoides: fi enimhuius radicibus, Hæmorrhoidales do lentes tanguntur, atq;illæ per diem circa fe. mur ferantur, et mox in camino fumanti (afpendantur,procul dubio effectusfanatur: fiquidé Hæmorrhoides que atq; radices ex iccărur,fiaccelcıyor: qua caufa herba ab effe ctu nomen deduxir, nec immeritò: naminiftarum infiammatione, &doloribus, fi hu us radices contufæ applicantur,confeftim, et dolor, et inflammatio mulcentur. Ex Ex Tante. Marine Paltinucaradium,identium do loresmitigare. entium dolores multis experimentis ex Marinæpattinacæ radio mitigari vifi func; huius eniin radio, qui in piſcis cauda cpa,situr, dentes tanguntur, et gingina ſcari. ! x herbis non paucæ Ecale ſcarficantur, quo præſidio quan cítiſsime dolor euanefcit. Prodidit Dioſcorides,lib. 2,64p. 9. radiuin hunc dentes frangere, et e urcare.quomodo autem hocperficiat docu it Plinius lib. 3. cap 4. Conteritur enim is, et cum Helleboroalbo miſcetur, quorin miſtura fi dentes illiti fuerint, fine vexatio neextrahuntur, Plerasg, berbas, Solisexortum, et occafuma ostendere, Solis ortum,et OC cafum noffe videntur tantaq;huius lyde. ris ſectandi,talibus auiditasnafcitur, vt Gr. miter inter kas, et folem magnam in ſe lym pathiam credamus.Profe&to fos calendula in Solis ortu aperitur, &in occafii clauditur;ex quo villicorum horologium à nuleis di citur. Sequuntur Solis fphæram nonmodo papauer, et illudtithymalli genus, quod vo. cant helioſcopon; ſed etiammalua, lupini et cichorea; intenſius autem Lotus herba re ctatur, &exortumquotidianum, &occafum noſcit. Hæc (Theophrafti teitimonio ) cau lem, &floremveſpere mergit, et circa me. diam noctem tota in lacum irruit, et adeoocculcatur, vt nec manu admiffa quis valeat inuenire, verciturmox panlatimg;erigitur, etin Solis exortu extra aquas confirrgit; for P 3 reing Temą; aperit, et patefacit, caliterá; etiamnum confulit, vc alièab aqua abeffe videa quarum Sodo Qualssin Sodomi, etGomorriveſtigiso riantur fru et us. LtiſsimiDei decreto quinq; vrbes 211aciquicus incentæ ſunt wuum, et Gomorrhum præftantifsimæ fiudj erbantur.Harum infauillis quædam noſcú. tur veſtigia; Giquidem cæleftis ignis reliquiæ adhucperfiftunt. Quod autem illic admira bile perfpicitur.viridancia fpectanturpoma, formaci vuarum racemi, nec quis elt, qui e dendi haud cupiditatem habeat:illa. autem manibus capta faciſcunt, et in cinerem refol. uuntur,fumuggsexcitant, quafiadhucarde ant. Ex Egeſippalib. 4. Magnam inter vterun,ammasinef Seſympathiam. On exiguus inter mulierum vterum, et mammas contéplaturconfenfus: quip pe alterum alterius pathema oftendere on laruamus, A venis interhas partes coniunctis maximè ratio ošteditoriri ſympathiá:ex iis e nim materiasab vtrifq; contentis transferring etexonerari experimur.In menftruorum redundantia Cucurbitula fub mammisappofita, fluxum cohiberi ab Hippocratedocemur, Lactis copia in puerperis dummagna grauit q; fuerit, die feptimo puerperii octauo, 10 nog; in vterum ànaturaefunditur. Suppreisi menfes invirginibus, et viduis caftis, non femel io mammasrefiliunt, et la et tis copiamfuſcitant. In mulierum pubertate accedente menftruovtramq; parteni creſcere vidernus. Quo artificio Solis defectumfirmiter comprehendere paleamus. Aria induſtria pleriq; conantur folis defectamdeprehendere;hocautem có pertum eft, artificio illius defectionem fir miterapprehendi, Pelues hora inſtanti capi. antur, quæ non aqua, fed aut oleo, aútpice implendæ ſunt; ratio enim fuadet, humorem pinguem non facile curbari, atq;imagines perinde, quas recipit conſernare. Equidem in magines in liquido etimmoto tantum appa rereconfueuerunt, propterea in olen, et pi. ce, commodius, etfirmius, quomodo Luna Solilc opponat, et illum abſcondat accipere poterimus. ExSeneca in Natur. Quaft. Virginummammillarum tumorem acis cuta impediria Acinter alias, cicuta pollet efficacia, vt contufa cum vmbeila, atq; virginü B H mammillisimpofita, tumorem, et excref centiam valeat prohibere; fortaffe nutrimé cumimpedit, quo minus augeantur, vt in pu crorun tefticulis fuccedit, fi hæcadhibetur: ijenim reatibus alimenti obtufis facilè ex iccantur. Aperiani in hocloco quod à Bon doletio nultis experimentis comprobatum Teperio de piſceSquarina: hicenim mulie. rum mammis fuperpofitus, illas adeò con. ftringit, vevirginum mammillæ appareant; credunt multi in genitalibus eundem fimili tereffectum producere. Quercusgallis, anniprafagia comparari. Napoleon Onmodò àPlinio, verùm atq; à plea riſq; rei rufticæ ſcriptoribus obſerua tum fuiffecomperio, à gallis quercus maio sibus præfagium aliud anni, quodapud vece resin magno fuiſſe pretio,etopinione legi. tur. Aperiuntur gallæ, quando integræfunt, ibig; muſca, aranea, aut vermiculus repe. ritur: fiquidem planta hæc ingallis huiuſmo di aninialium gignere confueuit. Si mufca volar, angifertilitatem et bellum futurum præſagiunt; ſin vermiculus repit, annonæcarentiam arguunt; fi autem aranea profiliet fummam caritatem, et peftilentesaffectus prædicunt. His ego adderem, præfagia hu. iufmodi, fi Deo placuerit,confimiles ſecta. tur elientus. Vitri puluerem, calculos comminuere. ron folumGalenus, fed Anicenna, et mouendos vitri puluerem excollunt quomo do autem hæcfieret, plurimum infudiui; tandem quæ ab Abecizoare componitur,mihi ex votoſucceſsit, et vitrum adurere didici. Capitur vieri albi, et perſpicui fruftulum,quod terebinthina coll nire oporter totum, nyox tandiù in prunis detinere,veexcandel. cat; hoc demum in aqua exſtinguicur, ſepti. eſg; iteratur, primòtamen linitur, fecundò cxcoquitur, vltimò extinguitur; quo peracto, vitrumconteritur, et in puluerem lubciliſsi mum mutacur. Propinamus languentibus aurei pondus vel drach.j. cum vino albo, et ef ficaciter calculos comminuiexperimur. Quo artificio aëris naturimexplorare valeamus. Eris qualitatem, etnaturam cum ex plorare libuerit, fpongia bene ficca, atq; munda ſèreno cælo pernoctem fub diuo exponenda eft; illa eniin fiſicca mane fuerit, ficcu's P5 АБЫ liceus et aër erit; fi humecta,nimbolus; fianoll cervda,humidus,acroridus Inſuper ft recente pané eadem induftriaexpofueris, di corrupto,ficuin contrahere videbitur;à fic co, fiec ficcus;abHumido aucem, à ftacu pro prionon mutabitur.Siaër fuerit peftilens,carnesexpofitæ corrumpuntur,atque colo rem mutant;fic eciam et adipes.Siaércraffus erit,patebit in marmore, et filicibus, qnę in cali natura admodum maderefolent; cós tra verò in aere'tenui, liges humidus eſſet, hę enim in tali conica humeſcunt. Ex CATO dano. Quali fratagemate homines, mortui Š videantur.Vltis experimétis confirmatum repe rio fublimatum, ffue aqua vitæ cum falemiſce tur, ac in patina (ſublata qualibet alia lua ce ) accenditur in cabiculo,nocturno tem pore, vbi homines reperiantur; fiquidem ipfi immobiles fuerint,fpeciem mortuorús repræſentabunt. Pleriq; vt Aethiopes fin gant, lucernamaccendunt oleo plenam, cum quo ſepia atramentum fit dilucum, fi we calchantuni,aut ærugo, nec fine ratio ne:oftédit enim,lux eorû colores, quæ in iis sátquæaccédācur: oportet tamen iu cubi culorcliquas luces adimere, Nerein VA NoNereidesfaciehumana dy venufta, prezi que fuifferepertas Ereides, quas vulgusBirenas appela lat, plurimæ in locis maritimisinué tę funt;quodautécátusdulcedine nauigātes hein foporem perliciant, et capiant,nos. in lib. 1. deHominis vita, abundedifferui mus, vbi de Tritonibus, Nereidibus, ho. minibuſqsin maridegēribas, quos marinos vocant tractatur; Poetarumq; fabulæ eno. dantur,Vidithas Theodorus Gaza et Gee orgius Trapezont ius, homines nagnæ e ruditionis:Gaza in Pelepomeno exorta maris tempeftate, Nereidem proiectain in lidcorereperije viuentem, et fpirantem, ynleu hrniano, facie decora, corpore fqua mishirto ad pubem vſq, cætera autem ia locuftæcaudam definebant: ad hanc viſen dammagnus fuit concurſus, illa tamen e vac maefta, crebrog, ſuſpirio fatigata etfrequentia hominum circumdata gemitus dedit et lacrymas emiſit,quibusmacus mi.fericordia,ad mare deduxit, vbimagno im petu fluctus fecauit, et ex oculisomnium cuanuit. Quid Trapezontius, pleriqs. alii viderint, in loco cita. tonarrauimus De Apunx natura, earumque mirabiliſa gacitate. Tu quidem anceps fuiin fcrutanda A pummellificatione,foetu, et cera:nam et apud auctores magnareperitur controuer. fia, num illæ ge nerent, et aliundeprolem habeant.Poftauem exactum fcrutinium cu iufdam amici va lido experimento Ariftoter lisopinionem veram eflecomprobaui;fiqui dem Apese floribus fauos conftruunt, exarborum lacryma ceram fingunt, et mella ex aëris'rore captant.Hæ primum fauosconfi. ciunt,mox fotin collocant, ore calidum ſpirantes,vt vitainrecipiat.Mellificanræfta. te, et autūno cibi caufa;mel autem autinale cleatiuseft.Foetus in vere ferotino debilis fit: nã et naiori ex parte emoritur. Multiaiunt oliuas, et examinum copiam cógenerem ha. bere nataram: nam fi alteraaugetur, alcera abundans fit: fi vna deficit,altera deprimitur ratio eft:nammella ficcitates augent;lobo. lem verò imbres; quofit, vt ſimuloliuæ, et sopiaexaminam fit. Vinorum aliquot existere genera natura mirabilis. R aliquotvinorum genera mirabilis naturæ quod? co A quod vua et guftu, et fenfuà cæterisminime diſcrepanr, nec vinum á ymis; tamen quod Heracliam Arcadiæ fit, virosreddicinfancs epotum, et mulieres fteriles: et apudcabyni. am Achaiæ abortumfacic: et in Thiffo vi num quoddam lomaum producit; quoddam verò, vigiliam ExTbeophraſto lib.9. Plant. Quoartificio ignem manibus abſque læfione tractarevaleamus. Pud plerofque fcriptores inueni, ig nem fine læſione poffe tractari,fi tri. tomaluauiſco cum ouorum albumine, ma.. nus liniuntur,ac defuper alumeninducitur.. Hoc autem experimentuin à Magno Alber to captum eſt, apud quemaliud legitur hu. ius negotijartificium:fi enim Ichthyocolle, et aluminisæquales partes capiuntur, et ad inuicem commiſcentur, fiacetum his ſuperfunditur; quicquidtali miſcellanea illitum in ignem proijcitur, vtique noncomburie tür. Menftrua in ſenio ferèquibufdam fæminés 46 cidere. Vàm fallax fittum Ariſtotelis, tum ali orum iudicium,quodin mulieribuscir ca quadragefimumannum,fiue quinquagefi mum menftrua deficiant, quotidiana demone stratexperiencia. Mulierem hic cognoui, Qyour P7 Victoriam nomine, eamque honeftamet bene morigeratamshuic in anno 45.méftrua ceffarunt, et faufta valetudinevixit,cum au tem fexagefimum ferè annum attingeret, ce teilli menfesrubei,bonique coloris redie. De vberague, quæ priusflaccida erant,more:virginum turgidula facta ſunt lactifque tan ta copia impleta,vt impulſuferretur: quarez, vt puerulú filiæ fuæ lactaret àmeadmonita eft. Alteramcognoui, quæ vfque ad annum 65.femper menftrua paffa, et hodie viuit, et menftruafingulis menfibus fuentia habet Hæcautem raròcontingunt.. Bufonislapidem contravenena mirabileinha bere virtutem. Pleriſque lcriptoribus excollitur lapissille terreſtrisinuenitur: ſiquidem contra venena folo contactu valere expertüeft; propterea inflationes abeftijs venenatis illatas diſcute re, venenúq;elicere aiut.Scribit Lemnius, tu mores, et dolores ex forieibus,araneis, velpis,fcarabeis,gliribus, aliifuevenenofis 2. nimalibus caufatos fclo lapidisblaul do attritu.euanef cere Aquarum Fluuios natur& mirabilis repe $ rire.N multis locis aquarum exortas, mira cfficaciæ inuenirilegimus Scribit Arift.in terra Aſsirithidæ aquas naſci, quas cum oues biberint,moxgs inierint, nigrosagnos generare. In Arandria dnos ineffe fluuios ad.. notauit, quorum altercandorem, alter nio gritiem facit pecoribas:at Scamander am gis, quem HomerusXanthuniappellauit, fia uas reddere oues creditur. Mirabilers in conceptaimaginationis effe per rentiam Maginationis potentiam tam miram effe Phyficiconfitentur ve viſa per cóceptum in partu fæpiſsimè eluceſcant. Referam hiftoriain admirandam ex Ludouico Vives 12; de Ciuit.Dei de huius negotioconſcriptam In Brabantia Buſco ducis quædam vrbs eft, in qua more eiufdemProuinciæ quodam die rempli vrbis feſtum celebratur, quo tempore varii ludiapparantur.Sunt aliquot, qui ſtato die diuorum perſonas induunt:nönulli veraDæmonů.Ex his vnus cū viſa puella exarfif. fet, et demúfaltado ſe ſe recepiſſet,et apreprā Vt er at perfonatus vxore fua in le &tum con. ieciſiet,ſeexeaDanonem gignere velle di.. cells Dcens, concubuit, et concepit inulier: clim autem in partuinfantem peperiffet,'sfimul ac primum editus eft, Calcitare cæpit forma, quali Dæ nones pinguntur.Dentium.stupores à portulaca confeftim amoueri: Entium ftupores,qui abacidis.edulijs Connarci confueuere,ex aqua aut luc co, vel frondibus portulacæcommanfis, quam citifsimèdiffoluuntur.Ipfe cum qua-. damæftate cùm fiti maxima,tùm dentium: ftupore affligeretur,cömanfis ipfius frondi bus, &à fit,&à ftupore fubito liberatussú, Ab amico quodam audiui parculacæ fuccúicollinitum,abfque dubio verrucas exter minare,mihiautem experiundi locus haudiadhuc datus eft. Ex Aphrodiſeo, Ceraferum aquam ftillatitiam in Epilepfia !fummumeſſeremedium. Ninitis experimentis Ceraſorum aquam 10 laccurrendisEpilepticis conprebari reperio propierea à loanneAgricola in lib..Herbar.maximèetiam extollitur. Qua pro vita producenda inter arcana natu 12connumerentur. APudreru naturalium (crucatores acer rimos inueni, idque inarcanis conſer wari Hellebori nigri fólia Saccharo cómilta degluci deglutientemad iuglandis magnitudinenia in offenſam valetudinem, ad ſenectutem vſ. queconſeruari.InfuperSilicem ignitum lin. teiſque parum madidis inuolutum,&pedi. bus applicitum,pernicioſos valetudinis vaki pores extrahere. Quoartificioin mulieribuscrinesdenfiores, copiofiores comparare paluamus. Nter ſelectiſsimaprælidia, quæ ad capil lorum copiam generaodam ineffe cre duntur,Maluæ radixconnumerari poteft:: fi enim caput mulierum livinio lauatur in quo elixa fitmaluæ radix, et deinde fucco maluæ crines, inungantur, profecto ya bercim prouenient,et cicila fimé. Giulio Cesare Baricelli (n. San Marco dei Cavoti) è unfilosofo. De hydronosa natura sive de sudore umani corporis Hortulusgenialis Thesaurus secretorum De lactis, seri, butyri facultatibus et usu implicatura sudorosa de hydronosa natura de medicinae praestantiae amazones cur mammas dextras resecaverint olearum sterilitatis praesagium nili flumines proprietas de mundi creatione murium sagacitas pluviosa tempestatis prognostica agricolas non semper tempestates et serenitatespraedictunt valeriana miravis contraepilepsiam transformationes hominum inbestias non esse reales daemonis astutiaapud indos quid picus descientiarum varietatis sentiretsubditos principis vitam ut plurium imitari rutam et allium serpentibus adversari animalis oriri et vivere posse in ignecompertum est lacus asphaltritismirabilis naturae pisces marinossalubriores et rapidiores fulminibis essemulieris hominoscibus gigantes in orbem mulieresexcellentia falsissimum estsalamandran in igne vivere possesabbatici lactandisinfantibus menstrualis pharmacumanimal tauri faxaaegypti reges sterilitatispraesagia aeris salubritatem linteahominibus hydropes plenilunionationibus romulus serpentariaechinum animi pudorem animaliaalexandri morti sanari cervi sudorivires balnei adamrutam verbenam animaaeris sulphuris caraba baccaslinguam galli hominesmagis fuco cacoethicavipera traulos morbos lupivitrum pregnantes periculopro corporis corporumhominum utero paternaaraneus telas menstruali rutamcorpora achatis hominibushominem utero praesagium utero triticoscorpionum hominibus bubuloepilepsiam arbores lapidesbardana literas homineshominibus hominibus filios parentibus signum mare rebrumhydrargyri lupum epilepsiaflatu corpora pestilentiefficacia animalium seminis basilicum torpedinemanimalia armenia febrelumaca amantissimam astronomiammartisque passione cantharidesadagium parere fetus iucundi de amoris origine aquavirtutes sagacitas lapidisnaturam partus amorfusequorum spectacula marinum vitulum epilepsiavinum homines hominescervi gagatis epilepticos hominum laudanomortem pacto a virohepaticos mortem mithridatisossa bryonia herpetesvina alba flores absynthiumchalcantho coralio lethargicosinfantes prunellae catuligallum corios artificiotheodorus radicem dilligentescanicula quatuor elementis phreneticosdigitum carnes vicera testiculisdentium hippocrateanimalibus apii satyrii testiculum hominibusradicem hominis extractum praesidiahominem antidotorum cancriquomodo morbi animantiumpulchritudineseptentrionalibum hemorraghia lingua ardor aegyptiosgentium solis animaliumcervorum masculinum fetum mirandulanihydrargyro incognita tempestatesepiro hecla hominumgalenum graecos caneathritide lionem iumentaacutis acetum piscisfoeminas corporis alexandrumhominum ruditasangina capillos volucrumagricolas galege infantisoryalum homines lapidescollegium alexandrum laparhiorumfeminum aegyptios methodoolivarum admirandu millepedum frequentem mulieresdaemonum carduum infantesmenstrualem corpori medicinaanimalia unicornu mulierumnaturalem febris precognoscimedicis masculorum hydrargiribryonia consolidanda chymicamcorpus hominum venenumsemen lupos hominesluna leonardi hominibus polypidium ibidismulieres industria corporagallicam hominis hominibusregem homines aquiloneusum usum oleogenus leones artificio mergum lacertaseducandis artificio serpentesvirginitatem virginale vitelloshumana vita vena materiaalexandri mulieres hydrophobospuerorum labiorum uterosemine aegyptorum taxiepilepsiam aspides infantesvitrum homines vinisyrium nuptis agrestehydrophobiam hepatis viventesarundinem cynanchem parere filiosvino praesagia gallinarumaquam mandragoram corpora vita hominibus seminainfantium vitam philomelamcastorem duces linguavinum equorum crocihominis aspidum hermaphroditos imaginationis potentian climactericosinter homines carolumanimantia liberos garamantescaminus horologium infantiumpraesagia vinum virorumfamiliarem romanos ambarumtympaniam venenum toxica socrati magiaepistolam aqua frigida menstruorumlapides homines testiculoshumanam salivam homines ridendo parthi partum accelerare serpentum hydrargyrum vim anginamvermes mamillis lumbricos infantiselephantiasim cyprinorum leporinehydrargyrum gravidas homines abstemios — aristolochiam alexandro morbis cretacyprini calphurnius bestiaromanus aceto oleum scythae catellosplurima martis robusta hominum corpora equumhomini lunae mithridiatu viscumvites betulaehaemorrhoidalem dentium dolores sodomi uterumsolis virginum praesagiavitri aeris hominesfacie humana apum natura vinorum ignem menstrua virtutem aquarum inconceptu imaginationis esse potentiam dentium stupores epilepsia pro vitaproducenda mulieribus Giulio Cesare Baricelli. Keywords: sweat, il sudoreumano, sudore e la regola, stirgilo, amore, Socrate, Aristotele, controversiasull’origine del sentiment dell’amore, Socrate, l’idea di causa inAristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice eBaricelli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – Grice eBaroncelli: l’implicatura conversazionale della compassione – filosofia ligure– filosofia italica – scuola di Savona -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Savona). Filosofoligure. Filosofo italiano. Savona, Liguria. Grice: “I like Baroncelli – he canbe hyperbolic – “Mi manda Platone,” surely he only requested! My favourite ishis ‘compassione,’ which is ‘calco’ of ‘sumpatheia’ and therefore at the coreof my balance between conversational egoism and conversational altruism.” Flavio Baroncelli(Savona) filosofo Nato e cresciuto aSavona, si laurea in filosofia all'Genova con relatore Romeo Crippa, di cuidiventa assistente. Insegna Storiadell'età dell'Illuminismo all'Trieste. Edi nuovo a Genova, dove tiene la cattedra di Storia della filosofiamoderna. Viventa ordinarioall'Università della Calabria. L'anno successivo ritorna a Genova dove prendela cattedra di Filosofia morale. Un grave incidente motociclistico durante unavacanza in Turchia lo allontana per qualche periodo dall'insegnamento e dallaricerca, attività che riprende all'inizio degli anni novanta come visitingscholar all'Madison, nel Wisconsin. Nelfrattempo collabora con molti quotidiani e periodici, come La Voce di IndroMontanelli, Village, Il diario della settimana, il Secolo XIX. Tornato a Genova, diviene molto amico delfilosofo Franco Manti, segretario generale dell’Istituto Italiano di Bioetica.Riprende la vita accademica per allontanarsene a causa della malattia. Il pensiero di B. ripropose un'eticaplanetaria alla luce del mondo globalizzato, invitando a riconsiderare i valorie le identità storiche dei gruppi umani occidentali riorientandoli a favore diun sistema di valori e di identità individuali e culturali di tipo mobile epluralistico. Ha qualificato le varie culture come sistemi aperti in gradocomunicare e di essere traslati o esportati ovunque nel mondo, nellaconvinzione che gli esseri umani appartengano tutti alla stessa specie e sianotutti abitanti dello stesso pianeta.Pensiero e la ricerca Profondamente influenzato da Hume e dalloscetticismo inglese, si è occupato in prevalenza di temi etico-politici come ilrazzismo, la tolleranza, il liberalismo e il politically correct. Altre saggi: “Un inquietante filosofoperbene: saggio su Davide Home” (La Nuova Italia, Firenze); “Sulla povertà,idee leggi e progetti nell'Europa moderna, Herodote, Genova-Ivrea); “Ilrazzismo è una gaffe” “Eccessi e virtù del "politically correct",Donzelli, Roma); “Viaggio al termine degli Stati Uniti Perché gli americanivotano Bush e se ne vantano” Donzelli, Roma); “Mi manda Platone, Il NuovoMelangolo, Genova Saggi "Giustizialismo" in Ragion Pratica, "Post-fazione"a Lysander Spooner, No treason, "Etica e razionalità. Un fintodivorzio?" in Materiali per una storia della cultura giuridica, Ilriconoscimento e i suoi sofismi" in Quaderni di Bioetica, "Come scrivere sulla tolleranza" inMateriali per una storia della cultura giuridica. Note Franco Manti per la fondazione Pubblicitàprogresso, Manti, Diversity, Otherness and the Politics of Recognition, inNordicum-Mediterraneum, 14, n. 2,Akureyri,, Ospitato su archive.is. Citazione: To B., a friend I met only toolate, / whose lively intellect, critical sense, friendliness / and clever ironyI just had time to appreciate. Info dalla pagina delDottorato in filosofia dell'Genova. Registrazione audio[collegamentointerrotto] dell'intervento a una trasmissione di Radio 3 dall'archivio RAITrascrizione di un dibattito con gli studenti sulla tolleranza dal EnciclopediaMultimediale delle Scienze Filosofiche di Rai Educational Necrologi Bertone,Vittorio Coletti, Salvatore Veca e Pietro Cheli. Altri dello scrittore Morchioe dell'amico Miggino. Sezione speciale della rivista Nordicum-Mediterraneumdedicata a B.. Pagina di Wordpress B. con alcuni testi inediti. FlavioBaroncelli. Keywords: compassione, filosofia ligure, Home, etica, ragione,giustizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baroncelli” – The Swimming-PoolLibrary.
Luigi Speranza -- Gricee Barone: l’impliacatura conversazionale del linguaggio – scuola di Torino –filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – LuigiSperanza (Torino).Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofoitaliano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Barone, but I’m not sure he likesme! You see, in Italy, there’s ‘scienze filosofiche,’ and ‘scienza’ was indeeda way to describe philosophy! But at Oxford, you have to take the great go!Lit. Hum., and I doubt Barone did! – ginnasio e liceo, as the Italians have it!Therefore, his views on ‘filosofia e linguaggio,’ never mind his ratherpretentiously titled ‘logica formale,’ ‘logica trascendentale,’ ‘algebra delalogica,’ etc. have little to do with, well, Italian!” Laureato in Filosofia aTorino nel 1946 come allievo di Guzzo e Abbagnano, visse a Viareggio. Professoredi Filosofia teoretica all'Pisa, dove fu preside della facoltà di Lettere efilosofia, fu poi docente di Filosofia della scienza nonché direttoredell'Istituto di Filosofia nella stessa università. Insegnò anche Filosofiamorale alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Si dedicò soprattutto a studi distoria e filosofia della scienza, pubblicando numerosi libri. Curò l'edizioneitaliana delle opere di Niccolò Copernico. Socio nazionale dell'Accademia dellescienze di Torino, della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti inNapoli, e dell'Accademia Nazionale dei Lincei, a Milano fu presidente delCentro del C.N.R. di studi del pensiero filosofico del Cinquecento e delSeicento in relazione ai problemi della scienza. Pensiero Particolarmente interessato allafilosofia di Nicolai Hartmann, B. ne trasse spunto per un confronto tra ladottrina realistica e quella neoidealista. La sua riflessione filosofica sisarebbe poi focalizzata sui problemi epistemologici e della filosofia dellascienza. Come pubblicista affrontò temietico-politici sul rapporto tra individuo e società dal punto di vista dellaideologia liberale e liberista. Il temaprincipale delle opere di Barone riguarda la filosofia della scienza e lastoria della scienza e della tecnica. Si deve a lui la prima pubblicazione inItalia di una monografia sulla filosofia neopositivistica. Il suo pensiero si contraddistingue per lostretto rapporto tra epistemologia e storiografia della scienza, settore,questo, in cui Barone ha preso in particolare considerazione il tema dellanascita dell'astronomia moderna, da Niccolò Copernico a Keplero e Galilei. Intorno agli anni sessanta, inoltre, Baronesi è dedicato con particolare attenzione agli sviluppi culturali,epistemologici e filosofici della nascente informatica. Altre saggi: “L'ontologia di NicolaiHartmann” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Rudolf Carnap, Edizioni diFilosofia, Torino); “Wittgenstein inedito, Edizioni di Filosofia, Torino); “Ilneopositivismo logico, Edizioni di Filosofia, Torino); “Assiologia e ontologia:etica ed estetica nel pensiero di N. Hartmann, Torino); “Leibniz e la logicaformale, Edizioni di Filosofia, Torino); “Nicolai Hartmann nella filosofia delNovecento, Edizioni di Filosofia, Torino); “Logica formale e logicatrascendentale, I, Da Leibniz a Kant,Edizioni di Filosofia, Torino); L'algebra della logica, Edizioni di Filosofia,Torino) Metafisica della mente e analisi del pensiero, Edizioni di Filosofia,Torino) 1748: viaggio di Hume a Torino, Edizioni di Filosofia, Torino); “Mondoe linguaggi” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Determinismo e indeterminismonella metodologia scientifica” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Concetti eteorie nella scienza empirica, Edizioni di Filosofia, Torino); “NicolaCopernico, Opere (F. Barone), POMBA, Torino); “Immagini filosofiche della scienza,Laterza, Roma-Bari); “Pensieri contro, Società Editrice Napoletana, Napoli); Teoriaed osservazione nella metodologia scientifica, Guida, Napoli); Verso un nuovorapporto tra scienza e filosofia, Centro Pannunzio, Torino); La fondazionedell'ontologia di Nicolai Hartmann (F. Barone), Fabbri, Milano); Leibniz,Scritti di logica (F. Barone), Zanichelli, Bologna). Note Francesco Barone, Neopositivismo, inEnciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani,Barone, Francesco, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'EnciclopediaItaliana. Sito ufficiale, sufrancescobarone. Francesco Barone, suTreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. B., in Enciclopedia Italiana, Istitutodell'Enciclopedia Italiana. FrancescoBarone, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere B., su openMLOL, Horizons Unlimitedsrl. Opere di Francesco Barone,. DavidHume, il filosofo della non certezza di B., La Stampa, Addio a B. il filosofoche diffidava dei paradisi in terra di Dario Antiseri, Corriere della Sera,Archivio storico. Francesco Barone. Keywords: linguaggio, assiologia, lasemantica di Leibniz, la sintassi di Leibniz, logica matematica, logicaformale, logica trascendentale, logica aritmetica, Hume a Torino, simbolo,logica simbolica, Leibnitii opera philosophica, assiologia ed ontologia, mondoe linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barone” – The Swimming-PoolLibrary. Barone.
Luigi Speranza -- Gricee Barone: all’isola -- l’implicatura convrsazionale della dialettica fiorentina– scuola d’Alcamo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Alcamo). Filosofosiciliano. Filosofo italiano. Alcamo, Trapani, Sicilia. Grice: “I like Barone;at last a priest that takes Italian humanism SERIOUSLY!” -- Dopo avere finito gli studi teologici nelSeminario Vescovile di Mazara del Vallo, fu ordinato sacerdote Frequenta, quindi, la Pontificia UniversitàGregoriana di Roma dove conseguì la laurea in Filosofia trattando la tesi daltitolo: L'Umanesimo filosofico di Giovanni Pico della Mirandola. Ebbe subito la nomina di Canonico dellaCollegiata di Alcamo, poi quella di Vicario foraneo e Visitatore dei Monasteri;fu nominato anche Canonico Onorariodella cattedrale di Trapani. Nel mese dinovembre 1956 fu pure nominato Cameriere Segreto Soprannumerario di SuaSantità; fu quindi professore di lettere e filosofia del Seminario di Mazaradel Vallo e, per 16 anni, delegato Vescovile alla dirigenza dell'IstitutoMagistrale legalmente riconosciuto "Maria Santissima Immacolata" diAlcamo. Per diversi anni, è stato ancheRettore della Chiesa della Sacra Famiglia e della Badia Nuova; inoltre è statomembro del Consiglio Presbiteriale diocesano e docente di Filosofia presso ilSeminario Vescovile di Trapani. Altre opere: “Il Santuario; Alcamo); “La Nuovaparrocchia di S.Oliva; ed. Bagolino, Alcamo); “Giovanni Pico della Mirandola profilobiografico del celebre umanista; ed.Gastaldi, Milano-Roma); “L'UmanesimoFilosofico di Giovanni Pico della Mirandola Studio del Pensiero Pichiano;ed.Gastaldi, Milano-Roma); “Quattro saggi; ed. Accademia degli Studi"Ciullo", Alcamo); “Donna IdealeIdeale di donna; ed. Accademia degliStudi "Ciullo", Alcamo); “Didactica Magna di Comenius (traduzioneitaliana); ed. Principato, Milano); “Scuola Libera, ed. Bagolino, Alcamo); “IlVero Maestro -Lineamenti di educazione; ed. Bagolino, Alcamo); “Verità e Vita;ed. Cartografica, Alcamo, De hominis dignitate, di Giovanni Pico dellaMirandola, Firenze); “La Congregazione di Gesù Maria e Giuseppe nella chiesadella Sacra Famiglia di Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo); “La piùbella preghiera, Alcamo); “Antologia pichiana: letture filosofico-pedagogiche;ed. Virgilio, Milano); “La docta pietas, di Sebastiano Bagolino eruditoalcamese; tip. Bosco, Alcamo); “Maria fonte di Misericordia e Madre deiMiracoli Patrona di Alcamo; tip. Sarograf, Alcamo); “Dialogo con gli invisibili;tip. Bosco, Alcamo). Notetrapaninostra,// trapaninostra /libri/ salvatoremugno Poesia_narrativa_saggistica/Poesia_narrativa_e_saggistica_ in_provincia_di_Trapani_02.pdf Tommaso Papa, Memorie storiche del clero diAlcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo, Papa, Memorie storiche delclero di Alcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo,trapaninostra,//trapaninostra/ libri/s alvatoremugno/ Poesia narrativa_saggistica/Poesia_ narrativa_ e_saggistica _in_ provincia_di_Trapani_ Vincenzo Regina TommasoPapa Identities -Biografie BiografieCattolicesimo Cattolicesimo LetteraturaLetteratura Categorie: Presbiteri italiani Insegnanti italiani Filosofiitaliani Professore Alcamod Alcamo. Giuseppe Barone. Keywords: dialetticafiorentino, pico, umanesimo toscano, pico, pichiano, pichismo, uomo, degno, ladegnita dell’uomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barone” – The Swimming-PoolLibrary.
Luigi Speranza -- Gricee Barsio: implicatura conversazionale dialettica – scuola di Mantova –filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofolombardo. Filosofo italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “I like Barsio – hereminds me of G.Baker – there he is, Baker, succeeding me – and an American! –as tutorial fellow in philosophy at St. John’s, and dedicating his life toWitters – So when reminiscing, in my “Predilections and prejudices” about themyears, I said, “God forbid that you dedicate your life to the oeuvre of a minorphilosopher like Witters – it’s good to introject into a philosopher’s shoes asyou attain to grasp the longitudinal unity of philosophy, but look for anon-minor pair of shoes!” – “Barsio is a radically minor philosopher – in that,he never had to grade – I always hated grading and seldom did it! – since helived under the Gonzagas at Mantova – and he just phiosophised to the sake ofthe pleasure he derived from it! My favourite is his elegy to his enemy,Pomponazzi – but his satirical curriculum vitae is fantastical, but possiblytrue!” -- Noto anche come Vincenzo Mantovano, frequentò le corti del marcheseFederico II Gonzaga e di sua moglie Isabella d'Este, alla quale pare avessededicato il poemetto Silvia e la corte del marchese di Castel Goffredo AloisioGonzaga, al quale dedicò il poema latino Alba. Studia filosofia a Bologna.Altre opere: “Silvia, poemetto in tre libri, Pamphilus; Alba, dedicato almarchese Gonzaga, signore di Castel Goffredo; Labyrintus, dedicato a FedericoII Gonzaga. Ireneo Affò, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, Parma., subooks.google. Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime discrittori italiani, Milano, Coniglio, I Gonzaga, Varese, B. in Dizionariobiografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ICCU. B. su edit16 .iccu. Marsio. VincenzoBarsio. Barsio. Keywords. dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barsio” –The Swimming-Pool Library. Barsio.
Luigi Speranza -- Gricee Bartoli -- BARTOLI search.gianpaolo --
Luigi Speranza -- Gricee Barzaghi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della scuoladi anagogia – scuola di Monza – filosofia lombarda -- filosofia italiana –Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Monza). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Monza,Lombardia. Grice: “Barzaghi is a genius; the Italians hate him! In his “Compendio di storiadella filosofia,” there’s no mention of Cicero!” – Grice: “Barzaghi is theItalian Copleston – what is it with religious minds – cf. Kenny – that havethis inclination towards the longitudinal unity of philosophy?!” – Grice:“Barzaghi just ignores the most prosperous period in Roman philosophy; not somuch Romolo, but whatever happened in Rome after that infamous ‘embassy’ ofCarneade, an Academian, Critolao, a peripatetic, and Diogoene di Celesia, astoic!” -- Direttore della Scuola dianagogia, fondata dal cardinale Giacomo Biffi. Discepolo di Bontadini e frate domenicano, è statol'interlocutore privilegiato di Emanuele Severino sulla questione di Dio e delcristianesimo. Nella sua opera Oltre Dio, B. si interroga dapprimasull’essenza del cristianesimo per giungere ad affermare la necessità, per ilcredente, di assumere alcune fondamentali posizioni filosofiche riguardo lavera comprensione della realtà: «Se il Cristianesimo è essenzialmente la partecipazionedella vita di Dio, cioè della vita eterna, per comprenderlo occorrerà porsi dalpunto di vista di Dio, cioè dell’eterno. Secondo B., l’Essere assoluto «non puòessere inteso come qualcosa accanto ad altre cose, e conseguentemente divieneil punto di vista rigoroso per l’ispezione del tutto. In questo senso, lafilosofia di Emanuele Severino, che si presenta come alternativa al teismo,offre in realtà per B. il fianco a un nuovo percorso argomentativo in favoredell’esistenza di Dio (un Dio però non inteso come oggetto: da qui il titolodell’opera, che evoca esplicitamente un’espressione di Dionigi): se ogni cosa èeterna, e tale dunque è anche il suo apparire, esso deve continuare adapparire, eternamente, anche quando “non appare”. «Dunqueafferma il filosofo –,se tale apparire non permane nell’orizzonte dell’apparire che è la miacoscienza, perché consta l’apparire-scomparire dell’ente, deve comunquecontinuare ad apparire in modo determinatissimo, dunque alla sola scienza diDio cui eternamente appaiono gli eterni. Non ammettere questa scienza di Dio,cioè Dio, significa ammettere che l’apparire, che è pur un non-niente, sia unniente nel momento in cui non appare più determinatamente, individualmente. Questascienzachiamata nel linguaggio tomista scientia Dei visionis«ha la fisionomiadell’apparire infinito di cui parla Severino nei suoi scritti. Nel pensierobarzaghiano, il punto di vista sub specie aeternitatis (dal punto di vistadell’eternità) diventa la condizione imprescindibile di tutta la riflessioneteologica e filosofica. In teologia, solo questa prospettiva riesce a renderemetafisicamente plausibile l’affermazione rivelata dell’«Agnello immolato nellastessa fondazione del cosmo» di cui parla il libro dell’Apocalisse, così dapoter parlare di una «inseità redentiva dell’atto creatore». Nella riflessionefilosofica, poi, la prospettiva sub specie aeternitatis consente di avere unosguardo «dialetticamente onninclusivo», per cui ogni ente rispecchia in sél’eternità del tutto e di ogni altro ente secondo la nozione di exemplar.Ne Il fondamento teoretico della sintesi tomista, Barzaghi propone appuntol’idea di exemplar come cardine speculativo, approfondendo e oltrepassando laproposta di S. M. Ramírez, neotomista spagnolo di individuare nella “dottrinadell’ordine” la struttura più sintetica di tutto il pensiero d’Aquino.L’exemplar rappresenta «il minimo di complessità per muoversi nel massimo dellacomplessità. Ma per compiere questa operazione di analisi, occorre esprimersiattraverso l’analogia, «riflesso logico gnoseologico dell’ordine ontologico e mezzoinventivo ed espressivo del conoscere, che acquisisce conseguentemente unanotevole importanza nel pensiero di Barzaghi. Nell’esemplare (exemplar) sitrova il centro della spiegazione causale, dal momento che in esso si presentain modo simultaneo tutto l’ordine che lega le cause aristoteliche: il fine,l’agente che intende il fine, la forma implicata, e la materia che la deveaccogliere. E l’esemplare trascende la mera dimensione funzionalistica: inquanto contiene tutto (compreso l’esemplante nel suo riferirsi all’esemplato),è una totalità, e possiede quindi caratteristiche di liberalità e assolutezza:è «sottratto alla dipendenza e al dominio. In una frase, che sintetizza bene ilpunto di vista anagogico della filosofia e della teologia di B.: «Dio,conoscendo se stesso, conosce tutte le possibili realizzazioni similitudinariedella propria essenza, cioè tutte le essenze create e creabili» (p.96).Seguendo infine l’esempio specifico di Bontadini, suo maestro, eglifa risiedere nell’atto creatore intemporale la consistenza della totalità dellecose, cioè delle creature, giacché queste sono «nulla come aggiunta a Dio» (p.98). Secondo tale prospettica dell’exemplar, si può così realizzare, senzaaporie dogmatiche, la visione del Deus omnia in omnibus (Dio tutto intutto). Il dibattito con Severino Il primo dibattito fra GiuseppeBarzaghi ed Emanuele Severino avvenne nel 1995 nella forma di disputa tra leposizioni della teologia cattolica tomista e quelle della filosofiaseveriniana. Il dibattito trovò, al di là delle aspettative degliorganizzatori, alcuni punti di possibile convergenza, che portarono ilfilosofo-teologo alla pubblicazione di Soliloqui sul divino, in cui l’autorecerca per la prima volta di rileggere le intuizioni di Severino in un modo cheegli definirà più tardi voler essere quello con cui Aquino, filosofo e teologocristiano, leggeva e faceva tesoro dell’insegnamento filosofico di Aristotele,filosofo pagano. Ciò rese il rapporto fra i due pensatori un dialogo direciproca conoscenza e stima. Severino dedica a B. un articolo sul Corrieredella sera, in cui indicava il sacerdote monzese come il fautore del piùinteressante tentativo di riportare la sua filosofia al contesto cristiano dacui si era volontariamente staccato. In tale articolo, il filosofo ateodefiniva “aperto” il dilemma sulla possibilità o meno per il cristianesimo diporsi come casa abitabile per l’uomo contemporaneo, a patto però di diradare,sull’esempio di Barzaghi, la nebbia che circonda il discorso religiosoattraverso una ripulitura dei concetti a partire dal punto di vistadell’eterno. Seguirono poi altri dibattiti pubblici, come quello a Milano e quelloa Bologna.Altre opere: “Metafisica della cultura” (Bologna, ESD); “L’essere,la ragione, la persuasione, Bologna, ESD); “Diario di metafisica. Concetti edigressioni sul senso dell’essere, Bologna, ESD); “Soliloqui sul divino.Meditazioni sul segreto cristiano, Bologna, ESD); “Philosophia. Il piacere dipensare, Padova, Il Poligrafo); “Oltre Dio, ovvero omnia in omnibus. Pensierisu Dio, il divino, la Deità, Bologna, Barghigiani); “Maestro Eckart, CiniselloBalsamo, Ed. San Paolo); “Anagogia. Il Cristianesimo sub specie aeternitatis,Modena, ETC); “Lo sguardo di Dio. Saggi di teologia anagogica, Siena,Cantagalli); “Compendio di storia della filosofia, Bologna, ESD); “Compendio difilosofia sistematica, Bologna, ESD); “La Fuga. Esercizi di filosofia, Bologna,ESD); “L’originario. La culla del mondo, Bologna, ESD); “Il fondamentoteoretico della sintesi tomista. L’Exemplar, Bologna, ESD); “La maestriacontagiosa. Il segreto di Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD); “Il Riflesso,Bologna, ESD); “Lezioni di dialettica, Bologna, ESD); “Il bene comune secondoS.Tommaso d’Aquino, in “Communio” L’alterità tra mondo e Dio: la veritàdell’essere e il divenire, in “Divus Thomas”, Ambientazione teologica del concettodi “gioia”,in I. Valent, Cura e la salvezza. Saggi dedicati a EmanueleSeverino, Bergamo, Moretti et Vitali); “I fondamenti metafisici della mistica,in M. Vannini, Mistica d’oriente e occidente oggi, Milano, Paoline, La potenza obbedienziale dell’intellettoagente come chiave di volta del rapporto fede-ragione, in “Angelicum”, Articolazioneteoretica della teologia trinitaria in chiave tomistica, in A. Petterlini, G.Brianese, G. Goggi, Le parole dell’Essere. Milano, Bruno Mondadori, Desiderio eabbandono. Eckhart e Aquino: le due facce di un'unica metafisica, in C. Ciancio,Metafisica del desiderio, Milano, Vita e Pensiero); Anagogia epistemica, in R.Serpa, Antropologia, metafisica, teologia. Studi in onore di Battista Mondin,filosofo, teologo, ciclista, Bologna, ESD); L’unum argumentum di Anselmod’Aosta e il fulcro anagogico della metafisica. Essere logici nel Logos, in T.Rossi, Figurae fidei. Strategie di ricerca nel Medioevo, Studi, Roma, AngelicumUniversity Press, Anagogia: voce in “Enciclopedia Filosofica”, Milano, Ed.Bompiani, L’epistemologia teologica di Tommaso d’Aquino. Analisi eapprofondimento, in G. Grandi L. Grion, Rivelazione e conoscenza, Soveria Mannelli,Rubbettino,L’intero antropologico. Con Gentile oltre Gentile verso unarifondazione metafisica dell’antropologia tomista. Ovvero le virtualitàtomistiche del discorso filosofico sull’autocoscienza e la corporeità umana, in“Divus Thomas”. Il luogo poetico e contemplativo del saperefilosofico-teologico. L’anima del giudizio scientifico, in “Divus Thomas” Misticacristiana come estetica assoluta, inMistica forum, Bologna, Lombar Key, Fenomenologia, metafisica e anagogia,in “Divus Thomas”, Il bisbiglio del “Logos” e il suo riflesso nella ragione, in“Divus Thomas”, Il destino sempiterno dell’Occaso. L’inseità mistica dellaragione, in A. Olmi, L’eredità dell’occidente. Cristianesimo, Europa, nuovi mondi,Firenze, Nerbini, La commozione come filosofia del valore. Saper nuotare negliaffetti. L’ambiente invisibile della vita cristiana: il Fondamento, in V.Lagioia, Storie di invisibili, marginali ed esclusi, Bononia University Press,Bologna, Abitare teologicamente la natura. Lo sguardo metaforico di Aquino. Teoresie struttura. Riflessioni e approfondimenti sulla rigorizzazione bontadiniana,in “Divus Thomas” Creazione dal nulla o relazione fondativa, in S. Pinna D.Riserbato Fenomeno et Fondamento.Ricerca dell’Assoluto. Studi in onore di Antonio Margaritti, Città del Vaticano,Ed. vaticana, Anagogia e teoria del fondamento, in “Divus Thomas” Metafora. Latrasparenza nella trasposizione, in M. RaveriL. V. Tarca, “I linguaggidell’Assoluto, Milano, Mimesis,, L’eternità dell’essente in teologia, in G.GoggiI. TestoniAll’alba dell’eternità”. I primi 60 anni de ‘La StrutturaOriginaria’, Padova, Padova University Press, Dibattito con E. Severino, in“Divus Thomas”. Il quadro anagogico e i segreti della musica di Bach. LaCiaccona e il Contrappunto XIV de L’Arte della Fuga, in “Divus Thomas”. Postorino,La scienza di Dio. Il tomismo anagogico di G.i... Data l'importanza dell'anagogia nel pensierodi Barzaghi, gli è stata commissionata la stesura dell'omonima vocesull'Enciclopedia filosofica (Bompiani), nonché, sul versante teologico, lavoce «mistica anagogica» sul Nuovo dizionario di mistica dell’Editricevaticana. RaiCultura: Dio e il concettofilosofico di eternità del Tutto Dialogotra Severino e B. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienzareligiosa, Articolo pubblicato sul Corriere della Sera, Dionigi, I nomi divini(testo critico di M. Moranicommento di G. Barzaghi), Bologna, ESD,, II, 3. All'alba dell'eternità. I primi 60 anni de'La struttura originaria' (UniPa)Apocalisse Cfr. B., Lo sguardo di Dio. Nuovi saggi di teologiaanagogica, Bologna, ESD, Santiago María Ramírez op, De ordine placita quaedamthomistica, Salamanca, San Esteban, Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Saggi diteologia anagogica, Siena, Cantagalli,UniPdL’eternità dell’essenteRaiScuola: Giuseppe Barzaghi. Dio e il concetto filosofico… Si veda ad esempio: E. SeverinoG. Barzaghi,L’alterità tra mondo e Dio: la verità dell’essere e il divenire, in: “DivusThomas” Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa Dialogo Severino-Barzaghi a Milano Giornata di studio dello Studio filosoficodomenicano di Bologna RaiCultura.Giuseppe Barzaghi, Dio e il concetto filosofico di eternità del Tutto suraicultura. Interviste ai filosofi: Giuseppe Barzaghi su you tube.com. GiuseppeBarzaghi. Keywords: scuola di anagogia, ana-gogia, il quadro anagogico,anagogia, greco ‘anagogia’. Implicatura storica, la porta di velia, girgentu,l’implicatura di milesso, il segno di boezio, filosofia italiana. Scuola dianagogia, Bologna, fidanza, Aquino, filosofia romana, carneade, l’ambassiatagreca a Roma, filosofia, la scuola di Crotone, l’impicatura di Gorgia diLeonzio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barzaghi” – The Swimming-Pool Library.Barzaghi.
Luigi Speranza -- Gricee Barzellotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola diFirenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofofiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “Thegood thing about Barzellotti’s treatment of Cicerone’s dialettica is that hepours in all his expterise on two fields: Italian mentality, Roman mentality –so he can understand, in a way an Englishman cannot, the way Cicerone dealtwith the ‘dialectic,’ Athenian dialectic, if you wish, and turned it into a‘Roman’ dialectic --. He of course never considers English interpreters, onlyGerman! And refutes them!” -- “You’ve got to love Barzellotti – he is criticalof the idea of ‘Italian philosophy,’ but not of what he calls ‘The Oxcfordschool of philosophy,’ – Philosophy has no country-tag; she belongs tohumanity; a DOCTRINE, or a school, may have a ‘national’ identification – Andpart of the problem with Italian philosophy is that there was Italianphilosophy before there was Italy!” Grice: “My favourite is his tract onCicero, who he sees as an Italian!” -- Senatore del Regno d'Italia. Allievo di ROVERE (siveda) e di CONTI (si veda), entrambi filosofi spiritualisti, si professa poiseguace del criticismo. Si interessa soprattutto alla storia della filosofia latinacon particolare riguardo ai problemi di psicologia artistica e religiosa. Ha lacattedra di filosofia morale a Pavia e Napoli. Divenne professore di storiadella filosofia latina a Roma. È ammesso ai Lincei. Nominato senatore del Regnod'Italia. È iniziato in massoneria nella loggia Concordia di Firenze,appartenente al Grande Oriente d'Italia.Altre saggi: “La morale nella filosofia positive” (Firenze: M. Cellini);“La rivoluzione italiana” (Firenze: Successori Le Monnier); “La nuova scuoladel Kant e la filosofia scientifica” (Roma: Tip. Barbera); “David Lazzaretti diArcidosso (detto il santo), Bologna: Zanichelli); “Monte Amiata e il suo profeta, Milano:Fratelli Treves); “ “Santi, solitari, filosofi: saggi psicologici” (Bologna:Nicola Zanichelli); “Studi e ritratti, Bologna: Zanichelli); “Taine, Roma:Loescher); “L'opera storica della filosofia, Palermo: R. Sandron). Note Vittorio Gnocchini, L'Italia dei LiberiMuratori, Erasmo ed., Roma, Cappelletti, Giacomo Barzellotti, in Dizionariobiografico degli italiani, 7, Roma,Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Barzellotti, in Enciclopedia Italiana,Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie on line,Istituto dell'Enciclopedia Italiana.B. su siusa.archivi.beniculturali, SistemaInformativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. B. suaccademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Giacomo Barzellotti, su open MLOL,Horizons Unlimited srl. Opere di B., B., su Senatori d'Italia, Senato dellaRepubblica. Filosofia Filosofo Filosofiitaliani Professore Firenze Piancastagnaio Accademici dei Lincei. Se questa ricostruzione, che vengotentando, del movimento filosofico in Italia, rigidamente obbedisce alle leggidi una storia della filosofia, alcuni filosofi, che rientrano nel nostroquadro, ne andano certamente esclusi. Lo notammo a proposito di ROVERE (siveda); e torna opportuno dichiararlo per B.. La prima legge della storia dellafilosofia è, che il suo oggetto è costituito dal pensiero filosofico, ossiadalla metafisica, o concezione della realtà, che voglia dirsi. E però nonpotranno far parte di essa gli spiriti che a questa concezione non abbianocomunque lavorato,o che non ne abbiano sentito il bisogno o che non ne abbianoavuto le forze. Il Mamiani non ne ebbe le forze, benchè vivamente desiderassedi pervenire a una filosofia, e ben presto creasse a se medesimo l'illusione diesservi pervenuto. B. pare invece che non abbia sentito il biso gno; e, ingegnoletterario anche lui, abbia cercato nell'attività este tica piuttosto che nellaspeculativa il vanto di scrittore: più accorto in ciò e sia detto a sua lodedel Mamiani, che per voler essere quel che non era, non fu nè anche quel chefino a un certo segno,avrebbe potuto essere.B., invece, è stato uno degliscrittori italiani più noti e più letti dell'ultimo trentennio del secolo: ilsuo nome può dirsi a buon dritto che sia divenuto popolare: il solo forse traquelli di scrittori di cose filosofiche. Chi non ha letto i due volumi di saggipubblicati dallo Zanichelli: Santi, solitari e filosofi e Studi eSanti,sol.efil., saggi psicologici, Bologna, Zanichelli, 2.a ediz., ritratti? Aquesta popolarità egliappuntoaspirava,consciodelle attitudini del suo ingegno;e ha messo da parte i problemi, a cuinon era nato. Li ha messi da partecome fanno tutti quelli che limettonodaparte,--negandone il valore. Ma nell'averlimessiintantoda parte per suo conto è il suo merito e il segreto della sua fortunaletteraria.Rileggiamo una confessione, che è nella prefazione ai Santi,solitari efilosofi: « Più d'una volta al sentirmi chiedere quasi come tesserad'ingresso ai posti distinti dell'insegnamento o al favore dicerticenacoli letterari o filosofici una di quelle professioni di fede assoluta neidommi di qualche sistema,ho pensato involontariamente a quelle domande che lesignore fanno spesso nei giuochi di sala o nei loro albums profumati, mettendovi in mano illapis per la risposta:-- Guardi, mi faccia ilpiacere di dirmi o discrivermi qui, subito,che cos'è l'amore,e poi che cosa ella pensa delloShakespeare epoianche,secrede, del Goethe;ma chelarispostasia breve, laprego,non più che dieci righe, perchè, quaggiù, vede,ha da serivere anchela mia nipotina ».Vale a dire: B. ha bensì aspirato ai postidistintidell'insegnamento filosofico. C'era avviato,era quella la sua carriera:e l'ha percorsa ormai tutta con onore, fino alla cattedra di storia dellafilosofia nell'università di Roma; ma egli non ha potutomai persuadersiche per occuparsi di filosofia bisognasse aver fede assoluta in un sistema:cheper mangiar frutta,direbbe Hegel, bi sogna contentarsi di mangiareciliege,pere,uva ecc.Non che pro prio abbia ricusato la filosofia, in generale.La sua filosofia l'ha avutaanche lui; ma «diametralmente opposta»aquelladichigli venne sempre chiedendo a quale sistema egliaderisse; opposta«appunto in questo: che il suo resultato più sicuro, e ormai consentito daquanti oggi vivono la vita intellettuale dei nostri tempi, si è ladimostrazione critica dell'impossibilità di chiuder la mente umana inunaformasistematica d'interpretazione dell'universo da potersi dire definitiva per lascienza». Un'opposizione,come puòvedere chiunque abbia studiato con mentefilosofica la storia della filosofia, affatto illusoria:fondata sopra quellaconfusione dell'universale e del particolare (per rispetto al concetto dellafilosofia) messa in canzonatura da Hegel nel luogo citato dell'Enciclopedia. Inrealtà, nessuna forma sistematica ha voluto mai essere definitiva; ma s'èSt. e ritr. sforzata di organizzarsi a sistema, per essere qualche cosa difiloso fico, per vivere nel pensiero, che non può esser pensiero senz'esseruno. E lo stesso B. nota una volta che perfino il Kant,il grande avversario deisistemi,costrui anche lui la sua Critica in forma complicata ma strettamenteorganata di sistema.E che questo orrore dei sistemi significhi, per B., nonnegazione critica della metafisica (com'egli, si vedrà,avrebbe volutosignificasse), ma, a dirittura, liquidazione,anzi evaporazione della filosofia,negata nella sua universalità perchè negata in tutte le sue forme particolari; loattesta,non foss'altro, ladichiarazioneseguente: che il valore intimo di cotesta suasuperstite filosofia « sta tutto nel penetrar ch'essa fa oggi del suo spiritocritico i metodi e la parte più alta delle scienze naturali e matematiche nonmeno che delle morali».Sit diva, dum nonsitviva .L'ideale delfilosofo, Helmholtz (tante volte citato da B.): un fisico.Voltando, quindi, in effettile spalle alla filosofia, B. sente bene di non dover riuscire ostico ai nemicidella filosofia, ossia agl'ignoranti di filosofia. Le sue idee intorno a questopuntodella secolarizzazione delle menti, riescono molto interessanti eistruttive, perchè aiutano a intendere tutta la psicologia del filosofo. Tranoi in Italia, oggi, lo so da lunga esperienza, solo a far balenare un momentosul frontespizio d'un libro la testa di filosofia c'è da vedersi impietrardavanti dallo spavento o dalla noia quante facce di lettori s'eran chinate aguardarlo. Di chi la colpa? Della filosofia o dei lettori? B. ha una granvoglia di gettarla tutta addosso alla prima. Ma poichè una certa filosofia devecredere di coltivarla anche lui, una filosofia invisibile perchè cela tasinelle scienze speciali o nell'arte, un pochino di colpa l'ha pur da dare ailettori, lamentando quell'abito come lo chiamo d'antipatia o di pigriziamentale? – che nella scienza e nell'arteci fa rifuggire dalle forme piùalte e più complicate del pensiero, che ci sanno di aspro o di esotico. Ma,s'intende, il maggior torto è della filosofia:È l'effetto del discreditomeritatissimo, in cui la filosofia cadde tra noi parlando per tanto tempo ilgergo barbaro del pensare e dello scri vere di troppi ormai che ne hanno fattouna casistica da medio evo in ritardo,e che,o predicassero dal pulpito dellenostre scuole ortodosse,o negassero Dio e l'anima mettendo in cattivo italianoi loro imparaticci francesi, inglesi o tedeschi, hanno nella filosofia impeditotra noi quasi sino ad oggi quella definitiva secolarizzazione delle menti cheper tutto fuori di qui segna da un pezzo l'avvenimento della cultura moderna.InItalia,un lettore che abbia familiare l'abito di mente inseparabile dalla cultura edalla scienza contemporanea, è raro che,aprendo per distra zione o in mancanzad'ogni altra lettura,un libro di filosofia,non lo faccia con quello stesso visocon cui un giornalista della capitale si la scia,in viaggio,dare le ultimenotizie di una crisi ministeriale da un suo corrispondente di Cuneo o diBrindisi.E avrà anche torto;ma che dire,quando il fatto stesso del mancare tranoi un pubblico di lettori per la filosofia mostra chiaro che in Italia lafilosofia non sa,meno rare eccezioni,farsi leggere,cioè non sa pensare escrivere,non voglio dire coipiùepeipiù,ma almeno coipiùcolti,con coloro chepensano;il che poi significa ch'essa non vive ancora tra noi la vita dellamente contemporanea?La filosofia, per vivere la vita di questa mentecontemporanea, deve abbandonare il suo barbaro gergo. Si potrebbe pensaredataluno che l'unico movimento di qualche vigore che si sia avuto in Italianegli ultimi tempi,è quello hegeliano di Napoli. Maquello, secondo ilBarzellotti, riuscìpiùascuoter elementi,chea fecon darle di germi durevoli,acagione appunto della sacra tenebra delleformule, nella quale i più diquegli scrittori s'avvolgevano, del gergo tra barbaro e bizantino che facevanoparlare al loro pensiero oracoleggiante. Ma, che cosa è questo gergo equest'oracoleggiare se non la forma specifica dellafilosofia,inaccessibile,naturalmente, non solo ai più, ma anche ai più culti,quando la loro cultura non abbracci anche la filosofia; e la filosofia nonliquida o vaporante nella sua astratta universalità, ma solidae concreta nellasuccessioneprogressiva delle sue forme storiche, fino a quella, alla quale una determinataricostruzione della storia mette capo? E la secolariz zazione dello spirito, eil farsi leggere della filosofia che altro p o s sono significare se non distruggerequella differenza specifica checostituisce il valore del grado spiritualeproprio della filosofia? Intendiamoci: non già che il filosofo debba scrivermale. B. dice della Vita del VICO (si veda) che ha dal lato letterarioildifetto di tutti i libri del granfilosofo: è male scritta. E non è vero,com'è vero invece che è mal composta, oscura,involuta. Oscuro einvoluto rimase appunto gran parte del pensiero di VICO; e quindi l'oscurità el'involuzione della forma. Ma VICO (si veda) scrive benissimo, esprimendo conefficacia potente d'immagini i Vedi lo scritto Il pessimismo filosoficoin Germania e ilproblema m o. rale dei nostri tempi, nella N. Antologia Dalrinascimento al risorgimento, Palermo, Sandron. suoi concetti;ma,s'intende,quando avevadei concetti: laddoveè certo, come lo stesso B. dice,che a lui mancò « la co scienza chiara, luminosa del proprio pensiero, che è laparte prima ed essenziale dello scrittore. In altri termini, egli non pervenneal possesso completode'suoi concetti,parecchideiquali,enon i secondarii,rimasero in uno sfondo di penombra in quella gran menteche così largogiro ne volle stringere nella sua speculazione, sbozzata con persistentelavorìo intorno a una materia non veramente omogenea, tradistoriaedifilosofia. Vicoscrive male dove ein quanto pensa male; e questo è VICO che non contanella storia.Ma VICO (si veda) che conta, il filosofo vero e proprio èuno scrittore sommo.E non potrebbe essere altrimenti,perchè l'arteelafilosofianon sono due muse sorelle,ma l'unico Apollo,lo spirito, che non sale allafilosofia se non attraverso l'arte, e non supera mai se stesso, come avvertì perprimo Aristotile, se non conservando se stesso, crescendo sempre sopra disè.–Chiscrivemale, perciò,appuntoperchè scrive male non è filosofo. Ma loscriver bene del filosofo non è lo scriver bene del poeta;altrimenti verrebbemeno la differenza, tra l'uno e l'altro, che nessuno vuol negare. E comeilpoeta scrive sempre bene se vien poetando, così il filosofo scrive bene anchelui se, anzi che pensare a scriver bene, pensa piuttosto e riesce a filosofare,anche a costo di finire per ravvolgersi in un gergo. Non c'è pure il gergodella poesia? O non era poeta chi diede l'espressione classica dellaimpopolarità essenziale delle forme alte dello spirito nell'odi profanumvulgus?Per B., invece,il filosofo può farsi leggere,se si contenta dimetter da parte la filosofia. Nella menzionata confessione, premessa ai Santi,solitari e filosofi, lo dice chiaro: « lo vorrei,senz'aver l'aria dipresumer troppo,poter dire press'a poco quelloche un amico mio diceva ailettori d'un giornale,annunziandovila prima edizione del Lazzaretti:perdonate a questo libro quel po' di filosofia che l'Autore ci ha voluto,a ognicosto,mettere (giacchèpatisce, poveretto!,diqueste malinconie); perdonateglielaingraziadi quel tanto dipiùedimeglioche illibro visaprà farpensare oviracconteràovi descriveràcome opera d'arte».Vedremo frapocoinche consiste quel po' difilosofiadacuiil B. non s'èvoluto mai distaccare;ma non bisogna dimenticare,chequelche di più e di meglio egli ha inteso di mettere ne'propriiscrittiSanti. Perchè dunque parliamo qui del Barzellotti, e in questapartededicata ai platonici Ecco: queste note, senza voler esserepropriamente una storia,mirano piuttosto a rivedere criticamente igiudiziicorrenti intorno agli ultimi scrittori italiani di filosofia. OraB., per giudizio comune, avrebbe partecipato al movimentodei nostristudii filosofici, e avrebbe agito nella cultura nazionaleappunto comefilosofo. Domandate ai suoi molti lettori se egli siauno scrittore difilosofia o un prosatore, un artista; novantanovesu cento virisponderanno che è sì un artista,ma un artista-filosofo,o meglio unfilosofo-artista; uno dei pochi, o il solo dei nostri filosofi, che abbiasaputo liberare la scienza della forma pedantescadella scuola e delbarbarico gergo abituale, per esporla in saggi eleganti, ossia in manieraaccessibile a tutte le persone colte e di gusto. Ripeterebbero, insomma, quelche B.i stesso hasempre pensato e detto di sé. Perchè, bisogna pur dirlo,nienteriesce più a render perplessi e a sviare igiudizii,di questaspeciedi sofisticazioni della scienza,operate dai secolarizzatori opopolarizzatori della medesima. Il po ' di filosofia viene apprezzato noninragione del suo valore,che può esser nullo,ma in ragione dell'arte, incui si diceepuò parere che si siamesso; l'operad'arte,egual mente, non ègiudicata con tutta la severità che si userebbe versole opere di artepura, che non avessero quella difficoltà di una materia ribelleall'elaborazione artistica; e i critici letterarii, inettia giudicarequel po'di filosofia, indulgono a quell'arte gravida o sazia di sapere. Perchè,s e h o detto che B. è u n artista piùche un filosofo,non credo poi (semi è lecito proprio questa volta una digressione letteraria che possa dirsi unartista finito, e che il suo capolavoro (Lazzaretti) siaun capolavororiuscito.È ilmeglio riu scito di questi suoi tentativi artistici, pel senso vivo delpaesaggio e dell'anima popolare di quell'angolo della Toscana, in cui il Barèal di qua della filosofia: è qualche cosa che può far pensare,una riflessionemorale e psicologica;è soprattutto opera d'arte. Dello scritto su Lazzaretti,che può forse considerarsi come il capolavoro di B., il quale i nesso si propose ben sì di fare uno studio di psicologia religiosa,lo stesso autore dice che «vorrebbe essere,se pure non pretende troppo, un'opera d'arte,ma senzadar nelromanzo ».Vedi in questo fasc. l’art. Di Croce,B. e vissuto fanciullo, etornato spesso a rinnovare le sensa zioni dei primi annim. Maanche lìquel po'di filosofia come stuonain quell'ambiente pastoralee nell'ingenuapsicologiadel misticismo lazzarettiano! E come appiccicato è lo studiosull'origineelosvol gimento e i caratteri di quel moto religioso sulla cornicedell'im mediata azione, in cui l'autore l'ha voluto inquadrare, per aver agioadescrivere meglio iluoghi,che furono scena dei fatti del Lazzaretti,eindividuare itipi de'suoi seguaci! L'azione, troppo povera,è una gita dicaccia,a cui l'autore per altro non partecipa, restando sempre in disparte adalmanaccare sull'anima del barocciaio di Arcidosso.Dopo la caccia c'è unacolazione,sull'erba;e alacolazione questa volta pare pigli parte anche B.. Ma qualeparte? Egli titrova nel cerchiounuomo del paese, Filippo, il,bigonciaio, undiscepolo del Lazzaretti; e subito ne profitta, dicen dogli che avrebbe avutocaro di sapere « molti particolari intorno a David e alla vita che i suoiseguaci avevano fatto con lui in quelluogo »,lisulla torre di Monte Labbro Illettore,nemicodella filosofia, a cui B. s'indirizza, s'aspetterebbe la conversa zionedell'autore con Filippo,il quale dovrebbe farci entrare a poco a poco con isuoi ricordi in tutto quel mondo morale che l'autore civuolrappresentare. Difficileimpresa, certo;ma soloachi, come B., non avesse davvero il suo Filipporivelatore vivo e parlante nella fantasia; sibbene gli scritti delLazzaretti,gli appunti delle relazioni fornitegli da amici del luogo,ledeposizioni dei lazzar ettisti, e poi i volumi del Renan, e l e operedell’Hartmann e qualche fascicolo del Nineteenth Century sul tavolino. B., chepure ha scritto un bel saggio sulla sincerità nell'arte,in quelpuntodella sua opera non si ricorda di quelle sue giustissime idee: edopo aver detto come inducesse Filippo a parlare,continua: « Mi rispose con unleggero atto della testa che acconsentiva,e ci mettemmo tutti amangiare ».Maalla conversazione non ci fa assistere.«E ora mi pare da vero tempo che anche ilettori conoscano per:filo e per segno i fatti cui ho accennato tante volte, eli conoscano, quello che più importa,in ordine alle loro cause e allecondizioni sociali e morali de'luoghi, o, come oggisidice, dell'ambientenelquale ebbero origine ».E segue infatti il corpo,per dir così,dello studiosul Lazzaretti: centoquaranta pagine, in cui Filippo e la colazionesondimenticati.Poi l'autoreripiglia: Questecosemi andavano per la mente cinqueanni dopo la morte di David mentre co'miei Santi, amici stavo nelpiazzale davanti all'eremo di Monte Labbro. Passatoquel silenzio profondodei primi bocconi. »;– e torna a saltar su finalmente Filippo,che però il B.non ci fa mai udire.Sicchè nel l'immaginazione dell'artista durante quellacolazione,oltre che per tutte le considerazioni seguenti sul carattere dellafede di Filippo, ci sarebbe stato il tempo per andar pensando a tutte quelle140 pagine diroba! L'elemento descrittivo e drammatico resta affatto estraneo esovrapposto allo studio storico-psicologico. E questa so vrapposizione,questamancanza di fusione,che accuserebbe per sè, quando non vi fossero ledichiarazioni esplicite dello scrittore, le sue preoccupazioni artistiche,mentre egli realmente non si mette mai inunasituazione sinceramente artistica, sonoil maggiordifetto che io vedo in questi suoi tentativi d'arte.- E un altro misia lecito anche notarne,che è in fondo una conseguenza del primo,emi fatornare al mio soggetto speciale: la lungaggine, la prolissità delloscrittore:difetto da lui stesso additato come uno degli effetti più gravi dellarettorica, della vuotaggine di gran parte della lette ratura italiana. « Solochi ha poco o nulla da dire dice sempre di più di quello che dovrebbe dire » Appunto,laesiguità del con tenuto spirituale di B. gli ha fatto scrivere molte e moltepagine a cui s'attagliano parecchie delle osservazioni da lui fatte intorno acotesto difetto della letteratura italiana, dominata dallo idealeumanistico.Non c'è scritto di lui in cui sia detto breve e chiaro quello chel'autore s'è proposto di dire;e spesso si stenta ad afferrare il suo concetto,tra le molte parole non abbastanza precise e determinate,in cui egli si sforzad'esprimerlo,cioè di concretarlo,quasi per una serie di approssimazioni alpensiero, che non si riesce afermare inuna formavivente. Tipica, per questoriguardo,mi sembra la prolusione letta a Napoli:La morale come scienza e comefatto e il suo progresso nella storia. E valga per esempio questo squarcio,chene tolgo a caso:Perchè è bene che io lo dica fin da ora,o signori,anche atitolo diquella schietta professione di fede scientifica che mi pared'esser tenuto a farviqui. Il modo in cui io concepisco la legge intimadell'organismo e della vita delle scienze morali o,meglio,delle scienze che iochiamo più propriamente umane,e quindi dell'etica,che se ne può dire quasi ilcentro, non è quello stesso che pare presupposto da quanti oggiponendo,Dal rinascimento al risorgimento, Rivista ital. di filos. delFERRI, con ragione, l'esperienza a fondamento di tutto il sapere umano,non distinguono con qual divario profondo il processo di costruzione ideale delpensiero scientifico sui dati sperimentali si faccia nelle dottrine naturali ein quelle morali e storiche. Là l'ufficio, l'opera della scienza sta nelritrarre, nel rilevare a uno a uno, sino a i piùintimi, i tratti dellafisonomia eternamente immota e impassibile della natura, che anche nell'inesausta ricchezza delle sue produzioni, ripete eternamente se stessa;stanel far penetrare,se posso dir cosi,la parola,più e più criticamenteriveduta delle teorie e delle ipotesi,quasi scandaglio che tenti un fondoimpossibile però a toccare mai tutto,sempre più verso l'ultima espres sioneapprossimativa di un vero che, inesauribile in sé,sappiamo però essere e durareab eterno eguale a sè stesso. Ed ecco perchè, una volta messe queste scienzesulla via maestra del metodo sperimentale, e fu, o«signori, meritoimperituro della filosofia, latradizione del l'acquisto lento, faticoso, masicuro del vero,vi si stabili con una fermezza che non ha pur troppo riscontroalcuno nella storia delle scienze del l'uomo e della società.In questal'opera ideale costruttiva,la funzione che vi ha il pensiero scientifico diassimilare a sè il vero dei fatti sperimentati e osservati e di trarlo quasi insostanza sua, è, mi pare, tutt'altro. È un farsi, uno svol gersi della vita edell'organismo riflesso della scienza insieme con quello spontaneo del veroumano e sociale che si spiega,che fluisce inesauribilmente ricco, fecondo evario ne'secoli. E l'occhio delle scienze morali,intento a scrutarne leleggi, è simile a quello di un osservatore che dapunti di prospettiva viavia sempre nuovi studiasse, camminando, le forme,le proporzioni e la direzionedi un'immensa folla di oggetti che gli simostrano dinanzi.Sbaglierò; ma ame pare che, tolti i fronzoli e i particolari inutili, il pensiero adombrato intutta questa pagina sarebbe stato espresso forse più chiaramente, se si fossedetto press'a poco così: le scienze morali si fondano, al pari delle scienze naturali,sull'esperienza;ma siccome la natura è sempre quella, el'uomohauna storia, leverità scoperte dalle scienze naturali hanno una stabilità e fermezzaincompatibile con quelle via via determinate dalle scienze morali, alle qualispetta di seguire il processo storico del loro oggetto.Egli è che a B.,mente coltissima, è mancata proprio quella qualità ch'egli è andato semprecercando:l'intimità,il con tatto dell'anima con le cose. Quindi l'artifizio elo stento,la forma levigata, elegante,ma alquanto vuota e sonora. Le sueprofessioni difedefilosofica,percuilodovremmo aggregareaineo kantiani, sonosemplici adesioni formali, spesso ripetute con la premura di chi tiene adapparire spirito moderno, del proprio tempo (comeNella N.Antologia, Fil. Sc. Ital. egli ha detto di sètante volte); ma non corrispondono a una par tecipazione effettiva della suamente ai problemi critici e morali, ridestati dal ritorno a Kant. Loscritto,che secondo lo stesso B., dovrebbe essere più significativo per questasua adesione al criticismo (La nuova scuola del Kant e la filosofia scientificacontemporanea in Germania ); e al quale egli infatti s'è riferito ogni voltache ha voluto documentare l'affermazione sul suo in dirizzo di pensiero,èun'esposizione informativa,condotta innanzi senza un indizio di vero consenso,che le considerazioni dei neo kantiani trovassero nell'anima dell'autore. Equando verso la con chiusione questi dice che « la natura relativa d'ogninostra cogni zione sensata è inconciliabile colla pretesa che ha il dommatismodi determinare positivamente l'essere delle cose in se stesse, di poterpenetrare sino alle sostanze e alle forze ch'egli suppone al di là de'fenomeni» non puoi dire sicuramente se questo sia ilpensiero di chi scrive,o il pensierodi quegli scrittori di cui que sticihaparlato. Meno che meno potresti cogliereilpensierodel Barzellotti nel suo precedente scritto La critica dellaconoscenza e la metafisica dopo Kant, lavoro prevalentemente storico, per cuil'autore si attiene più alle storie del Fischer e dello Zeller, che allefontioriginali. In una storia dell'idealismo postkantiano,di cui questoscritto voleva essere un saggio (ma si arrestò allo Schelling), un neokantianovero non può non far apparire i suoi criteriifilosofici;e non c'è sforzo d'oggettività storica che possa fargli dire chel'interpetrazione realistica (a cui tenne sempre più fermamente lo stesso Kant)della critica risponde alla lettera del kantismo,e l'interpetrazioneidealistica del Maimon,del Beck,del Fichte, ri sponde piuttosto allo spirito.Un neokantiano non avrebbe scritto che il concetto realistico del noumeno (comequalche cosa che è in sè,indipendentemente dalle forme del conoscere,ed operasui sensi)è in Kant un residuo del dommatismo antico che la Critica non era mairiuscita a spogliarsi interamente, e che stuonava coi risultati negativi eidealistici della dottrina della conoscenza;e che era una contradizione: unpensiero non pienamente consentaneo a se stesso in ogni sua parte. AlBarzellotti il partito di superare idealisticamentela Critica, come fece Fichte,dopo l'Enesidemo,pare ogni giorno più, non che consigliato, impostoinesorabilmentedalla necessità logica che trascinava le dottrine del Kantalle loroultime conseguenze». Ma tutto questo è detto,anziripetuto, noncon l'accento energico di una convinzione maturata per proprio conto; sibbenecon quella stessa indifferenza che è propria dichi osserva da spettatoreassolutamente disinteressato. Che cosa pre cisamente debba pensarsi di quelbenedetto noumeno,che è lo spettro pauroso dell'idealismo moderno,non sembrache sia affare che tocchi l'animo di B.: il quale potrà dirsi a sua voglianeokantiano; ma nonfarà mai ilneo-kantiano,perchè non sen tirà mai veramente ilproblema filosofico.E non ha fatto quindi nè anche il platonico, benchèall'indi rizzo dei platoneggianti italiani egli si accostasse ne'suoi scrittigio vanili,il principale dei quali è la tesi Delle dottrine filosofiche neilibri di CICERONE, in cui si vede ancora lo scolaro di CONTI edi T. MamianiROVERE. Egli doveva pensare anche a sè quando,discor rendo della Filosofiadelle scuole italiane,— della quale fu sempreuno dei compilatoriordinarii,e se ne poteva dire la sentinella avan zata verso le letteraturefilosofiche straniere,di cui scriveva una cronaca;– disse: «I collaboratori diquella Rivistahannopienali bertà di pensiero e di discussione; anzi varii tradi essi professano dottrine molte diverse da quelle del Mamiani; ma siraccolgonointorno a lui come al rappresentante più autorevole di quelmoto speculativo,che aiutò il nostro risorgimento e ci riscosse da una inerziaintellettuale di più che due secoli. Anche al B., insomma,piaceva di essere unfilosofo delle scuole italiane,insieme col Mamianielasuaonrevolgente. Anchealuipareva,p.e.,che il«merito innegabile della scuola hegeliana (di Napoli) apparirebbemaggiore allo storico imparziale, se essa avesse tenuto più conto delledisposizioni naturali e tradizionali dello spirito italiano ». Egli dunque si misenella schiera del Mamiani; e io non potevostaccarnelo, non avendo potutotrovare ne'suoi scritti la dottrina filosofica sua, che ne loseparasse.Vedi specialmente le proteste nella pref, ai Santi,p.xxm n. Lafilosofia in Italia, nella N. Antologia. Nella Rivista difilos,scientifica. Cosinel libro sul Taine qui appresso cit., dirà sempre: « La dot trina idealisticachefa del mondo sensibile esterno un mero ordine di fenomeni e di segni daticidalle sensazioni, debba dirsi, per ora almeno, l'ultima parola della scienza,venuta a confermare la parte indubbiamente vera delle teorie del Berkeley e delKant.Vedi poi l'articolo su L'idealismo di Schopenh. e la sua dottrina dellapercezione, nella Fil. delle sc.ital.; la cui conclusione favorevole aifilosofi che « tempo e spazio accolgono in se elementi, a u n tempo, ideali edempirici, subbiettivi e obiettiv i, hanno il loro essere e la loro leggecosì nel pensiero come nelle cose,così in noicome fuori di noi – nonvedocomepossaacc larsiconl'idealismo berkeleiano! Masipuòpar lare dicontraddizione?Credaro nel Grundriss di UEBERWEG-HEINZE. Cfr. La moralecome scienza e come fatto, Riv. ital. di filos., e la pref. ai Santi,p.xxin.Nella prolusione con cui iniziò a Pavia il suo insegnamento ufficialeuniversitario, Le condizioni presentidella filosofia e il problema della morale, puoi ravvisare tutto lo scrittore.Ivi più schietta la professione di fede neo-critica: l'idealismo da Fichte aHegel accusato non solo di aver voluto costruire luni verso da un sol punto,con un solo principio assoluto,ma di avere altresì dimenticato « quello che leaveva lasciato detto il maestro, che cioè,se i fatti senza le idee sonociechi,queste alla lor volta, non cimentate coll'esperienza, riescon vuote e ingannevoli» (tra vestimento del genuino pensiero kantiano e disconoscimento del genuinopensiero hegeliano); la riflessione filosofica definita per artifizio;approvato- comegià nella Morale della filosofia positiva l'indirizzopsicologico-sperimentale dato dagl'inglesi alla filosofia dello spirito; fattobuon viso alla loro teoria della re latività del conoscere (dove l'autore vedeun kantismo ricondottoaddietro fino a Berkeley; dato corpo in certo modoa quella specie di eccletismo, che gli è stato talvolta attribuito, e acuiegli stesso in alcuni scrittisi può dire che abbia accennato parlandodi una mediazione tra il criticismo e l'evoluzionismo; rifatta un'altra voltala storia del ritorno a Kant, nonchè della scuola spe rimentale inglese,per conchiudereche oggi il filosofo « non provapiù in sè quello che pure era,ed ètuttora,così proprio de'meta fisici, il sentimento superbo di un pretesoprimato sui cultori dellaltre scienze, la vana persuasione di potersisegregare da loro nella solitudine di un infecondo sapere assoluto, superiorealle indaginipazienti de fatti e all'esperienza, e ambizioso di tuttodarle, senza nulla riceverne ». Qui si abbandona,come ognun vede,esplicitamente l'eterno proposito della filosofia. Niente di superiore ai fattie all'esperienza. Il filosofo non deve aspirare se non,come tutti gli altriscienziati,a fornire col proprio lavoro alcuni pochi tra gl'infiniti dati, trale infinite verità d'esperienza e di ragionamento a c cessibili alla menteumana nel suo sublime tentativo d'interpretarel ' unità delle cose edelle loro leggi. Nien t'altro che dati ! Non certo un'assoluta disperazione delvero, ma una fede assai condizionata nel valore di quelle forme del vero che lamente umanaaccoglie in sè successivamente »; un « abito di mente criticainquisitiva per eccellenza, che non riposa mai o quasi mai inunaconchiusione, che rifà di continuo i proprii convincimenti ».Abitodi mente, insomma,da spettatore,non da artefice della verità.Echi lo afferma si vede bene che,accortosi della vanità diquestoaffaticarsi perenne nel tentativo sublime,quanto a sè,intendemettersi da un canto,e stare a vedere.Qui, nella ricerca della verità,nonc'è l'anima di B.. Di questa ricerca egli non vede senon una vitavana,dicui nessuno spirito può vivere.Onde vidirà: l'uomo è nato non tanto apensare quanto ad operare.E per operare ci vogliono quei saldiconvincimenti,che la scienza non può dare. Perciò è che la filosofia non puòprendere il luogo delle credenze religiose. B. non dice propriamente perchè, egira attorno a questo problema,che è dei più delicati circa il valore dellafilosofia. Ma fa alcune osservazioni,che ritraggono lo spiritodelloscrittore. Non tutti possono vivere su principii, che siano il risultato delragionamento; infiniti sempre attingeranno la normadelle azioni « dalcuore,dall'immaginativa, dalla fede, dalla per suasione affettuosa immediata, daun che in somma non ragionato,m a sentito e intuito ». Contro chi cred e,come Renan, che possala scienza un giorno trasformare e governare tuttala vita,bisogna notare che « delle due forme di conoscenza ond'è capace lanostra mente, la concreta e diretta,o vuoi intuitiva, ha sull'astratta e sullariflessa infiniti vantaggi nella pratica della vita. Se non che,tale appuntoquale è, ottimo istrumento e guida all'azione, la conoscenza intuitiva ha in sèquesto di più specialmente proprio e suo e d'opposto all'indole del saperescientifico; appunto perchè concreta,particolare e attinta dalla vivaesperienza e quasi dal contatto delle cose e degli uomini, essa è tuttaindividuale, e per ciò incomunicabile:più che vera e propria cognizione,potrebbe dirsi un certo tatto finissimo. La scienza stessa., in ciò ch'essa hain sè di più intimo e d'organico, presa come un tutto che si muove e vive d'unavita inseparabile da quella d'ogni mente che l'ha in sè e l'ha fatta suapropria, riesce non meno individuale e incomunicabile di quello che sial'intuito, l'arte, l'esperienza immediata,la convinzione istintiva. Quindi l'inefficaciadella scienza; quindi il segreto della forza delle religioni,che s'impossessanodi tutto l'uomo. Perchè la religione abbia quest'afflato, che manca allascienza, B. nondice.E la verità dell'osservazione consiste,a parer mio,nell'esperienzapersonale dell'autore, di cui essa deve ritenersi un indizio. È lascienzasua,da cui egli si sente ingombra la mente,non riformata l'anima,che non puòcacciar di nido la religione. Se la metafisica, l'alta veduta speculativainveste tutto l'uomo nei grandi pensatori, egli è che il pensatore in fondo èun artista.Onde ilBarzellotti plau dirà al pensiero del Taine (in Idéal dansl'art): « che tra i diversi modi,in cui l'uomo coglie la verità delle cose,ilpiù potente e il più vero è l'Arte. Essa infatti penetra,per dir così,giù sinoal cuore del grande organismo della natura,e non si limita a darcene,comefalascienza, soloi l profilo esterno,leleggigenerali quantitative,ma cen'esprime l'intimo senso,ce ne fa sentire nel loro lavorìo se greto le forzevitali, le potenze originarie e germinali » E al Taine tributa la gran lode diaver avuto « anima e mente da ca pire come la scienza,che ci dà solo glielementi generali e comuni dei fatti e delle cose,non riesca nello studio dellospirito umano a rendercene tutto il vero, se non è compenetrata con l'Arte, cheintuisce il particolare, l'individuale, ciò che sfugge all'analisi e all'astrazione. E l'autore continua: « Qui sta con buona pace della pedanteria togatadi tanti che oggi si chiamano dotti– lasuperiorità dell'Arte,se siagrandee vera, sulla scienza pura, quantoal comprendere l a vita, il carattere ei sentimenti umani. Si può esser certi infatti che nessuno specialista, nessunoscienziato nello stretto senso della parola,arriverà mai a scuotere una diquelle grandi verità della coscienza e dell'ordine morale, che finora sonostate trovate tutte dai fondatori di religioni, dai metafisici sommi–artisti del pensieroessipure— daipoeti,dagliscrittori,da co loro che il volgodegl'indotti e dei dotti chiama uomini non p o sitivi Taine, Roma, Loescher Ecosì ci accostiamo al po'di filosofia di B.: a quel po'almeno, che è la notametafisica vera e sincera, che risuona nell'anima sua. E questa notasuona spesso negli scritti di B., benchè non sia che unanota. La religione,dicein uno scritto su L'idea religiosa negli uomini di stato del risorgimento, èqualcosa di analogo all'artee d'irriducibile,per una legge del nostrospirito,ad altre forme della sua vita interiore »: « la cer tezza delle veritàreligiose venirci dal sentimento e dall'intuito, e appartenere a un ordineaffatto diverso da quello della certezza che cipossonodare le dimostrazionidella ragione. E nello studio La giovinezza e la prima educazione di A.Schopenhauer e di Leopardi: « L'uomo, egli (lo Sch.) soleva dire con parole cheesprimono forse l'aspetto più nuovo e più vero della sua filo sofia, ha le sueradici nel cuore, non nella testa » Quindi quel sentimento,che in unoscritto,anche precedente,sullo stesso Schopenhauer, è detto « ormai cessato daun pezzo in Germania; ma dura tuttavia, e cresce nei lettori colti d'ognipaese.: quello del bisogno che tutti abbiamo,ma che in specie gli studiosihanno di stringersi in più intima armonia colla natura e colla realtà. Questoestetismo o misticismo estetizzante venne al B. dai ro mantici tedeschi,dalloSchopenhauer,oggetto di suoi studi insistenti? Certo non ha che vedere col suopreteso criticismo, che è uno scetticismo ingenuo, appena larvato. Ma visi riconnettenel sensoche, dimostrandoci il temperamento spirituale dell'uomo, ci fa intendere la sua naturale avversione alla vera e propria filosofia.Questo estetismoa me pare appunto la tendenza naturale del suo spirito; e non prende infatti laforma dimostrativa e sistematica,che in altri scrittori si atteggia almeno auna critica gnoseologica del natura lismo, dal Barzellotti non mai fatta; maresta sempre una ten denza, che determina l'indirizzo degli studii di B.,quando egli trova la sua strada.Più che un concetto pensato e ragionato dallasua mente,è un carattere reale della sua mentalità:per cui egli si può dire cheabbia trovato la sua strada quando ha comin ciatoa scrivere I suo studiieritrattiesaggipsicologici, intorno a scrittori,indirizzi di cultura,epoche o popoli:dove nonha certo teorizzato sulla tendenza, che ho detto, ma ha obbedito ad essa,cercando il concreto, l'individuum ineffabile, con l'intuizione delDalrinasc. al risorg.Santi. -l'artista,vedendo, come egli disse, « nello studio dell'uomo oltrechèun'arte d'intuito e di divinazione felice,la lentaopera d'una scienza che ormai ha saputo prendere la sua via in disparte daisistemi »: rimettendo,insomma,in armonia sè con se stesso, riducendo tutta la filosofiaall'arte, cui natura più lo traeva. Se nonsivogliadire arte,dicasi storia; maillavoro mentale di B. non mira al di là della rappresentazione individuale delconcreto.E questa è la sua filosofia; la quale ha inteso a unireilpiùpossibileegli dice l'arte alla scienza » e provarsi a ritrovare sui modellivivi,che danno la storia, le biografie intime e l'osservazione delle cosesociali,quanti più poteva dei tratti veri,parlanti di quell'anima umana, che lascienza delle scuole e delle accademie ci ha per troppo tempo fatta conoscere soloin copie vaghe,generiche,lavorate di fantasia e di maniera. Da Agostino alLazzaretti, dalla psicologia delle tentazioni a quella del pessimismofilosofico, dal Taine al Nietzsche, dallo spi rito paganeggiante delrinascimento alla tempra morale della deca denza, alla religiosità dei nostriuomini del risorgimento, al river bero della nostra anima nazionale nellaletteratura, B. dall'8o in circa ad oggi si può dire che abbia raccolto tuttele forze della sua mente intorno a particolari problemi storici di psicologia,cercando così attraverso i procedimenti intuitivi dell'arte quella ve rità allacui visione non s'era potuto elevare col metodo razionale del pensierospeculativo:spargendo, in verità,gran copia di osser vazioni fini ed acuteprincipalmente sulla storia dellaforma mentis, com'egli ama dire, del popoloitaliano. Se incotestaarte, peraltro,egli sia riuscito di solito atoccare il segno,non è il luogo questo di ricercare: se dovessi esprimere ilmio giudizio, direi che per sif fatte indagini di storia psicologica a B.manca,per otte nere la rappresentazione piena e viva dell'anima umana,ciò cheforma davvero lo storico e l'artista: lo sguardo diretto all'intimo dellaindividualità; la quale non si potrà mai ricostruire,se non s'affisa prima ditutto il centro vitale del suo organismo; laddove B. gira troppo conconsiderazioni e divagazioni generali intorno ai personaggi e agli stati moralipresi a studiare. E gli manca altresì, per lo più, quella piena e direttaconoscenza dei particolari, in mezzo ai quali soltanto è dato d'imbattersinegl'individui vivi, in quelle anime vere, che il Barzellotti è andatocercando.Santi. Di questa sua veduta estetizzante dello spirito umanobisogna ricordarsi per intendere nel loro genuino significato i motivi della comunicazionefatta dal B. intorno al metodo storico nella trattazione della storia dellafilosofia al congresso romano di scienze storiche: contro la quale insorse ilvecchio Lasson innome della universalità della ragione e della scienza. PelB. la filosofia dev'essere rappresentata dallo storico come la filo sofia diuna nazione o di un'altra, quale in una certa epoca essa si costituisce instretta attinenza con tutte le condizioni della cultura circostante, e sullabase degli abiti e delle forme di mente individuali del filosofoo prevalentinel tempo dilui. E certo una storia per ogni parte compiuta della filosofia nonpuò non tener conto ditutta cotesta condizionalità dei sistemi filosofici; maad un patto: che si rammenti non essere la condizionalità, nè qui nè altrove,la realtà condizionata;e quando tutta la cultura contemporanea che agi sullospirito di Kant sia nota,e tutta spiegata la psicologia per sonale di questopensatore e del suo secolo,restare tuttavia da in tendere tutta la suafilosofia, in quel che ha di veramente filosofico, ossia di valore universaleed eterno. Qui la verità affermata dal Lasson,edal B. disconosciuta, per quelsuo occhio, fatto per vedere il particolare,cieco all'universale. E poichèl'universale è l'intimità vera delle menti speculative,anche qui ei confermailsuo difetto di attitudine vera a penetrare nell'intimo degli spiriti. Egli vedei pensatori, e non vede il pensiero; e però non vede n è anche veramenteipensatori. Ne son prova isuoi molteplici saggi sulloSchopenhauer esul Kant.Ma B. è stato forse letto invano per la cultura intellettuale emorale italiana? Io non credo. Non è stato un filosofo, e neanche un artistariuscito. Ma è pure stato un nobile scrittore, che ha agitato molte menti emolti cuori intorno a questioni morali e religiose troppo trascuratetra noi; èstato un lucido specchio di molta parte della cultura filosofica stranieracontemporanea; edè stato un forbito scrittore, imitabile esempio aipedanteschi filosofanti italiani degli ultimi tempi. Di alcuni criteridirettivi dell'odierno concetto della storia, che restano tuttora da applicarepienamente e rigorosamente alla storia della filosofia, massime di quel periodoche va dal Rinascimento a Kant, negl’Atti del Congr. intern. disc. stor. (Roma).Frai più malagevoli ufficj della critica istorica è per certo il determinare comee quanto contribuisca l'ingegno di ciascun popolo alla sua grandezzaintellettuale e civile, di quanto egli sia debitore alle tradizioni dei suoimaggiori, o alla civiltà delle nazioni contemporanee; questione ardua, e piùche alla storia appartenente alla filosofia, perchè risguarda una legge intimaed arcana della natura, onde nell'armonia delle facoltà umane s'avvicendal'operare e il patire, il conservare e il produrre, la reverenza alletradizioni e la libertà dell'ingegno inventivo. Alla difficoltà d’un taleesame, la quale cresce a misura che ci avanziamo verso i tempi più antichi,incui fanno difetto i documenti e le notizie necessarie ad illustrarne la storia,sono dovuti i giudizj severi di molti critici in torno alle lettere e allafilosofia de’ romani -- giudizj che introdotti da un pezzo nelle scuole, eavvalorati dal quasi comune consentimento, negano del tutto o quasi del tuttoindole nuova ed originale alle manifestazioni dell'INGEGNO LATINO. Gl’argomentiche si allegano per sostenere tali sentenze io mi dispenserò dal recarli, eperchè assai noti nella storia delle lettere e della filosofia, e perchè tutti [Questaultima affermazione tanto più è conforme alla storia, in quanto, sebbene lamaggior parte dei critici odierni ricusi da un pezzo nome autorità di filosofoal senatore romano, è per altro consentito da tutti che i suoi scrittifilosofici si conservarono chiari per benefica efficacia lungo tutta ladecadenza delle lettere e delle scienze latine, e per avere mantenuto etrasmesso nei principii dell'Era cristiana, e giù pel Medio Evo le dottrinedella filosofia greca alle scuole de'Padri e de'Dottori] concordi nel sostenereche ai Romani, poco atti sin da principio per naturale tempra d'ingegno, e di stoltiper lunga età dalle intestine discordie, dalla brama del dominare edall'esercizio delle armi, e finalmente abbagliati dallo splendore dellaciviltà greca, manca una libera disposizione a ritrarre e a creare il vero edil bello negl’esercizj della scienza e dell'arte. Degerando, Brucker,Tennemann, Ritter, Kuehner ed altri. Ai quali argomenti quando per sè nonrispondesse abbastanza la ragione istorica, la quale vieta potersi sempre dedurreda ciò, che un popolo fa in certe condizioni di tempi e di civiltà, quello chein altre condizioni avrebbe potuto e saputo fare. Se non mostrasse il contrariola scuola dei giureconsulti, che dalla coscienza del genere umano e dalle formelogiche greche compose con tradizione costante quella scienza del giuscostitutrice delle nazioni europee, se l’ “Eneide” emula all'Iliade, LUCREZIOmaggiore d'Esiodo, la Commedia di Plauto, le storie di Livio, di Sallustio, diTacito, la satira togata di Giovenale e di Persio, l'elegie di Catullo nonindicassero assai che il genio latino, libero nella imitazione, sa aggiungereall'ideale del vero e del bello un che d'universale e di solenne, un certosenso pratico e positivo, e un'intima rivelazione degl’umani affetti, ignotafin allora ai gentili e resa più perfetta dal cristianesimo, io mi restringereialle sole opere filosofiche di CICERONE (si veda), che sono, parmi, una fra leprove maggiori del come la scienza dei nostri padri, modestamente operosa,recasse la sua parte alla civiltà universale. e all'età del Rinnovamento.Ritter, Hist. de la Phil. ancienne, Paris, Ladrange. Kuehner, CICERONE, In phil.E jusq. Partes merita. Hamburgi. La storia della filosofia ci mostra di fattoche CICERONE fu a’ padri latini molto in pregio, e segnatamente a Lattanzio chelo chiama eccellente, e lo cita nel de Opificio hominis, e nelle Institutionesdivinæ più volte; poi a Agostino che ri conosce dall' “Ortensio” lapreparazione al cristianesimo, e in più luoghi della Città di Dio,e altrove locita o ne tira le dottrine; altresì a san Girolamo che tanto l'amò da riferirein una sua epistola il sì famoso castigo avu tone divinamente, poichè, megliodi cristiano, meritava chiamarsi “ciceroniano.” Fra iDottori più principali ènoto come BOEZIO togliesse da CICERONEil pensiero sulle consolazioni perenni della filosofia, e apparisce lo studioche di questo egli fa sì da'pensieri e sì dallo stile; come AQUINO ne arrechil'autorità in più luoghi della sua Somma, come ALIGHIERI lo meditasse. Più tardiErasmo esalta CICERONE con lodi famose. Dopo, l’autore della “Scienza nuova”attinge in parte dal libro “De Legibus” la filosofia d’un gius ideale eternocelebrato nella città dell'universo col disegno della provvidenza. Ad una famasì lunga e sì costante, e che per certo dove avere una causa non soltanto, comesi afferma generalmente, in quella forma popolare e spontanea, onde le dottrinedel filosofo latino si porge all'educazione morale e civile, ma nell'intrinsecoloro valore speculativo, non disconosciuto nè anche oggi da uomini egregj(Forsyth, Life of CICERONE, London), contrastano singolarmente i giudizj dialcuni critici. La opinion e espressa da tali giudizj, a volerla riassumere inbreve, è la seguente. CICERONE, ingegno universale, acutissimo e disposto aicombattimenti dell'eloquenza, più che alle severe indagini speculative, pensa ecompì negli anni del suo ritiro dalla pubblica vita un compendiolargo,chiaro, eloquente della filosofia in servigio dei suoi connazionalidi giuni sino a quel tempo di tali studj, o costretti ad attingerli da fonti esoteriche.Da questa pretesa insufficienza dell'ingegno speculativo di Tullio, dal finepratico e letterario ch'e'sipropose, e dal difetto di studj preparatorj laCritica deduce la natura delle sue dottrine; le quali, benchè guidate sempre dacriterio sano, e da una retta applicazione del senso comune, non vanno troppoaddentro nei fondamenti della scienza, affermano per lo più senza esame maturo,nè costituiscono, come le dottrine dei migliori filosofi, un largo e benarchitettato disegno di scienza. Brucker, Hist. Crit. Phil., Tennemann, G. Bernhardy,Grundriss der Römischen Litteratur. Braunsweig.Facendoci a cercare l'origine di tali giudizj abbastanza severi, parmi se nepotrebbe addurre innanzi tutto una causa assai remota, ma in parte relativa al modoben differente, con cui gl’antichi e i moderni giudicano il valore di certiuomini e di certi principj. Tale è la ri forma cominciata in Italia col BRUNOcol Cartesio in Francia, e in Inghilterra con Bacone, che spezzando ogniautorità del passato, e quanto sino allora un'eccessiva venerazione avea recatoa fastidio, proclamò l'assoluta libertà della riflessione filosofica,l'assoluta novità dei sistemi. Come s'intendessero quella libertà, e quellanovità; e quali resultati ne seguitassero alle lettere, alle scienze, allearti, al vivere privato e civile, come se ne avvantaggiasse o ne patisse la moralee la religione, la scuola, la famiglia e lo stato romano, non è qui luogo amostrarlo, e le son cose oggimai troppo note. Nè io voglio negare i benefizjinnegabili della riforma,e soprattutto di quella introdotta nelle scienzesperimentali da GALILEI e Bacone; chè, se la riflessione libera ed esercitatadesunse mirabili frutti di dottrina da ogni campo dell'umano sapere, e se neavvantaggiò la scienza dell'uomo, ne crebbero l'erudizione, la filosofia, lediscipline morali e civili; perfeziona i suoi metodi la medicina, si levògigante la chimica, la geologia sfogliando il libro della natura vilesse leetà del mondo. Se tanti incrementi ne provennero alle industrie e allemanifatture, onde il viaggiatore trascorre paesi e province con velocità piùche umana, e in mend’un baleno il salutori congiunge gl’amici, benchè separatidalla immensità del l'oceano, di tutto ciò alla riforma della filosofia èdebitrice l'Europa. Ma le è pur debitrice di quella inquieta brama del saperespeculativo, onde si successero sistemi a sistemi del tutto nuovi sui piùimpenetrabili misteri della conoscenza umana, e quel nuovo si cerca da moltinell'inusitato e nello strano più che nel vero; così co minciata in Italia lalicenza della riflessione esaminatrice sui fondamenti della filosofia, ecco ilpanteismo superbo di BRUNO e CAMPANELLA. Poi, scontenti del panteismo, cidiedero dottrine dualistiche il Malebranche e il Guelinx, l'idealismo e ilsensismo ci vennero dal Berckeley e dal Locke, lo scetticismo dal Bayle e dall’Hume; più tardi le sconfinate immaginazioni degl’alemanni,e un ridurre Dio el'universo all'uomo, dall'uomo al pensiero, dal pensiero all'idea, dall'ideanovamente alla materia, ed ultima conseguenza di tutto uno scetticismo piùsconsolato, un correre con tinuo a una felicità e a una beatitudine ignotasenza raggiungerla mai;ecco i resultati dell'aver voluto tutto inno vare! Postain tal guisa la filosofia su questo cammino delle restaurazioni assolute, edetto una volta che la scienza dee rifar la natura (non,come è chiaro,dovereanzila scienza presuppor la natura tal quale essa è, con tutti i suoi dati, contutte le sue relazioni, dover verificarla, non annientarla), l'indirizzo introdottonell'esercizio del pensiero filosofico da quella folla di sistemi eccessivamente inquisitivi, doveva esser tale,che quando poi, soffermata un istante lafoga delle invenzioni, il pensiero istesso si sarebbe rivolto sopra i suoipassi, e ne sarebbe nata compiuta e perfetta la storia della filosofia, quellastoria ritenesse come presupposto del suo metodo, che unico,o quasi unicocriterio per giudicare della eccellenza di un filosofo e della sua filosofia,fosse l'assoluta indipendenza del pensiero esaminatore dallo stato dellanaturale certezza, fosse in una parola la compiuta novità del sistema. A questocriterio, desunto dallo scetticismo e padre di parziali opinioni, furonoconformati più o meno quei metodi falsi e incompiuti che si seguirono da oltremezzo secolo in qua nello scrivere storie della filosofia, onde ne derivò inFrancia e nella Germania una folla di libri, come ad esempio la storiacomparata dei sistemi di Degerando,e la storia di Tennemann, dove si giudi canole varie filosofie alla stregua del problema sull'origine dell'umaneconoscenze, e dall'avvicinarsi che esse faccian più o meno alle dottrine delcriticismo di Kant; e un tal criterio ci spiega come più tardi negli storicipiù temperati e meno imparziali, segnatamente alemanni, e nei filosofi dellealtre nazioni, immuni dal criticismo, continuasse ereditato dalla riformaquesto soverchio studio dei sistemi inventati, esclusivi, che ricusano dallanatura qualunque presupposto sull'efficacia delle potenze conosci tive, e se neavvalorasse l'opinione levata a cielo ne’diarj e ne’libri di filosofia, sullacosì detta individualità d'ogni sistema,e incomunicabilità delle dottrinespeculative. Considerate le quali cose,non dovrebbe far maraviglia se queltempo che corse tra lo scorcio del secolo decimosesto e i principj deldecimosettimo,quando Italia e Francia, stanche dell'autorità abusata dagliscolastici, volevano innovare tutta quanta la scienza (e fu allora appunto,comenota Brucker, che si tentarono i primi lavori speciali sulle dottrine dei romanie di CICERONE),se quel tempo, dico, non era troppo opportuno a giudicareimparzialmente una filosofia studiosa delle più antiche e venerate tradizioni. Enel vero anche più tardi in tutto il secolo XVII, se n'eccettui coloro che rifiutaronoi dubbj del Cartesio, ma tennero il suo metodo d'esaminare la coscienza, qualiBossuet, Fénelon e i più segnalati di Porto Reale, agli altri che s'appreseroai dubbj, e venner giù giù negando i pregj dell'antichità, nemici d'ognitradizione, non poteva andare a genio davvero quella riflessione modesta etranquillamente efficace che il grande oratore avea recato sulle verità eternedella coscienza, desumendone le armonie universali delle dottrine temperate dalsenno e dalla moderazione latina. (Vedi l'opinione che ebbero di Tullio POMPONACCIOPOMPONAZZI e CAMPANELLA, citati dal Brucker. Ma d'altra parte, se per ispiegarequesta opinione si nistra invalsa in Europa contro la letteratura e lafilosofia d'un popolo, che fu per eccellenza il popolo delle tradizioni, giovariportarci alle sorgenti diquella critica, ec cessivamente nemica al passato,questi giudizj poco reve renti che oggi si ripetono dai più, apparvero solonella storia della filosofia nata ne'principj del secolo passato in Germania edin Francia.Tra I francesi, per tacere dei più antichi, Degerando vi spende uncapitolo nella sua Storia comparata dei Sistemi, dove enumerati prima gliostacoli che impedirono ai Romani un proprio esercizio dell'indaginespeculativa,nota opportunamente non essere stata abbastanza osservata dałcomune degli storici la grande efficacia che ebbe l'ingegno latino sulla filosofiatrapiantata, ond'essa assunse colore ed indole più positiva, e dalle soverchieastrazioni si ricondusse al reale. Passa poi ad esaminare gli scritti diCicerone nel quale rinviene le note distintive d'ogni altro filosofo romano,cioè una scienza desunta dalle greche tradizioni e composta con metodoecclettico dalle scuole differenti, una scienza accessibile ad ogniintelligenza educata, e confa cente a spirar vita nell'eloquenza, ne'costumi,nell'arte politica; scienza supremamente pratica e applicabile agli individui eagli stati. Histoire comparéedes systèmes de philosophie considérés relativement aux principes desconnaissances humaines, par Degerando. Giudizjassai meno temperati comparvero in Alemagna, dove fiorendo mirabilmente lediscipline filosofiche e istoriche, e pubblicandosi tuttodì lavori speciali cheillustrano con somma accuratezza ogni parte delle lettere antiche, prevalseperò più che altrove la severità della Critica, che negava ogni nota originalealle lettere e alle scienze C Tra i critici alemanni vainnanzi agli altri in ordine di tempo e di autorità Giacomo Brucker verofondatore della storia della filosofia. Ma considerando però il capitolo doveegli parla della filosofia de'romani e di CICERONE, ti accorgi tosto chequell'uomo dottissimo moveva egli pure dal presupposto non esservi stata inRoma che una semplice continuazione delle scuole greche; e secondo le variespecie di queste scuole divide lo storico il suo trattato intorno alle dottrineromane annoverando CICERONE tra iseguaci della Nuova Accademia; quantunqueconfessi poco appresso ch'ei non seguì alcuna forma particolare di setta, mainclina a quel Sincretismo istituitoda Antioco. Veramente Brucker nel proporsiil quesito,perchè mai i romani e CICERONE non crearono una filosofia propria, nonne accusa, come oggi Forsyth, la infelice disposizione dell'ingegno latino -- theunmetaphysical character of the Roman intellect. Life of Cicero. Ma quanto aiRomani in generale ei ne trova la causa nelle occupazioni della vita civile, enella setta Accademica, che criticando e sindacando tutti isistemi, svogliavagl'intelletti da nuove speculazioni; e quanto a CICERONE, nella natura del suoingegno, più immaginoso assai che penetrativo, ond'egli (dice lo storico)prefere il probabile all'esame profondo del certo, e delle dottrine rappresentanelle sue opere la parte viva e oratoria più che il severo ordine dei giudicj edelle deduzioni,e la generale armonia del sistema. Brucker, Hist. Crit. Phil. Algiudizio dato da Brucker si avvicina in gran parte quello di Tennemann,e nelleloro opinioni v'ha molto di vero e di certo, oltre la solita accuratezza nellaesposi 8 latine, appoggiandosi ben di frequente a così deboli prove da farcredere quasi che la movesse un'infelice gelosia di nazione. Ora da qualcheanno in Inghilterra e nella stessa Germania si torna con più studio al passato,e molte parzialità si correggono; ed io sono certo che ri composta in pacel'Europa, ilprimo debito di giustizia alle memorie latine lo pagheranno gliscrittori di quelle grandi e generose nazioni. zione dei fatti;ma per quantapossa essere la reverenza dovuta ai due storici insigni della filosofia, comenon accorgersi che il loro esame,informato da un criterio an ticipato eparziale, riesce insufficiente a cogliere il vero significato d'una dottrina,come quella di CICERONE, la cui nota essenziale consiste nel rifiuto d'ogniopinione di setta, e in un principio universale, che supera ogni si stema? Mase tanto può dirsi a buon dritto del Brucker e del Tennemann, merita piùspeciale considerazione l'esame assai temperato,e per certo ingegnoso,che fecedegli scritti filosofici di Tullio, Ritter nella sua storia della Filosofiaantica. Le indagini dotte e meditate di Ritter movendo dai tempi antistoricidella Filosofia,e procedendo lungo i tempi della civiltà indiana, ionica edelle colonie italo greche fino all'origine delle scuole socratiche, da questeal loro declinare e disperdersi in una confusione di sistemi sparpagliati esofistici, giungono a quello ch'ei chiama terzo periodo dell'antica filosofia,all'età che intercede tra ilcadere delle repubbliche greche sotto la romana, larovina di quest'ultima, e il sorgere del Cristianesimo. Due cause potenti egliallega del nuovo indirizzo preso in quella età dalla filosofia greco-romana,ele ritrova nella storia delle due nazioni, che allora si ricambiavano unavicendevole efficacia nelle lettere, e nelle scienze, e nel vivere privato ecivile. Nei Greci, perchè la costoro scienza impoverita oramai dall'usoeccessivo della facoltà creatrice nei tempi anteriori, dallo scadimento dellali bertà e dei costumi, e costretta, per accomodarsi all'in gegno eall'educazione dei nuovi dominatori,a vestire le forme ed il metodo d'unadisciplina scolastica, non d e sunse più le sue dottrine immediatamente dallariflessione, ma ritornò agli antichi sistemi,li paragonò,li esaminò, liaccordò, desumendo da essi stessi e incompiutamente, non dalla natura intimadel pensiero, il principio del l'esame e dell'accordo. Nei Romani, perchè essinon of frirono ai Greci alcuna guarentigia di riforme scientifiche,mavissuti sino a quel tempo in mezzo ai tumulti della vita civile,e fra lostrepito delle armi,tranne una certa tendenza, che li moveva agli ordinamentigiuridici, nè la natura, nè la educazione loro si porgeva punto alle indaginidella scienza. Quindi (osserva il dotto alemanno) era ben naturale che, datequelle condizioni morali,civili e scientifiche, dall'accoppiamento dell'ingegnogreco e latino derivasse un Ecclettismo erudito; derivò infatti; e di questafilosofia, l'indole della quale è sostituire la li bertà della scelta allalibertà dell'ingegno inventivo, accomodarsi alla natura degliscrittori,abbandonato l'or dinamento scienziale non fidarsi all'esame, e seoccorre, attenersi principalmente all'autorità del consentimento comune,eitrovòla più importante manifestazione,oltrechè nel pendio generale dei tempi,nellavita,nell'animo e nelle opere di Cicerone. Ei ne considerò con raro accorgimento la vita,e vedendo come la parte ch'ei tiene nella storia dellaFilosofia, è perfettamente d'accordo con quella che occupò nella storia civiledei tempi; come furono le medesime qualità e gli stessi difetti che, se lolevarono alto nella vita pubblica e nella filosofia, non gli consen tirono peraltro di giungere al sommo e nell'una e nel l'altra, ricercò queste qualità equesti difetti nell'indole di lui, e non gli parve rinvenirvi accoppiata allavivezza dell'ingegno oratorio, al sentimento squisito del diritto, all'amoreper gli altri,e particolarmente pe'suoi,all'ope rosità indefessa,a una raraprevidenza dell'avvenire,quella sicurtà in sè stesso e quella fermezza divolere che costi tuisce il grande scrittore e l'uomo di stato. Condotto, eglidice, dall'efficacia di condizioni esteriori a filosofare, come nella suagioventù, mentre applicava la filosofia all'esercizio dell'eloquenza,egli aveafrequentato le prin cipali scuole di Grecia, così nel suo ritiro dalla pubblicavita non seguì una dottrina particolare, ma trascelse il meglio di tutte; laquale incertezza di studj, che non a p profondivano la scienza, ma laassaggiavano appena, ri sentiva della incertezza della sua condizione politica,perchè ei scrisse le sue opere principali durante gli sconvolgimenti delprimo triumvirato,la dittatura di Cesare e il consolato di Antonio,tempicalamitosi per la libertà, nei quali escluso da ogni ingerimento civile, efuggendo il cospetto degli scellerati, andava consolando la sua soli tudinecolle meditazioni della scienza. Era quindi ben naturale che il grande oratore,vissuto da lunghi anni in tanto splendore delle pubbliche faccende, non si riposasse volentieri negli ozj solitarj delle sue ville; la d e bolezza innatadell'animo suo, come gli avea impedito di rimaner fermo al governo delle cosecivili, di valersi della sua autorità per contrastare ai principj della tirannide cesarea, ora gl'impediva di darsi a tutt'uomo agli studj dellafilosofia; ed ei ne scriveva ad Attico, e all'amico dipingeva con vivi coloriquesto penoso on deggiar ch' ei faceva tra l'amore onde era tratto agli studj,e il desiderio di prender parte ai pubblici affari, tra la sfiducia sua nelleconsolazioni della scienza,e una sublime speranza che lo levava al disopradelle umane cose. Da queste intime qualità dell'indole di CICERONE deducel'istorico Alemanno la natura della sua filosofia, ch'è,secondo lui,un moderatoscetticismo,espressione fe dele di animo titubante; scetticismo moderato,perchèseb bene talvolta, oppresso dal peso delle sventure proprie e della patria, eimostri dubitare del vero eterno e della virtù, nondimeno conserva sempreintemerata la nobiltà della vita, e il desiderio di una morte gloriosa; matuttavia scetticismo, perchè riconoscendo la natura assoluta del vero, ammettesolo come verosimili le dottrine che ne d e rivano, e dubitando interroga tuttele scuole, prende ad esame tutte le opinioni greche,e accordandole insieme piùcon intendimento politico, che con vero criterio di scienza, ne vuolearricchire il patrimonio della romana letteratura. Sennonchè tra le variedottrine in cui si di videvano le scuole greche, una ve n'era che s'accordavamirabilmente agli intendimenti, e all'ecclettismo scettico abbracciato daCicerone; e questa era la dottrina della Nuova Accademia.Se Tullio infattiponeva ilfondamento della filosofia in un dubbio moderato sui principjdelleumane conoscenze, la Nuova Accademia, guidata allora da Filone, chegli era stato maestro nella sua giovi nezza, riconosceva come legittimo questodubbio, e lo temperava con la verosimiglianza; se l'oratore romano voleva chele dottrine della filosofia conferissero ad a d destrare il pensiero e laparola negli esercizj della elo quenza, nessuna scuola si porgeva meglio aquesta di sciplina della scuola dei Nuovi Accademici, che oltre all'esserestata sempre frequentata da uomini eloquentis simi, si riduceva in sostanza aun metodo disputativo; infine se egli raccoglieva le principali dottrine dellafilo sofia greca,per comporne una scienza accomodata all'in gegnoeall'educazionefilosoficadeisuoilettori,laNuova Accademia,che disputava controtutti e di tutto, che la sciava al filosofo la maggiore libertà dei proprjgiudizj, gli si porgeva opportuna a disegnare in brevi tratti ai Romani lostato della filosofia passata e contempo ranea, ad innamorarne i lettori, senzaperderli in vane e astruse dottrine, o incatenarli a un sistema. CICERONE (siveda) dunque (secondo l'opinione del Ritter) come ecclet tico dubitante,comeoratore e come espositore della filo sofia greca ai Romani, abbracciò ledottrine della Nuova Accademia; e va notato particolarmente, sì perchè questa èl'opinione più universalmente accettata intorno alla vita filosofica di Tullio,e alla parte che tengono le sue dottrine nella storia della filosofia, e perchèil comune degli storici ricollega quasi sostanzialmente a quel si stema le sueopinioni sulle parti principali in cui si divide la scienza. Così opina ancheil Ritter, e prendendo ad esame le opere tulliane, secondo la tripartizioneplato nica della filosofia più comune agli antichi (egli avverte peròche,stante l'incertezza dello scrittore e delle dottrine e la loro qualità,tutta pratica e positiva, la distinzione delle tre parti non è abbastanzaspiccata), rinviene in tutte più o meno chiaro,più o meno deciso il dubbiodella Nuova Accademia. V'ha dubbio deciso nella parte fisica, perchè iviabbondavano più che altrove le dispute e le contradizioni dei filosofanti;dispute sulla natura dellecose, dispute sull'esistenza e sulla natura diDio e sua provvidenza, sulla natura dell'anima e sua immortalità; e di tuttiquesti veri Cicerone o dubita compiutamente,o ammette solo una leggeraverosimiglianza. V'ha dubbio anche maggiore nella parte logica, anzi è questala più povera e la meno determinata di tutte le sue dottrine,e perchè ei lacollegava meno d'ogni altra agl' interessi pratici della vita,e perchè ilsensismo degli Stoici e degli Epicurei, che aveva a combattere, non potea tenerfronte agli argomenti della Nuova Accademia; finalmente v'ha dubbio manifestoanche nella morale, perchè s'ei con traddice ricisamente alla ignobiltà delledottrine epi curee, la controversia tra gli Stoici e i Peripatetici lo lasciaindeciso da un lato tra un'idea trascendente della virtù, a cui lo muove lagrandezza dell'animo romano, dall'altro la fragilità di natura; incertezza chepure lo segue nella politica, e nelle attinenze della politica colla morale.Talchè Ritter movendo dal presupposto che la filosofia di Tullio nonfosse che eloquente dell'indole particolare dello scrittore e dei tempi, negòogni certezza e ogni legame di scienza inciascunasuaparte;ogniconcatenamentologicaledelle tre parti tra loro (perchèquella logica e quella fisica non sono per lui che un'appendice della morale,considerata da Tullio com'arte pratica della vita); negò ogni unità di disegnoscientifico, perchè mancava allo scrittore l'unità del principio fondamentale,posto dalla riflessione, e a cui rispondesse l'universale armonia delsistema.Onde a rias sumere in breve ciò che rappresentino alla mente dell'istorico tedesco le dottrine tulliane,direi ch'e'le con siderava qualcosa piùe qualcosa meno d'un ecclettismo; ma una scelta a cui manca e libertà diriflessione e criterio di scienza. (Hist. de la Phil. anc.) una manifestazione [Senoi ci siamo alquanto trattenuti nell'esporre le opinioni di Degerando, Bruckere Ritter, è stato segnatamente per due ragioni; la prima perchè poteva recarenon piccola luce intorno ad una questione che abbiam preso adesaminare,e su cui sono infinite le dispute dei critici e de'filosofi, ilgiudizio degli storici migliori che vanti la nostra scienza; e in secondo luogoaffinchè i pochi cenni, che ne abbiamo dato,muovano gli studiosi a ricercarecon maggior diligenza le variazioni e iprogressi, che ha fatti sino a noi lacritica sulle dottrine filosofiche di Cicerone. Questa critica non pareimmeritevole di qualche considerazione, perchè rappresenta quasi in sè stessaquel moto graduale dell'esame, e quel lento chiarirsi de' principj supremi, chegovernano i fatti, o n d e si generava in Europa la storia della filosofia. Iprimi tra questi storici,come Stanley e De Burigny, che nuovi del cammino, espaventati dalla grandezza dell'impresa, fecero lavori imperfetti e megliotentativi di storie, che storie vere, o tacquero affatto, o poco parlarono diCicerone che nella modestia delle proprie opinioni (magnus opinator) non avevadato un sistema. Negli storici se guenti, che abbiamo citato, e segnatamentenel Brucker quella critica comincia a chiarirsi;vi si medita con più ampioconcetto la parte che ebbero i Romani nell'adu nare le greche dottrine, nelfarle proprie, e trasmetterle a noi;Cicerone v'è considerato,non già come unfiloso fastro qualelochiamò ilPomponaccio,ma comeunvasto e ben disciplinatointelletto,che,scorrendo ilcampo della filosofia greca, ne chiamava a rassegnaad uno ad uno i sistemi. E contuttociò quella critica era ancora ben lon tanada un esame profondo e spassionato delle dottrine tulliane; dovevansi emendaremolte inesattezze, tor via molte preoccupazioni (qual era,per esempio,quellache faceva di Cicerone un perfetto seguace della Nuova Accademia, e unecclettico dubitante), e, quel che soprattutto importava,trattandosi di M.Tullio,che tanto ritrasse da Socrate e nel metodo e ne'principj,convenivacercare per entro alle sue dottrine l'immagine della vita e del carat teredello scrittore. Tale intendimento apparisce in alcune memorie del sig.Gautierde Sibertche hanno per titolo,Examen de la philosophie de Cicéron, letteall'Accademia francesedelle Iscrizioni e Belle Lettere, nella secondametà del secolo scorso; dove si esamina accuratamente la parte oggettiva delledottrine tulliane, si dimostra il vincolo di sistema che le congiunge, e sidifende dalle accuse di scetticismo la fama del grande Oratore. Lavoro meritevole di molta considerazione per sanità e profondità di giudizj, se a questanon nocesse talvolta l'aver guardato più alla materia delle dottrine che allaloro forma scien tifica, e considerato Cicerone come filosofo compiuto edommatico in ogni parte,anzichè avvolto di continuo nelle dispute degli oppostisistemi.(Mémoir. de l'Acad. des Inscript. et Bell. Lett.) A questi difettisembra (come vedemmo) riparare in gran parte l'esame del Ritter, che sebbeneritenga molto delle sue opinioni private e di quelle della filosofia che lungotempo ha dominato in Germania, nondimeno rias sume in breve quanto di menoinverosimile può dirsi sul preteso ecclettismo ciceroniano. E dirò anche di più,che l'esame del Ritter, fondato com'è in una conoscenza profonda delle opere diCicerone, contiene innegabili verità, qual è quella,per es.,che nellosvolgimento delle dottrine del grande Oratore esercitasse una singolareefficacia i suoi tempi, la sua nazione, la sua indole propria; che specialequalità di questa indole fosse sovente un ondeggiare fra la fiducia e ladispera zione del vero e del bene eterno,e che a queste dubbiezze contrastasseefficacemente il senno pratico della natura romana. Ma d'altra parte noi siamoben lungi dal credere che il dotto Tedesco,e quanti innanzi e dopo ne tennerole opinioni, abbiano considerato nel suo vero aspetto l'indole delle dottrinetulliane; chè, se non può negarsi da un lato esservi in esse un che di necessariamentere lativo alle condizioni dei tempi e alla natura dello scrit tore, e quindimutabile, non necessario e contraddicente alla natura assoluta e apoditticadella scienza,non è men vero dall'altro ch'ei pur rinvenne nell'intimo delledot trine contemporanee, e nello studio profondo dei veri eterni specchiati insè stesso e negli altriuomini,un criterio certo, universale, infallibile dacostituirvi la scienza. V’ha dunque nella filosofia di Cicerone questo che dioggettivo e di soggettivo, di relativo e di assoluto, di mutabile e dinecessario; m a l'una e l'altra qualità si ricollegano insieme per nodi diuniversale armonia; armonia di relazioni tra l'uomo di un tempo e l'uomo ditutti i tempi,tra il romano e l'abitatore di tutta la terra, tra Ciceroneoratore e politico e Cicerone filosofo; armonia esterna e oggettiva a cuirisponde quell'altra interiore, attestataci dalla coscienza, tra il pensiero el'affetto, tra la volontà e la ragione,tra l'intelletto e le verità immortali.E certo a queste considerazioni, disco nosciute dal Ritter e dagli altricritici Alemanni, badò Kuehner,autore sin qui del più compiuto esame delledottrine di Cicerone ch'io mi conosca,edito in Amburgo quando rispondendo alquesito pro posto da uomini dottissimi; se Cicerone meritasse o no il nome el'autorità di filosofo,pensava che algrande Ora tore s'appartiene giustamentequel titolo per l'ampiezza dell'ingegno,la vasta cognizione delle dottrinecontem poranee, l'uso ch'egli ne fece volgendole in latino a cul tura eammaestramento dei suoi concittadini, e infine per la facoltà unica in lui,ond'egli seppe abbracciare tanta mole di scienza, fissare l'indagine dellariflessione sulle verità principali, e comparando tra loro le varie dottrine,ricomporle coll'efficacia del proprio giudizio in unità di sistema.(M.T. Cic.inphil.ejusq:partes merita, Auc.R. Kuehner.Hambur. Pars altera.Cap.VI; UtrumCic.philosophus judicandus sit,nec ne,anquiritur) E questi pajono anche a m e imeriti veri e innegabili del senatore romano; e nondimeno ogni qual volta iorileggo quelle sue opere, nelle quali spira tanta univer salità di pensieri ed'affetti, universalità veramente latina, incui ilvero è sìprofondamenteimmedesimato col buono, e tutta s'accoglie la sapienza delle scuole socratiche,mi pare che la critica delle sue dottrine possa ricevere a n cora notevoliperfezionamenti, sempre che col chiarirsiPosto ciò, non sarà difficile,parmi, determinare con sufficiente chiarezza in quali confini si contenessel'effi cacia che l'ingegno di Cicerone ebbe nella riforma della filosofiaquand'essa fu trasferita di Grecia in Roma, e in quali vicendevoli attinenzestiano tra loro quanto di già meditato e discusso gli venne dalle scuoled'oltremare, e quanto vi seppe recare egli stesso rivolgendo il pensiero suifondamenti della scienza, questione che (conforme a quanto è detto più sopra)noi ci siam proposti di chia rire nel presente discorso, fermandoci a tre puntisegna tamente:cioè,qual era la condizione della filosofia greco romana ai tempidi Cicerone, e con qual metodo egli esaminasse e combattesse le dottrine delleprincipali scuole tentando di conciliarle; finalmente qual filosofia derivassedalla deliberata opposizione e dal metodo compositivo del l'Oratorelatino. successivo di quella legge,che regola la filosofia nel tempo, sene va perfezionando la storia. Ora quella legge può solo spiegare, a mioavviso,l'ufficio della filosofia de’Giureconsulti e di Cicerone, e dall'ufficiodesumerne la na tura e i principj. Può spiegarne l'ufficio, già manifesto econsiderato da molti rispetto alla Giurisprudenza e agli ordini militari epolitici, alla Religione e all'Architettura, che è di comprendere in sè ilbuono degli altri popoli, tentando ridurlo a nuovi ordinamenti di scienza; puòspiegarne la natura, che è appunto quella comprensione universale, tantodiversa dall'ecclettismo, che procede per accozzamento disordinato deisistemi,anzichè ricomporre le intime relazioni delle verità naturali suldisegno della coscienza; finalmentepuòspiegarneil principio,cheèl'esa medell'uomo interiore, contrapposto sull'esempiodi Socrate al dubbio, o all'esamearbitrario e imperfetto dei sistemi contemporanei; tre punti importantissimi, amio parere, e che, ben meditati, danno luogo a chiarire i principali problemiesaminati sin qui dalla critica sulle dottrinedel sommo Oratore. Gli storicipiù reputati della filosofia si accordano tutti in mostrarci un manifestoscadimento delle dottrine greche,il quale apparve dopo il fiorire dell'anticaAcca demia e del Peripato, e crebbe fino ai tempi di Tullio,accompagnandosi,come suole avvenire il più delle volte, colle vicende degliordini privati e politici. I quali sin dalla prima metà del secolo V avantil'èra volgare venuti a mirabile altezza d'incivilimento, e generatori in pochianni di tanti miracoli di virtù e di dottrina, quanti presso altre nazioni puòappena rammentarne la storia di molti secoli,mancata la virtù che liavevanutriti,prima ancora d'invecchiare, si corruppero e precipitarono, rappresentando in sè stessi un'immagine stupenda, abbenchè fug gitiva, della vitadell'uomo. E invero la gioventù della Grecia fu tutta in quei memorabili annine'quali i suoi figli per ben due volte ricacciarono in Asia gl'invasoriPersiani, in quei combattimenti ne'quali la sua m a rina doventò signora delMediterraneo, ne crebbero i suoi commerci e le sue industrie, ne trasseroargomento a sublimi ispirazioni i poeti e gli artisti; così da quel primoincitamento si propagò in tutte le repubbliche greche,e segnatamente in Atene,un moto fecondo d'opere, d'istituti,di dottrine,d'eleganti costumi,che nutrivain sè nella crescente corruzione del Gentilesimo germi dirinnovamento,fecondati più tardi dalla riforma di Socrate e dalla filosofia diPlatone, nelle dottrine de'quali tu vedi scolpita quella vita operosa delpensiero e de'co stumi popolareschi, quel conversare continuo, quelle di sputein piazza e per via, quella reverenza delle tradizioni sacre,quel sentimentoprofondo del divino e dell'immor tale che accompagnava la giovinezza del popologreco. Ma passata appena una generazione dal fondatore del l'antica Accademia,le conseguenze della malaugurata guerra del Peloponneso si facevano sentire, l'abusoscon II.umana sigliato delle libertà cittadine recava frutti diservitù, e la Macedonia invadeva. Chè se quella può dirsi con qual che ragionel'età virile del popolo greco, nella quale raf forzatosi di potenti ordinimilitari e principeschi sotto il regno di Filippo, portò guerra con Alessandronel cuore dell'Asia,vendicandoiTrecento delleTermopili,èquesta una virilità chegiàdeclina a vecchiezza;e n'è indiziola filosofia d'Aristotele,superiore aPlatone nel severo or dinamento scienziale, e nell'indirizzo fecondo dato allariflessione sul reale e alle scienze d’esperimento,ma su perato da lui nellasublimità della dialettica, nella vi vezza delle tradizioni sacre, e nellaidealità del sistema. M a ormai la discesa dei tempi non si poteva più trattenere; e la Grecia passata dal dominio degli Spartani a quello de Macedoni, daiMacedoni, morto Alessandro e diviso il regno nei successori, sotto un tritumedi piccole tirannidi, non ebbe nè anche, come più tardi avrebbe avutol'Italia,un legame di alleanza poli. tica fra i suoi stati tanto da conservareun'effigie qua lunque d'unità nazionale,e mancò,come l'Italia,di quellaefficacia di salde istituzioni che una monarchia prudente suole introdurre neipopoli guasti da libertà licenziosa. Non è quindi a maravigliare se quellastessa Atene, che avea veduto un Pericle non attentarsi a spogliare delleapparenze civili l'autorità quasi regia consentitagli dai cittadini, pativa piùtardi la signoria d’un Demetrio di Falera,e quel popolo istesso,che avea punitodi morte Socrate accusato d'irreligione, salutava col nome d’iddio un DemetrioPoliorcete, e lui pro fanatore d'ogni cosa e divina accoglieva nei sacripenetrali del Partenone. Sono questi i segni più indubitati della vecchiaiad'un popolo, e quel lento e continuo scadere dell'ingegno e della vita delpopolo, oltrechè negli ordini politici, appariva in ogni altra parte della suaciviltà. Scadevano sempre più gli ordini materiali, perchè a quel primo moto dicommercj e d’in dustrie,nutrito dalle libere istituzioni,era succeduto quelsolito languore, quel ristagno d'operosità, che è conse guenzanecessaria (e noi lo sappiamo) delle arti dei go verni assoluti;e la signoriade'mari, ristretta per l'in nanzi agli stati del continente e dell'Arcipelagogreco,si allargava ora ai Fenicj, agli Asiatici, agl’Italioti.Si cor rompevanoi costumi, e la corruzione tanto più rapida procedeva, quanto più nel crescenteoscurarsi delle anti che tradizioni si sentivano funesti gli effetti delle credenze gentili; e quella vita di raffinata eleganza non più temperata dal moto edalla severità dell'educazione re pubblicana, si affogava ne'diletti del senso;e al senso, non più al pensiero, servivano le arti del bello divenuteadulazione di tiranni e di meretrici; infine di tutto ciò come causa ed effettorisentivasi la filosofia, di rado a v versando, più spesso secondando il pendiodella corrut tela universale. E noi, lasciato da parte lo scetticismo, che feceun breve e inopportuno tentativo in Pirrone,di remo più specialmente deiprincipali sistemi fioriti in questa età, e che spiegarono maggiore e piùdiretta effi cacia sulla filosofia latina. Onde mossero dunque questi sistemi?Ritenendo essi qual più qual meno, sebbene con notevoli alterazioni, il metodoe il fondamento delle dottrine socratiche, co minciarono da un ritorno aisistemi che avean posto fine all'età antecedente della filosofia italogreca,ritorno evi dentissimo negli Stoici, e che ci spiega com’essi, mentrederivarono da Socrate la loro morale,e ne ritennero in parte il dualismo,retrocedettero in fisica al panteismo degl'Ionj, e come contrastando allelusinghe dei tempi coll'idea sublime del bene, li secondarono poi brutta mentedesumendo la causa e la ragione suprema dalla materia e dal senso. E anchequesta volta la confusione del panteismo nacque da un modo fantastico e altuttoar bitrario di conciliare ciò che si presenta alla ragione ed al senso,laimmobilità dell'essenza e la mobilità del fenomeno, il mutabile e l'immutabile,l'ente e il non -ente, il necessario e il contingente, il relativo e l'assoluto;e più, da un pervertimento del concetto di causa prima.Per pensare, 0, meglio,immaginarequella conciliazione, bisognava porreun unico principio, in cuiesistessero ab eterno identifi cati in stato di quiete una potenza ed un attoindeter minati ambedue, e che si determinassero poi al momento in cuil'universo dall'indeterminatezza primordiale dovea passare alla forma e agliatti successivi.Gli Stoici y'an darono alterando il concetto di causa prima.Causa, essi dissero, è ciò per cui una cosa s'effettua; ora niente pro duce uneffetto, che non sia corpo; dunque l'essenza uni versale di tutte le cose è unche di corporeo; e quindi essi partivano dal punto direttamente opposto aquello dacuierano mossi Platone e Aristotele; chè, sel’Ateniese e lo Stagiritaconcepivano la materia come negazione di essere (to un ow), e il primosegnatamente poneva l' es senza assoluta nell'incorporeo enell'intelligibile,gli Stoici invece concepirono la materia corporea come ilprimo principio e l'intima realtà delle cose tutte. Ma che cosa era questamateria? Questa materia primitiva ch'è in Platone e in Aristotele, e che piùtardi troviamo negli Scolastici, senza qualità e senza forma, sostanza oscura,infinitamente passiva e suscettibile di forme, infinitamente divisibile,è unafinzione immaginativa, è una vTÓGeols (nel doppio significato antico e moderno)collocata a capo delle cose tutte per ispiegarne in un modo qualunque la possibilità,ed eludere l'antico assioma ex nihilo nihil;ma non avvertivano que'pensatori che, se v'è un caso in cui l'as sioma abbia un vero valore, è appuntoquesto,poichè la materia pura potenza è un che vuoto,nudo ed inefficace, è ilnulla vestito dalla fantasia delle qualità del reale. Cercata la causa nel senomedesimo dell'effetto, anzi iden tificata coll'effetto, il germe del panteismodoveva svol gersi necessariamente,e sisvolse.Come?Si tornò al di namismo di unaparte degli Ionj, e poichè fondamento del dinamismo è l'ammettere che il motofenomenale delle cose si faccia per isvolgimenti di forze intrinseche ad esse,si concepì nella essenza intima dell'universo,che a somiglianza d'Eraclitodicevasi dagli Stoici essere il fuoco artificioso, rūp témuczor,un'energiaprimitiva,un che infinitamente attivo,cagione unica di tutti i fenomeni dellecose,e della loro forma determinata,perchè traendo ad atto le forze intimedella materia, ne va foggiando questo univers0 sensibile,(τον θεόν σπερματικόςλόγον όντα ToŬ zoopov. Diog.L.,VII,136,e Cic., De N. D. La falsa induzione cheper vizio d'antromorfismo finge le potenze e gli atti universali della naturaad esempio delle facoltà umane,non si arresta qui, ma informa da cima a fondola fisica degli Stoici. Essi considerando che in noi principio primo di moto ed'at tività è l'anima, chiamavano anima quella virtù infor matrice delle cosetutte, e l'universo rassomigliavano a u n grand e animale; perchè, diceno(usando un argomento di panteismo rigoroso adoperato più tardi da CAMPANELLA),se le parti del mondo sono animate,sarà animato anche il tutto, e se le varieparti del corpo sono mosse dall’anima, e l'anima è governata dalla ragione,anche i moti del mondo proverranno dall'anima universale, il cui princi patorisiede nella ragione. Quest'atto, anima e ragione dell'universo per gli Stoiciera Dio; e quindi si capisce com'essi trasportando sempre nel divino le facoltàdel l'umano, concepissero Dio da un lato come principio prov vidente eordinatore, e dall'altro come energia primitiva, come causa e unità di tuttiimoti fenomenali,e perchè,m e n tre lo simboleggiavano sotto la cieca einevitabile neces sità del destino (dep.zpuéva), che contenendo la material'agitava di causa in causa con movimento perpetuo, attribuissero a questospirito divino abitatore della materia la divinazione delle cose future.(CICERONE.,DeN. D.,De Divin., De Fato,pass.) Concependo in tal modo la materia comecontenuta e vivificata intimamente dall'unità della forza divina (unità che peril principio della filosofia s o cratica distinguevano in forze secondarie edopposte),non è maraviglia che gli Stoici, tornando anche in questa parte agliIonj,attribuissero qualità divine alle grandi potenze della natura, come agliastri,agli elementi,ai vizj, alle virtù,e segnatamente all'anima umana,e nederi vasse la loro interpretazione fisica delle mitologie. Quindi dai principjdella loro scienza naturale uscivano la logica e la psicologia.Che cosa èl'anima?Essa per gli Stoici,come tuttele altre cose,come Diostesso,ècorporea;ma come forza primitiva e principio di moto partecipanteall'atti vità universale, intimamente è divina; e la sua unione col corpo laimmaginavano come una compenetrazione, sì per il loro principio dellacompenetrazione delle so stanze, e sì per la somiglianza, che l'anima dell'uomoritiene coll'anima universale compenetrante e vivificante l'universo dellecose;e come quest'anima universale, seb bene distinta in altre forze seconde,èin sè stessa prin cipio unico de'moti e de'fenomeni delle cose, così in noitutti i fatti dell'anima riducevano all'unità del principio dominatore(nepovezov) che è fonte e causa motrice delle facoltà seconde. E qui è notevoleassai,che mentre l'in dirizzo dato all'osservazione dell'uomo interiore dallariforma di Socrate salvava gran parte della psicologia stoica dalle conseguenzematerialistiche del principio che la informava, quella loro inclinazione astudiare i soli fenomeni della materia ricomparve nella dialet tica, e neproveniva il sensismo. Movevano anche que sta volta da un cattivo concetto dipotenza e di causa. E valga il vero. A quel modo stesso che in fisica aveanopensato la prima potenza e la comune possibi lità delle cose come un che vuotoe privo naturalmente d'entità e d'efficacia, così immaginarono nell'anima lapossibilità del conoscimento come una potenza nuda, inefficace e priva dicontenuto, simile, dicevano, ad una pergamena senza caratteri (ώσπερ χαρτίoνάνεργον εις c.Troypapiv ), dove, svegliatosi l'atto dell'anima (come l'attoprimitivo di Giove nella materia) all'occasione delle sensazioni, imprime lerappresentanze o le pav Tuoive delle cose. Che cosa poi fossero queste fantasieè facile a immaginarlo, e ce lo dice anche il nome. Nel quale comprendevano gliStoici la totalità dei fatti interiori presenti alla coscienza ed originatitutti dai sensi, nè potevano dare al conoscimento altra qualità in fuori dallasensibile, e perchè l'anima umana,come parte delDio animantelecosetutte,ritiene ilsuo mododi conoscere,che conforme alla sua natură è uncono scere sensitivo, e perchè essa stessa l'anima è corpo, e perchè, l'essenzauniversale di tutte le cose essendo cor porea, non si può dar conoscenza se nondi corpo. Or che ne veniva da ciò? Ne veniva che ammettendo essi da un latoogni conoscenza derivare dai sensi, dall'altro non potendo negare la naturadell'intelligibile necessaria, assoluta e profondamente opposta alla natura delsensibile, ponevano le idee come una trasformazione della sensa zione operatadall'anima, precedendo in tal modo i sen sisti francesi. M a, di grazia, sì gliuni che gli altri sfug givanoforseallanecessitàdellacontradizione? Ne rimanevauna intrinseca al loro sistema e maggiore di tutte,quella cioè di negareall'anima un primo principio, una capa cità naturale al conoscere e immaginarech'essa poi ve nutale la materia di fuori, doventi all'improvviso o p e rante edi operazioni tutte sue proprie. M a in tal modo il sensista tira più là laquestione, e non la risolve; per chè,quando eisarà pervenuto a un dato terminedellasua dimostrazione, io gli mostrerò com'ei si trovi in opposi zione direttaai principj su cui l'ha fondata. Dice:Nego nell'anima qualunque notiziaprimitiva e fontale delle idee;e aggiunge:ecco però come nell'anima stessa sigenerano quelle idee.L'oggetto esterno fa impressione sui sensi; i sensi permezzo dei nervi comunicano le i m pressioni al cervello,e l'uomo acquistal'idea dell'obbietto sentito. Ma è qui appunto dov’io prego il sensista adarrestarsi. Poichè, manifestatasi in noi la notizia, che al certo provennedall'occasione de'sensi, se la mente si volge a considerarla nella suanatura,vi riconosce bensì da un lato un referimento esterno all'obbietto ondespe rimentammo l'efficacia causale,ma d'altro lato vi scuo pre anche una piùintima e segreta relazione cogli atti dello spirito, e coi sommi principj delvero, obbietto i m mediato della potenza conoscitiva.Tale contradizione chederiva dal confondere insieme la natura del sentimento e delle cose e la naturaideale, non potranno mai fug gire i sensisti, se pure essi non vorrannoammettere la conseguenza più legittima del loro sistema,vo'dire il m aterialismo; al qual proposito bene osserva Leibniz nei Nuovi Saggi, che coloroi quali s'immaginano l'anima informa di una tavoletta,o di un pezzo di cera,incui nulla sia scritto prima della sensazione, trasferiscono in lei lecondizioni passive e inefficaci della materia. Se consideriamo adunqueattentamente il sistema de gli Stoici,esso ci si presenterà da un lato come unpan teismo, dall'altro come un dualismo. È un panteismo se guardiamo a ciò che,secondo Ritter, ne formava il domma fondamentale, all'unità primigenia e finaledelle cose tutte e al concatenamento o consenso delle parti della naturainformata dall'anima universale e divina, ond'era costituita per gli Stoici lalegge del Fato; ma è invece un dualismo,se vi meditiamo la opposizione tra Dioanima del mondo e il corpo del mondo, tra la materia e la forma, il passivo el'attivo, il più e men perfetto nelle esistenze, l'unità assoluta di Dio e ladiversità delle cose,diversità che pur dee terminare una volta rientrando nellaindifferenza primitiva di Dio. La quale opposizione, che ha reso non bendefinito il giudizio di parecchi istorici sulla qualità di questo sistema, iocredo derivasse non tanto da quella medesima incertezza tra la confusionedell'età orientale ed italo-greca e il nuovo bisogno delle distinzionidialettiche, che è pur manifesta nelle dottrine di Platone e d'Aristotile, quantodall'avere gli Stoici, più assai de'loro predecessori,esagerata l'in duzioneche dalla notizia dell'uomo litrasportava a quella dell'universo e del divino.E fu qui dove peggiorarono assai dai sistemi anteriori. Peggiorarono in fisica,perchè seb bene Platone nel Timeo dimostrasse che l'universo tutto quanto eraanimato,e Aristotile, adombrando per via contrariaildivenirehegeliano,trasformasselamateriaintutte lecose, ambeduesilevaronpiùalto, eoltrequell'universo animato e al di là di quellamateria,l'uno contemplò l'Ar tefice divino, da cui s'irraggiava nelle cose enelle anime la luce degli esemplari eterni, e l'altro intravide il fine supremodesiderato dalla universale natura; peggioraE d ecco circa in queimedesimi anni, nei quali fioriva Zenone Cizico,e spiegava le sue dottrineinfette di panteismo e di dualismo, apparire la negazione particolare deisensisti e degli idealisti con Epicuro e con Arcesilao. E quanto al primo, chiben consideri la sua filosofia, vi troverà un nuovo e sempre crescentepervertimento delle dottrine o anteriori o contemporanee; chè se già eracattivo indi zio in Zenone e in Crisippo l'imitazione degli Ionj e d'Eraclito,fu pessimo in Epicuro il ritorno ai sofisti della stessa età italo-greca, esegnatamente a Democrito. Notammo anche come nonostante la rigidità e l'altezzadella morale stoica,vi si scorgeva chiaro un esame s e m pre più imperfetto eparziale dellaumana coscienza;ora questo è anche più manifesto negli Epicurei,i quali non si contentarono come gli Stoici, lasciate da un lato le naturalitendenze,di porre la virtù e la beatitudine in un sublime disprezzo dei benidella vita;m a scesero più basso restringendo l'una e l'altra al godimento deipiaceri del corpo; e riducendo i piaceri dell'animo alla speranza e al ricordodei piaceri del senso.Nel che essi secondavano bruttamente l'abbandono sensualedei tempi; nè già mi reca maraviglia,in quella età in cui,rotto il freno adogni licenza, si maturava negli ozj voluttuosi la servitù dellarono inlogica,stante che se Platone,giunto alla nozione suprema dell'essere,se nefaceva scala per salire agli universali divini, e Aristotile distinguendo dalsenso l'in telletto, poneva in quest'ultimo l'apprensione dell'uni versale, gliStoici non ammettevano che il senso, e dal senso desumevano la necessità dellascienza; peggiora rono finalmente in morale all'osservazione compiuta eperfetta delle tendenze naturali, qual era nell'Accademia e nel Peripato,sostituendo un esame sempre più povero e sminuzzato della coscienza morale,ondeil concetto del bene diventò più che umano, e quell'idea solitaria e i mpassibile della virtù parve quasi uno scherno in mezzo alle infinite sventuredeitempi.(CICERONE, De Fin.,IV,V. Ritter,XI,L. 1,2,3,4.)Grecia, quando laNuova Commedia svelavaagliocchi delle moltitudini affollate le più seducentisembianze del vizio,e ne'ginnasj d’Atene convenivano le meretrici a disputare co'filosofi,immaginarmiEpicuro che siede dettando nei suoi giardini in mezzo alle gioje del convito iprecetti della morale.Eppure più secoli dopo in una etànon meno ar rendevole alsenso di quella d'Epicuro,e che precedè di poco quel tuono di uno dei piùgrandi rivolgimenti eu ropei, v'ebbe chi nelle scuole de'filosofi difeseEpicuro mostrando velato nei suoi precetti morali sotto l'appa rente arrendersial senso un rigore più che da stoico; ma quel rigore, nota bene CICERONE (DeFin.), era un finto stoicismo e una maschera da saggio,che mal si addiceva sulvolto del filosofo gozzovigliante,era una sod disfazionech'e’dava,malgradosuo,all'autoritàdelsenso morale e della pubblica opinione. Epoi,se quel sistema mancava d'ogni fondamento scientifico,come poteva cer carenella necessità dei principj ilpernio della morale?E che tutto per Epicurofosse relativo,contingente,fuggitivo, nulla universale,necessario e assoluto,lo mostra il con cetto ch'e’s'era fatto del giusto,stabilito da lui come unanorma destinata a tutelare la vita del saggio,e che quindi mutavasostanzialmente a seconda degli interessi civili.Posto così a capo dei precettimorali il puro sen timento animale,non poteva non derivarne una logica (o,comeEpicuro la chiamava,una Canonica) che peggiorasse il sensismo del Portico e nonmovesse un passo oltre la sensazione. Infatti, mentre gli Stoici andavanoalmeno fino all'idea che proveniva dalla percezione, e passavano dal soggettoall'oggetto per l'attinenza di causalità (Vedi CICERONE nel secondo degliAccademici), Epicuro,lasciata da parte l'idea,riconosceva il criterio del veronella sola realtà della sensazione, e negando che dal senziente si desse certopassaggio all'entità del sentito, lastricava la via all'idealismo degliaccademici e alle dottrine scet tiche d'Enesidemo e di Sesto Empirico. Infine;negata ogni interiore attività dello spirito, riconosciuta nella solaopposizione dei resultati sensibili la verità e la falsità dellasensazione,ristretti i fondamenti delle inda gini scientifiche alla prettasignificazione delle parole, a m o 'dei Nominalisti; ecco in due parole lalogica dell’Orto (CICERONE., De Nat. Deor.) Nè a diverso cammino si volgeva lafisica fondata da Epicuro sull'atomismo meccanico di Democrito. Ora,se ben consideriamo, questa dottrina naturale del filosofo di Samo paragonata aldinamismo stoico è un nuovo perverti mento della ragione scientifica,e più checon la filosofia del senso si accorda con quella della materia. E di fatto,laddove gli Stoici che avean molto de'materialisti, pur trascendevano ilfenomeno sensibile,e vi rinvenivano l'intima energia, l'intimo atto che davavita e movimento alle cose, gli Epicurei lasciando da un lato la potenzanascosta, se ne stavano contenti agli effetti, cioè alle trasformazioniesteriori delle molecole materiali. Quindi la dottrina d'Epicuro intorno agliatomi, mentre,come nota il Ritter, ha l'apparenza d'essere la confutazionedella sua logica materiale fondando tutta la scienza del mondo su quelle natureelementari, non accessibili al conoscimento, n'è invece (dico io) la riprovamaggio re, perchè io non veggo in quelli atomi se non un abbaglio di fantasiache pretende spiegare in modo ar cano i fenomeni più ovvj dell'aggregazione edella dis gregazione molecolare.(De Fin.,L.I.)Che manchi,come io diceva piùsopra,nelle dottrine del filosofo di Samo qualunque criterio di scienza, sivede quindi da ciò che in quelle intimamente repugna fra i principj e le conseguenze. Egli non ammetteva nell'ordine dell' essere niente che non cadessesotto l'apprendimento dei sensi; ma poseaprincipiodi tutte lecoseilvuotoimmensoegliatomi nè sensibili in modo alcuno nè intelligibili. (De Fin..) Credèimmaginando la spontanea diversione degli atomi dalla perpendicolare, sottrarsialla inesora bile legge del Fato; m a s'imbattè in un'altra potenza non menocieca e inconcepibile, nella potenza del caso. (De N. D.,L. I;De Fato, C. X.)Finalmente un ultimo indizio di quanto poco conto ei facesse dei veri immortali presenti alla coscienza dell'uomo, è che voleva spe gnere per mezzo dellesue indagini fisiche quel concetto arcano dell'infinito per cui la nostra mentedalle cause seconde si leva fino alla Causa prima, quell'intimo senso distupore e d'ammirazione che destano in noi,le tempeste, ifulmini,le meteore, icielisereni,lenottistellate,le so litudini de'mari, voce della natura a cui rispondedal profondo dell'anima un'altra voce che ci parla di Dio. (LUCREZIO, Derer.nat., Ritter, Vedianche gli op. di Plutarco tradotti dall'Adriani: Che nonsi può vivere lietamente secondo la dottrina di Epicuro;2. Dellasuperstizione.). Contemporaneo d'Epicuro, e un poco posteriore a Zenone,ponevaArcesilao i fondamenti dell'idealismo ac cademico. L'incertezza delle notizieintorno alla sua vita e ai suoi scritti ha dato occasione a purgarlodall'accusa di filosofo dubitante,dicendosi ch'e'non negava ilpositivo delle dottrinesocratiche,ma soloopponevailsuodubbio temperato al dommatismo stoico di Crisippo (VediGautier de Sibert, Mem. de l'Ac. des Inscrip. et Bell. Lett.,ed Agostino nellibro Contra Academicos), ci rappresenta questa dottrina come un dommafilosofale, svelato prima nell'insegnamento del l'antica Accademia, e ristrettopoi nel mistero all'appa rire del sensismo stoico, e adombrante l'intimosignificato della filosofia di Platone: due essere i mondi, uno intel ligibile,l'altro sensibile; quello vero, verosimile questo, perchè fatto a somiglianzadegli archetipi eterni; del primo per via delle idee generarsi nel saggio lascienza, del secondo una semplice opinione di verosimiglianza. Ma quando iopenso che il vescovo d'Ippona dettava quel libro poco innanzi la suaconversione, scampato appena dal dubbio della nuova Accademia, e che perguarire lo scetticismo inveterato del tempo cercava le più riposte armoniedella sapienza antica colle dottrine cristiane, attingendo principalmente afonti neoplatoniche; quando ritraggo dalla testimonianza concorde dei piùdeglistorici che Arcesilao andò più là di Socrate, dicendo non potersi nè anchesapere di saper niente, che aprì scuola d'insegnamento pro e contro ogniopinione, negando in tal modo il vero assoluto e ammettendo soltanto quellorelativo ai principj d'ogni sistema; e che finalmente quel suo idealismo operòdirettamente sul dubbio univer sale degli Empirici; allora son tratto adattribuire a un pervertimento delle dottrine Socratiche, e alla efficaciade’tempi quello che Agostino riferiva al semplice accor gimento d'Arcesilao (CICERONE.,DeOratore). Socrate opponendo all'orgoglio del sofista la modesta affermazionedel saggio,negava potersi trarre da una cavillosa dialettica l'onnipotenzadella ragione, e dalle dottrine meccaniche degli lonj il conoscimento intimodelle cose.Platone tenne fermo quel dubbio, temperandolo col conosci te stesso,e sceso a considerare i più riposti veri dell'umana coscienza, vi riconobbe ilcombattimento della ragione coll'appetito, dell'intelletto colla carne, quelnon so che d'immortale e di terreno ch'è in noi, e che lampeggia nelle sereneaspi razioni del vero,del bello e del buono,e s'abbuja nelle tempestede’sensi;quindi trasportando quell'intimo co noscimento all'esteriore formadelle cose,e al giudizio della loro perfezione, ne derivò la dottrina dell'entee del non ente, della üln e del cos. E qui (si noti) consisteva essenzialmenteil positivo e il negativo delle dottrine platoniche. Poneva egli, è vero, da unlato il concetto della scienza nel salire dai particolari agli universali,daciò che muta a ciò che non muta, dalla sensazione al l'idea che rappresental'essenza, e il fondamento della sua dialettica stabiliva nel cogliere fra imolteplici ele menti de'fatti particolari il concetto supremo che tutti licontiene.Ma d'altra parte mosso dall'idea trascendente della scienza,e dalletradizioni delle dottrine panteistiche orientali ed eleatiche, onde germinavail dualismo, egli faceva del particolare, del mutabile, del sensibile un cheintimamente oscuro,e non soggetto al conoscimento, perchè partecipante dellamateria che è l'opposto dell'ente,e alle Matematicheealla Fisica indagatrice de'fattinegònomedi scienza. Si dirà forse ch'e'rimediava a questa dualità riconoscendonecessaria attinenza tra gliArchetipi divini e le cose, e nella mentedell'Artefice eterno che le informava della perfezione di quelli, e nella mentedell'uomo per via della reminiscenza, onde per lui si dava reale pas saggiodalla opinione al sapere; m a la illazione del dubbio, che scendeva dallepremesse del suo sistema,non si arrestava, perchè, se a Dio è coeterna lamateria,e l'una è negazione dell'altro, chi mi assicura che fra termini sìdisparati possa darsi attinenza di conoscimento?nè,derivato da Diol'intelletto, basta la sola ipotesi ch'egli fingeva della preesistenza deglianimi nostri in una vita anterio re,e un debole legame di verosimiglianza traiparadigmi e le cose,'per verificare la certezza di quelle notizie checivengonodaicontingenti.E perfermo,indebolitacosìdal principio della filosofiaplatonica la relazione tra il cono scente e ilconosciuto,non v'era che un passoa negare o l'uno o l'altro di questi due termini; e il termine intelli gibilenegarono gli Stoici, alle cui innovazioni aveva aperto la via il semi-panteismomateriale del Peripato, e quella negazione sensistica esagerarono gli Epicureicol restrin gersi nello studio della materia; restava a trarre l'altraconseguenza del sistema platonico negando il sensibile, e ciò fece Arcesilaocolla sua dottrina ideale-scettica, scetticismo però non al tutto compiuto,perchè non n e gava l'entità del vero nelle cose, m a poneva soltanto in dubbiola loro corrispondenza reale coll'apprensione del l'intelletto. È dunque veroin parte quel che affermava Agostino che la dottrina della nuova Accademia (omedia che voglia chiamarsi) ebbe la sua ragione d'origine nel fondo del sistemadi Platone,e la sua ragione di svolgi mento nel sensismo contemporaneo diCrisippo, m a è anche vera l'osservazione del Ritter che quel metodo di dubbiofu corruzione del metodo socratico, e resultò dall'idea della scienza qual eranell'antica Accademia,idea troppo trascendente la certezza naturale,e chetogliendo l'atti nenza tra il soggetto e l'oggetto imprigionava il pensieronella coscienza solitaria, e al dualismo innestava la Critica dellaconoscenza.(Ritter) La quale non ancora matura e compiuta in Arcesilao sisvolse nei successori, perchè,laddove il filosofo Pitano sostenendo la sua tesicontro i sensisti moveva special mente dalla fallacia de'sensi e dall'oscuritàdella materia; Carneade,che gli successe,introdusse in quella tesi maggiorrigore scientifico,quando esaminò ex professo l'entità della relazione inclusanel conoscimento, e distinguendo nella percezione sensitiva o rappresentazionedue lati,uno ri feribile all'oggetto, l'altro al soggetto,mostrò XIX secoliprima del Kant non darsi vera certezza del sapere, per chè il conoscente traein propria forma la materia del conosciuto. V'ha egli dunque un nuovopeggioramento in Carneade? Sì; perchè e'negò fede espressamente alla validitàdella ragione, dicendo non potersi dare un crite rio certo pel ritrovamento delvero, e dovere contentarsi il sapiente della semplice verosimiglianza; onde perlui l'idealismo accademico si accostò sempre più alla nega zione universale,che compiendo le dottrine anteriori di Pirrone, ricomparve più tardi;e n'èprova evidente il pas saggio ch'e'fece dal dubbio sui fatti esteriori al dubbiosull'entità oggettiva delle idee universali che si specchiano nella coscienza,manifestato da lui ambasciatore per gli Ateniesi in Roma nel discorso sullagiustizia,dove to gliendo nota d'universalità e d'assolutezza al concetto delbene, abbatteva i fondamenti dellamorale (CICERONE, De Rep. Ritter). E il discorsodi Carneade udivano assollatii Romani, nella cui patria splendeva quella granscuola paesana dei Giureconsulti dove l'idea della personalità umana,e la n ozione del dovere e del diritto si desumevano da principj d'immortale necessità,e dove la natura della legge dovea definirsi più tardi congenita alla natura diDio.(V. Cantù, St. Un.Brucker, Degerando, Ritter, Kuehner.Cic.,Tusc.IV, 1,2,3.)È noto infatti come VICO nel suo l De antiquissima Italorum sapientia indagandonella storia de’fatti umani iprincipj universali che reggono il sapere,trovasse vestigj di antichissime e profonde speculazioni ne'linguaggi primitivjd’Italia; ilche,se non prova che presso quei popoli, come ad esem pio ilatini (intesi per lungo tempo e unicamente ai ne gozj civili),fiorisse un veroe proprio esercizio d'indagini scienziali, mostra però che v'era nel loroingegno un'in tima disposizione a filosofare. E questa disposizione d o vevaattuarsi quando ilpensiero latino libero dalle stret tezze presenti, esollevato a un ideale più ampio,dal sen timento di nazione si sarebbe volto aconsiderare l'umana natura specchiata in sè stesso, e nell'universalità dellastoria. Queste erano le preparazioni e le cause del fatto; l'occasione esternavenne dalla celebre ambasceria di Cri tolao, Carneade e Diogene babilonese. (A.di R. 585. V. gli autori soprac.) Volgeva intanto a metà ilsecondo se coloinnanzi l'Era volgare,e Roma,vinto Antioco in Asia, distrutta Cartagine,e sottomessadefinitivamente la Grecia colle guerre Macedoniche, e colla memoranda presa diCorinto,riceveva dai vinti la tradizione delle arti e delle discipline civiliper parteciparle novamente e sott'altra forma all'Europa ed al mondo. Ma quellearti e quelle discipline che giungevano d'oltremare non più informate dallalibera spontaneità dell'ingegno dei padri, educato alla scuola del sentimentocivile e del magistero divino, ma guaste dal dubbio della nuova Accademia,einfette da signorie corruttrici e da profonda sensualità di costu mi,trovarononei Romani dismesso l'abito della severità antica, e omai volgente a rovinaquella repubblica inde bolita dalle mollezze d'Affrica e d’Oriente. Sallustio,Catil.,C.X.c.f.XI.XIV. Non èquindiamaravigliarechenon ostante i tentativi dimolti ingegni valorosi, dall'unione di due civiltà semispente non nascesse ungrande rinno vamento; chè ogni rinnovamento è possibile quando nelle rovine deipopoli s'accoglie una favilla immortale di vita, e un impulso efficace lirisospinge ai principj; non possibile allora,in quelli anni ultimi dell'Erapagana, in cui, ecclissato ogni lume d'antiche tradizioni, spenta la famiglia eridotto in pochi lo stato, Europa, Affrica ed Asia precipitavano nellabarbarie. Nè c'inganni quel moto apparentemente efficace di letteratura e discienza ma era 3 nifestatosi nelle città greche, e nellecorti di Pergamo e deiTolomei.Tranne inRoma, dove fino allamorte d'Au gustodurarono potente incitamento alla libertà degl'in gegni le sembianze,e lamemoria degli ordini repubblicani, nel resto d'Europa nell’Asia e nell'Affricale lettere e le scienze doventarono trastullo di principi e di cortigiane, osollievo di popoli in gioconda schiavitù sonnecchianti, o (come apparisce daFilone Ebreo, dalla Kabbala,da Apol lonio Tianeo,Moderato, Nicomaco, Plutarco, Apuleioed altri) doventarono contemplazione solitaria di pochi stu diosi, onde allaspontaneità dell'arte che crea sottentrò l'erudizione ragunatrice deicommentatori e degli illustra tori, e il panteismo greco -asiatico da cui poiderivarono gli Alessandrini; e un vero e fecondo avanzamento ebbero soltanto lescienze matematiche e d'esperienza sostenute dai principi e dalle cittàmercantili e dalla agiatezza dei tempi.Ma d'altra parte (ed è un esempio ches’è rin novato più volte) indietreggiavano ogni giorno più le di sciplinespeculative;nè solo (come vedemmo)quanto alla materia,ma altresì quanto allaforma scientifica dei si stemi;perchè, se è legge connaturata all'umanointelletto che in quella dirittura necessaria di relazioni, che passa tra ilsoggetto esaminato e la riflessione esaminatrice, consista intimamente ilmetodo d'una scienza,una volta guasta o distrutta la notizia dei veriprincipali, se ne scom piglia l'indirizzo della riflessione, non si ravvisa piùchiara l'integrità della coscienza su cui cade l'esame,e n'è dis fatta lascienza. Richiamando ora in breve le cose discorse, che mai ci mostra la storiadella filosofia da Socrate a Cicerone? N o n altro che un continuo scaderedella riflessione scientifica da sistemi più ideali e che al sentimento deldivino e del l'immortale accoppiavano il rispetto delle più antiche e v enerate tradizioni, ad altri infetti di materialità e dispregia tori d'ognimagistero divino ed umano;quindi da dottrine che offrono più ampio disegno diriflessione,e più perfetto ordinamento scienziale,si sdrucciola ad altre chealla c o m prensione totale della coscienza e delle sue relazionifannoseguire un esame monco, spicciolato, minuzioso,eaimetodi positivi edogmatici (benchè misti di legittimo esame) im e todi semplicemente negativi egl'inquisitivi. Questo è il pen dío naturale del pensiero filosofico inquell'età,che dalle altezze del disputare platonico ci conduce nelle ruvide a ngustie di alcuni trattati aristotelici,dagli archetipi eterni, all'animainformatrice della materia corporea, poi al Dio animante di Zenone e agli aridisillogismi di Crisippo per terminare nel materialismo d'Epicuro, e nellanegazione della nuova Accademia; che infine dalla interpretazione sublime dellaMitologia,qual era in Platone, ci guida all'in terpretazione fisica e storicadegli Stoici e d'Evemero. Ma la nuova Accademia di contro alle dottrined'Epicuro,se non forse quanto alla materia, era un nuovo peggiora mento quantoalla forma scientifica, perchè Epicuro rico nosceva almeno molti veri, eoffriva un disegno di pro prie dottrine sulle principali teoriche della scienza;gli Accademici negavano soltanto, e, tranne poche e sparpagliate affermazioni in fisica e d i n moral e, restringevano il soggetto della filosofia al problemadel conoscimento; ora da questo idealismo che solo ammetteva pochi veri particolari, e scioglieva ogni attinenza del conoscimento coi proprj obbietti, nonv'era che un passo alla negazione scientifica d'ogni verità della scienza, e daquesta al d u b bio popolare e grossolano e ai sistemi empirici e positivi chenon sono più scienza. E anche allora fu detto o sot tinteso da uominidottissimi che unico criterio del vero era il mancare d'ogni criterio,che lascienza era ilm e todo,e che unica e naturale forma del pensiero filosofico erala storia;e da questi abbagli di critica stemperata che sirinnovano ancheoggiinFrancia,inAlemagna einItalia, nacque l'ecclettismo erudito degli Stoici ede'Peripatetici, e le dottrine empiriche d'Enesidemo e di Sesto,come oggi daglieccessi della critica Kanziana pullularono gli Empirici Alemanni, l'Ecclettismodel Cousin e la Filosofia P o sitiva di Augusto Comte.In quelle condizionidella filosofia era,com'oggi,indispensabileunariforma,elariforma,come motocontrario alle cagioni del male, dovea consisteresegnatamente nel tornareai principj della coscienza n a turale, abbracciando la universalità deisuoi veri, e affer mando interoeindivisibileciòchelesetteaffermavano sparpagliato e diviso.Fu questa l'opera immortale di Cicerone, e a tentarla egliebbe occasione e conforto dalle qualità dell'ingegno latino, mosso da antichetradizioni e da indole propria allacomprensione delle attinenze scienti fiche,dallo stato politico e civile di Roma, e dal contrasto ai dubbj che laceravanola scienza. Di fatto, se era pos sibile una riforma in tanto scadimento diciviltà e di dot trine, più che altrove ella dovea tentarsi in Italia ed inRoma, dove le sacre tradizioni primitive s'erano conser vate più schiette peropera degli affetti di famiglia e d e gli ordinamenti civili; durava ancorapotente l'efficacia della civiltà etrusca ed italica, ed ora dilatato ildominio romano all'Europa, all’Affrica e a gran parte dell'Asia, vicorrevano,come a centro comune delle genti conosciute, la scienza, laletteratura, le arti, le industrie, compagne della grandezza, e vis'accoglieva, quasi a compire la maestà della gran repubblica dominatrice, lacoscienzadel ge nere umano.Quindi in Roma era più che altrove potente ilsentimentodell'universale, condizione necessariaal na scere della Filosofia. D'altraparte,se volgiamo gli occhi alla Grecia,ci si presenta un turbinìo d'opinioni edi sette a cui non tien dietro la storia; la filosofia era lacerata in sistemiche ponevano la scienza nel paralogisma, e sempre più tralignanti dagliistitutori scendevano il pen dío della negazione universale; gli Epicurei e iCirenaici, facili secondatori della corruttela dei tempi, ogni giorno piùsprofondavano nell'ateismo e nel senso;i Platonici e iPeripatetici,comeCratippo, Stasea, AndronicodiRodi, Alessandro Afrodiseo si diederoall'erudizione, e poichè non sapevano creare nulla di nuovo,rimestarono con critica infeconda le dottrine anteriori; lo stoicismo con P a nezio e conPossidonio, allontanatosi dall'aridità delle dottrine di Zenone, favorìl'eloquenza trattando la filoso fia in modo più popolare,e ravvicinandosi allealtre scuole socratiche; ravvicinamento anche più manifesto in Filonee inAntioco,contemporanei ambedue e maestri di Cice rone, l'ultimo dei qualisegnatamente intese a conciliare il Portico colla nuova Accademia,e riconobbela validità del conoscimento. Infine secondavano da un lato quell'in dirizzo ledottrine romane qual più qual meno imitatrici delle greche, e perciò prive di un metodo proprio e di proprie speculazioni; mentre dall'altro lato (sebbene alquanto più tardi) si apparecchiava nelle dottrine de'N e o platonici eNeopitagorici greci un congiungimento tra la sapienza orientale e le scuolesocratiche. Sembrerà forse a qualche lettore che dettando questi cenni suiprincipali sistemi antecedenti a M. Tullio, ci siamo allontanati di troppo daiconfini di una semplice introduzione; m a il rimanente di questo discorso faràm a nifesto che a ben chiarire la natura del filosofo nostro,i suoiintendimenti, le fonti delle sue opere e il concettoche egli ebbe di riformaree riordinare la scienza, era neces sario distendersi alquanto intorno allescuole precedenti e contemporanee e all'efficacia loro sulle parti della filosofia. Per fermo allorchè l'oratore latino, fuggendo nella solitudine diTuscolo e di Cuma il cospetto degli scelle rati,poneva mano all'Ortensio, appariva,comeben nota Ritter, una straordinariapo vertà di speculazioni scientifiche intutta Europa; poche e sparpagliate verità rimanevano intatte nei fondamenti delsapere; l'umana coscienza illuminata una volta dai principj morali, allora inquella rovina d'ogni umano prin cipio taceva, e al mancare della materiadesunta dalla considerazione dell'animo umano,la forma scienziale, seb beneapparentemente raffinata, impoveriva ogni giorno. Impoveriva di fatti lalogica, venuto meno colle dottrine di Zenone il vero concetto del principio edell'atto del conoscimento, e ridotta da Arcesilao e da Carneade a coglieresolo, sfuggendo gli universali, le contradizioni particolari dei varj sistemi;ilsemipanteismo stoico e dei Platonici posteriori, confondendo sempre più l'entecol non-ente, il finito coll'infinito, il relativo coll'assoluto, uccideva lafisica e s'attraversava al buon uso dei m e 37 todisperimentali; la morale per ultimo risentiva d'ogni setta,massime dellaepicurea, le cui ultime dottrine ve nute in luce nel secolo scorso dai papirjErcolanesi colle opere di Filodemo Gadarense, contemporaneo e famigliare di CICERONE,testimoniarono anche una volta la vacuità e i vaneggiamenti di una scienzadecrepita.(Vedi Hercu lanensium Voluminum quue supersunt. Nap.) Pertanto inquelle condizioni di civiltà e di dottrine due sole vie rimanevano aperteall'indirizzo del pensiero speculativo; o un ecclettismo erudito, o un ritornoall'uni versalità e all'unità della scienza coll'indagine dell'uomointeriore,del senso comune,e delletradizioniscientifiche e religiose; impresache, sebbene difficilissima e degna di sublimi intelletti, non poteva essersorgente a specula zioni copiose, mirando più che altro a sceverare il certodall'incerto, il teorematico dal problematico, il necessario dal mutabile, ilconsentito dal disputato. La qual cosa, mentre è una conferma dei meriti diCicerone come filo sofo,e della modesta grandezza della sua dottrina, ci spiegail divario notevole che lo distingue dai filosofi contem poranei, e la brevitàdelle speculazioni latine; e di fatti, se è vero che la storia della filosofiaci offre a quegli anni in Roma un ecclettismo erudito, testimo nianzaimperfetta dell'universale disposizione degl' inge gni a ritornare sul passato,e a ricostituire la scienza sull'armonia delle attinenze universali, è anchevero che Cicerone, solo tra i suoi contemporanei, tentò ridurre l'ec clettismoromano a vera e propria forma di scienza, imi tatore e seguace di quella scuoladei Giureconsulti, che desumendo dalle consuetudini e dal gius naturale lasantità delle leggi, aveva aperta la via ad un ritorno della rifles sionefilosofica sulla coscienza morale.Quella sentenza del Segretariofiorentino, che af ferma,doversi ogni umana istituzione ritirare verso iprincipj, fa manifesta a chi consideri il cammino del pensiero e delle opereumane nelle età della storia,una legge di scadimento e di progresso, dibarbarie e di ci viltà, di rovine e di restaurazioni, che si verificò in ognitempo, così negli ordini civili,come in quelli della filo sofia. La ragione diquesto fatto m i sembra chiara e nel l'un caso e nell'altro;è chiara negliordini civili, iquali, se hanno per principio e per fine l'adempimento dellenecessità umane e la conservazione del viver sociale,una volta allontanati daquello riescono a contraddire la loro natura; è chiarissima poi nella scienza,e massime nella filosofia, che costituita nel proprio essere di scienza pri mada un ripiegarsi della riflessione sul pensiero come pensiero,e sulle veritàuniversali,ricereimmediatamente dalla natura ilproprio soggetto, ipostulatiedilmetodo.La filosofia dunque,come scienza sovrana che ha imme diatamente innanzi a sè laragion di sè stessa, è ripen samento del pensiero naturale e delle sueleggi,è,in una parola, ripensamento della natura; la qual cosa concessa,sembradoversi dedurre ch'ella abbia altresì nella natura la possibilità di unindefinito svolgimento, e la possibilità delle proprie riforme, se pure nonvuol pensarsi che l'ef fetto sia inadeguato alla causa, e la vita dell'animalee della pianta alla virtù generativa del proprio germe.A chi affermandodiversamente volesse mostrarmi, o che il pensiero non vale a trar fuori dalleprime notizie, con progresso indefinito di dimostrazione,la scienza, o che lariflessione del filosofo può introdurvi alcunchè non sup posto antecedentementedalla natura, io addurrei per ragione la coscienza, spettacolo sublime dei fattiinterni e dei più ardui problemi sulle verità principali, evidente e misteriosoad un tempo,dove si acchiude come in ger me la possibilità del sapere che sisvolge ne'secoli, ad durrei per ragione la storia,che ci mostra d'età in età ipiù grandi intelletti muovere alla ricerca del vero ignoto dall'affermazionecompiuta della coscienza, deftinirne le più alte questioni concordemente alletradizioni più a n tiche, e alla parola del genere umano e di Dio, e fra idelirj e i vaneggiamenti delle sette conservare e tra mandarsi l'un l'altro laFilosofia perenne. La testimonianza più lampeggiante di questa verità ne’secolipagani sono per certo le due riformedi Socrate e di CICERONE (si veda);entrambi trovarono la filosofia perduta in dubbiezze infinite; entrambi larilevarono con uno sforzo supremo tornandola alla coscienza; l'Ateniese divinoin gegno, e iniziatore fecondo di un moto speculativo che non è ancora cessato;più modesto intelletto ilRomano, ma non meno benemerito della buonafilosofia,per avere tentato, solo, in un popolo nuovo fino allora a ogni esercizio di speculazione e nell'universale scadimento della civiltà e dellascienza, ciò che il Maestro avea potuto compireincondizionimenoavversedelsapereedeipub blici costumi. Per convincerci di ciò,basta paragonarela Grecia dei tempi di Socrate con Roma dei tempi di CICERONE. E nel vero quelprincipio di corruzione e di sfi nimento che il paganesimo già da lungo temporecava in sè stesso, s'era mostrato segnatamente in Grecia sin dalD'altra parte i tempi in cui Cicerone, nato in ARPINO di famiglia provinciale ilterzo giorno di gennajo -- coss. C. Atilio Serrano, e Q. Servilio Cepione),venne a Roma per apprendervi l'esercizio dell'eloquenza, che gli e via allecause del foro e al pubblico arringo, sono tempi di più profondi rivolgimenticivili, conseguenza delle due grandi questioni che da lunghi anni empivano lastoria romana, la prevalenza degl’OTTIMATI sopra la plebe, la prevalenza diRoma sopra il resto di Italia e del mondo. Cantù, St. Univ. Già sin da quandotonò la prima volta nel foro la potente parola de’ Gracchi, un moto profondo infavore delle franchigie popolari e dei diritti di cittadinanza romana s'e vennepropagando in Roma e nel rimanente d'Italia, e quel moto crebbe cogli anni, ecoll'ampliarsi della potenza repubblicana, e ruppe finalmente nelle dissensionicivili di Mario e di Silla, e nella guerra sociale. Cominciarono alloraque'tempi pieni di sedizioni, di esilj e di sangue, ne'quali la libertà,mantenutasi per tanti anni incorrotta, fu solo istrumento dell'ambizione dipochi, e la gloria militare, guarentigia d'indipendenza, venne adoperata asovvertire le leggi; non più libera nel fôro la parola degli oratori,non piùinviolata la persona e le sostanze d'un cittadino romano, dispersa la pubblicaricchezza, venduti a chi più li pagava i consolati e leamministral'entrare della guerra del Peloponneso; poichè pessimo segnodel decadimento di un popolo è sempre il succedere delle interne gare allelotte d'independenza; ma il vivo agitarsi della gente greca, calda ancora digioventù vi gorosa,ne'commerci,nelle riforme civili,ne'viaggi,nell'agricoltura, nelle arti, manteneva allora negli ordini materiali e politiciqualche seme di bene,e negli ordini in tellettuali volgeva le menti allo studioamoroso del vero l'efficacia della filosofia italica, che avea recato dall'Oriente gran parte delle tradizioni primitive, la fantasia greca, intesa arendere l'animo interno nelle manifesta zioni dell'arte plastica, e infine unagagliarda educazione del pensiero nella dialettica de sofisti.zioni delle province, interrotti i giudizj, annullati i d e creti delsenato e del popolo; così passarono i settanta anni precedenti al regnod'Augusto, finchè l'abuso della libertà messe capo ad un governo assoluto.Causadi tanta rovina fu per fermo la crescente corruzione d'ogni principio morale,chè una libertà partorita dal sangue di tanti uo mini grandi, e da secoli divirtù, non si perde senza crollare i fondamenti dell'edifizio civile; e qualfosse a quel tempo la pubblica moralità in Roma,ce lo dice Sal lustio complicee accusatore dei delitti narrati. Sall., Catil. Quellacorruzione,profondanegliordini civili, non appariva minore negli ordini dell'intel ligenza; innanzitutto perchè, il progresso intellettivo di un popolo non andando maiscompagnato dal suo pro gresso morale,e la scienza essendo un che vivo, affettuoso, e supremamente civile, l'armonia del sapere col l'armonia della vita èlegge innegabile nella storia delle nazioni; e secondariamente perchè lascienza era stata sino a quel tempo più spesso istrumento di dominio in manodegl’OTTIMATI che manifestazione della coscienza e dell'indole latina. Scendonoda questi fatti due considerazioni impor tanti sul nostro filosofo. Prima che,mentre (come nota più d'uno storico) la letteratura e la filosofia fu coltivata in Roma dai principali uomini di stato come arte di governo, Ciceronemostrò co’suoi scritti ch'e'fece della scienza e della cultura, non già unistrumento per domi narela repubblica e salire agli onori, ma,uomo dipace qualera,e conservatore degli ordini civili che avean for mata la gloria degli avi,studiò la scienza del vero l'arte del bello per contrapporla alla corruttela detempi, e all'oscurarsi d'ogni principio morale. La seconda con siderazione èche Tullio s'oppose segnatamente, e con maggior vigore che a qualunquealtra,alla dottrina degli Epicurei.Ora,se consideriamo che l'epicurea eraquella fra le scuole contemporanee che avea posto più profonde radici in Roma,eche mentre ciò era al certo l'effetto della civile corruzione, ne doventava poialla sua volta. M a qui c'imbattiamo subito in una questione importante.Cicerone e egli soltanto condotto a filosofare da cause straordinarie edesteriori? quando si pose a scrivere aveva egli profondamente meditato sui piùardui problemi della vita e dell'animo umano? possedeva quell'ampiezza euniversalità di studj speculativi necessaria per indirizzarlo nella via dellascienza? Parecchi critici tra i quali Ritter, Degerando, e Bernhardy lo hannonegato, e affermarono non potersi chiamare “filosofo” vero esso che studia lafilosofia come semplice istrumento dell'arte di persuadere. Sembra altresì cheuna simile domanda gli e stata fatta da taluni fra i contemporanei, quandoudiamolui stesso, il testimone più autorevole nella storia della sua vita, re plicareespressamente dicendo: io nè cominciai tutto a un tratto a filosofare, nèda’primi anni della mia vita consumai in questo studio mediocre opera e cura,eallora, quando meno parera, io era maggiormente intento a filosofare -- De Nat.Deor. -- parole che potrebbero forse sembrare dettate da soverchio amore di sèstesso, se i primiindizj che ci rimangono de'suoi studj, e le opere antecedentialle filosofiche non mostrassero assai che il suo ingegno sivolse'sui principj,sui metodi e sui più ardui problemi della scienza prima. Della qual cosa unofra gl'indizj più certi si è l'ain piezza e la comprensione ch'e'diede a'primisuoi studj, indizio notevole per chi ricordi il disprezzo che i più fra i romanicontemporanei affettavano verso la filosofia relativistica di Carneade. Ma in Ciceroneapparisce un sentimento vivo, e quasi direi religioso, dell'unità dellascienza; poeta elegante e vigoroso, poi traduttore di cose filosofiche, udiva ipiù eccellenti m a e stri d'ogni filosofia, studia con Q. Mucio Scevola ilgiure, coi più autoreroli cittadini la scienza delle coseuna causa,vedreino essere immenso il beneficio che il grande uomo recò alla sua patria,più ancora che come riformatore filosofo, come riformatore civile.civili, la declamazione con Esopo e con Roscio, ed ebbe a maestri direttorica Molone Rodio, e Demetrio di Siria. Cic. Bruto, Forsyth, The life of CICERONE,London. Nutrito l'ingegno con tanta larghezza di cognizioni, appena si feceavanti nel foro,si accorse,com'egli stesso ci dice (Brut. 93,e pro Archia, V I),ch e a costituire il perfetto oratore non e su f ficientela destrezzaelacopiadellaparola, ma bisognava che la materia scientifica desse pienezza e fondamentoalla forma dell'arte; quindi ei considerò sin d'allora la filosofiainunmodoinvoluto e comprensivo come una scienza che abbracciava le regole dellavita,dell'arte oratoria,del diritto, d'ogni disciplina umana e divina,philosophiam matrem omnium benefactorum benequedictorum (Brut.93); omnis rerumoptimarum cognitio,atque in iis exercitatio philosophia nominatur (De Orat.); concettouniver sale, che apparisce in uno fra i primi suoi- scritti, nel de Inventione,dove parla delle virtù secondo le dottrine platoniche, e introduce l'eloquenzafondatrice delle città e del consorzio civile. Un tal concetto che certo dovevapoi chiarirsi cogli anni, e uscirne un disegno più specifi cato di dottrinemorali e speculative, mostra che il suo amore per la filosofia si accrebbe colsuo progresso nel l'eloquenza, talchè in lui (come osserva Ritter) l'oratorepreparò lo scrittore in filosofia, ed anzi leggendo attentamente il De oratore,il Brutus e l'Orator vi senti spirare da cima a fondo un alito di speculazionedi scienza.Il dialogo De oratore è finto a imitazione del Fedro, e la tesisostenuta dei disputanti appartiene intimamente alla filosofia, poichè trattasiivi di sta bilire se l'eloquenza sia una dottrina universale od un'arte, s'ella debba restringersi al puro esercizio del la parola, o allargarsi allascienza delle cose divine ed umane. E qui v'è contrapposto deliberatamentenelle stesse persone dei disputanti il concetto più ampio e più universale,eper conseguenza più filosofico,che CICERONE (si veda) avea del sapere, alconcetto parziale e negativo de'suoi contemporanei; Crasso infatti, cherappresental'opinione dell'Autore, movendo dal principio che una sola èla sintesi delle materie scientifiche,e che su tutte può e deve caderel'esercizio dell'eloquenza,reputa ne cessario al perfetto oratore quasi tuttolo scibile umano, e conferma questa sentenza coll'autorità degli antichi pressoi quali l'arte del pensare e del dire erano state sino ai tempi di Socrateindivisibilmente congiunte. Lo stesso argomento è trattato nell'altra operaOrator, dov'egli cercò pure l'ideale dell'oratore perfetto assumendo aprincipio le idee archetipe di Platone; talchè l'armonia della scienza collavita, dell'una e dell'altra colla letteratura e coll'arte,l'accordo dellamateria scien tifica colla forma oratoria, e della ragione col gusto,costituisce nei libri rettorici di Cicerone una vera e pro pria unità diconcetto. Considerando questo principio universale,a cui il filo sofo latinorannodava le discipline letterarie,e l'alto sen timento ch'egli ebbe dell'arte,io sempre meglio mi per suado che la vita d'oratore e di politico fu per lui unapparecchio necessario agli scritti speculativi. Più tardi, allorchèla libertà vennein mano degli scellerati, e il gran cittadino si astenne volontariamentedall'esercizio della pubblica vita,tornò agli studj non mai interrotti dallagiovanezza, cercandovi la pace che gli negava l'animo addolorato per lesventure civili,una nuova occasione ad esercitarvi l'eloquenza muta nel senatoe nel fôro, un mezzo per confortare a virtù le fiacche generazioni, earricchire la letteratura della sua patria di questa nuova gloria, sino a queltempo non partecipata coi Greci (Tusc., De divin., De off., Ad fam.). Chiconsiderasse partitamente un solo di questi fini, senza comprenderli tuttinell'unità della mente e dell'animo dello scrittore, mostrerebbe di non averlocompreso; a lui l'inclinazione oratoria e l'amor nazionale porgevano ilpensiero di un nuovo accordo della scienza coll'arte nelle opere di filo sofia,onde si aprisse questo nuovo campo intentato agli ingegni latini; i mali e lenecessità del suo tempo gliconsigliavano le dottrine morali e civili comeriforma dei costumi corrotti, e dall'intendimento letterario,nazionale e moraleinsieme congiunti e contemperati uscì per l'ef ficacia dell'ingegno,degli studjanteriori, e della riflessione psicologica, la riforma speculativa. La qualearmonia di cause determinanti e di fini fra l'animo dello scrittore ed i tempi,è notevole in Cicerone; perchè vi si fonda quella unione socratica tra il veroed il buono, onde la filosofia di lui, come quella d'ogni socratico, tanto piùè affermativa e solenne,quanto più gli argomenti metafisici hanno attinenzacolle ragioni morali, nè ciò per quello che oggi si chiama senso pratico, e chesi crede diviso dalla ragione speculativa, m a perchè appunto la ragione primadel conoscimento si riconosce identica colla legge dell'operare. Se tali eranoi fini, con cui si accinse a filosofare, tra l'indole positiva e morale dellesue dottrine, e il loro cri terio speculativo non v'ha per fermo alcunacontradizione, chè anzi quella contradizione apparente,che Ritter e Bernhardyhan creduto di rinvenirvi, si dilegua tosto quando raccogliamo dalla pienalettura delle opere filo sofiche un'idea complessiva del concetto dellafilosofia, e seguendo le varie definizioni ch'egli ne diede,perveniamo fino alpunto in cui concepisce chiaro l'ordine scienziale.Il primo e piùnotevole concetto ch'egli ebbe della filosofia, considerata come vera dottrina,si è di una scienza moderatrice delle azioni e istitutrice della vita: vitæphilosophia dux, virtutis indagatrix, expultrixque vitiorum; animi medicinaphilosophia; a questo propo sito il conosci te stesso di Socrate ei lo prendevain un senso puramente morale, senso che apparisce più volte nella Repubblica,enelle Leggi, e nelle Tusculane, dove si agitano questioni relative alla vita eai costumi,e per quanto abbiamo da chiari indizj appariva pure nell’Ortensio,opera perduta,dov'ei tesseva l'elogio della filosofia rac comandandola allostudio dei concittadini come dottrina su premamente morale e civile. (V.Hort., fram.,especialmenteil fram. 21, L. I. ed. di Lipsia) Ora siffatto concettoinvolgeva di necessità un criterio scientifico; innanzi tutto perchè chi medital'ordinarsi d'una dottrina scienziale, qualunque ella sia,ad un eser ciziod'operazioni, si suppone averne penetrato l'intima essenza in cui quelprincipio regolatore risiede; e poi perchè il vero relative alla vita,sebbenemanifestoin noi pel sentimento morale, s'attiene alle parti più vive e piùaffettuose dell'essere umano,ond’è mossa la rifles sione a ripensare da sèstessa e con proprj principj l'ordine speculativo delle conoscenze. Pervenuto atal punto il filosofo, non ha da fare che un passo per racco gliersi nellacoscienza morale, e quindi trar fuori con metodo ascensivo e discensivod'induzione e di deduzione tutto quanto il disegno dell'edifizio scientifico;la qual cosa apparisce a chi prenda ad esaminare in Cicerone l'ordinamentologico degli scritti morali. Dove si scorge com'egli procedendo di passo inpasso nell'induzione, dall'idea morale di legge e di diritto, che lampeggiavanella coscienza d'ogni cit tadino di Roma,si levò a concepire un ordinamento direlazioni e di gradi dagli esseri inferiori a'supremi; re lazioni cheintercedevano tra Dio e l'uomo per l'eccel lenza della ragione, tra uomo eduomo per somiglianza di natura intellettuale e socievole; e quindi usciva unaspecie d'equazione ideale tra Dio e le creature, tra gli enti ragionevoli, e inon dotati di ragione, per la reci procanza dei doveri e dei dritti;e vis'acchiudevano in germe Teologia naturale, e Antropologia, Cosmologia eFilosofia del buono. Questo largo disegno di veri morali fu il principio da cuiTullio moveva nella via della scienza, e lo mostrano i libri politici e civiliantecedenti in ordine di tempo alle altre opere speculative. 3. Orasoffermiamoci un poco.Mostrato così per suc cinto quale idea egli avesse dellaScienza prima e dei suoi principj, domandiamo che cosa debba pensarsi suldubbio accademico quasi universalmente a lui attribuito. La questione su talsoggetto,disputata a lungo dai critici e storici della Filosofia,durante il secolo scorso,mentre gl'ingegni si dividevano incerti tra l'amoredell'antico e la curiosità del nuovo,e l'Enciclopedia affermava dogma ticamentele sue negazioni, mosse ne'più de'casi dal pre supposto che Cicerone,comeseguace della Nuova Acca demia, ponesse il dubbio universale a fondamento di scienza.Così opinò Bayle,e,sebbene alquanto meno risoluti,lo affermarono Brucker, Degerandoe Bernhardy. Per combattere una siffatta obbiezione non rimanevano alla criticache due sole vie; o negare di pianta lo scettici smo della Seconda Accademia, orifacendosi da un nuovo e più accurato esame delle dottrine di Tullio, cercarequale e quanta efficacia vi esercitasse quel dubbio, o come metodosemplicemente,o come principio fondamen tale ed interno. La prima di queste viefu seguita dal sig.Gautier de Sibert in una memoria scritta da lui sui NuoviAccademici,la seconda da Raffaele Kuehner.Ma il critico francese,sebbenedottissimo,quando volle mostrare che la Nuova Accademia non negava la possibilitàdella scienza, contraddisse alla storia, nè rispose al quesito del comeconciliare la certezza dei libri morali di Tullio col dubbio quasi assolutod'Arcesilao e di Carneade. L’alemanno mostra invece con maggior verità come ilfilo sofo nostro, seguace della Nuova Accademia quanto al metodo inquisitivodei veri particolari,ne temperasse per altro il dubbio ravvicinandolo allefonti socratiche. Ma ilKuehner,cheraccolseconstudioletestimonianze fatte daTullio ne'più de'proemj sulla bontà e la modera zione del suo metodo,non haconsiderato abbastanza nei libri morali come a quel precetto apparentementenegativo dinon cercare che il probabile,edirattenerel'assenso,con trapponga sempre,ad esempiodiSocrate,l'altrosuprema mente affermativo del conosci te stesso.Nèil tornare che egli fa tante volte a raccomandare ilfamoso placito del savioateniese, si prenda come artifizio rettorico,o come vano e miserabile ossequioalle tradizioni. L'esame più diligente e spregiudicato delle sue opere (io loaffermo sin d'ora) mostra che il dubbio universale e sistematico, ildubbiodi Carneade,del Cartesio e del Kant,non antecedeva nella mentedell'oratore-filosofo allo stato di scienza. Egli,prima d'esserefilosofo,comeuomo,come romanogiàsisentiva e si riconosceva nel vero;e quel vero,a cuil'animo spon taneamente piegava sin da'primi anni per inconsapevole virtù dinatura,l'intelletto glielo mostrava più tardi adu nato, e come raccoltonell'evidenza interiore; evidenza non solitaria, non priva d'oggettività,nonfenomeno puro, quasi paesaggi riflessi sulla tela da magico apparecchiodilenti,ma uno spettacolo interno,a cuirispondevano. tre grandi attinenzedell'uomo con sè stesso,coll'universo e con Dio; un'armonia d'enti che lascienza dovea tras formare in armonia di principj. “Nam quum animus cognitisperceptisque virtutibus, a corporis obsequio indulgentiaque discesserit,volupta sed Delphico deo tribueretur. Nam quiseipsenorit,primum. A questoproposito ci giova riferire le sue parole tolte da un luogo eloquente del dialogodelle Leggi, dove egli stesso in propria persona descrive il concetto ed ilmetodo della scienza prima. Ita fit (così il testo latino, che io trascrivo permaggiore esattezza secondo l'ediz. di Lipsia riveduta da Klotz) ut mater omniumbonarum rerum sit sapientia, a cujus amore Græco verbo “philosophia” nomeninvenit, qua nihil a dîs immortalibus uberius, nihil florentius, nihilpræstabilius hominum vitæ datum est. Hæc enim una nos quum ceteras res omnestum quod est difficil limum docuitutnosmet ipsosnosceremus:cujuspræcepti tantavis et tanta sententia est,ut ea non homini cuipiam, aliquid se habere sentietdivinum ingeniumque in se suum sicut simulacrum aliquod dedicatum putabit,tantoque munere deorum semper dignum aliquid et faciet et sentiet, et,quum seipse perspexerit totumque temptârit,intelliget quem ad modum a naturasubornatus in vitam venerit quantaque instrumenta habeat ad obtinendamadipiscen damque sapientiam, quoniam principiorerumomnium quasi adumbratasintelligentias animo ac mente conceperit, quibus illustratis sapientia ducebonum virum et ob eam ipsam causam cernat se beatum fore temque sicut labemaliquam dedecoris oppresserit, omnem que mortis dolorisque timorem effugerit,societatemque caritatis coierit cum suis, omnesque natura coniunctos suosduxerit, cultumque deorum et puram religionem su sceperit, et exacueritillam,ut oculorum,sic ingenii aciem ad bona eligenda et reiicienda contraria,quæ virtus ex providendo est appellata prudentia, quid eo dici aut cogitari poteritbeatius?Idemque quum cælum,terras,maria rerumque omnium naturam perspexeriteaque unde ge nerata,quo recurrant,quando,quo modo obitura,quid in his mortaleet caducum,quid divinum æternumque sit viderit, ipsumque ea moderantem etregentem paene prehenderit seseque non unius circumdatum mænibus loci, sedcivem totius mundi quasi unius urbis agnoverit, in hac ille magnificentia rerumatque in hoc conspectu et cogni tionenaturæ, diimmortales, quamseipsenoscet!quod Apollo præcepit Pythius, quam contemnet, quam despi ciet,quam pro nihilo putabit ea,quæ vulgo ducuntur amplissima! » Atque hæc omniaquasi sæpimento aliquo vallabit disserendi ratione, veri et falsi iudicandiscientia et arte quadam intelligendi quid quamque rem sequatur et quid sitcuique contrarium. Quumque se ad civilem societatem natum senserit, non solumilla subtili disputatione sibi utendum putabit, sed etiam fusa latius perpetuaoratione, qua regat populos, qua stabiliat leges, qua castiget i m probos, quatueatur bonos, qua laudet claros viros, qua præcepta salutis et laudis apte adpersuadendum edat suis civibus,qua hortari ad decus,revocare a flagitio, consolari possit adflictos factaque et consulta fortium et sa pientium cumimproborum ignominia sempiternis monu mentis prodere. Quae cum tot res tantæque sint,quæ inesse in homine perspiciantur ab iis, qui se ipsi velint nosse, earumparens est educatrixque sapientia. DeLeg. Qui s'espone a dettatura del nostro filosofo il suo metododell'osservazione interiore induttivo e deduttivo, quale uscì dalle dottrine diSocrate e di Platone, e si continuò, accolto dal Cristianesimo, lungo lescuole m i gliori dell'universale Filosofia. Vi si distinguono tre cose: lo ciòche antecede; 2o ciò che accompagna; 3o ciò che sussegue alla scienza. Lo statoche antecede la scienza non è il dubbio, m a un riconoscimento pratico especulativo dell'ordine universale.L'uomo ha innanzi tutto un sentimento arcano della sua somiglianza con l'Essere infinitamente perfetto; e quelsentimento della dignità umana, e quel l'aspirazione all'immutabile eall'assoluto in cui vero e buono sono congiunti, e la ragione procede da unostesso fonte identica colla legge morale, risveglia in lui l'evidenza intima deprincipj speculativi, ond’e’si leva alla cognizione di sè stesso e di Dio,capisce pei mezzi l'eccellenza del fine a cui nacque, e costituendo in ar moniapensiero e volere,premette la riforma morale di sè stesso alla riformaspeculativa.Due condizioni del sog. getto rendono possibile in lui la contemplazione dell'og getto che è scienza:prima la retta disposizione dell'animopurificato spiritualmente dalla morale, l'istinto sociale educato dalla vitacivile, l'istinto religioso santificato e nutrito dal culto; in secondo luogorende possibile la scienza la capacità delle potenze conoscitive, che non sarebbero potenze ordinate alla notizia del vero,se un che di determinato ed'efficace, se una verità prima non le costituisse tali nell'essere loro;ma èprima necessaria la retta disposizione dell'animo,perchè ilpensiero avvaloratodalcuore (animo acmente) ravvisi nell'intellezione prima (adumbrataintelligentia), un po'confusa e indeterminata, le notizie riflesse. Ciò posto,si procede allo stato di scienza,e il filo sofo movendo dall'esperienzainteriore, col soccorso della Dialettica dottrina delle conseguenze econciliatrice dei contrarj, levasi alle ragioni supreme dell'essere, del conoscere e del fare,si forma i concetti d'origine e di fine, di contingente e dinecessario, di temporaneo e di eterno, che gli sono via a discendere di nuovoalla notizia di sè stesso e del mondo, notizia comprensiva ed universale che lopalesa inferiore soltanto a Dio, eguale ai suoi simili, e cittadinodell'universo. 3. Dall'ordine universale della Scienza prima discen dono duedottrine applicate, e strette in vincoli di co munanza fra di loro: laeloquenza civile e l'arte dello stato. Tali erano per CICERONE i fondamenti, edil metodo della scienza. Ora ecco, secondo che riassume un istorico recentedella Filosofia, quali erano isuoi criterj: « Nella coscienza di noi stessiCicerone, come Socrate,più di So crate forse perchè romano,sentival'universalità del vero, distinta dalle opinioni particolari,e l'amore chetende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni uni versalianch'esse; e però egli inculcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è propriodell'uomo,ossia nella retta ragione (De off); e contro gli Epicurei fa valeregli affetti più generosi dell'animo (ivi, e negli Acc.e ne'Tuscul.equasipertutto);echiama insoste gno il senso comune e le tradizioni umane edivine. Così ne' libri Tuscolani adopera l'autorità del senso comune adimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana,e dice ne' Paradossicontro gli Stoici: « Noi più adoperiamo quella filosofia che partorisce copiadi dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pen sardellagente.» (Proem.)E nelleseguentiparolede' Tu scolani si vede com’ei raccogliesse,di mezzo alleopinioni varie,le tradizioni universali de'filosofi e le divine;« Inoltre,d'ottime autorità intorno a tal sentenza (cioè l'im mortalità dell'anima)possiamo far uso; il che in tutte le questioni e dee e suole valere moltissimo(in omnibus, caussis et debet et solet valere plurimum ); e prima, di tuttal'antichità (omni antiquitate); la quale quanto più era presso all'originedivina (ab ortu et divina progenie ) tanto più forse discerneva la verità.»(Tusc.,I,12).E tra'filosofi, ch'egli cita,preferisce appunto Ferecide,comeantico,antiquus sane;e indine conferma l'autorità con quella di Pitagora ede'Pitagorici;il nome de quali, egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtùche niun altro paresse dotto. E dice più oltre che, secondo Platone,la filosofia fu un dono,ma quanto a sè,una inven zione degli dèi: «Philosophia vero omnium mater artium, quid est aliud,nisi, ut Plato ait,donum,ut ego, inventio deorum? » Nel che s'accenna il principio divino della Sapienzae della tradizione.(Conti, St. della Filo sofia) Se per ciò che risguarda iprincipj e i fondamenti della filosofia egli mosse direttamente da Socrateaffer mando la chiarezza naturale del soggetto scientifico,e l'efficacia dellaconoscenza, quanto poi al metodo più propriamente detto, indagatore dei veriparticolari, fu se guace, o come ci dice egli stesso,restauratore della NuovaAccademia (deserte discipline et iam pridem relicte ), restaurazione che, a mioparere, può e debbe chiamarsi una vera riforma; perchè l'idealismo d'Arcesilaoe di Carneade tralignava nel dubbio, e, piuttosto che all'An tica Accademia, siricongiunse agli scettici dell'età italo greca e a Pirrone; m a Tullioattingendo alle fonti socra tiche si riscontrò nelle tradizioni genuine dellasua scuola. Questo fatto s'è rinnovato in Italia nel secolo XVII, quandoGalilei tornando al vero metodo aristote lico dell'induzione, restaurava lafilosofia naturale; più peripatetico in ciò, come egli stesso scriveva alLiceti,di tutti i peripatetici de'tempi suoi.Riassumendo il tutto inpoche parole, Cicerone attri buiva alla filosofia universalità di fini, diprincipj e di metodo, e tutto ciò comprendeva,come Socrate,nel sensogeneralissimo della voce sapienza, talchè dopo averla descritta ne'librioratorj come un semplice esercizio di raziocinio, e in alcune opere morali comeuna dottrina puramente pratica e positiva,ne'Tuscolani e nel secondo librodegli Officj la chiamò con significato più largo: scienza delle cose divine edumane e delle loro cagioni. Suolsi affermare comunemente dai critici e daifilosofi che CICERONE (si veda) diè prova di scarso ingegno speculativo noncomponendo le sparse verità in un sistema ordinato. La quale accusa vuol benedeterminarsi; perchè,se con essa si nega che Cicerone aggiungessecopiose speculazioni alla materia delle dottrine contemporanee, e checomponesse le verità antecedentemente trattate dalle scuole socrati che in uncompiuto e perfetto sistema, ha ragione la critica, m a la critica ha torto,sevuol negare che a Cicerone mancasse qualunque disegno di scienza, o un propriocri terio per l'ordinamento formale delle dottrine. L'affermar ciò, rispetto aCicerone, importerebbe nel vero affermarlo pure di Socrate,e d'ogni altroriformatore; chè il sistema della filosofia di Tullio (se così vuolsichiamarlo), come quello di Socrate, non è ordinato secondo un disegno po sitivocorrispondente all'ordine del soggetto ripensato dalla coscienza, ma si svolgenella stessa opposizione alle sette, e in quella opposizione egli scuopre ilconcetto della scienza,e il metodo,e i criterj che gli son guida,indizio manifestoche,mentre da un lato egli demoliva le dot trine sofistiche dei contemporanei,edificava dall'altro sui fondamenti incrollabili della coscienza umana. Ora siavverta come il considerare in tal modo questa temperata efficacia dellaspeculazione di Tullio, che ri pensa e rifà le dottrine degli altri con unproprio criterio positivo di paragone e di scelta,in contrapposto alla passività negativa dell'eclettico erudito che ricopia quelle dottrine e le ragunanella memoria, anzichè comporle nella riflessione; è metodo forse non seguitofin qui dai prin cipali critici di Cicerone,e tale che potrebbe condurre ameglio comprenderlo e giudicarlo col chiarire molte que stioni, tra le qualinon ultima quella sull'uso ch'egli fece dell'autorità quanto ai fonti delle suedottrine,trattata a lungo in Germania, e sì bene dal Kuehner nel capitoloquinto, parte seconda della Dissertazione citata.E tale è il metodo chenoi abbiam preso a seguire, ond'escono alcune conseguenze e regole pel nostroesame. In primo luogo, poichè solo per nostro avviso, il contrapporre Tullioa'suoi contemporanei può dimostrare quanta altezza d'ingegno e potenzad'analisi gli abbisognasse per isceverare dalla confusione de'sistemi le veritàprincipali, chiarirle e ordinarle in forma di scienza, terremol'usod'esporre ogni volta le principali opposizioni de' sistemi, e poiqual giudizio ne recasse il filosofo latino. In secondo luogo avremo questo aprincipio di critica, notato da altri, che, poichè le opere di Cicerone sonoper la m a s sima parte dispute scritte, e, come tali, ritraggono nei varjpersonaggj il conflitto delle opinioni, e le nature differenti degl'interlocutori,convien distinguere con ogni diligenza quando egli riferisce la propria, equando l'opi nione degli altri, quando egli stesso prende parte al dia logo, osi tien fuori, quando tratta ex professo una m a teria,oquandosoltantol'accenna(V.Degerando, Brucker, Kuehner, Middleton.) Finalmente si consideri bene chel'ordine di questo ragionamento mostrerà come una pro gressiva verificazionedei principj supremi nella mente di Tullio, a misura ch'egli passa dallafilosofia fisica alla logica, e poi alla morale; ed è perciò che qualche argomento interrotto in una parte delle dottrine, verrà ab bandonato e poi ripresoin un'altra, quand'egli,conside randolo sotto un aspetto diverso, sempre più loverifica, e sempre più lo chiarisce. Le fonti da cui trarre le dottrine diCicerone, sono principalmente i suoi libri di filosofia, che ci pervennero lamaggior parte, se n'eccettui le traduzioni Oeconomica Xenophontis,Protagoras exPlatone, Timæus de Universo (trad., come app. dal proem., dopo gl’Accademici; ilibri vriginali, Hortensius de philosophia,Consolatio de luctu minuendo(scritta poco prima dei Tuscolani), De Gloria, Commentarius devirtutibus,Cato,sivelausM. Catonis, Deiure civili in urtem redigendo; de'piùfra'quali rimangono frammenti. Gli altri, non interi tutti, e che in ordine ditempo si distribuiscono cosi: De republica, De legibus(composti dopo il Derepublica), Paradoxa,Academicorum (ne fece due edizioni dette Acad. priorum in2 libri, e posteriorum,in 4 libri;della prima c'è rimasto il secondo libro,della seconda il primo; anno 709), De finibus bonorum et malorum; Tusculanarumdisputationum (compiti avanti la morte di Cesare), De natura Deorum, DeDivinatione, De fato, De officiis, Cato major de senectute, Lelius de amicitia(scritto dopo il Catone maggiore av.gliOfficj); furono variamente distinti daicritici secondo la loro materia e la forma. Ritter li distinse in riposti ed inpopolari, clistinzione che più esattamente potrebbe ridursi all'altrade'dialoghi speculativi, come i libri Accademici, de'Fini, delle Leggi,dellaNatura degli Dei;dagli scritti che hanno È noto quanto siasi discusso tra icritici sulle dale dei libri di Cicerone.Cilusa principale del dissenso è ilnon trovarsi d'accordo quauto al determinare l'anno della nascita dell'Autore.Forsyth lo dice nato il 3 di gennaio, ma aggiunge in nota a p. 2, che, secondoil calendario Giuliano, egli sarebbe nato l'ottobre. In questo anno pongono lasua nascita Middleton, Kuehner ed altri autori meno recenti;onde seguitache,mentre, a cagione ll'esempio,essi fanno il De consolatione,l'Orlensio,gliAccademici, il De finibus e le Tuscolane, e le opere De Natura deorum, De Divinatione,De Fato, De Offi riis, Cato Vajor e Lælius; il Forsyth e l'edizione di Lipsia(riveduta dal Clolz so quelle dell'Orelli e dell'Ernesti), riferiscono i primicinque trattati. Noi stiam o col critico di Lipsia, e col Forsyth,perchè mollorecenti,e temperati assai nei giudizj.Del resto di parecchie opere si conoscela data.Intorno a quella del De Republica e De Legibus rimane qualcheincertezza. Il dott.P. Richarz. in una dissert., De politicorum Ciceronislibrorum tempore natali (Wirceb.), stabilisce avervi speso Cicerone oltre adieci anni, Questa ed altre molte dis sertazioni di critici tedeschi efrancesi, citate da noi,ricevemmo dalla cor. tesia dell'illustre Vannucci, acui rendiamo pubblica testimonianza di gratitudine. un fine pratico,adesempio gli Officj, dell'Amicizia, i Para dossi, le Tusculane e qualche altro.Noi abbiam seguito l'altra distinzione più principale, ammessa da tutti icritici, e che fino a un certo punto concilia l'ordine logico o sistematico otematico dei libri coll'ordine di tempo,tra le opere fisiche – filosofia naturalis -- De natura Deorum, De divinatione,De fato, e il Somnium Scipionis parte della Rep.), le logiche -- Academicorum,Topica, De inventione, etc. --, le morali – De finibus,Tusculanarum, Paradoxa, Delegibus, De officiis, De republica, De senectute, De amicitia). Avvertendo chela distinzione non siprenda troppo assoluta, ma che si guardi alla qualità cheprevale. Fonti secondarj, ma dausarsiconmolto riserbo, sono,secondo notaopportunamente Middleton nella vita di Cicerone,le Orazioni e l’Epistolario; enoi vi aggiungiamo le opere rettoriche, segnatamente il De Oratore e l'Orator.La distinzione accennata delle opere fisiche,logiche e morali risponde alconcetto della scienza, e al metodo della antica Accademia seguito da Tullionell'ordina mento generale delle dottrine, e ne partisce la filosofia nelle tregrandi teoriche dell'essere, del conoscere e del l'operare. Premessi questiprincipj generali, si passi ora al l'esame più specificato delle dottrine. Ilprendere ad esame con quella larghezza e diligenza,che è necessaria alla criticaistorica, le varie parti delle dottrine tulliane, è cosa invero che ricerca unabito non ordinario di osservazione, e un sentimento vivo delle attinenzescientifiche; perchè, sebbene, come fu notato nel capitolo antecedente, non sitrovi nell'Arpinate un pieno disegno di filosofia ordinata a sistema, basta leggere alcuno dei suoi libri speculativi per accorgersi tosto ch'ei ritraeva daSocrate,non soltanto ilmetodo esterno del disputare e la sobrietà dell'esame, ma altresì quellariflessione larga e compiuta, onde l'Ateniese coglievanel l'universo delle idee la unità della scienza. E di fatto socratici verisono, come ben nota Ritter,tutti coloro che videro chiaramente la necessità dicollegare la scienza de'fatti interni con quella dell'universo, l'osservazionemorale coll'esperienza e la fisica colla psicologia. Nes suno dunque fu piùvero e perfetto socratico del nostro Autore. Anch'egli si accorse, come già ilsuo Maestro, che se un sentimento naturale, abbenchè indeterminato,dell'attinenza tra il pensiero nostro e gli oggetti, mosse la riflessionene'primi passi della scienza a riconoscersi per illusione identica col mondoesteriore,illusione da cui poi i Pittagorici, gli Eleati e gli Ionj traevano ilpantei smo,e uscì la dialettica de'sofisti, un secondo passo a ristorare lascienza caduta nella materia e nelle astra zioni eccessive, doveva esserel'affermazione dell'uomo interiore, e di quella sintesi intellettiva e morale,sola realtà oggettiva, in cui mirando il pensiero potesse rav visaresèstesso inattinenza colle cose con Dio.Suquesti fondamenti Socrate restaurava la veradottrina dell'es sere,dottrina che tratta di Dio,dell'universo e dell'uomo,considerati nella loro esistenza, natura e relazioni su preme, e abbraccia insè le scienze fisiche e matemati che, la teologia naturale, la psicologia e lacosmologia. Tutto ciò veniva compreso dagli antichi sotto il nome universale diFisica (usato in più luoghi da Cicerone ), e la Fisica includevano nellaFilosofia, perchè questa trat tando degli enti nel loro ordine universalecontemplato interiormente dalla coscienza,porge alle dottrine d'osser vazioneesteriore il soggetto e i principj. Or qui bisogna avvertire che questa unioneintima delle parti scienziali, sentita vivamente dalle scuole antiche italiane,e confer mata da Socrate (il quale, nemico della fisica sofistica degliIonj,favorì invece coll'osservazione interiore la fisica buona), davaoccasione, come sempre, ad un bene e ad un male; il bene era l'altezza dellariflessione scientifica, che comprendendo nell'unità de'principjl'intelligibile e il sovrintelligibile, la natura e il divino, scorgevasemprepiù addentro i legami che stringono la teologia naturale, lapsicologia e la cosmologia; il male era che le scienze sperimentali cosìintimamente collegate alla filosofia spe culativa,mentre se ne avvantaggiavanoda un lato rispetto all'universalità, traendo dall'accordo colle altre partidel l'umano sapere occasione a più vera e perfetta compren sione della propriamateria, dall'altra ne scapitavano quanto ai metodi, allorchè all'osservazioneesteriore o induttiva, che sola ci può condurre alla notizia dei corpi, sivolle sostituire la deduzione, che da pochi generalissimi, posati a priori,scendeva di salto, come nota Bacone, al particolarede'fatti. Duefontiperennid'errorenellescienze sperimentali furono pertanto il panteismo e ildualismo; ilprimo,perchè,data l'unità di sostanza,ne consegue la medesimezzadell'ordine ideale col reale,onde deduce il filosofo darsi vero passaggio dalleidee alle cose,senza necessità di sensata esperienza; il secondo, perchè, fattacoeterna a Dio la materia,ne viene alterato il concetto di finitudine, e ilmondo si pensa non più finito e tem poraneo, ma infinito ed eterno, e animatala materia e incorruttibiliicieli;pertalmodo panteismo edualismo ci diedero lafisica fabbricata a priori, quale fu nelle scuole dell'India,nelle Pittagoriche,nelle Eleatiche, in Platone, negli Stoici e nei Peripatetici del medio -evo. Lequali considerazioni son necessarie,parmi,a chiunque voglia esaminare lametafisica di Cicerone, e chiarire come mai,mentre la fisica superioreeledottrinesuDio,sull'uomo e sull'universo sono fondate da lui sopra prin cipj sì alti, viprendono pochissima parte e indiretta le indagini sperimentali. Ai tempidell'Arpinate in cui, venuta all'ultima corruzione la Gentilità, si rinnovaronoesiesageraronotutti gli errori delle età anteriori, quello strano accozzo dellescienze fisiche colle metafisiche era venuto al suo colmo, e potente occasionedi scetticismo era il contrasto delle opinioni. Ora v è un luogo sulla finedegli Accademici primi,dove Tullio descrivendo in persona propria la di scordiadelle sette contemporanee nelle tre parti della scienza,e volendomostrare come quella discordia giusti ficasseildubbio dellaNuovaAccademia,sitrattienepiùspe cialmente sulle dottrine de'Fisici (Acad.) Da quelluogo apparisce che il panteismo e il dualismo italico spingendo all'eccessol'induzione astrattiva, per stabilire l'identità della sostanza prima, aveancon cepito a priori un'essenza nascosta e universale delle cose distinta dalleloro qualità manifeste pel senso,e che si convertiva in tutti gli elementi; m asulla natura di quest' intima essenza si disputava segnatamente tra le scuolepittagorica, eleatica ed ionica. D'altra parte sor geva questione tra ledifferenti scuole socratiche sull'or dine e sui destini dell'universo;gliStoici ammettendo una continua successione di mondi, affermavano temporaneo ilpresente ordine delle cose; Aristotele lo diceva eterno; i primi trasportandol'immagine dell'uomo nel principio supremo, concepivano Dio provvidente neiparticolari e negli universali; m a Stratone da Lampsaco e Democrito glirifiutavano ogni ingerimento nelle cose del mondo, inentreAristotile,accordandogli la provvidenza dei generi e delle specie, gli negavaquella dei particolari. Tal m e todo di ragionare a priori sull'essenza dellecose,occulta intimamente all'umano intelletto,non piaceva a Tullio,ond'e'consigliavaun più modesto sapere; mostravacome la notizia, che noiacquistiamo de'corpi, movendo dagl’effetti, non comprende l'intima essenza el'efficacia delle cause, e se all'occhio stesso dell'anatomico, che pur p emetra ne'corpi, non si manifesta l'attività che li avviva, molto meno ella simanifesterà al Fisico, che non può tagliare e dividere la natura delle cose perindagare i fondamenti su cui posa laterra. Procedendo di questo passo l'Autorefaceva vedere negli Accademici, nei Tusculani e nel libro della Natura degliDei,come i dubbj opposti alle eccessive affermazioni de'Fisici intorno allaessenza delle cose si trasportavano dalla Nuova Accade mia sull'esistenza,naturae destini dell'anima,sull'esi stenza e natura di Dio e sue relazionicoll'universo, e sulle altre principali verità della scienza.Nei luoghicitatiadunque e in qualche altro ancora,in cui l'oratore latino dipinge ildissidio delle scuole sulle verità naturali, non può negarsi ch'egli si facciaseguace della Nuova Accademia; e non pertanto s'ingannerebbe col Ritter chi,attingendo di preferenza a quei libri che han fine principalmente metodico, edove le dottrine della Fisica superiore si toccano per incidente, ne inferisseil dubbio universale di Cicerone sui fondamenti di tutta la scienza. Nellafisica ciceroniana si vuol distinguere infatti le verità problematiche dalleteorematiche; le prime ri feribili all'intima essenza e natura de'corpi, alleleggi de’loro moti,alla costituzione fisica dell'universo;l'altre risguardantil'esistenza e natura di Dio, dell'uomo e del mondo, considerati nell'ordineloro e relazioni supreme. Quanto ai problemi naturali,egli non impugnava la probabilità che la scienza pervenisse a risolverli, e, come primo presuppostosomministrato dalla filosofia alle dot trinesperimentali,ammettevalapercezionede'corpi;ma di contro all'orgoglioso dommatismo degli Stoici, degliIonj e degli Eleati gli pareva assai più degna del saggio la modestaverosimiglianza della Nuova Accademia,e fu per certo impresa vantaggiosa allaFisica, in una età come quella quando gli errori del panteismo,e il difetto deimetodi e degli istrumenti toglievano fede alle verità di sensata esperienza, professareuna modesta ignoranza del vero per arrestare in tal guisa i rapidi progressidello scetticismo universale. E lo scetticismo, diceva Cicerone, si sarebbeaperta la via quando que'filosofi dommatici non avessero considerato, comesentenziando con assoluta certezza di cose occulte e dubbiose, si toglievanopoi l'autorità d'affermarne altre d'evidenza maggiore; os servazione importantee che mostra come anche rispetto alla scienza sperimentale Tullio nonprofessasse un dub bio assoluto, m a riconoscesse un ordinamento di gradi dalverosimile al certo. Acad .prior.e De repub. M a la prova maggiore si è che,mentre le intermi nabili e vane questioni ond'era ingombra la fisica, lo lasciavano sconfortato e dubbioso,un desiderio nutrito dall'ingegno potente edall'animo roma no,loinvogliava delle indagini naturali,di quelle indagini ondeci leviamo sopra noi stessi, e dispregiando la picco lezza delle umane cose, proviamoun vivo sentimento del divino e dell'immortale. « Nè anche io penso, cosìscrive CICERONE (si veda), che sidebbano tor via tali questioni dei fisici;poichè viè un certo naturale alimento degli animi nel considerare econtemplarela natura;ce ne sentiamo inal zati,e fatti più grandi, e nelpensiero delle cose supe riori e celesti dispregiamo queste nostre del mondocome leggiere e di nessuna importanza; anche l'indagine stessa di cosegrandissime e occultissime diletta oltremodo; se poi c'imbattiamo in qualcosache sembri verosimile,l'ani mo nostro è compreso da quel piacere chesupremamente è degno dell'uomo.» (Acad.prior., De fin.5). Innamo rato quindidella fisica, come fonte di più alte specula zioni, egli rigettava le fantasiegrossolane di Democrito e d'Epicuro . De fin. Loda Zenone perchè imitatoredell'antica accademia diligente indagatrice della natura (De fin.); e i quesitidel l a fisica che lo mossero a tradurre il Timeo di Platone, gli avevan dettato qualche anno avanti le pagine più eloquenti del trattato sulla Repubblica;il ragionamento di Filo e lo stupendo sogno di Scipione. De rep., De fin., Tuscul.Due conseguenze,per quanto ci sembra,discendono dal contesto generale dei passisopraccitati, e da una lettura complessiva dei libri fisici di Cicerone: 1o cheil filosofo latino, a misura che dalla ricerca delle cose sensibili, edell'essenza loro occulta all'intelletto dell'uomo,argo mento de problemi, silevava col discorso induttivo ai teoremi della scienza, scopriva illuminate dauna luce interiore le verità più alte, sebbene in mezzo alle tene bre del gentilesimononardissedeterminarle; 2ache,ofosse la dottrina stoica a cui pendeva,o l'indole viva emeri dionale del suo ingegno, nella natura egli sentiva e rico nosceva ildivino; e tale attinenza sentimentale e logica della sua mente tra ilfinito el'infinito,tra il contingente e l'assoluto, tra il temporaneo el'eterno gli era scala a pensare la relazione ontologica;e questa poi per abitoalsemipanteismo-dualistico di Platone e degli Stoici lo conduceva probabilmentea immaginarsi l'intelletto umano emanato da Dio,e Dio e le creature supremedisgiunte dall'universo de'corpi. In questo metodo che sale per gradi diverosimiglianza dalla natura al divino, metodo improntato sulle meditazionisocratiche,sta l'essenza della fisica di Cicerone,e n’escono chiarite e perordine le sue dottrine sull'esistenza e natura di Dio, dell'universo edell'uomo, sulla provvidenza e sulla libertà dell'arbitrio. 2. La dottrinasull'esistenza e natura di Dio tiene il primo luogo nella fisica di Cicerone.Lacausa di questo primato apparisce evidente innanzi tutto per la sovranitàincontestata dell'idea di Dio nella scienza. Dio, oggetto necessario e realeassoluto ed eterno che si manifesta come prima causa al di fuori di sè stessonell'universo degli enti, e li governa volgendoli ad un fine immortale, che neè prima legge, in quanto si rivela all'intelletto dell'uomo nel mondodegl'intelligibili,come ragione prima,signoreggia per fermo tutto l'ordinescienziale; e infatti,sebbene l'inda gine della coscienza interiore sia principioe fondamento al sapere nell'ordine della riflessione, è pur certo che i veri, iquali si dicono da’filosofi più noti rispetto a sè stessi, e son centrod'infinite relazioni, come quello di Dio,partecipano all'uomo quell'ampiaveduta ideale,che sola lo conduce alle armonie della scienza. Nè il primato delconcetto di Dio si menoma punto se la mente sale da ciò che muta a ciò che nonmuta,e dalla natura al di vino, una volta ch'ella v’ascende guidata da unconcetto necessario d'attinenza causale, attinenza di termini cor relativi,l'uno dei quali è Dio stesso presente con arcana e invisibile efficacia nelsoggetto pensante. Anche senza l'unità assolutadeipanteisti,lafilosofiasicomponedunque in forma di scienza,e la psicologia e la cosmologia si congiungonoinsieme nel massimo problema della teologia naturale.La qual cosa è assaiprovata dal metodo di Socrate, che movendo dalla coscienza produsse inPlatoneuna compiuta armonia di sistema, e aiuto il filosofo latino,venuto in tempi di povere e scucite speculazioni, a ser bare un vincolo didottrine nei suoi libri di fisica, che scritti in ordine successivo di materiee di tempo,debbono quindi esser presi ad esame da noi come un solo trattato.Premesse queste cose, viene spontanea la domanda: quale fosse il pensiero dell'oratorelatino intorno a Dio.Se dopo una attenta lettura dei passi delle sue opere,dove tal pensiero s'accenna,e un diligente ragguaglio di questi passi traloro,ci facciamo tal quesito, verrà spontanea pure larispostach'egli dell'esistenzadiDio,diquelladell'animae sua immortalità, della provvidenza e del libero arbitrio non dubitava,esoltanto accoglieva una più o meno decisa incertezza quanto al determinarne lanatura; e il suo criterio in sì ardua questione della filosofia era un vivointuito e un sentimento più vivo dell'eccellenza e della armonia delle cosepalesata internamente dalla coscienza morale, esternamente dai principj supremidi universale consenso. (Kuehner. Scholten, Dissertatio philosophico-critica de philosophiæ ciceronianæloco qui est de Divina Natura. Amstelaed.In questo criterioioravvisoil riformatore e il filosofo vero; il riformatore,perchè m o veva da ciò che v’ha di più vivo e di più efficace nel l'uomo,dall'autorità delle tendenze morali, il filosofo, perchè non se ne stava già altestimonio privato e indi viduale,ma con deliberata indaginescientificacercavale note del vero nella ragionevole natura dell'uomo, e nelsuo carattere d’universalità. Tale osservazione è degna d'es sere avvertita sind'ora,perchè parecchi istorici della filo sofia,tra iquali ancheRitter,considerando ilmodo ora dubitativo, oradommaticoconcui Cicerone si esprimeinsiffatta dottrina, ilsuo riserbo nell'accettare le opinioni degli altri,nell'esaminarle, nel ventilarle, han voluto dedurre che egli in questaparte,filosofo di non troppo sottili spe culazioni, più che a una severariflessione, se ne stasse al sentimento individuale destituito da criterjscientifici. (Ritter, Hist., Brucker, Degerando.) Ma questi storici nonhanno considerato a quali tempi si abbattè Cicerone; tempi di sfrenatepassioni, di orribili scelleratezze, di guerre sterminatrici, ne'quali ogni fondamento dell'edifizio civile crollava, e la scienza,abban donato il sublimeministero di propagatrice del vero, si prostituiva alguadagno. Allora la voce delsenso comune e degli affetti naturali, alterata dalla Gentilità, non so navanelle plebi,quale una volta,testimone dei veriuni versali e delle tradizioniprimitive; la voce del popolo non era più quella di Dio. Allora la tradizionescientifica, che ravviata da Socrate s'era andata continuando, benchè connotevoli alterazioni,lungo le scuole socrati che, pervertita dagli ultimisofisti avea perduto ogni sen timento del vero;talchèalfilosofo,chenon avessevoluto o bestemmiar colle plebi o delirar coi sapienti, non ri maneva checercare iprincipj della scienza nella propria natura non corrotta enell'antichità veneranda. Ecco il fondamento che cercò Cicerone alle principalidottrine della teologia,ed ecco icriterj che lo guidarono in mezzo airavvolgimenti delle scuole sofistiche. Qui per altro è necessario notareche,quando diciamo che in tempi di sì corrotta filosofia Cicerone ebbe emetodo, e indagini pro prie,e guide non fallaci del vero,noi non lo rappresentiamo immune del tutto dalla funesta efficacia delle dot trinecontemporanee, nèintendiamoch'e'fossesì fortunato da ravvisare scevre d'errore nel santuario dellacoscienza le verità principali.- Ebbe egli compiuta e perfetta n o tizia dellanatura di Dio e delle sue perfezioni? conobbe senza mischianza d’errori i d o mm i della spiritualità e i m mortalità dell'anima umana?ravvisò semplici eschiette, senza infezione di panteismo e di dualismo,le attinenze dell'Entesupremo coll'intelletto dell'uomo e col mondo? - I o so che tali quesiti furonoproposti più volte dagli storici della filosofia, e poichè parve che Tullio nonsempre rispondesse chiaro e deciso all'esame dei postulanti, gli fu negato nomee autorità di filosofo, e valore d'in gegno speculativo. (Brucker lo difesedall'ateismo; redi Bayle, Diz. Art. Spinoza). E veramente laconclusioneIl metodo ch'e'si propose apparisce manifesto dai tre libri De natura Deorum; e tal metodo discende dal fine di tutto iltrattato. Or qualeraquelfine? Chiamarescenderebbe di necessità dai principj, quando sipotesse provare che la riflessione scientifica s'è trovata in ogni tempo nelmedesimo stato di certezza di contro al sapere naturale e al soggetto dellascienza,o che lo spirito umano nonsegueun cammino di progressivo svolgimento nellaetà dellastoria; e sela criticamoderna immune da preoccupa zioni, adoperassesempre una stessa severità imparziale nell'esame d'ogni filosofo. Ma la cosaprocede ben altri menti; perchè da un lato il razionalismo alemanno coi suoiseguaci d'ogni paese, che ammette ogni perfeziona mento scientifico come unprodotto spontaneo e succes sivo della ragione nel tempo,non potrebbe,senzarischio di contraddire ai principj del proprio sistema, negare che la formalogicale e il fondamento delle dottrine dei filo sofi antichi sia rispetto aquel de'moderni notevolmente imperfetto; d'altra parte il filosofo delCristianesimo, che afferma oscurate e corrotte prima della venuta di Cristo letradizioni e le verità primitive, e restituite dalla parola rivelatrice delVerbo quelle tradizioni e quelle verità all'intelletto dell'uomo redento, nonpuò non ravvisare nelle dottrine cristiane un perfezionamento notevole delledottrine gentili; infine, ed è conseguenza del già detto, nessuno rimprovera aifilosofi Indiani, Italo-Greci, a So crate, a Platone, ad Aristotelel'ignoranza, l'errore e le manifeste dubbiezze intorno a parti sostanzialissimedella scienza. Le quali cose premesse, è inutile,parmi, far conside rare allettore di Cicerone ch' e' non vi troverà deter minato senza ondeggiamentid'idee e d'espressioni il con cetto di Dio; anzi dirò di più che tal concettoin parecchi luoghi delle sue opere (come nel De natura Deorum ) apparisce piùassai negativo che positivo. Resta ora che cerchiamo in breve per qualeindagine lenta e progressiva giungesse il filosofo nostro a una verificazionesempre m a g giore di quel concetto divino. ad esame le principaliopinioni de'filosofi intorno a Dio, discuterle,confutarle, e mostrare come leloro controversie sovra una parte sì nobile della scienza siano ben soventeoccasione e pericolo di scetticismo. Con questo intendimento venuto egli adesporre l'occasione del dialogo, racconta come essendo stato invi tato neltempo delle Ferie latine in casa dell'accademico C. Aurelio Cotta pontefice esuo familiare e trovatolo insieme con C. Vellejo, che allora avevavoced'essereinRoma ilprimotragliEpi curei,e Q. Lucilio Balbo, stoico da paragonarsi ai piùprestanti fra iGreci, cominciarono questi a disputare, lui presente, dellanatura degli Dei, spartendo tutta la m a teria in tre punti principali; vale adire: se vi fossero Dei,quale fosse la natura loro,e quale intervento aves seronelle cose del mondo e degliuomini. La qual spar tizione è conservata inappresso sì nell'esposizione delle dottrine di Vellejo e di Balbo, come nellerisposte di Cotta, che replicando ogni volta a ciascuno di loro, li confutaentrambi. Il dialogo sulla natura degli Dei,che è dei più im portanti fra ilibri speculativi del nostro autore, si riduce in sostanza a una esposizioneviva ed eloquentissima delle incompiutezze dei sistemi sofistici,contraddicenti alla c o scienza e al suo naturale riconoscimento, e si vedequivi come gli errori più perniciosi sul concetto di causalità prima che èfonte a noi del concetto di Dio,accumulati da secoli, corrompevano allora lespeculazioni gentili. Il panteista, immedesimando Dio colle creature,pervertiva l'idea della sua natura infinita e assoluta, introducendo nell'entesenza difetti il maggior de'difetti,la negazione dell'infinito e dell'assoluto;il dualista che svolge l'unità primordiale del panteismo, segregando ilCreatore dalle cose create e indiando la natura, si perdeva nella contradizione immortale di due infiniti coeterni, onde moltiplicando il divino,l'annienta; il materialista e l'idealista l’un o affogato nel senso, l'altroconfinato nella fredda solitu dine dell'idea, o si vedevano dileguare ilconcetto di Dio tra i fenomeni della materia, o lo perdevano di vistanelle indefinite astrazioni; m a l'uno e l'altro riuscivano a n e garlo,perchèsempre si nega per necessità di sofisma l'evi denza non affermata per difettodi logica. Ora egli è a p punto questa legge inesorabile dell'errore cheCicerone volle rappresentare mettendo alle prese l'Epicureo con lo stoico, esottoponendoli entrambi al sindacato della Nuova Accademia. E inveroquell'ardita e sconsigliata filosofia d'Epicuro che riesce sì lusinghieravestita dello splendore di Lucrezio, si mostra in tutta la sua nudità nel discorsodi Vellejo. Po neva egli come certo che gli Dei sono,perchè la natura aveaimpressa negli animi di tutti la loro anticipata notizia (apódnbev),e neaccennava vagamente l'essere e la figura, facendoli eterni e perfettissimi econformati a si militudine umana,ma non da materia corporea e sensi bile,bensìda un fortuito accozzo d'immagini simili rin novantisi all'infinito (imaginibussimilitudine et transi tione perceptis); gli Dei così costituiti dipingevabeati, e non curanti nè di sè stessi, nè delle cose pertinenti agli umani. Oraè chiaro che le conseguenze d'una siffatta dottrina eran ridurre la natura diDio ad un puro con cetto della mente,ad un'immagine d'inerzia non conci liabilecoll'ordine e col moto d'ogni cosa creata. Ma a più alto concetto di Dio silevava lo stoico Lucilio. Gli Stoici che,come vedemmo nella prima parte, ammettevanocontenuta nell'indeterminatezza primordiale della materia passiva, oscura,divisibile, capace all'infinito di forme un'intima energia che traendolaall'atto ne costituiva la vita dell'universo, concepivano Dio in questa vita,em o vevano per affermarlo esistente dall'universale consenso, daiprodigj,dall'armonia delle cose,e dalla eccellenza dello spirito umano.Sostenuta da questi argomenti la prova fisica della provvidenza di Dio che vadal C. XXXIII al LXVII del libro secondo, è uno dei più mirabili trattidell'eloquenza romana. Giunti a questo punto,se esaminiamo la polemica dellaNuova Accademia contro le dottrine d'Epicuro e di Crisippo, ci si presenta laquestione, a lungo agitata nelle scuole, qual sia in questo libro il veropensiero di Tullio su Dio,e se il dubbio accademico si manifesti in lui sottola per sona di Aurelio Cotta. I critici più antichi lo affermaronorisolutamente, alcuni più recenti come Scholten, Kuehner e Ritter, con qualcheriserbo. Ma sì gli uni che gli altri si avvicinarono al vero senza comprenderloa pieno; perchè essi ponevansi ad esaminare quel libro preoccupati dal concettoche Cicerone conforme a ciò che dice in varj de'suoi proemj,e nel proemio delDe natura Deorum, partecipassequividel tutto il dubbio fon damentale esistematico, il dubbio di Carneade sulle verità principali; laddove bisognavainvece considerare come il quesito proposto risguardasse intimamente il complessodelle dottrine, nè quindi potesse essere risolto badando a qualche frasestaccata, m a solo serbando nell'esame la rigorosa armonia delle parti coltutto. Alla qual cosa, se non m'inganno, noi ci aprimmo la strada sin da principio,quando distinguemmo nell'oratore latino due parti, e quasi due formedell'indagine scienziale; per l'una, che chiamerei intrinseca e dommatica, eglisi ravvicinava ai principj socratici, e ammetteva i fondamenti del vero neifatti della coscienza; per l'altra estrinseca e negativa, che eraildubbio dellaNuova Accademia, moderatamente partecipato da lui, egli confutava i sistemicontemporanei con dedurre da più negazioni particolari una compiutaaffermazione del vero. Assumendo egli in tal guisa le dot trine d'Arcesilao,più come istrumento metodico e inqui sitivo,che come sostanza delleproprieopinioni,ed anzi, quel che è maggiormente notevole, rifiutando il dubbiofondamentale sulla validità della scienza,stabilito da A r cesilao e daCarneade, doveva avvenire (siconsideri bene) che il fondamento delle teorichetulliane contraddi più volte a quella sua apparenza di dubbio,talchè vi fossero in lui quasi due persone distinte, l'una delle quali negava,l'altraimplicitamente edecisamente affermava. Ora si avverta un poco come questacontradizione, nonperò sostanziale,apparisca, più che altrove,evidentenel l'opera che noi esaminiamo; e come,introducendosi ivi da un lato Ciceroneche assiste al dialogo senza prendervi parte, e dall'altro Cotta che visostiene la parte di con futatorecol metodo della NuovaAccademia, è dato occasione alla critica di verificare con bastante certezza le sue opinioni,raffrontando insieme la persona del ponte fice con quella dello scrittore. Apersuadersi di ciò ba sterebbe considerare qualmente, se Cicerone intendevacelarsi sotto la persona di Cotta,era inutile allora che introducesse sèstesso;ma egli si dipinse là in mezzo a que'disputanti, chiuso in un silenzioveramente sublime, per rappresentare in sè l'immagine viva del sapiente, che,sebbene certo per natura di veri infiniti, tuttavia procede cauto e riguardosoall'acquisto della certezza scienziale. Noi affermiamo sin d'ora che Ciceronepossedeva da n a tura la certezza del teorema che prendeva a chiarire, perchèegli stesso,alludendo a ciò nel proemio dove dis corre in persona propria, cidice che le discordie dei dotti intorno a materie importanti sono occasionepotente di scetticismo anche a coloro che han fiducia in qualche cosa di certo;e perchè i due primi capitoli del libro primo sono un testimonio irrepugnabiledel come il filosofo latino ponesse l'esistenza di Dio e la sua prov videnzasui fondamenti della certezza morale. Il dubbio di CICERONE (si veda) nel libroDe natura Deorum era dunque semplicemente verificativo delle ra gioni giàpossedute, e avea per fine sostituire alla cer tezza naturale la certezzascientifica. M a d'altra parte chi guardi le dottrine della Nuova Accademia,quali ci sono rappresentate nella persona di Cotta,che le conduce alle ultimeconseguenze,siaccorge tosto che la loro indole negativa non era già apparente emetodica, m a procedeva dall'intima essenza dell'idea lismo d'Arcesilao, ilquale dubitando d'una reale corri spondenza tra l'essere delle cose e lepotenze conosci tive, dovea dubitare pur anco della certezza naturale e delsenso comune, testimone per lui d'un'ingannatriceevidenza. Questa è laragione per cui Cotta nelle sue ri sposte moveva dal negare agli Epicurei edagli Stoici la nozione preconcetta di Dio, attestata dal senso co mune. Ora siavvertacomela Nuova Accademia non affermando un proprio e fermo fondamento di vero negliumani giudizj, e solo una tal quale verosimiglianza eguale per tutti, mancavadi prin cipj certi e positivi da costituirvi la scienza,e conseguen tementeanche di un criterio sicuro a cui ragguagliare la critica de'sistemi contrarj.Questi sistemi, conforme alle opinioni della Nuova Accademia, non erano quindialcun chè di vero o di falso secondochè si avvicinavano o si dilungavano daiprincipj irrepugnabili della scienza; con tenevano tutti, sebbene in gradidifferenti, la verosimi glianza concessa all'umano intelletto, e solo quando illegame logico, che intercede di necessità tra le conse guenze e i principj, nonera strettamente serbato, allora soltanto si dava in essi l'errore. Un talcriterio, sostan zialmente negativo e relativo,abbisognava (si dirà) diuncriterio positivo e assoluto desunto dall'evidenza de'prin cipj supremi, su cuiposa incardinata la necessità logica d'ogni sistema;ma laNuova Accademia nonvibadava, e ragguagliando ciascuna filosofia colle premesse del pro priosistema, tentava coglierla in evidente contradizione. (Nelle opere di Ciceronepassim.) Un si manifesto contrasto tra il dubbio verificativo escientifico del nostro Autore, e il dubbio scettico della Nuova Accademiaapparisce in ogni passo de'suoi libri, in cui egli introduce la persona diqualche Accademico che confuta gli opposti sistemi; apparisce poi più evi denteche mai nella conclusione del De Natura Deorum, dove Tullio, uditi i filosofidisputanti, termina dicendo: la disputazione di Cotta (Accademico) sembrò aVellejo (Epicureo)più vera;a me l'altra diBalbo (Stoico)più verisimile; il cheè quanto dire che la Nuova Accademia dubitando di Dio si avvicinava agliEpicurei, mentr'egli, certo di questo vero,si allontanava dagli uni e daglialtri accettando in parte le dottrine del Portico.E che dim e gli opotevaeglifareinmezzoalturbiníode’sistemi?Estinte quasi del tutto le sacretradizioni, il consentimento p o polare offuscato dai vizj, da un lato,imbestiati nella materia negavano gli Epicurei la spiritualità del concetto diDio, e la sua provvidenza, dall'altro negavano gli Accademici la efficacia delsenso comune nell'affermare Dio,e sottili argomentatori lo contrapponevano almale; ai primi Tullio opponeva nel proemio citato la dignità dell'umana mente, ilbisogno innegabile della religione consentito da tutti;ai secondi,l'efficaciadel testimonio universale,gli affetti dell'animo,isupremi principj dellaragione e la libertà del volere (Tusc., d e Nat. Deor., De Leg., passim);delresto egli pendeva verso gli Stoici,e perchè consentivano il consentito da lui,e perchè lo in namorava quel loro sublime concetto della umana eccel lenza edell'armonia delle cose.Come poi egli movesse dalla coscienza morale, osservataal lume d'un criterio scientifico, sarà dimostrato in altra parte di questo discorso col libro delle Leggi, dove l'efficacia esercitata nell'animo nostrodall'idea d'una suprema sanzione gli faceva porre a proemio di tutte leistituzioni civili Dio provvidente,e allegarne per prova la natura dell'uomo,solo fra gli animali, in cui sia innata la notizia di Dio, e alberghi un animoimmortale originato dal cielo. De Leg. Premesse queste considerazioni, se nepossono dedurre tre cose. Il vero intendimento di Cicerone nello scrivere il DeNatura Deorum fu,esporre e confutare i principali sistemi contemporanei, e atal fine egli assunse come istrumento metodico e inquisitivo il dubbio dellaNuova Accademia,senza accettarne lo scet ticismo. Cicerone non rappresentò sè stessonella per sona di Cotta, m a soltanto la forma estrinseca del m e todo proprio;Il filosofo latino volle significare nelle parole del proemio, e dellaconclusione,e nel silenzio ser bato in tutto il dialogo ch'egli aveva di Dio unalto concetto, che quel concetto nella sua mente era certo di certezzanaturale, m a che in mezzo alle tenebre del Ge n tilesimo e alla discordia deidotti,non ardiva determinarlo in ogni sua parte, e sostituirvi una assoluta certezza di scienza. Ora si domanda, perchè non riuscisse a Cicerone definire a sèstesso questo concetto. Dimostra l'Ontologia come l'intelletto dell'uomoinvestigando le proprietà metafisiche dell'ente in ordine ai concettiuniversali, distingue l'essenza dall'essere di una cosa;quella come idea generalerappresentante una possibilità di cose indefinita, questo un che d'attuale, diesistente e di determinato in sè stesso. Ora si badi che ciascuna cosaesistente, sebbene offerta all'intendimento dell'uomo dall'intelligibilitàuniversale della sua essenza, in quanto è esistente,vale a dire in quanto è unatto reale dell'essere, cade per via de'sensi sotto l'apprensione delle potenzeconoscitive,e come tale è appresa particolare e finita; dall'apprensione poi dimolti finiti nella serie degli atti intellettuali la mente dell'uomo,soccorsadalla riflessione, le va si al concepimento delle cose infinite. Ma il concettodell'infinito, che è cima della piramide ideale,può es sere inteso in diversisignificati; l'un significato che ci offre l'entità assoluta, necessaria e inogni sua parte perfetta; l'altro che ci rappresenta una semplice entitàindetermi nata,e un mero portato dell'astrazione mentale.Però sebbene unintervallo notevole disgiunga nell'intelletto del filo sofoe dell'uomo volgareitreconcetti del finito, dell'infinito e del non definito, merita di essereconsiderata quella ragione qualunque di rapporto e di similitudine per cui essipossono scambiarsi talvolta. La riflessione naturale aiutata dal lume dellascienza e dalla pienezza delle tra dizioni divine, avea concepito ab antico,indi al termine dell'Era pagana ravvisò con evidenza maggiore nelle dot trinecristiane l'idea dell'infinito assoluto, dell'ente per essenza correlativanecessariamente all'idea del finito, vide in quest'ultimo, naturalmentedeterminato e imper fetto,come non darsi possibilità d'attoinfinito,così neanche necessità d'eterna esistenza,onde dedusse ilfinito procedere per attocreativo dall'infinito, il temporaneo dall'eterno,il contingente dalnecessario.Tale è la teorica cristiana della creazione, fondata sopra una serielogicadi concetti, la cui necessità è confermata a noi tutti fino daiprimi anni in una voce interiore che ci parlò sublimi cose di Dio, in uncontinuo desiderio,che ci travaglia inconsapevoli per tutta la vita in cercad'una perfezione immortale. Nel procedere che fa la mente a questo apice deiconcetti v’ha per altro un pericolo d'arrestarsi per via;chè sebbeneilsentimento e l'intuito dell'infinito non possa verificarsi nell'uomo senzauna segreta unione del l'intelletto con Dio (qualunque poi sia questa unione,ein qualunque modo s'effettui), e sebbene per l'attinenza di creazione l'attoinfinito ed eternale del Creatore costi tuisca nelle cose finite alcunchè disomigliante a sè stesso, cioè un'indefinita potenzialità d'atti,di forme, di mo menti,è però assurdo scambiare quell'attinenza coll'iden tità, e quellapotenzialità indefinita coll'infinito che la pone.Tale assurdo è l'origine delconcetto d'indefinito applicato alla causa creatrice.Fingasi ch'io pensiiltempo, lo spazio, o l'indefinita potenza del mio pensiero; allora (e puòfacilmente avvenire ciò che tutti provammo alla vista di pianure interminate edi mari, o in un facile abbandono della mente a sè stessa), se in quell'arcanapresenza di Dio la fantasia prende il di sopra sulla r a gione, io mirappresento quell'ordine d'atti, di durate, di coesistenze come infinitamentecontinuato, continuato per una perpetua remozione di limiti che, a dircosì,sono e non sono ad un tempo; e quell'abbaglio di fantasia si muta in unconcetto reale,ed io penso l'infinito,l'eterno, l'immenso di Dio sottol'immagine d'indefinito.Così nacque ilpanteismo in Asia,in Italia ed inGrecia;e così pen sano l'assoluto i panteisti Alemanni, e l'Hegel segnatamente. Veduta la differenza d'origine dei tre concetti di finito, d'infinito ed'indefinito,si domanda ora quanto all'essere loro quale d'essi sia negativo.Per fermo l'infinito,se ne togli il materiale significato della parola,evidentemente nel suo concetto non ha nulla di negativo, desso che non halimiti ond'è costituita negli enti la negazione dell'es sere; non limiti dicontingenza,perchè necessario, nonlimiti di tempo, perchè eterno, nonlimiti di modi e di mutazioni,perchè assoluta sostanza;anzi èinfinitamente positivocome causa infinita, e perchè dotato d'efficienza assoluta pone dal nullal'effetto, e perchè ne rappresenta in sè in modo sopraeminente e immensurabilele perfezioni finite.Il finito poi da un lato è negativo nella sua essenzaideale, come rappresentante all'intelletto un che fornito di limiti, dall'altrolato è positivo nel suo essere come atto sussistente e determinato;l'indefinito che è propria mente l ' i po y dei greci, è negativo nell'essenzae nel l'essere; nell'essenza c o m e astratta potenzialità del finito,nell'essere come un qualcosa che perennemente diviene, e non è mai; e dico cheè negativo in ogni sua parte, per che se il positivo del finito consistenell'essere determinato come atto individuo e concreto, l'indefinito che negaquella indeterminatezza, si riduce ad una pretta astrazione mentale e perultimaconseguenzarisolvesiinnulla.A chipoisi maravigliasse che ilconcettod'indefinito, cima delle astra zioni, si fosse pôrto per tanto tempo e a tantenobili menti in luogo del concetto più naturale assai d'infinito a spiegare ladivina entità, io addurrei per ragione lo strano giuoco della fantasia chenelle nature vivamente passionate si mesce alle operazioni delle potenze conoscitive, addurrei l'oscurarsi delle sacre tradizioni onde avviene chenell'animo abbandonato a sè stesso la divina luce dell'intelletto soggiacciaagli adombramenti del senso, e infine, ultima conseguenza di ciò,la superbiadell'uomo che Dio e l'universo volle rassomigliati a sè stesso. Io parlo coseben chiare a chi abbia sufficiente notizia della Storia della Filosofia, quandodico che la Paganità tutta avanti l'Era volgare,e nell'Era volgare tutti ifilosofi più o meno infetti di paganesimo ignorarono ilvero con cettodell'infinito applicabile alla natura di Dio;dico il vero concetto,e nonescludo che anche tra'pagani alcuni, e segnatamente Platone,vi si accostasseroin parte; tale è l'evidenza suprema di quella idea all'umano intelletto, e taleil sentimento non repugnabile che la creatura rav vicina al Creatore. Matornando alnostro filosofo,egli,come tuttipiùo meno gli antichi, come tutti ipagani, rimase molto al di qua dal concetto genuino e legittimo dell'infinito.C o n tuttociò,sebbene nel De Natura Deorum rappresenti del concetto di Dio laparte più negativa, tra perchè quivi egli procedeva per metodo d'eliminazioneconfutando i sofisti, e perchè mostrò avvicinarsi all'idea indefinita che neavevan gli Stoici,è noto alla Storia della Filosofia che nelle sue dottrines'incontra sovente l'altro concetto più positivo degli attributi dell'animaconsiderati come corre lativi, o analogici agli attributi di Dio. Questateorica, accennata in fine del De Natura Deorum, ritorna negli ultimi capitolidella Repubblica,e nel primo libro dei Tusculani. Argomento di quei capitolidella Repubblica è il sogno di Scipione Affricano imitato dalla Repubblica diPlatone, ed è necessario fermarvisi un poco, perchè, sebbene ivi si trattidell'immortalità come premio delle virtù domestiche e civili, e perciò lamateria contenga un intendimento morale, l'essenza di quelle dottrine si riconnette intimamente alla fisica.La ragione poi è chiaris sima. Nel fondo ditutti isistemi gentili, per quanto con nessi consottilissime prove, eanimatidaunintimo principio diidealità, si annidava pur sempre una ragione dimaterialismo, procedente dall'idea indefinita ch'essi qual più qual meno s'eranformati dell'infinito,e che originandosi da un ristagno dell'immaginativa neifenomeni della m a teria e del senso,ivi la riconduceva pur sempre giù dallealtezze più metafisiche della scienza. I Gentili, e segna tamente gl'Ionj,considerando in tal guisa l'operare delle cause naturali,per quindi dedurne laprima causa del l'universo,tra i fenomeni esterni posero particolare attenzione al moto, e perchè al moto si riducono sostanzial mente tutte letrasformazioni della natura, e perchè al moto s'attribuisce in generale lacausa de'fecondamenti terrestri; il moto poi richiede un'intima forza motricedelle sostanze, altrimenti non si spiegherebbe come, data l'inerzia dellamateria,dall'una sostanza e'si comunichi all'altra;ecco perchè negli antichipanteisti e semipanteisti, e nei loro imitatori moderni primeggia il concettodi forza (Büchner, Forza e Materia ); applicate poi questo concetto delle forzeparticolari all'universalità delle cose, e immaginate un'unica sostanza a cuisegua necessaria mente un'unica forza, e avrete il panteismo dinamico diCapila, degl'Ionj, del Timeo e degli Stoici.Questo sistema dinamico ritiene nelsuo fondo l'impronta del pensiero che lo concepisce. Di fatto, poichè in essola riflessione procede astraendo per ragionamento induttivo lungo una serie dicause modali dalla più manifesta e determinata ad una occulta e generalissimacui sidà ilnome di causa prima, e tra le cause modali,fornite di più intima e ma nifesta efficacia, l’anima,che ha coscienza viva del proprio essere,è trattaa concepire sè stessa per prima, ne viene che l'ultima causa si pensi adimmagine dell'anima come un alcunché diuno,origine difattimolteplici,presentecol l'unica attività a ogni parte della materia informata,fonte di vita, dimovimento,di senso. Stabilita questa dottrina panteistica, apparisce chiaroquali conseguenze ne prover ranno alla dottrina dell'anima. Il filosofo gentileche dal concetto dell'anima è tratto a pensare la causa prima dell'universo, ela natura di Dio che lo informa, discen dendo novamente da Dio e dall'universoin sè stesso, immaginerà l'anima d'origine e d'attributi divini (h u m a nusanimus decerptus ex mente divina. Tusc.), ne spie gherà l'intima efficacia e ilmodo d'operare delle sue facoltà a somiglianza della natura divina, efinalmente confondendo l'eternità, attributo dell'ente infinito, coll'immortalità che appartiene agli spiriti finiti, farà eterna e immortalel'anima,dicendo con Platone che essa è una causa,origine di moto adaltre,senzaorigine essa stessa e perciò senza fine. De Rep., e Tusc. Questa èla sostanza del sistema panteistico (o semi panteistico) esposto dal filosofonostro negli ultimi capi della Repubblica. Ivi descrivendosi in modo stupendola costituzione dell'universo, si rappresenta la terra circon data dalle noveorbite dei pianeti animati da divine menti,dei quali l'ultimo checontiene tutti gli altri,è sommo e principe Iddio. D a questi fuochi sempiternidisceso l'animo dell' Da queste considerazioni apparisce quanto sia intimamente collegata alla teologia naturale la psicologia del filosofo latino.Se noivolessimo recare per esteso la ra gione più generale di questo legame, e spiegarecoi filo sofi recenti quel modo d'induzione correlativa, onde la mente negandoal finito le sue limitazioni, si leva a cono scere l'infinito diDio,trascenderemmo di troppo itermini della presente questione. Invero lanotizia che all'uomo è concessa dell'assoluto divino,procedendo per analogie erap presentanze il cui contenuto ci è pôrto da elementi speri mentali, deeriuscire di necessità inadeguata all'oggetto;uomo, è il divino esso pureche governa e muove il corpo come il divino principe, l'universo;sempiterno,immortale,rinchiuso nel corpo come in un carcere,e desideroso della sua dimoraceleste,dove restituito dopo la morte in premio delle virtù cittadine godràeternamente la compagnia degli spiriti immortali.In questo luogo son chiare leremi niscenze di Platone e degli Stoici; ma degli Stoici v'è poco; laonde ionon vi riconosco col Ritter un prevalere del concetto stoico di materialità sulconcetto della spiritualità divina (Hist. de la phil. anc.); perchè, sebbene CICERONE(si veda) volendo abbellire della fantasia le sue dottrine fisiche ai lettoriromani,riproducesse ivi la parte più immaginosa e più sensibile del sistema platonico del Timeo,è noto come quelle immagini nascon dono nell’Ateniese unaidealità di concetti sublimi,e più m'è argomento che Cicerone in questo luogosi scostò dagli Stoici, il vedere com’ei faccia immortale non sol tanto l'animauniversale, m a anche le anime particolari, mentre per confessione del dottoAlemanno, « era con forme alle dottrine degli Stoici il ricusare all'anima individuale, come parte dell'anima universale, l'immortalità insensoproprio.» (Ritter,Physique des Stoïciens. Vedi però nelle Confessioni del Mamiani, Ontologia,acutamente accennata l'opinione contraria.) inadeguata, io dico, perchèl'animo che giunge al concetto di Dio trascendendo infinitamente sè stesso,nonpuò far sì che nelle conseguenze di quella induzione non soprabbondi tuttaviail sensibile e il contingente che si conteneva nelle premesse; e perchè inquella via che dalla natura ci mena al divino,noi siamo ancora molto di qua dalter mine che dovremmo varcare,sebbene pur di qua piova su noi la luceincommutabile dell'infinito riflessa dal l'universo a quel modo istesso che ilsole, non ancora spuntato sull'orizzonte, si rifrange scintillando nel mare. Èquesta la vera causa per cui Cicerone, comecchè s'avanzasse d'assai soccorsodall'indole sublime,e l'universalità dell'ingegno latino, non giunse però (e lovedemmo) al concetto ben determinato dell'infinito; ma è vero altresì che uno fragli studj più belli della Storia della Filosofia si è il cercare nei suoi libripopolari e speculativi come il concetto di Dio,correlativo a quello dell'anima, si va grado a grado perfezionando nelle opere fisiche, finchè pervienealla sua pienezza nelle dottrine morali. Un primo passo di questa arditaspeculazione noi lo vedemmo nel De Natura Deorum,libro essenzialmente istoricoe disputativo, in cui Cicerone, avvolto nella di scordia delle sètte,e inteso aparagonarle tra loro e a combatterle con ogni argomento,non sa affermar che benpoco, e si restringe all'esame delle altrui opinioni; tien dietro a questonell'ordine de'suoi pensieri il Sogno di Scipione, dove il concetto di Dio sidetermina meglio, e apparisce anche più chiara la tendenza alle dottrineplatoniche; m a quelle dottrine sono trattate ampiamente nel primo libro delleTusculane,testimonio del suo metodo che de sume i principj dell'osservazioneintima della coscienza, e si sforza, trascendendo il creato, di profondarsi nell'essenza di Dio. In quei capitoli si tratta dell'immorta lità, secondo ilmetodo della Nuova Accademia;cioè vuol provarsi (giusta l'intendimento metodicodel libro) come ammessa o non ammessa la indistruttibilità dell'animaumana,segua in ogni modo che la morte non è da te mersi; l'immortalità poi sidimostra movendo dalla tra daldizione degli antichi, tradizione efficacequod propius aberant ab ortu et divina progenie, dal consenso univer sale che èlegge di natura, manifesto nelle consuetudini, nelle leggi, nelle cerimonie,negl'istituti, e dal senti mento naturale, onde alberga nelle menti degliuomini, e segnatamente dei grandi,il desiderio della gloria che Cicerone chiamacon bella immagine un augurio de'se coli futuri. Sostenuto da tali prove la cuiefficacia de riva dal fondo del pensiero platonico, egli per ispiegare lacondizione dell'anima dopo la morte, ricorreva a de terminarne la natura, econtro gli Stoici che le aveano concesso un'immortalità temporanea, affermavacon ra gione essere più difficile assai pensare l'anima rac chiusa nel corpo,che immaginarla libera da ogni m a teria, e tornata ad abitare nel cieloond'ella è discesa. In queste parole si accenna la spiritualità che prevale tragli attributi dell'anima; sennonchè il nostro filosofo,che avea penetrato il verosenso scientifico della parola, dicendo: ciò che è spiri tuale, sebbene nonpercepibile al senso, andar soggetto per altro all'apprensione delconoscimento, venuto poi a determinarlo, rimase un po'titubante; onde,sebbenetracinque elementi, che secondo Aristotele costituivano la sostanza terrestre,scegliesse il quinto non nominato, più che non inteso a costituirne l'essenza,e rifiutasse le gros solane fantasie d’Aristoxeno, di Democrito e d'Epicuro,quando se la immaginò separata dal corpo, necompose una dottrina non al tuttospirituale. Concedansi queste incertezze, da cui non anda assoluto neanchePlatone, al bujo sempre crescente delle speculazioni gentili.Ma da modestiprincipj si leva il filosofo latino alla sublimità della scienza. Egli è tantoinclinato con Platone ad affermare l'anima come una natura perfetta e immune daogni contagio colla materia, che la vuol rinchiusa nel corpo come in uncarcere; colle dottrine della filosofia moderna ne inferisce la semplicità dalsentimento unico ch'ella ha del molte plice;riproduce,come nella Repubblica, ilnoto argomento platonico tolto dall'eternità de'principj motori, e chiamaplebei quei filosofi (gli Epicurei)che non ne consentivano l'efficacia; esponeanche l'altro che all'anima attribuisce l'immortalità per l'intuizione deglieterni esemplari. Che dunque inferiva da queste prove? Egli stante laincertezza de'filosofi contemporanei, non si perdeva a determinare in cheproprio consistesse l'essenza dell'anima, o dove la sua sede nel corpo; attenendosi al concetto di causa,rivendicava al ragionamento induttivo sui fattiinteriori la sua validità di contro al l'induzione delle scienze sperimentali;e si volgeva agli empirici materialisti,maravigliandosi come negassero poterconcepire l'essenza dell'anima separata dalcorpo,essiche pur tanto poco conoscevano dell'initimo operare dellamateria; argomento valevole anch'oggi a smascherare i pretesi nemici dellaMetafisica,se la reverenza alla ne cessità logica de principj fosse mantenutanel fatto, come è predicata a parole,da quanti amano chiamarsi seguaci dellediscipline speculativ e. (Tusc., Cf. Cato M., de Am. Meditando i capitoli dellaRepubblica e delle Tuscu lane, alcuni del Catone Maggiore e del Lelio, equalche squarcio delle Orazioni (Miloniana), si vede in tutta la psicologia delnostro filosofo, anzi in ogni parte della sua fisica questo ritorno costantedell'induzione correlativa;nè sfugga all'osservazione del critico una notaimportante di questa dottrina, e cioè che, sebbene parrebbe a primo aspettoavere Cicerone desunto la cer tezza scientifica della esistenza e delleperfezioni di Dio dalla contemplazione dell'universo e dell'animo umano,apparisce invece in più luoghi che un sentimento vivo del l'eccellenza diDio,nutrito dall'indole religiosa, e dalle tradizioni latine, dà lume ecertezza al concetto positivo dell'anima. E invero, se egli mostra talvolta didubitare della semplicità e immortalità dell'anima u m a n a, dell'esi stenzadi Dio e delle sue perfezioni infinite non dubita mai.«L'origine dell'animaumana,egli diceva nel De consolatione, non può in alcun modo trovarsi suquestaterra. Non v'ha in essa niente di misto, nè di concreto o diterrestre; niente d'aria, d'acqua o di fuoco. I m perocchè tali sostanze nonsono suscettibili di m e m o ria, d'intelligenza o di pensiero, nulla hanno inloro che ritener possa il passato, prevedere il futuro, c o m prendere ilpresente; le quali facoltà sono unicamente divine, e non possono in guisaalcuna essere venute nel l'uomo,se non discendon da Dio. La natura dell'anima èperciò d'una specie singolarissima, e da queste comuni e cognite naturedistinta; talchè, qualunque esso sia, ciò che in noi sente e gusta,vive e simuove,deve essere per necessità celeste e divino, e però eterno. Infatti Diostesso,che èinteso da noi,non può intendersi in altro modo che come una menteliberissima e pura,sgombra da ogni concrezione mortale, che vede e move ognicosa, e sè stessa con sempiterno moto; di questa sorta e di questa stessanatura è l'anima umana.» Con queste parole conchiude Cicerone nel primo dei Tusculani la dimostrazione dell'anima e di Dio, dimostra zione mirabile perlucentezza speculativa, e per schietta e dignitosa eleganza; qui lo vediabbandonato al nobile istinto del genio, e a un'immortale devozione pel bello,levarsi nel mondo degli universali, nella dimora degli spiriti eterni, eindovinare quasi sui vestigj di Platone i fondamenti ove posa la teologia delteismo; salvochè, se il lettore tien dietro al procedere delle prove, e al legame segreto che le connette,s'accorge tosto come per l'abito d'indurre dallecause modali manchi alla sua d e finizione di Dio la vera trascendenza logicadel concetto, sebbene (come vedremo) ve lo ravvicinasse d'assai nel primo delleLeggi la viva coscienza dell'ingegno latino. La maggior parte di coloro che cihanno preceduto nella critica di Cicerone, hanno esaminato diligentementel'indole delle prove a cui s'appoggiava la dottrina del l'immortalità, e alcuniandarono tant'oltre, nonostante le sue continue e ripetute affermazioni,che dacerte epi stole consolatorie agli amici (la sedicesima e l'ultima del libro V,ela ventunesima del libro VI, ad Diversos)de Principio etherioflammatus Iuppiter igni Vertitur et totum collustrat lumine mundum, Mentequedivina cælum terrasque petissit: Quæ penitus sensus hominum vitasque retentat,Ætheris æterni sæpta atque inclusa cavernis. » (De suo Consul. De Divin. dusseroch'egli ne dubitava; m a a queste accuse rispose vittoriosamente Gautier deSibert nell'Accademia di Francia,e Kuehner piùtardilo confermava.Delresto perciò che risguarda gli attributi divini, e se Cicerone ammettesse uno o piùdèi,e se quest'unico Dio facesse veramente eterno,onnipotente,necessario, immutabile,equal fosse conforme alla sua dottrina la condizione degli animi separati dalcorpo, questione trattata da parecchi critici, io son d'avviso che tutto ciònon possa stabilirsi con assoluta certezza, varie opere del nostro filosofo esessendo andate perdute, nè trattando egli espressamente tali materie nellealtre che ci sono rimaste.E nondimeno per chi mediti senza preoccupazione isuoi libri v'è tanto ancora quanto basti a mostrare,come in mezzo a una repubblica corrottissima e ad uomini scelleratissimi l'ora tore latino cercassenel concetto genuino di Dio e del l'immortalità un degno conforto alle sventurecivili, e un magnanimo entusiasmo alla sua parola propugna trice ultima dellelibere istituzioni; egli che in uno dei suoi poemi,composto nel bel mezzo dellavita politica, avea definito Dio con quella immagine sublime di vera poesia:Oratornandoalla dottrinateologica, questosegregare la mente dell'uomo da ogninatura corporea,e sublimarla a una parentela soprannaturale con Dio, il che ègià accennato nel sogno di Scipione,dove nel senso platonico la naturamateriale del corpo è opposta a quella del l'anima, e la vita nostra è chiamatauna morte ci dà oc casione a stabilire un punto importante della fisica di M.Tullio, cioè il suo dualismo, o semipanteismo. Di tal dualismo mi paresipossano arrecare due cause;l'una comune alla legge con cui si svolgono isistemifilosoficinellastoria,l'altra ristretta particolarmente all'ingegno di Cice rone.Quanto allaprima causa,se ricordiamo ilgià detto in torno al modo con cui l'uomo partendoda sè stesso conce pisce nell'indefinito del suo pensiero l'indefinito di Dio,el'anima lungo la serie delle cause modali da sè,prima causa più manifesta e piùvicina a sè stessa,immagina la divina causalità, intenderemo come fra lecontradizioni del panteismo quella che subito si porgeva più chiara allariflessione esaminatrice,fosse la medesimezza dell'anima e di Dio infiniticollamateriafinita,passibile,imperfettaedalrifiutodi questa contradizioneuscisse il dualismo di Dio e della m a teria,dell'anima e delcorpo,dell'intelletto e del senso.Tal dualismo desunto da Platone, benchè infondo contradit torio esso pure,indica un vivo sentimento dell'eccellenza diDio e dell'essere umano, e mi piace riconoscerlo come proprio degli uominisommi; laonde è ben naturale vi dovesse aderire Cicerone, non tanto perchèinnamorato degli esempj delle scuole socratiche la cui efficacia infor mavavivamente le dottrine romane, quanto perchè poco amante della incertezza dellescienze sperimentali, e testi mone egli a sè stesso dell'altezza dell'umanoingegno,la cui onnipotenza tante volte gli apparve ne'combattimenti immortalidella tribuna. (Vedi più luoghi negli Ufficj e segnat. L. III, c. XLIV, edopere pass.) E poi se quel dualismo soddisfaceva da un lato le aspirazioni deipiù grandi intelletti, e metteva la notizia diDio al sicuro da ogni condizionedel finito, d'altro lato il concetto astratto che dava di quello la scuolasocratica faceva nascere il dubbio sul come spiegarne le relazioni, purnecessarie, coll'universo dei corpi. Tal dubbio implicava il solito quesito sulcome conciliare l'ente col non -ente, il finito coll'infinito, il relativocoll'assoluto, la perenne mutabi lità de'moti fenomenali colla quieteimmutabile dell'es senza prima, quesito continuamente proposto dalla G e ntilità,nè mai risoluto,perchè mancava a sciogliereilnodo il vero concettod'attinenza creatrice.(Vedi Platone, Sofi sta.) Quindi la mente desaggjondeggiava di continuo daun termine all'altro di quella contradizioneimmortale. Enrico Ritter, più volte citato, esaminando il sentire del filosofolatino intorno a siffatto quesito, e rappresentando con vivi coloriquell'opposizione ch'ei pose tra la natura e il divino, non ne conobbe forse lacausa più vera; la quale gli sarebbe apparsa evidente se in luogo di vol gersisoltanto all'indole dello scrittore, l'avesse cercata in questa contradizioneche affaticava da più secoli la filosofia pagana. Ma il Ritter s'appose anche inparte, poichè quel vivo intuito delle perfezioni divine ed umane, e delladifferenza tra la materia e lo spirito che prima avea salvato Cicerone dalladottrina d’un'unica sostanza, ora lo teneva sospeso nelle contradizioni deldualismo, massima delle quali era il contrasto tra la libertà divina ed umana ele leggi fatali della natura che spegneva ogni fede nella provvidenza, nellibero arbitrio e nella religione degli avi. Come il nostro filosofo mantenendoil dualismo inten desse di conciliare l'efficacia della prima cagione nellecagioni seconde col moto necessario dell'universo, come spiegasse quell'attomisterioso di causalità con cui l'in finito si congiunge al finito, e locomprende e lo sostiene senza identificarsi con esso, e, mentre faceva con Platoneemanato da Dio l'intelletto,rivendicasse all'altra parte del l'uomo,identicacolla natura sensibile,l'autonomia de'pro prj atti,e l'imputazione morale,èquesito di non poca dif ficoltà, sì perchè la sua dottrina fisica del dualismonon è abbastanza accertata,e perchè d'altra parte ne’libri che esaminiamo alpresente, ma più ne'morali, s'incontrano affermazioni decise e ben ragionatesulla provvidenza di Dio e la libertà dell'essere umano. (De Leg., Fin., Tusc.,N. D., Catil., pro Marcello, ad Att., ad Div. Certo s'egli non fosse natonell'ultima età dell'era pagana, e avesse accolta quella teorica dellacreazione ex nihilo, chiamata giustamente da Terenzio Mamiani una dellemaggiori conquiste ottenute dalla speculativa dei nuovi tempi sulle etàtrapassate, (Conf.) ha tratto dallanotizia di Dio creatore un concettochiaro delle sue re lazioni col mondo, e i due ordini naturale e soprannaturale gli sarebbero apparsi intrecciati fra loro per quel legame di causa checongiunge la teologia colla scienza del mondo.Ma Cicerone, come tuttiigentili,rifiutavala dottrina della creazione, sebbene proposta alla mente deifilosofi e delle plebi forse dalla memoria d'antiche tradi zioni, il che mostraun frammento del libro terzo De Natura Deorum, conservatocidaLattanzionellibrosecon do,c.8 delle Istituzioni divine. Esclusa la teorica del congiungimentotra l'infinito eilfinito perattinenzacrea tiva,non rimanevano,come vedemmo, chedue sole vie;o l'unità consustanziale di Dio e dell'universo,o l'assolutaseparazione di questo da quello, del molteplice dall’uno, dell'assoluto dalrelativo. Ma la dottrina de'panteisti menata alle sue ultime conseguenze,oltreall'incorrere in quella lunga serie di paradossi e di antinomie che in parteaccennammo, e la cui dimostrazione ha esercitato per tanto tempo l'ingegnode'filosofi d'ogni parte d'Eu ropa, repugnava secondo Cicerone all'indolepratica e positiva del politico e del cittadino; laonde egli la c o m battèacutamente colle armi della Nuova Accademia nel quesito proposto dagli Stoicisulla divinazione o previ sione del futuro. Secondo questa dottrina che uscivadalle premesse della fisica di Zenone,l'uomo poteva prevedere ilfuturodaisegnidellecoseanimateodinanimate,essen dochè l'universo fosse collegato abeterno da un ordine necessario di cause efficienti;ordine necessario nell'uomo,che era una particella o determinazione dell'anima uni versale;necessario nellanatura,dove ogni fatto è gover nato da leggi, e racchiude in sè la ragionede'fatti con secutivi; necessario in Dio stesso che, immutabile per sè, sitrasforma ne'fenomeni della natura come in uno svol gimento fatale dellapropria esistenza. Questa dottrina che si finge esposta dal fratello di CICERONE(si veda) nel primo De divinatione,è poi confutata dal l'autore nel librosecondo; e quel dialogo è di somma importanza nella storia delle credenze umane,perchètrattando la gran questione del soprannaturale agitata ai tempi diTullio,riproduce nel calore della controversia quello stato penoso degli animi,sospesinell'incertezza dei più nobili veri, e in un'età in cui la rovina delpoliteismo già preparava il rinnovamento cristiano. La conciliazione tral'ordine necessario del mondo e l'autonomia dell'essere umano è accennatanell'operetta de Fato.Questo libro,o meglio questoframmento,dove si espone undialogo avuto dall'Autore presso Pozzuoli con Aulo Irzio, console, scritto, insieme coi due libri dellaDivinazione,a supple mento dell'altra opera de Natura Deorum per sostenere lalibertà dell'arbitrio contro il concatenamento fatale delle cause, e temperarele ultime illazioni de'panteisti e de'dualisti contemporanei. Il metododell'osservazione, applicato nei soli termini della natura sensibile, menava allora (come oggi) alcunifilosofisperimentali ad accettarela dottrina del Fato(detto dagli Stoici eiuzpuévn),inteso come un ordine e una serie diforze,manifestanti la natura di cause, e che s'intrecciano fra loro d'effettoin effetto per leggi costanti d'antecedenza e di conseguenza.Ora è chiaro che daquesta dottrina condotta alle ultime conseguenze,uscivaalteratol'ordineuniversale,eilconcettodinecessità che lo sovraneggia. Eraalterato dal panteismo,dove ve rificandosi l'identità de'due ordinisoprannaturale e natu rale,ogni atto fisico ed umano si riduceva a un determinarsi necessario della causa divina; era alterato dal dualismo che opponendoDio allanatura,e immaginando quest'ultima come sospinta da un ordine fatale dicause intrinseche ad essa,non poteva spiegare in eterno come in quest'ordine naturalesi dessero fatti liberamente o p e rati. Ma Cicerone si schermiva da questierrori ricor rendo alla osservazione interna, e al concetto di causa. Che cos'èla libera volontà? salità poi non dee intendersi costituita dalla pura esemplice successione de'fatti,ma dallasuccessione lorounita coll'efficienzadegli uni sugli altri.Or dunque (riprendeva ilfilosoforomanocontroCrisippo),argomentano benegli Una libera causa; lacail Stoicidicendo che nell'ordine prestabilito della natura tutto si opera per causeantecedenti ed esterne, m a non hanno ragione se vogliono turbata questa leggedella n a tura dall'operare dell'arbitrio; « poichè quando diciamo di volere onon volere qualche cosa senza una causa, fac ciamo uso non buono di unaconsuetudine del linguaggio comune, intendendo dire, senza causa esterna edantece dente, ma non senza una causa qualunque;di fattiil moto volontario deglianimi ha tale natura che è in nostropotereeciubbidisce,non peròsenzacausa;chèla causa di tutto ciò è la sua stessa natura. Non ci è permesso riferire qualfosse in ogni parte la dottrina diTuiliosullalibertàdelvolere,perchè il libro DeFato racchiude importanti lacune; m a apparisce però da più luoghi ch'egli lafondava sulla certezza dell'imputabilità degli atti umani,e per tal via siapriva il passaggio dalle opere fisiche alle morali,nel modo che appositamentee con ordine verrà dimostrato nel capitolo quarto. Concludendo, alle dottrinesin qui esaminate si re stringe le serie delle opere fisiche di Cicerone. Nellequali vuolsi considerare com'egli avviluppato in una moltitu dine di sistemicontradittorj e negativi,e costretto ad esercitare l'esame della riflessionesopra una materia scientifica ingombra nelle parti più sostanziali dalle tenebre del sofisma, distinse le verità disputabili dai teoremi dellascienza,sceverò con critica coscienziosa ilbuono ed il certo delle filosofiecontemporanee ponendo l'una a ri scontro dell'altra, e temperandole ne'loroeccessi. Per tal modo le principali verità mantenendosi intatte, soc correvanoil pensiero a ricostituire l'Ontologia nei prin cipj della scienza cristiana; equesto è davvero un m e rito insigne e innegabile della fisica ciceroniana,come altri notati da noi sono la sua temperanza verso le affer mazionieccessive degli sperimentali, il concetto di Dio, ravvicinato alla dottrina diSocrate,e sciolto,per quanto erapossibileallora, dallecondizionielimitazionidell'uomo,la natura spirituale dell'anima,la sua libertà dimostrate in tempi diabbattimento morale e di costumi nefandi. Su questi principj fondaval'oratore latino la sua fede religio sa;chè se (come nota bene Vannucci) «nella Divinazione ed altrove, allontanandosi dalle forme timide della NuovaAccademia con argomentazione più forte che in ogni altro scritto combattè daarditissimo novatore le credenze usate già come istrumenti oratorj e politici,emostrò il vano e il ridicolo dell'arte divinatoria, e dei prodigj, e delleimposture sacerdotali; » Senatore e console di Roma, egli voleva una federitemprata alle sorgenti incorruttibili della morale, e che diventasse verofondamento alla rico stituzione civile della sua patria. 1. Se la scienza, comeaffermammo più volte, è un portato delle naturali notizie; se, ritenendo essanel suo svolgimento la natura del principio che la informava, la unità dell'oggettoscientifico, riconosciuta dalla riflessione, si fonda in un primitivo ordine diveri presenti tutti al l'armonia della coscienza,che costituisce il soggettoscien tifico; nessuno può dubitare che i principj della teorica del conoscere,o della Logica non si colleghino intima mente con quelli della teoricadell'essere, coi principi dell'Ontologia. Il fondamento di questo legame che, an teriore al fatto della scienza, si riproduce tal quale nella scienza stessa, hala sua ragione nell'idea della persona lità umana, da cui, come da unico fonte,rampolla la triplice attività dell'esistere,del conoscere,dell'operare; l'hanella stessa natura del vero che unico in sè, se lo esamini sotto dupliceaspetto, è prima essere nelle cose, e poi si fa vero contemplatonell'intelletto. La medesi mezza delle due parti suddette della filosofiaapparisce per modo indiretto nella continua attinenza che strin fra loro lequestioni più importanti della logica e del l'ontologia dai più remoti principjdella nostra scienza fino ai tempi a noi più vicini. È un fatto omai noto nellastoria della filosofia come il quesito fondamentale dellalogica, qual siala relazione che corre tra l'ideale e il reale, quale la corrispondenza tra le leggidel pensiero e quelle della natura, e se dandosi passaggio dall'intelli genteall'inteso,se ne costituisca la possibilità della scienza, quesito contenuto abantico nella materia delle specula zioni pagane, ricevesse la sua veraespressione scientifica dalle dottrine critiche della Riforma. È altresì notoai di nostri come dalla posizione deliberata di tal quesito si diramarono duescuole; il Criticismo francese e alemanno, e il Criticismo cristiano, checominciato dai Dottori e dalla buona Scolastica ne'tempi di mezzo,segue afiorire segna tamente in Italia ai dì nostri. Ambedue queste scuole, di versesostanzialmente nei principj ontologici del sistema, dissentono pure nellalogica. La prima desumendo le sue dottrine dal panteismo e dualismo antico,resuscitato più tardi da un ritorno della civiltà cristiana ai dommi delGentilesimo,disconobbe l'attinenza manifestatrice che per legge di naturaintercede tra il pensiero e le cose, tra il soggetto e l'oggetto, equell'attinenza ode naturò in identità colle dottrine d'un'unica sostanza, oriduce a separazione ammettendo col Cartesio un'intima differenza tra le qualitàdell'esteso elequalità del pensiero, d'onde il sistema delle causeoccasionali del Malebranche, quello dell'armonia prestabilita del Leibnitz e loscetticismo di Bayle e Kant. La seconda scuola movendo dal principio che lalibertà del pensiero scientifico soggiace per legge di natura alla condizionedi non potere alterare l'ordine necessario degli enti fra loro, trovava consublime e trascendente concetto il legame dell'idealità col reale e nell'intimaessenza dell'atto creativo di Dio, che pose primitivamente una coordinazioned'atti fra l'essere delle cose e gl'intelletti creati; e in Dio stesso nellacui n a tura infinita e impartibile s'immedesima l'idealità colla realtà, larealtà dell'essenza coll'eterne idee rappresen tative e causative degli enticreati. Or che si deduce da ciò? Che se il principio del Criticismo, ond'èridotto a problema il teorema della conoscenza, ha un intimo riscontro neifondamenti della dottrina dell'essere, ei si. Ma qui cade per altro unaconsiderazione importante. Il panteismo e ildualismo,sebbene alterassero daifonda menti la dottrina della conoscenza o distruggendo la re lazione ond' èmanifestativo il pensiero, o affermando un'incomunicabilità primordiale trailsenso e la materia, principio di corruzione e d'ignoranza, e lo spiritoeterno emanato da Dio, non negavano per anco esplicitamente nè l'un termine nèl'altro dell'attinenza conoscitiva;e quando in un sistema, sia pur guasta ecorrotta,sia pure implicitamente negata,siconserva nell'intimo significatodelle dottrine la piena comprensione del soggetto su cui cadelascienza, qualunquedisputaintornoaiprincipaliproblemi si offre sempre con probabilità di scioglimento alla riflessioneesaminatrice. Quella probabilità cessa quando sensismo, materialismo eidealismo, negando due parti sostanziali del soggetto, l'intelletto e l'ideamanifestante, causa e mezzo del conoscimento, e la cosa manifestata, terminedella cognizione, si chiudono la via ad affermare intera la notizia dell'essereumano, denaturano il legame che intercede tra l'ideale e il reale, e rendonoimpossibile la psicologia, ingannatrice la logica. Un breveaccenno di questalegge necessaria che si riscontra nella storia delle controversie filosofiche,l'abbiamo già fatto nella prima parte toccando dei sistemi principali cheapparvero dal primo scadere della scuola socratica fino ai tempi dell'Arpinate;allora fu osservato da noi come a n dasse di pari passo coll'oscurarsi sempremaggiore dei veri principali e delle antichissime tradizioni l'impoverire dellaforma logicale dei sistemi,e come l'ultimo grado di questo scadimento fossesegnato dal sistema d'Epicuro, e dalle dottrine logiche della Nuova Accademia. Orapoistemi che alterarono questa dottrina sono contemporanei ai primordjdella filosofia, antichissimo deve essere il fon damento del Criticismo; e nesono testimonj le più strane teoriche sul modo del conoscimento procedentidalla fisica de'sistemid'India, d'Italia,diGrecia,come,ad esempio, gli atomi diCapila, gl'idoletti di Democrito,leimmagini fluenti d'Epicuro e diLucrezio.ci sia permesso venire su questo proposito a maggiorparticolari, perchè, giunti a questa parte delle opere di Tullio dove convieneesaminare la controversia tra gli Stoici e l’Accademia sulle dottrine delconosci mento,rappresentatada luineilibri Accademici, importa massimamente ilnotare perchè e come ai tempi del filo sofo latino,o poco avanti,ilproblemafondamentale della logica si fosseristretto alla percezione sensitiva; e comedal punto diverso e dai confini onde le due parti dispu tanti consideravano ilquesito intorno al conoscere, di penda il valore delle prove allegate, e ilprincipio su premo che governa la controversia. 2. Venendo dunque al proposito,il sistema d'Epicuro e le dottrine dell’Accademia, non che lo scetti cismo el'empirismo finale ci palesano quasi una spos satezza del pensiero greco, chenon val più ad abbracciare la totalità del soggetto scientifico conquell'ampiezza di principj e di leggi con cui Platone e Aristotele l'avevanoabbracciata;ma un peggioramentoimportantenellaforma scienziale già si notavanel sistema degli Stoici. Consi derate un poco la sostanza di quelle dottrine,evi troverete due principj che danno a tutto il sistema due qualità e dueaspettiben differenti.Il cardine del sistema di Ze none è infatti l'unitàprimordiale e finale delle cose tutte, la unità della sostanza prima indistintae indeterminata, che poi si determina e si partisce per l'efficacia del principio attivo e divino svolgendo da un unico germe la dualitàde'principj.Lasostanza prima, distinta allora in un'anima e in un corpo universali, causadelle anime e dei corpi particolari, costituisce l'essere del mondo cherappresenta la vita di Dio; quella vita diffusa in tutte le cose animate edinanimate le fa partecipare per un in timo principio di compenetrazione allanatura e all'effi cacia di Dio,e l'anima umana,ch'è più vicina a quellasorgente universale, ne ritrae maggiormente, informando e compenetrando ilcorpo, a somiglianza dell'anima uni versale, e come quella riducendo a un soloprincipio m o tore le facoltà seconde; talchè per gli Stoicidall'unitàdell'essenza prima esce identificato l'intelligibile col reale,il pensiero cogl’oggetti, l'intendimento col senso. Consideratoinquestegeneralità il sistema di Zenoneabbraccia tutto intero il complesso deiveri palesati dalla coscienza, alterandone la natura col Panteismo.Ma se vieniad esa minarlo più particolarmente, allora i molti principj con tenuti nel senofecondo della materia prima,e in lei de terminati più tardi, il divino e materia,anima e corpo,intelletto e senso, pensiero ed oggetti,scompajono tutti,esiriducono ad un solo; alla natura informe e indeterminata della materia.Allora ti apparirà vizio capitale di quel sistema la riflessione esaminatriceche, sebbene apparentemente voglia svincolarsi dal senso e dalla materia,concependo a m o 'degli Ionj dinamici nel seno dei fenomeni naturali un'intimaenergia infinitamente diversa dalla materia, e cagione di que'moti,non sadominare la fantasia, e ab bandonata al pendío voluttuoso dei tempi,trasportain quella forza primitiva e in Dio stesso, che la pone in atto, le qualitàcorporee. Così la dottrina degli Stoici sin dalle sue radici s'infettava dimaterialismo. Ora è tale il ri scontro dei veri principali nella leggenecessaria del co noscimento, che, oscurato il concetto di Dio e delle cose, sene oscura alla mente dell'uomo la nozione di sè stesso Non è dunque amaravigliare se per gli Stoici al mate rialismo in fisica tenesse dietro ilsensismo in psicologia; quindi, già lo accennammo, alterato il vero concettodipotenza conoscitiva,scambiarono inostril'occasionedel l'atto apprensivo, che civiene dai sensi,colla causa intima di quello,veramente causatrice, che èl'attività dello spi rito;quindi,non bene distinto l'operare dei sensi e dell'immaginativa dall'operare dell' intelletto, diedero al complesso dei fantasmile qualità del pensiero. In questo esame parziale e negativo delle facoltà delsoggetto, quale ci offre la psicologia degli Stoici, si nascondeva per fermouna potente causa di scetticismo;chè movendo dal lato indiretto da cui la Stoaconsiderava il fatto dell'umano conoscimento, e negli angusti confini in cuirestringeva la coscienza delle interne operazioni dell'animo,erafacilea sottili ragionatori trovare appiglio per dubitare di qualche cosa o di tutto.Vi si prestava la natura dell'idea, che avendo il proprio esserein un'attinenza manifestatrice, se la consideri identica ai fatti animali, tidoventa un mistero; vi si prestava la natura del senso, inesplicabile, oscuro esostanzialmente erroneo, se non lo risguardi illu minato dalla lucedell'intelletto; vi si prestava infine la fantasia perenne creatrice del falso,facile a denaturare coi più vivi colori del senso gli ultimi resultati della po tenza astrattiva. Così dal sofisma degli Stoici (e sofisma vuol dire sempredifetto) germinava quello dell’Accademia. Chè, se fu cattivo abito dellariflessione esa minatrice nelle dottrine di Zenone il fare ombra dei fe nomenimateriali allo splendore delle idee,e ridurre quasi ciò che v'ha di più vivonell'umana personalità allo sviluppo meccanico delle funzioni apprensive,fupessimo nella Accademia,non già l'opporre ilvero all’er rore,il compiutoall'imperfetto esame della coscienza,lo che essa non fece; m a profondarsinelle sole astrazioni, m a restringersi nel pensiero vuoto, fenomenale,apparente, o al più negl'inganni d'un fallace conoscimento. Quindi a unanegazione di negazione si riduceva ai tempi di Tullio, o poco innanzi, lapolemica tra gli Stoici e la Accademia.Ed ecco (ciò che cieravamo proposti amostrare) perchè dopo i notevoli perfezionamenti che la dialettica avearicevuto dalle scuole italica ed eleatica, da Platone e dall'Organoaristotelico, la teorica sulle fonti del cono scimento, complessiva di tantiveri, s'era allora ristretta alla disputa sulla percezione sensitiva. 94Tal disputa, dipinta con tanta verità di colori da Tullio nei due libri degliAccademici Primi, e massime nel se condo (chè il breve frammento rimastoci delprimo degli Accademici Posteriori, dedicato a Varrone, si riduce ad unasemplice esposizione istorica delle principali scuole socratiche), rappresentain fondo la lotta di tutti i tempi tra il dommatismo inconseguente e loscetticismo presun tuoso. Quel venire ai cozzi di opinioni eccessivamente affermative con altre assolutamente inquisitive era, come dei nostri,un portato naturale dei tempi di Tullio,tempi di contradizioni profonde, neiquali, come oggi, da una parte tutto si disfaceva con rabbia sterminatrice,dall'altra con puntigliosa rigidità si sosteneva qualunque lato anche debole eimperfetto del vero,imperfettamente considerato. La superbia e ildisprezzoerano le armi con cui si scon travano i combattenti, e l'una e l'altro stavanobene a quelliuomini,eloquenti,come noi,nell'esaltareiprincipj, e non logiciquanto conveniva nel dedurre da quelli le gittime conseguenze; altrettantofacili ai propositi gene rosi,quantodifficilinell'eseguirli;filosofidaaccademia,e da piazza; politici predicanti laseverità antica nelle m o l lezze moderne; uomini a cui mancava la lena dilevarsi sulle ali del pensiero alle universali armonie della scienza nelvero,nel bello e nel buono,capaci soltanto d'impri gionarsi nelle angustied'una dialettica ingannatrice o p ponendo sofisma a sofisma,contradizione acontradizione. Quindi massimo argomento in questo, come in simili casi, deldifetto delle due parti che disputavano, era che, se tu esamini l'una e l'altracon animo non preoccupato, e poi non imiti Cousin, che dall'accozzo fortuitodegli errori volle ricomporre il corpo formoso della filosofia, quasi statua dabrani dispersi sopra antiche ruine, m a cerchi di compirle ambedue collapienezza dei veri atte stati dalla coscienza naturale, soltanto allora ellet'appa riranno perfette, e risoluta la tesi, ti vedrai brillare al pensiero laluce d'un irrepugnabile convincimento. La disputa è finta da Cicerone comeavvenuta presso Baule in una villa d'Ortensio, presenti lo stesso Ortensio,Catulo e Lucullo. Gl'interlocutori principali sono Lucullo e CICERONE (si veda).Lucullo sostiene le parti d'Antioco, del Portico, contro Filone,dell’Accademia. Tullio quelle di Filone contro Antioco. Or qual era ilprincipio da cui moveva, e quali i punti più segnalati in cui si spartiva ilragiona mento? Qui occorre ridurci a memoria un'importante osser vazione delRitter. Il quale nella sua Storia della filosofia antica, tenendo dietroall'indirizzo che la dottrina sullefonti del conoscimento avea preso daAristotele in poi, quando nota la differenza segnalata che correva tra gliStoici e il filosofo di Stagira, mentre questi moveva sì dalla sensazione, masenza negare il resultamento del l'attività intellettuale dell'anima, laddovegli Stoici, più vicini in ciò agli Epicurei,cercarono di ravvicinare di più inpiù il pensiero razionale alla sensazione concependolo solo come una suaconseguenza e trasformazione, aggiunge inoltre che nell'evitare le grandidifficoltà, le quali si opponevano alla dimostrazione di quel loro sensismo, sirias sume intera la dottrina degli Stoici intorno al criterio del vero. Ritter.L'osservazione di Ritter è giusta. Di fatti per quella solita opposizione chetrovi in ogni filosofo di setta tra le tendenze vive dell'animo e l'indirizzoartefatto della riflessione, si vedevano negli Stoici due disposizioni opposteche imprimevano qualità contradittorie al loro sistema; da un lato il pendiodel l'età e il decadimento della forma e della materia scienti fica liinchinava al sensismo e alla meditazione incompiuta del soggetto su cui cade lascienza; dall'altro la tradi zione socratica e la voce non muta del sensocomune li chiamava ad abbracciare il complesso dei veri di natura, le facoltàdell'animo e i termini loro, e a rendere possibilmente perfetta la formascienziale; antitesi d'opposte tendenze che pur si specchia in quell'ondeggiarecontinuo del loro sistema tra il panteismo ionio e il dualismo so cratico. Orache ne veniva da ciò? Dal lato imperfetto da cui gli Stoici consideravanol'umana coscienza quanto alla dottrina del conoscimento, resultava ch'essisbaglia vano il concetto di potenza,di causa,di relazione, fondamenti primi dital dottrina;quindi la loro logica si re stringeva alla dimostrazione delconoscimento acquistato per via de'sensi,di cui ponevano l'essenza nellarappresenta.zione vera o comprensiva (parrugia 2270)atlyn), ch'è un patiredell'anima,a cui risponde da un lato l'operare del l'oggetto sentito,dall'altro l'operare dell'anima stessa che conseguentemente alla sensazionericevuta assente,giudica e ragiona.Ma qui, giova il ripeterlo, stave la fallaciadell'argomento; gliStoicimovevano dalnulla,edaquelnullaface vano uscire lapienezza del soggetto e dei principj costituenti la scienza.E veramente io nonnegherò mai alla buona filosofia che ilfatto della percezione sensibile,intesacome attinenza reale tra il sentito e il senziente, mi riporti al l'esistenzadi due termini de'quali l'uno è causa esterna e occasionale della sensazione,l' altro è causa intima e veramente efficace; non negherò mai che l'illazionedi causalità mi mova ad affermare la reale natura dell'ente che opera sugli organide'sensi,e che il concetto di po tenza m'induca a concepire nelle facoltàconoscitive un qualcosa che le costituisca operanti,un che di positivo ed'efficace che risponde alla passività negativa del sentimento; m a io negoagli Stoici quel loro metodo di facili illazioni, onde identificata la potenzaintellettiva col senso volevano dedurre in virtù di universali prin cipj da unacondizione passiva delle facoltà del sog getto l'efficacia dell'intendimento, edalla sensazione mutabile e fenomenale l'incommutabile necessità dellascienza.Ma il fato della logica non's'arrestava; e gli Stoici ristretti in talmodo nelle angustie dei fenomeni sensibili, tanto più quanto levavano losguardo alla cima del sa pere,rammentando le tradizioni del Sofo ateniese, vedevano l'importanza di ribattere le prove degli avversarj che paragonavano la mutabilitàe l'incertezza de'fatti animali colla natura assoluta del vero contenuta negliuniversali concetti,onde germoglia e si sviluppa la scienza. Quindi provenivail bisogno vivamente sentito da loro di movere da un fatto e da principjindubitabili ed evidenti -- Acad. Quindi la necessità di mostrare,primo, comesi possa distinguere la rappresentazione falsa dalla vera; secondo, comemovendo dal reale della rappresenta zione apparisca che la mente stessa che èfonte dei sensi, e che essa medesima è senso,abbia una naturale energia per cuitende a ciò che la move al di fuori; mens ipsa que sensuum fons est,atque etiamipsa sensus est,naturalem vim habeat quam intendita deaquibus movetur. Daquesto concetto,fondamentale nella logica degli Stoici, [La prima partecadeva sulla domanda: se la perce zione sensibile avesse impressi in sè certisegni della v e rità dell'oggetto rappresentato; il che negava la NuovaAccademia,affermando che in una percezione,fosse pur vera, non era alcuna certanota per distinguerla da una falsa; dubitavano dunque che per mezzo dei sensil'entità della cosa sentita passasse tal quale ella era nell'appren sione delsoggetto conoscitore. Posta in tal modo la questione, è chiaro che poichè ilmezzo di passaggio del vero conosciuto dalla cosa, occasione del sentimento, allepotenze conoscitive, è il senso ed isuoi organi, conveniva innanzi tutto,aprovare la realtà della cognizione, argomentarla dalla veracità naturale deisensi.Dai quali movendo Lucullo ne afferma chiaro e indubitato ilgiudizio,nulla valendo, ei dice,gli artificiosi argomenti degli avversarjintorno alle false apparenze delle percezioni; poichè:,dato che i sensi sianosani,col buono uso ch'io ne faccio posso ret tificarne i giudizj,possocoll'esercizio e coll'arte aumentarne mirabilmente la forza, il senso è dimostratoverone'suoi giudizj dal successivo lavorìo della mente sulla materia da essosomministrata formandosene i concetti delle qualità e delle specie che son viaai principj più universali, ai quali naturalmente l'intelletto dà fede, e toltii quali ogni arte,ogni scienza,ogni regola della vita cadrebbe. Tutta lateorica si regge manifestamente sul principio di causa e di relazione. Se io,diceva Antioco, ho sperimentato in me l'effetto della percezione sensibile,questa mi riporta ad una causa per via d'una necessaria attinenza. Ma Filoneinvece (e in ciò è imitato dagli scet tici odierni) ammettendo la possibilitàdel fenomeno come di un che vuoto,di una mera apparenza senza alcun con tenuto,poneva come probabile che la sensazione non ci scoprisse l'entità di verunacosa. M a, riprendeva A n tioco, primieramente oltre i naturali giudizi e igiudizj scientifici, che nascono e si fanno manifesti in noi per l'occasionede'sensi, dal germe del conoscimento spunta 98 il ragionamento d’Antiocosi dirama in due capi: della percezione e dell'assenso.Il ragionamento diLucullo, compreso dal quinto al ventesimo cap.del secondo librodegliAccademici,edovel'umano intelletto fa prova di quella forza irresistibile che in mezzo allecontradizioni del sofisma pur lo sospinge ai principj universali del vero, èuno dei più mirabili tratti della filosofia e della eloquenza latina, e chin'ha seguito con gioja confidente il cammino, se poi si volge ad aspettare larisposta di Cicerone, gli par di vederlo quale si dipinge con vivezza eglistesso « non minus c o m motum quam solebat in caussis majoribus. » Egli peraprirsi la via a dimostrare la sua tesi, non move da una professione discetticismo assoluto, m a bensì da una cri tica temperata; e si fonda inspecial modo sull'argomento con cui Arcesilao avea combattuto Zenone, cioèsull'in discernibilità delle percezioni vere dalle false,onde avve niva che alsapiente non rimanesse alcun assenso deciso, m a una semplice opinione diverosimiglianza. Comunque sia, s'è domandato da molti. Cicerone non sostieneegli in questo libro le parti dello scetticismo accademico contro le dottrinestoiche della percezione? non si professa più volte ne'proemj delle sue opereseguace della riformail fiore dell'appetito istintivo, il quale se voi minegate avere persuoproprio enaturaltermineilvero,inquanto è conosciutoappetibile, io sono condotto ad affermare nell'uomo l'assurdo di più facoltànaturali che natural mente s'ingannano. Poi il falso non può mai essere termine dell'apprensione intellettuale, perchè ilconoscimento coglie di sua natural'essere delle cose, ma il falso è appunto,rispetto al conoscimento, lanegazionedell'essere; dunque il falsonon può mai cadere sotto ilconoscimento.Finalmente, se nulla è vero, sarà almen vero questo che nulla è vero, perchèuna scienza,una dottrina qualunque, per essere costituita nella sua natura,ch'è ordine di veri conosciuti,ha bisogno,come di un metodo e di un fine a cuivada e a cui giunga,così di un principio da cui mova indubitabile e certo. Lostesso ordine di concetti desunto dal principio di potenza e di relazione reggea un di presso la teorica dell'assenso (Guyaute 985e»). introdottada Arcesilao? non scrisse egli i due libri,che voi esaminate, per mostrare aiRomani l'ottimo metodo del filosofare sull'esempio della Nuova Accademia? nonhan ripetuto e non ripetono ancora a una voce quasi tutti gli storici dellafilosofia che Tullio, seguace nella sua gio ventù dell'Antica Accademia,s'accostò già maturo alla Nuova, a cui lo traeva il suo istinto oratorio, loscetti cismo de'tempi, l'animo incerto in tanta folla didottrinecontradittorie, e la forma ecclettica di filosofia ch'e'si era proposta? DunqueCicerone nelle tre parti della scienza,emassime inlogica, seguitò il dubbio dell’Accademia.(Brucker,Degerando, Bernhardy, Ritter).Tal conclusione,di cui demmo qualche accenno nelcap.I di questa parte,sebbene apparentemente provata da parecchj testi divisidel filosofo nostro, da varie sue esplicite affer mazioni,e segnatamente datutto il tenore di questi due libri, dove e'prende con lungo ragionamento inpersona di Filone a confutare la certezza delle notizie che ci ven gon daisensi,e dove in ultimo contrappone ex professo la sua dottrina del dubbiosistematico e della probabilità alle contradizioni in cui si lacerava la logicacontempo ranea, tal conclusione, dico, non regge avanti al tutto delle dottrineesaminate spassionatamente, e avanti a quella norma di critica, che ponemmo sinda principio,di badar bene alle opinioni che Tullio combatte,e ai metodi cherappresenta in sè stesso senza per altro interamente accettarli. Leaffermazioni eccessive della critica odierna, bene merita per tanti rispettidella civiltà e della scienza,hanno la loro sorgente esse pure nel falsoprincipio del Criti cismo speculativo, che togliendo il pensiero scientificofuori delle sue naturali armonie con sè stesso, colle cose, col Creatore e colgenere umano, non riconosce più nello scienziato e nel filosofo l'uomo,e fadella più socievole fra le dottrine un gergo incomprensibile esolitario.Bisogna invece nell'esame dei sistemi non uscir mai dalla n a tura dique'tempi, di quegli uomini, di quelle passioni, di que'pregiudizj, di quelleconsuetudini; bisogna immaginarsi i filosofi quali furono in realtà, disputantie pensanti, uomini di tribuna e di tavolino, soggetti essi, come noi, allecontradizioni frequenti di qualche dottrina anche erronea concessa nel caloredella disputa alle prove degli avversarj, colla interna coscienza, testimonioirrepugnabile al vero. Tale è più volte ilcaso di Cicerone, e tal metodo noitenemmo nella parte fisica delle sue dot trine, e terremo nella logica e nellamorale. Il Ritter scrittore accuratissimo nella critica'de'filo sofi,e alemannodavvero nella coscienziosa ricerca dei passi e dei documenti, talvolta, ciduole a confessarlo, compo nendo con disegno ingegnoso brani staccati di varieopere, ne fa resultare in conferma delle proprie opinioni un si gnificato cheforse non germoglia dalla totalità del sistema. Così nell'esame delladialettica di CICERONE (si veda), sebbene non n e ghi che il filosofo latino sileva al concetto dei principj e delle idee universali, cardinedell'intelligenza, pure af ferma che in logica ei riferì una singolareimportanza al sentimento, pigliando questa parola nel significato in cuilaintendono iRazionalisti,come di un che sostanzialmente opposto alla scienza,e soggetto alla cieca fatalità de gl’istinti. Hist. Ma inprimo luogo, oltrechèCicerone (e lo vedremo meglio in morale) non fece mai del sentimento unqualcosa di opposto alla scienza, e anzi lo allegò sempre in un significatoessenzialmente scientifico, quale una necessaria attinenza del l'affettospirituale col vero -- De Fin. -- è poi esattaabbastanza l'asserzione di Ritter,checioèiprincipj fondamentali della sua filosofia naturale lo conducessero alledottrine logiche per via della sensibilità? Sefosselecito affermare risolutocontro l'autorità dello storico insigne, direi invece che due cause, intrinsecal'una,l'altra estrin seca alle dottrine di Tullio,lo guidarono in logica a conclusioni direttamente opposte, e lo ravvicinarono (pro gressorarointanta corruzioneditempi) aidommi sublimi dell'Antica Accademia. In tal questione egli si trovò inmezzo al proprio semipanteismo e dualismo e alle dottrine materiali esensistiche di Zenone. Non è egli vero che ildualismo semipanteistico daun lato rifuggendo alle con tradizioni del panteismo che più repugnanoagl'ingegni sovrani, e gratificando dall' altro agli affetti spirituali,segregò la materia da Dio, lo spirito dal senso,e pose la ragione del conoscerenella medesimezza fondamentale dell'intelletto divino e degl'intellettisecondarj? Ora tal sistema, partecipato da quasi tutte le scuole socratiche eda Tullio,rompeva l'attinenza tra il pensiero e I pensati, tra l'ideale e ilreale, e restringeva l'intendimento alla semplice e inefficace visione degliuniversali. Se così è, pare che il filosofo latino dovesse essere ben lungi dalporre nei resultati delle potenze sensitive la certezza del conoscimento;e loprova la sua fisica dove sull'esem pio di Platone si rigettano i metodi dellescienze speri mentali come incapaci di somministrare una sicura notiziade'corpi, e l'indagine naturale si ammette solo come via di levarsi in virtù diprincipj superiori ai veri della scienza soprannaturale; lo prova la suapsicologia che tante volte contrappone il fenomenale della materia e del corpoal l'essenza dello spirito, che afferma il commercio dell'anima col corporisiedere in una semplice comunicazione di moto, isensiesseresolounemissariodell'anima,un'intelligenza ammezzata, e la personalità umana ungastigo. (Tuscul., De Leg., De Rep.nel sogno di Scipione). L'altra causaestrinseca che allontanò Cicerone dalla fede che altri poneva nel conoscimentoprodotto dai sensi, è l'opposizione ch'ei dovette fare al dommatismo degliStoici, nella quale opposizione si vede che, mentre da un lato egli temperavacolla moderazione dell'ingegno latino il dubbio eccessivo a cui l'avrebberoforse condotto le dottrine della Nuova Accademia, dall'altro sapeva con raroacume di logica smascherare e combattere le intime contradizioni degliavversarj. Qual era la fonte di tutte queste contradizioni? Noi già laconosciamo;era l'eterna differenza che corre tra il sentimento mutabile efenome nale e l'incommutabile necessità della scienza. Questa necessitàsembrerebbe a primo aspetto bastantemente di mostrata nel sistema degli Stoicidal porre ch'essi facevano il conoscimento scientifico nel possesso delleidee pure, e nel rappresentarcelo quasi l'ultimo grado di ferma convinzione,acui lo spirito umano perviene col passare pei gradi intermedj della ouzoté0:015– “adsentio” -- e della 2.zténnyes – “comprehension” --, movendo come da suoprincipio dalla suurusis, o rappresentazione sensibile – il “visum”. (Ritter; Cic.,Acad.).Ma, seconsideriamo meglio,gli Stoici con quella loro immagine della mano stesae del pugno chiuso ed aperto determinavano in qualche modo l'idea di unadifferenza tra il sentimento e ilsapere,ma non uscivano dai fenomenianimali,non sapevano accen nare quella nuova parte essenziale intrinseca alsoggetto, che congiunta colla oggettività della percezione costituisce ilconoscimento; laonde la Nuova Accademia avrebbe po tutodirloro:è vero cheilsaperedifferiscedalsenso,che il possesso sicuro delle rappresentazioniresulta dalla c o n trazione e dall'energia dello spirito(TÓvos);ma sepervoil'intelletto non è che il travestimento del senso,mostra teci orsù come lapotenza derivi dall'impotenza, l'asso luto dal relativo, il necessario dalcontingente. Ora la Nuova Accademia senza levarsi a questi principj universalich'essa non ammetteva,ma, giusta il suo costume, no. tando piuttosto quellecontradizioni che sidesumevano dal sistema stoico paragonato a sè stesso, pureimplicitamente li confessava. Fallita infatti agli Stoici la definizione delconcetto della scienza dato per via dell'attività spontanea dell'anima,nonrimaneva loro altro scampo che ridurre la ragione del conoscimento allaindubitabilità della p e r cezione vera.Ma come mai dimostrare tale indubitabilità?Questo mutamento notevole che doveva introdursi nel l'indirizzo della questionesul problema della conoscenza per la legge a cui è soggetta necessariamente lavita d'ogni sistema,è attestato dalla storia; perchè, come os serva il Ritter,i primi Stoici dimostravano la necessità del sapere per quella forza internadell'animo che si mani festa nell'atto d'apprendere la sensazione,e pel bisognod'ammettere qual termine della facoltà intellettiva e appetitiva il vero ed ilbene; laddove gli Stoici susseguenti,al numero de'quali appartieneCrisippo, vedendo che ciò contraddiceva ai principj del sensismo,trassero alleultime illazioni il sistema ponendo il criterio del conoscere nellarappresentazione vera che si manifesta da sè stessa come prodotta da unobbietto reale analogamente alla sua natura. Nonpertanto una grave difficoltàrimaneva sempre a risolvere anche dopo la modificazione introdotta da Crisippo.Chè se il vizio fondamentale di tutta la loro dot trina stava nel disconoscerequell'intreccio d'attinenze interne ed esterne ond'è manifestativoilpensiero;iprimi Stoici guardarono troppo al lato interno e soggettivo diquelle attinenze, mentre Crisippo, eccedendo per l'altra parte, si fermòunicamente all'esterno; e quindi rima neva sempre intatto il quesito, se larappresentazione percetta offrisse piena e indubitata qual era la realitàdell'obbietto rappresentato. E invero si ponga mente. Fingasi che un oggettoqualunque a cui noi riferiamo date proprietà di freddo, di caldo, di liscio, diruvido, d'ottuso, di tagliente etc., faccia impressione sui miei organi s e nsorj,e che l'impressione, trasmessa per la treccia de'nervi al centro delsenso, sia occasione a farmi concepire l'idea d'entità; se io esamino allora lostato interno della mia coscienza, il fatto del conoscimento, unico in sè, misi paleserà resultante da una mirabile armonia di fatti se condi, successivibensì nell'esame della riflessione, con temporanei tutti nell'atto dellepotenze spirituali. Ciascuno di questi fatti sarà l'operare d'una specialfacoltà, e cia scuna di quelle operazioni avrà il proprio termine; io poi chemi faccio ad esaminare quel nodo d'attinenze tra il soggetto e gli oggetti,vedo che la qualità dell'atto conoscitivo resulta bensì dalla qualità diciascuno di quelli atti secondi, ma la sua certezza proviene da una legge dinatura che li costituisce contemporanei e correlativi. Fa'che io tolga via colpensiero o l'uno o l'altro di quegli atti e i termini loro, quella stupendaarmonia di natura mi si spezza davanti agli occhi, e io cado di n e cessitànello scetticismo; tolgo via l'impressione sensibile [Il sistemacristiano, che movendo dalla formula di creazione riproduce in uno stupendoordinamento di veri palesati dall'intimo della coscienza l'universale armoniadel creato, può soltanto offrire un'adeguata risposta ai quesiti delloscetticismo sulla questione del conoscimento; perchè solo in quel sistema leattinenze dell'umano pensiero con sè e cogli obbietti sono rigorosamenteserbate, nè può lo scettico separando o negando creare vane apparenze quasidell'intelletto segregato in sè stesso,o della fantasia o del senso producentifenomeni vani non retti ficati poi dal paragone dei giudizj mentali. L'ingegnodi Agostino che meglio d'ogni altro comprese in sè stesso le armonie delCristianesimo e della scienza de'Padri, dava un esempio del confutarecristianamente gli scettici nell'opera Contra Academicos, dove chiaro appariscelo studio profondo degli scritti di Cicerone, e come queie il terminemateriale? e la conoscenza mi si presenta come un fenomeno soggettivo;non vedopiù l'azione dello spirito e il termine ideale in cui cade? e il conoscimentodoventa un qualche cosa d'estraneo a me stesso, un in ganno misterioso delsenso e della materia.Quest'ultimo segnatamente fu il vizio fondamentale delladottrina degli Stoici nuovi, e in ciò, nota bene Cicerone, essi furono assaimeno conseguenti degli Epicurei. Costoro movendo dal principio, che dataunapercezione fallace mancava ogni criterio per verificare la certezza delleumane notizie, ponevano quel criterio nella realtà stessa del fenomenosensibile, più conseguenti, dico, degli Stoici, i quali non ammettendo comeveretutte le percezioni, ma solo quelle che presentavano in sè l'evidenza dellacosa percetta, nè riconoscendo d'altronde, come sensisti,la natura pro priadell'intelletto a cui solo spetta il giudizio sui resultamenti del senso, sichiudevano la via per discernere la conoscenza vera dagl'ingannidell'immaginazione; e quindi a buon dritto la Nuova Accademia allegava controgli Stoici i soliti argomenti della fallacia del senso degl'inganni deiragionamenti sofistici. Acad. -- germi immortali di vero che il filosofo romanoseppe raccorre con rara indagine scientifica nel suo tentativo di conciliare lescuole greche,producessero una vitaope rosa di scienza fecondati dal calore diuna dottrina rin novatrice. Nel libro Contra Academicos Agostino serba a un dipresso lo stesso ordine della disputa seguito da Lucullo e da Cicerone, movedagli stessi principj, ribatte le medesime contradizioni;ma un non so che diinsolito, d'efficace, d'affettuoso che annunzia una civiltà e una religionenuova tu lo senti là dentro,e non tanto nello stile che, non paragonabile maiall'eleganza tulliana, ritrae pur qualche volta la vivezza e il brio delparlare improvviso, quanto nell'energia insolita dell'argomentare che sfuggendoiparticolari, dove facilmente sipuò intro durre il sofisma, si rifugianell'evidenza de'principj s u premi. Ma ilmodo d'argomentare usato daSant'Agostino non calzava agli Stoici; chè essi non ammettendo un'in tima ereale attività dello spirito distinta dal senso e capace di rettificarnegl'inganni, non potevano rinvenire nell'essere stesso della percezione segniindubitati ch'ella fosse verace; e il loro concettualismo non li lasciava affermare contro il dubbio aceennato dalla Accademia sulla validità del pensiero.Gli storici della filosofia ci han serbato in fatti memoria di una stranadottrina degli Stoici procedente del resto dall'intimo del loro sistema e daquella tendenza dualistica che vi si mesco lava ai principj del panteismo.Qualera questa dottrina? Gli Stoici ponendo in fisica per un lato la realtà dellecose nella sostanza corporea, nè per l'altro costretti dalla logica riuscendo anegare del tutto l'essere delle idee universali, distinsero queste dal realecorporeo,e ne fecero alcunchè di non reale, ma capace d'essere concepitodall'intelletto ed espresso in proposizioni (Asztóv). Distingueno quindi duespecie di vero; il sensibile contenuto nelle percezioni de'corpi, e ilpensabile ristretto alle in tellezioni della mente,questo procedente da quelloe a quello correlativo; volevano con tale dottrina porre su stabili fondamentila necessità de'principj in cui cade lascienza, nè gli acuti pensatoris'avvidero che, se l'idea può rappresentarmi il reale, ciò accade appunto incon seguenza ch'ella stessa è reale, non s'avvidero che n e gando qualunqueconformità tra il concetto universale e l'essenza del concepito, si cade nelconcettualismo rinno vato poi da Abelardo nei tempi di mezzo.La Accademiarecava alle ultime loro illazioni questi falsi prin cipj della scuola stoica;dal principio del sensismo traeva occasione a dubitare della veracità dellapercezione sen sitiva; moveva dalle conclusioni del concettualismo per negarela realtà del pensiero imprigionato in sè stesso, e diceva (argomento assainotevole infatti) la dialettica non potere giudicare delle leggi dellageometria,perchè aliene dal proprio ordine di veri,non giudicare delle proprie, perchè non può il pensiero rivolgersi sopra sè stesso per giudicarsi.L'argomento è di recentissima data,come ognun vede,e lo ripetono anch'oggiiseguaci del Comte, I Positivisti francesi. E recenti pure sono le conseguenzeche ne deduceva la Nuova Accademia; poichè racchiuso una volta il pensiero insè stesso, e negata la sua atti nenza colle cose reali,manca ogni criterio arisolvere il problema dei giudizj contradittorj,nè v’ha che un passo a dedurneche dunque la contradizione è una legge ne cessaria dell'intelletto. Questaultima conclusione, che accenna per altro un notevole perfezionamento dellarifles sione nelle teoriche del criticismo, è dovuta al filosofo diConisberga,m a già è racchiusa implicitamente nei sofismi disgiuntivi dellaNuova Accademia. Ac. Costituita dunque in questi termini, la controversia sullefonti del conoscimento conduceva la Nuova Acca demia a uno scetticismoassoluto,e noi già ne vedemmo non dubbj segni in Carneade; m a era qui appuntodove Cicerone si arrestava temperando col suo vivo sentimento dei veri naturalie colla moderazione latina gli eccessi del metodo da lui fino allora seguito.Quindi usciva la sua teorica sulla verosimiglianza delle percezioni sensibiliche riporterò così riassunta dal Ritter. « Les Stoïciens,en admettant la possibilité de saisir quelquechose avec tant de précision qu'il ne puisse y avoir erreur,n'accordaient cesavoir qu'au sage. Ils ne faisaient donc en cela que de refuser cette espèce desavoir aux hommes ordinaires, car eux-mêmes ne pouvaient dire quel est l'hommequi est ou qui a été sage; ils regardaient, au contraire, tout le monde commeinsensé, et refusaient en conséquence le savoir véritable à tout le monde. Cicéronn'aspire pas à un pareil degré de savoir; mais il veut que le non -sage aussisache quelque chose,c'est-à-dire, qu'il ait une per suasion de la vérité desphénomènes sensibles,sans cepen dant pouvoir y croir avec une parfaitecertitude.Son opinion est, qu'il y a des impressions sensibles auxquelles nouspouvons nous fier, parce qu'elles ébranlent fortement notre sens ou notreesprit;mais sans pouvoir cependant les adop ter comme parfaitement vraies.Telleest sa théorie de la vraisemblance. Il ne veut pas faire disparaître ladifférence entre le vrai et le faux; nous avons raison de tenir quelque chosepour vrai et de rejeter autre chose come faux; mais nous n'avons aucun signecertain de la vérité et de la fausseté.Il croit pouvoir prévenirl'objection,qu'il y a ce pendant ceci de certain,qu'il n'y a rien de certain ente nant aussi pour vraisemblable seulement qu'il n'y a rien de certain. C'estainsi qu'il se purge du reproche que la théorie qui donne tout pour incertainest impossible dans la vie pratique, car cette vie se conforme à la vraisemblance, et la plus part des arts qui s'y rapportent avouent même qu'ils ontplutôt pour but la conjecture que la science. Il ne voit d'autre différenceentre son opinion et celle des dogmatiques, si ce n'est que ceux-ci ne dou tentpas de tout ce qu'ils soutiennent;mais qu'il est vrai qu'il considère aucontraire beaucoup des choses comme vraisemblables, qu'il peut suivre, sanspouvoir cependant les affirmer avec una parfaite certitude. On voit bien quecette théorie de la vraisemblance s'éloigne un peu de la doctrine de lanouvelle académie, du moins telle que Carnéade l'avait exposée; car ellen'aspire pas à un art de tout rendre également vraisemblable etinvraisemblable,mais elle tient quelque chose pour vraisemblable, autrechose pour invraisemblable. Cicéron remarque même qu'en ce point il s'écartaitde ses maîtres, particulière ment pour ce qui est des préceptes de la morale. Ilavoue à la vérité qu'il n'est pas assez hardi pour réfuter le doute de nouveauxacadémiciens,par rapport à la morale, mais il désire les atténuer. » (Stor..) 4. Il fondamento della teoria tulliana sullaverosi miglianza è dunque nella questione del criterio del vero; e qui,segnatamente nel giudizio sulle percezioni sensibili, apparisce il moderatoscetticismo dell'oratore latino;m o derato, dico, e parmi sia chiaro dopo lecose predette che egli avvolto, come Socrate, in mezzo ai combattimenti deldommatismo e dello scetticismo eccessivo, serbò una norma scientificanell'affermare e nel dubitare, temperò gli Stoici non accordando una fedeillimitata al solo te stimonio de'sensi; temperò gli Accademici sostituendo alloro dubbio,uguale per qualunque opinione,una graduata verosimiglianza ne’ casiparticolari, combattè gli uni e gli altri rigettando il dubbio assoluto suiprincipj fondamen taliesulleveritàteorematiche.(Vediiproemj particol. De Off, DeDiv.,De Nat.Deor., Acad. La sua psicologia in quelle parti che si collega allalogica, sebbene qua e là infetta del dualismo socratico, fa fede com'egliemendasse il vizio della scienza contemporanea opponendo all' i m perfettariflessione de'sofisti un esame comprensivo del umano soggetto. Con metodoinduttivo egli moveva dalla coscienza, ed ivi,riconosciuti inaturali concettidell'oltre naturale e dell'intelligibile, s'innalzava con essi alla c ognizione dell'animo -- Tuscul. Nell'animo distingueva la ragione dal senso;laragione,sovrana delle facoltà umane,ha un immortale e quasi divino istintodelvero,legame primigenio tra il Creatore e icreati;isensi, satelliti e nuncjdell'anima,le danno di molte cose certa notizia confusa e ammezzata, cheèunqualche fondamento alla scienza, e la scienza ne sorge per la libera efficaciadell'animo, che comprendendo in sè il particolare e ilm u tabile deisentimenti, si leva alle idee e alle nozioni uni versali; quindi i sensi benguidati da natura,nè torti da mala educazione, hanno una naturale rettitudineal vero, nell'animo dove cade il libero giudizio della riflessione, ivisoltanto può introdursi l'errore. De Leg., Tusc., Ac. Così col metodo induttivodi Platone egli sale fino ai principj più universali, d'onde col deduttivod'Aristotele ridiscende ai particolari; e ne son prova i libri rettorici. Tra iquali merita speciale considerazione la Topica, o logica inventrice, intitolataa Trebazio giovane giurecon sulto e discepolo dell'autore,e dove ogni precettoè ac compagnato da esempj di giurisprudenza. In questo libro che ha persoggetto tutte quelle distinzioni e scomposizioni dialettiche che si ricercanoper l'invenzione degli argo menti, e si operano sui concetti che ne sonosignifi cativi, CICERONE (si veda) divide la logica in inventiva e giudicatrice, la prima delle quali parti porge gli argomenti per disputare,la secondali dispone,li analizza e lim a neggia per persuadere.La logicaCiceroniana,osservata altresì ne'dialoghi,ed esposta nel De Inventione, e nelDe 'Oratore, è in fondo la istessa logica d'Aristotele quale più tardisimo dificònegli StoicienellaNuova Ac cademia, e l'accettarono in gran parte i giureconsultiromani e gli oratori; la qual cosa, perciò che risguarda i Topici, si disputavalungamente, non sono molti anni, in alcune università tedesche, come apparisceda un'ac curata dissertazione,De fontibus Topicorum Ciceronis,di GiovanniGiuseppe Klein. (Bonnae) Ivi l'autore prendendo ad esame la questione propostadai critici a n teriori,se e quanto e con qual metodo Cicerone seguisse inquesto libro la Topica d'Aristotele che ci pervenne, ovvero se attingesse adun'altra di presente perduta, come qualche critico mostrò sospettare; concludedopo un dili gente ragguaglio dei due scrittori,che le opere loro quantoaiprincipj,e in molte partisecondarie,differiscono note volmente; che Ciceronenella sua Topica non si propose (il che apparirebbe a prima giunta dal proemio)di fareun semplice compendio dei libri Aristotelici;ma resulta da tuttoil contesto avere l'oratore latino attinto la m a teria del libro dai Rettoricidello Stagirita e da alcuni precetti degli Stoici e della media Accademia,e poiaverla composta col proprio giudizio in una forma di vera e par ticolaredisciplina. Sui Topici di Cicerone scrisse con fine più filosofico un ampio ebel commento Severino Boezio,in cui la storia della filosofia ravvisa il primopassaggio tra le dottrine dei Padri e quelle de'Dottori,tra l'ultimo spiraredella civiltà latina sotto le conquiste de barbari e ilprimo rinnovarsi dellelettere e delle scienze nella nostra Italia.Or quel c o m mento, che all'indoledel trattato, già di per sè stesso analitico, accoppia il rigore delladialettica della Scuola, e congiunge i nomi di Aristotele, di Tullio, diTrebazio Testa e di Severino Boezio, mi rappresenta al pensiero l'armonia dellescienze giuridiche colla filosofia, dell'ana lisi colla sintesi,delladialettica colla storia, della pratica colla speculazione, dell'amore operoso ecivile colla sa pienza cristiana. 1. Entrando ora a parlare dei libri morali,apparte nenti alla teorica sulle azioni, l'ordine della materia sembrainvitarci, come facemmo nei capitoli precedenti, a dire qualche cosa ingenerale del disegno scientifico che li collega, e delle attinenze loro piùimmediate e più rigorose colle altre parti della filosofia di Cicerone. In verola scienza morale nata sui rudimenti del senso co mune,quale Socrate la menavaa conversare famigliar niente fra gli uomini,e più tardi venne accolta e trasmessasino a noi dalle scuole migliori, si può assomigliarla ad uno stupendo poema,se guardiamo la sublimità de'suoi veri,illegame che unisce i principj alleconseguenze,e l'armonia delle speculazioni colla parte più affettuosa dell'uomoe colla vita civile. Il principio n'è dato dalla IV.natura, presuppostoindispensabile della scienza; chè la riflessione posta una volta su quelcammino ov'essa pro cedendo incontra e ravvisa ad una ad una leveritàpiù principali della Filosofia, move dai primordj della vita vege tativa e animale, manifestatinella puerizia dai sentimenti indefiniti e dagli istinti,passa su su agli inizjdella vita razionale, allorchè quei sentimenti illuminati dallo splen doredella conoscenza si palesano come tendenze amorose al vero, al bello ed albene; in quei termini riconosce la ragione di fine,ed il fine,considerato comequalcosa onde nasce armonia nelle operazioni d'un ente,guida la rifles sione alconcetto di legge, d'un archetipo assoluto ed eterno che per mezzodell'intelletto indirizza il volere a un'immortale destinazione. Principjnaturali, bene, fine, legge; ecco i concetti che, intrecciati mirabilmente fraloro nell'armonia della coscienza, costituiscono l'ordito dell'Etica, allaquale,considerata per questo rispetto come scienza direttrice della più nobile partedell'umana n a tura, fan capo le altre scienze costitutrici della filosofia. LaFisica, come la intendeno gl’antichi, la quale meditando il principio primodell'essere nell'universo e nel l'uomo,ne ravvisa facile il fine chenell'universo è un termine oltrenaturale di naturali armonie, desiderato daglienti tutti, e nell'uomo è un'idea di perfezione immortale, appresaconfusamente, nè mai raggiunta nell'ordine delle creature. La Logica, perchètrattando dell'ente sotto la ragione di vero,ne scorge facileilpassaggio allaragione di bene pel concetto d'amabilità, testimonj i sentimenti più schiettidella natura che antecedono ilvero e ne ger minano come tendenze ed affetti. Viconduce la Scienza dei doveri e dei diritti;chè dovere e diritto sono concettieminentemente morali in quanto da un lato discendono dall'idea della legge,lecui divine esigenze s'impongono alla coscienza degli enti creati,capaci dicognizione,pur ri spettando quelli enti nell'ordine della loro natura; dall'altro lato vengono su dall'idea dell'uomo,ente dotato d'intelletto ed'amore,che riconosce in sè e nel suo libero arbitrio la sanzione di quellalegge,la quale osservandosi sente capace d’immortali destini. Cosìl'ontologia, la logica, la scienza delle obbligazioni e il gius di natura siappuntano, come in unico centro, nella morale, da cui pur si dirama il giuscivile, la politica, la legislazione, la storia e ogni altra scienzameditatrice dell'uomo. Il Cristianesimo, dottrina e religione moralmente incivilitrice, che nata in tempi di costumi nefandi operò un mirabile rivolgimentonella vita dell'uomo, ponendo a capo dei suoi precetti l'amore santificato datanto sangue di martiri, e ad esempio dei nuovi costumi, l'immagine più cheumana del figlio di Maria,il cristianesimo solo poteva dare un perfezionamentovero alle teoriche della morale. E quel perfezionamento lo diede allorchèdichia rando senz'ombra di dubbio l'infinita natura di Dio,la finita naturadell'uomo, si valse dell'idea intermedia di creazione per assorgere al concettopiù puro delle loro attinenze, potè meglio chiarire l'idea di fine, di bene edi legge,ricostituire l'ordine dei fini nella natura in telligibile esovrintelligibile, vedere l'uomo e l'universo ordinati a un disegno dellaprovvidenza;e quindi,posto a capo di tutta la Filosofia il concetto di Dio, sene sparse nuova luce sulle dottrine del soprannaturale e del naturale, sullapsicologia e la logica, sulla teorica dei doveri e dei diritti; le scienze politichee civili e la storia ne apparvero nobilitate. Il che è tanto vero, che queltendere continuo dalle miserie di nostra natura all'i m mortale, all'assoluto,all'eterno,può solo spiegarci le sca turigini arcane onde move un'aurad'ineffabile bellezza, chela scienza cristiana respira,sono ormai più che quattordici secoli, dai dialoghi di sant'Agostino, e dalle let tere di san Girolamoin poi,sino alla Divina Commedia, alla Somma dell'Aquinate,e alle sublimifantasie di Serbatti. Considerate le quali cose, se alcuno mi domandasse ondeaccadde che la Paganità, in tanto e continuo sca dere di costumi e di scienza,riconobbe più volte, senza pur cadere in errori sostanzialissimi,le principaliverità della morale,di che abbiamo esempj segnalati nelle Indie,in MagnaGrecia e soprattutto nelle scuole socratiche e in Cicerone nostro, addurrei perrisposta la vivezza delle umane tendenze e l'efficacia de'sentimenti,che germinando da naturaciportano inconsapevolialvero ignoto, l'istinto dellasocievolezza e l'amore per gli enti della medesima specie, che essendo un vivobisogno dell'uomo, gli mantiene fresca nell'animo la voce degli affetti domestici e civili, e infine la notevole differenza che corre fra l'apprensioneastratta del vero e il sentimento che n'hai nella vita, onde spesso il filosofodiscorda dal l'uomo, e il popolano e la povera vecchierella fanno a m mutolirecoll'evidenza della rozza parola il superbo sa piente.In Grecia,e segnatamenteinAtene,dove nacque Socrate, e dove si conservava nell'amore del bello e neigentili attici costumi un germe di rinnovamento, rimase aperta la via a tornaresulle antiche tradizioni, attestate dalla coscienza e dal linguaggio, e aderivarne, come scintilla da selce,i principj della morale che fanno sì bellaparte delle scuole socratiche. M a quei principj (già lo sappiamo) erano forsepiù facili a ravvisarsi l’età sus seguenteallasocratica,inRoma;e perchèinRomas'era insanguinata e commista la civiltà dei popoli italici, in cui simanifestò ab antico una notevole inclinazione alla scienza avvivata dalsentimento e da fini di pratica a p plicazione,eperchè in Romaerafioritaefiorivalascuola dei Giureconsulti, il cui pernio era l'idea moraledella legge e del dritto,e infine perchè, se una riforma era da farsi in tantacorruzione di civiltà e di costumi,in tanto scadimento delle relazionidomestiche e civili, e nella notevole prevalenza che da circa due secoli aveanpreso le dottrine epicuree, certo quella riforma dovea comin ciare dai principjdella morale.L'Etica ciceroniana, che è uno dei più nobili tentativi fattidall'umano ingegno per opporsi, senz'altro ajuto che l'evidenza del vero desunta dalla natura viva, alla rovina d'un'intera nazione, era dunque precedutada un grande preparamento; chè giammai si compie un gran fatto senza che neitempi e nella società,da cui nasce,se ne acchiudano i germi. E igermi della riforma morale iniziata da Tullio furono, oltre le condizionicivili e politiche di tutta l'Italia e di Roma, i Giureconsulti e le sètte,alle quali s'oppose il riforma tore; le splendide tradizioni delle scuolesocratiche, e segnatamente idommi platonici,aristotelici e stoici;ivi eglimirando componeva il disegno scientifico della sua morale;-m a quel nobilemagistero l'avrebbe ajutato ad accozzare brani di verità,non a comporre unavera dot trina, a ragunare nella memoria, non ad unire nella ri flessioneesaminatrice, s'e'non avesse avuto l'occhio in un principio più alto, superioread ogni opinione e ad ogni setta, nell'esemplare della natura considerata nelsuo popolo, in Italia, in Grecia, in Europa, nelle genti tutte conosciute, epiù viva in sè stesso, cittadino gene roso,scrittore sommo,oratore che tantevolte dall'alto della tribuna avea signoreggiato gli umani affetti colla parolaonnipotente. Questa meditazione profonda dell'uomo interiore, il cui fine eradedurre le ragioni del giusto dalle attinenze dell'anima e dell'universo conDio,valse a Cicerone le accuse di quell'acuto intelletto che fu Michele Montaigne. Ma Montaigne, osserva opportunamente un altro scrittore francese, cercavaforse troppo sovente materia al sorriso nell'invilire l'uomo e nel rassegnarlotra i bruti; Cicerone lo stimava creato a qualcosa di più alto e di più solenne(ad majora et magnificentiora quædam ), e riconosceva da Dio la nobiltàdell'umana natura,e l'ef ficacia della ragione e del libero arbitrio, percostituire la morale e con essa la vita civile su fondamenti non peri turi.Premesse queste considerazioni, l'Etica di Tullio, in cui Francesco Fortiosservava rappresentarsi la maturità della ragion naturale presso gli antichi,si distingua i n nanzi tutto in due parti determinate intimamente dall'indirizzo del suo pensiero speculativo nell'esame dei veri morali,estrinsecamente dalla forma filosofica de'trat tati. Una parte è teoretica eprincipalmente speculativa; e in essa Cicerone esaminò la ragione delletendenze n a turali nell'umano soggetto per ispiegare il problemasulla natura dei beni, e si levò coll'induzione da questo esame ai concettiuniversali di legge, di dovere, di diritto (De finibus, De legibus); l'altraparte, in cui prevale un fine pratico o di applicazione, movendo essa pure daiprincipj fondamentali, innanzi chiariti, scende a determi narli nella vitadell'uomo individuo e sociale e nelle dot trine sulle forme di governo(Tusculanarum, Paradoxa, De officiis,De republica,De amicitia eDe senectute).Sepoi si considera bene,nella prima parte di tal distinzione, avvertita pure dalKuehner, è compresa manifestamente un'indagine soggettiva e oggettiva;soggettiva e ogget tiva ad un tempo,perchè nel problema, posto da Tulliointorno alla natura dei beni, la riflessione scientifica si volge da un latosulle tendenze e sugli affetti spirituali, mentre dall'altro vi riconosce unriferimento necessario a qualcosa d'assoluto, d'immutabile,d'infinito, di essenzialmente oggettivo, all'esemplare di legge, da cui si ge nera in noil'obbligazione morale; e quindi è che la teorica de'Fini si distingue nelfilosofo nostro da quella del Dovere,e sorge fra l'una e l'altra, come centrounitivo delle armonie morali, la teorica della legge. Ponendo mano impertantoall'esame della parte speculativa,cominceremo dalla dottrina dei Fini, trattataex professo, e con intendimento al tutto scientifico, nel libro D e finibus, acui fanno corredo con secondaria i m portanza, e con oggetto non immediatamentespeculativo, le Questioni Tusculane, e l'operetta dei Paradossi.Thorbecke inuna sua dotta dissertazione universitaria sul principio della Filosofia e degliOfficj desunto dalle opere di Cicerone, osserva che il quesito dei Fini,o delsommo bene,occupa un luogo principalis simo nella sua morale. Il criticotedesco allega a questo proposito l'autorità stessa del nostro oratore, che piùvolte nelle sue opere, e segnatamente nel primo libro degli Officj,riferisceilfondamento delle dottrine morali alla disputa sul fine dei beni,e nel Definibus nota oppor tunamente contro gli Stoici non potersi separare,come[Due metodi si presentavano alla riflessione esamina trice perrisolvere il problema sulla natura dei beni. L'uno,che èmetodo comprensivoedessenzialmente scien tifico, necessario in qualunque parte della filosofia,eso prattutto indispensabile in questa, stava nel riprodurre esattamentecoll'ordine del pensiero speculativo l'ordine del soggetto, nell'abbracciarequella stupenda armonia di tendenze e di fini, che ci manifesta l'uomointeriore senza nulla tralasciare,nullanegare,nullaesaminare im perfettamente.L'altro metodo invece, che s'informava dalle qualità negative e parziali delsofisma, consisteva nel dimezzare colla scienza ciò che la natura avea unito,nel considerare l'essere umano soltanto in certe sue dis posizioni e facoltà,tralasciando le altre, nell'offrire come opera compiuta del vero e di Dio uninforme viluppo di contradizioni e d'errori. Questa seconda fu la via torta efallace seguita dalle sette grecoromane; quello il m e todo di Socrate e dellacoscienza tracciato da Tullio, come n'è testimone l'intero trattato de'Fini. Laquale avvertenza occorre fare fin d'ora;perchè parecchj storici della Filosofiatrovarono anche in questa parte della m o [ termini identici d'una stessarelazione morale, il principio dell'operare e il fine dei beni. Tale supremaimportanza scientifica del trattato dei Fini si desume ancora dal con siderareche la materia di quel problema si estende per un larghissimo campo direlazioni intercedenti fra la psicologia e le dottrine morali.Invero ilfilosofo,che pone mano a risolverlo,bisogna che mova dai rudimenti di natura,comprenda con diligente esame tutto l'essere umano,e rifacendosi dalle primetendenze,dove appena appena si manifesta l'affetto, e da quelle che palesanonel sentimento, nell'associazione dei fantasmi e nella m e moria lo svolgimentodella vita animale, e il germe del raziocinio, si apra la strada ad esaminaretutto l'uomo nella conoscenza che più tardi acquista dell'essere pro prio,deiproprj doveri,delle prime notiziescientifiche,e a considerarlo come parte dellafamiglia, come individuo e come membro della civil società. rale diCicerone un appicco alle accuse;dissero non avere egli compreso il vero aspettoscientifico della questione dei Fini, e poichè, sprovveduto di un saldocriterio di scienza, tentava comporre le più disparate dottrine, quali eranoquelle degli Stoici e degli Accademici e Peripatetici antichi, la tentataconciliazione provare anche una volta la povertà del suo ingegno speculativo. Ritter,Brucker. A una simile accusa, benchè apparentemente sostenuta da validi argomenti,rispondemmo altravolta,eciparve che la prova più solenne e palpabile contro leafferma zioni dei critici avversi forse il prendere in mano le opere delfilosofo latino, svolgerle con diligenza, ed esponendo que'suoi dialoghi pienidi tanta vita d'eloquenza e di speculazione, rappresentarlo,se fossepossibile,alla fan tasia dei lettori quale io me lo immagino là nelle cam pagnedi Tuscolo e di Cuma seduto all'ombra della quer cia di Mario, e inteso aconciliare le negazioni de'sofisti nell'affermazione compiuta dell'umanacoscienza. Il dialogo de'Fini è diviso in tre giornate,e ciascuna comprende unadisputa,nella quale Tullio assume sem pre la parte di giudice e di confutatore,argomentando in favore d'Epicuro, degli Stoici e dell’Antica Accademia ilconsolare L. M. Torquato, M. Catone e L. Pupio Pisone. Il dialogo è introdottoora nella villa di Cicerone in quel di Cuma, ora nella biblioteca di Lucullo pressoTuscolo, e in fine all'ombra silenziosa deplatani nell'Accademia d'Atene. Percominciare dalla disputa contro Epicuro,occorre qui rammentarci come nellaprima parte di questa tesi esami nando le principali scuole che fiorivano inGrecia avanti i tempi di Cicerone, e tra queste la scuola epicurea, vi trovammoun nuovo e sempre crescente pervertimento delle dottrine anteriori ocontemporanee,e come tal per vertimento consistesse,a nostro avviso, in unesame sem pre più povero e parziale del soggetto su cui cade la scienza,manifestato, segnatamente in fisica, col fermare l'osservazione al nudomeccanismo degli atomi,in logica con ridurre ogni facoltà dello spirito alsenso, e nella morale restringendo la virtù e la beatitudine ai piaceri delcorpo e i piaceri dell'animo alla speranza o al ricordo dei piaceri delsenso.Una siffatta dottrina,che spegnendo ogni più nobile tendenza dell'uomo,riduceva il sapiente alla condizione del bruto, subito la riconosci come il portato d'un ingegno profondamente sofistico, solo il sofisma togliendo all'uomol'intuito vivo delle armonie di natura; chè, posto a capo dell'Etica il purosentimento animale, se ne oscura la notizia dell'uomo, ente capace non solodisentimento, ma d'intellettoed'amore,noncapiscipiù la possibilità del dovereche dee cercarsi per sè,non già per diletto,e s'offende la dignità dell'umananatura e delle virtù ponendo fra esse la voluttà come una meretrice inun'assemblea di matrone. De fin., De off. Tali sono gli argomenti, toltialtresì dalle in time contradizioni di quel sistema, che Cicerone vibra dirimando contro Epicuro colle armi d'una concitata elo quenza,e davvero la suarisposta a Torquato è un con tinuo contrapporre a un cattivo e sofistico esamedel l'umana natura, un esame più alto e più vero delle sue leggi, de'suoidestini, del suo aspirare all'immutabile e all'assoluto;chèilnobile animodell'accusatorediVerre, e del persecutore di Catilina e d'Antonio poneva daparte ogni dubbio combattendo nelle dottrine epicuree una tra le cause maggioridell'affrettata rovina di Roma. M a v'è un luogo,noterole su tutti gli altri, incui l'Ora tore latino, volendo mostrare come l'affetto abbia efficacia viva espontanea per ricondurci nel vero,rappresenta quella contradizione tra ilpensiero e l'operare, tra le dottrine e la vita,non rara neppure ai dì nostriin uomini spon taneamente inclinati al bene per virtù di natura, e che hanguasta la mente da malvage filosofie. In quel luogo egli si volge a Torquato, einvoca la sua coscienza di cittadino, il suo desiderio di gloria, le tradizionide'suoi avi famosi e il suo magnanimo affetto alla patria in te stimonio delledottrine da lui professate; e gli chiede p e r chè mai non oserebbe sostenerlenei comizj, alla presenza del popolo, o in pieno senato. Crede egli con intimocoif vincimento unico fine della vita ilpiacere? E allora perchèmai v'ètanta contradizione tra quello che fa e dice come cittadino e quello chesostiene come filosofo? Teme egli forse l'odio del popolo? Ma badi, risponde CICERONE(si veda), che in questo caso l'errore dell'intelletto non venga raddiriz zatodal cuore; badi che il sentimento universale, onde ogni popolo della terra sileva come un sol uomo a con dannare Epicuro,non sia iltestimonio interiore einappel labile della natura, repugnante alla teorica del piacere!Questointimo disaccordo tra la ragione ed il cuore, tra le dottrine della scienza ela vita civile, rappresen tato in Torquato, oltre al mostrarci un altoprincipio della filosofia di Socrate e di Tullio, che vuole il cono scimentodel vero costituito da un'interiore armonia del l'affetto coll'evidenza, serve poiin questo caso a ritrarre mirabilmente i tempi dello scrittore, e a partecipareal dialogolavitaeilmovimento deldramma.I tempi di Cicerone in molte partisomigliavano ai nostri. Dismessa a poco a poco nelle mollezze la severità delcostume, s'era affievolito negli animi umani, per l'abito fatto a dottrinesensuali, quel profondo discernimento del retto che non patteggia mai collacoscienza,e sdegna chiamare con altri nomi da quello che sono il bene ed ilmale. Quindi, come sempre avviene, l'errore nelle opinioni d oventavapoicausanon lievedidecadimento neicostumipri vati e civili,e nonpertanto alla corruzione profonda degli intelletti e delle volontà contrastavapotentemente nei più, e in special modo nel volgo,l'efficacia ingenita dell'affetto del bene. Ora questo che ad altri poteva sembrare niente più che unargomento di fatto della differenza tra le opinioni volgari e le dottrine deifilosofi, avea per Cicerone il valore di una prova scientifica, come testimonianza resa dalla natura ai supremi principj morali, e questa testimonianza eila vedeva,da un lato nell'efficacia degli affetti osservati in ogni individuo,e dall'altro nel riscontrarsi la veracità di questi affetti coi pronunciatisolenni e infallibili del senso comune. Sennonchè, mentre nel secondo librode'Fini era i m presa di non grande difficoltà pel filosofo latino il confutare Epicuro la cui dottrina mancava d'ogni severo prin cipio discienza, la sua parte di giudice e di contradittore doventa non lieve quandonel terzo e nel quarto libro egli prende ad esame la morale del Portico difesadall'autorità e dalle parole di Catone Uticense.E invero,qualunquevolta amostrare la solidità e l'ampiezza dei principj etici e speculativi su cuiZenone fondava la teorica de costumi, non bastasse il suo esame diligentedell'animo umano e degli affetti spirituali osservati in ogni età della vita,varrebbe soltanto ilrichiamare ch'ei faceva la morale, nelle sue parti piùgenerali, ai sommi principj della scienza della natura. Il filosofo di Cittio aveafondato la sua dottrina sul riconoscimento pratico e speculativo del l'ordinenaturale, espresso in quella sentenza:vivi confor me alla natura. Πρώτος οΖήνων... τέλος είπε το ομολογ ouuevos rõ qurat Eno, così Diogene Laerzio; e inquella sentenza, chi ben la consideri, si riconosce l'efficacia dell'insegnamento socratico, continuato in Zenone, onde a v veniva, e lo notammopiù addietro, che, mentre la sua logica e la fisica erano infette da un esameparziale e meschinamente sofistico dell'universo e dell'uomo, la m o raleoffriva un assai più largo disegno di veri speculativi. Il principiofondamentale dell'Etica degli Stoici era fuor d'ogni dubbio il concetto puro eassoluto del bene in attinenza cogli affetti spirituali;tuttavia se fu meritoinsi gne di quella dottrina che essi pervenissero a tale concetto dopo un largoesame psicologico delle umane tendenze,il vizio era che partiti dallacomprensione totale dell'essere nostro e giunti all'idea di virtù,restringevano ogni cosa a quest'ultima,non abbracciando più tutto l'uomo nellospirito e nel senso, nell'intelletto e nel cuore, in sè stesso e nellecondizioni esteriori. Le cose, diceva Zenone, si conoscono dall'uomo o peresperienza,o per giudizio di causa,o per analogia, o per raciociniocomparativo, e in quest'ultimo cade la notizia del bene, alla quale l'animoascende universaleggiando da quelle cose che sono secondo natura. Laonde dalconcetto del bene come d'un che ideale, assoluto e simile soltanto asèstesso, venne poi il concetto della virtù, al quale il filosofo delPortico saliva per la nozione intermedia d'onesto. Che cos'era l'onesto?L'onesto per gli Stoici altro non era che la convenienza dell'atto umano collanatura, riconosciuta dalla ragione; e quindi essi dicevano, avvolgendosi in unparalogisma, che poichè quel riconoscimento pratico e razionale avveniva nellapienezza delle facoltà intellet tuali dopo l'infanzia, che è quella età in cuile prime cose conformi a natura (prima nature) (tá apota xato qusiv) siappetiscono inconsapevolmente,da queste prime inclina zioni della natura move ilprincipio dell'operare, ma non però quelle cose,che n'erano il termine, siannoveravano tra i beni. Questo principio era vero in parte, ma nell'esagerarlo sta il vizio fondamentale della morale del Portico; l'esagerazionepoi consisteva in considerare l'atto m o rale come avente a fine sè stesso,niente altro che sè stesso, nell'astrarre da ogni condizione esterna della vitaprivata o civile, e da quell'armonia che intercede tra la ragione e gliaffetti, onde il libero volere o è condotto o conduce; nel porre in petto alsapiente quella virtù fredda, impassibile, solitaria, divisa dell'universo e daDio, come immobile quercia radicata nei macigni delle Alpi. Se poi si considerapiù addentro nelle ragioni isto riche del sistema, il concetto eccessivo dellavirtù ci palesa un vivo contrasto della morale stoica coi tempi. Qual fosse ilsecolo di Zenone facemmo vedere più in nanzi. Ora se immaginiamo in quel secoloun uomo di gagliardo volere e di generosi propositi, che ponga mano allafilosofia coll’intendimento di fortificare il co stume,e di avviarlo ad un finepiù alto,subito si capi sce come a quell'uomo, profondamente ristucco dallaignavia dei tempi, la vita del saggio dovesse sembrare una lotta continua dellaragione innamorata del bene cogli affetti interiori, col rigoglio dei sensi,colle ree c o stumanze civili, e l'onesto una perfezione quasi supe rioreall'umana, e conseguibile solo da pochi sapienti. (De finibus, tutto il libroterzo; Kuehner e Thorbecke passim.) Esponendo e confutando iprincipj più generali della morale stoica,abbiamo esposto in gran parte intornoa questa materia le opinioni del filosofo nostro. Solo ci ri mane da cercare inqual modo egli svolgesse le proprie dottrine morali in contrapposto alledottrine del Portico, e come l'erroneo concetto del bene supremo da luicombattuto nel quarto libro, movesse la sua riflessione a pensare un più vero emen difettivo scioglimento del gran problema morale.Non v'ha forseluogonelleopere da noi esaminate,in cui questa facoltà potente dell'inge gnospeculativo di Cicerone si faccia meglio manifesta, e con essa il suo metododelle attinenze che concilia gli opposti sistemi nell'unità non divisibiledell'uomo. I principj su cui è fondata la confutazione, movendo dalle idee piùcomuni e più popolari intorno alla poca conve nienza delle dottrine del Porticocolle necessità e cogli usi della vita civile, procedono poco appresso acercare le cause più remote del paralo gisma nei fondamenti del sistemaavversario.I giudizi del filosofo latino, informati da un metodo rigorosod'esame, cadono sempre sul concatenamento scientifico delle dot trine, e sullaloro armonia coll'indole del soggetto; nè sembreranno,iocredo,eccessivamenteseveri,come parvero a Kuehner, qualorasipensiche Cicerone, traisistemimaggiormente seguiti a'suoi tempi, preferiva ad ogni altro lo stoico, e cheinoltre la storia moderna della filosofia riassumendo l'esame di lui sulledottrine m o rali del Portico, solennemente lo confermava. In prova di ciòEnrico Ritter, più volte citato, considerando l'idea che del saggio s'eranoformati gli Stoici, e su cui fondano la morale, vi scopre il principio d'ognilor paradosso, e di parecchie false opinioni sulla vita dell'uomo; poichè, seda un lato, egli nota,si nascondeva in quella idea un alto intendimento civile,ne veniva poi necessariamente alterato il concetto della vita e dei doveriaffermandosi quivi l'apatia del saggio, ovvero (come suona in greco quellaparola) il suo affrancamento assoluto da ogni pas sione e da ogni causa esternache turbasse la tranquillitàdel suo spirito. Ritter, Morale desStoïciens, Questa era un'ambiziosa ostentazione del sommo bene, così la chiamail nostro Oratore,ostentazione degna d'una filosofia da ottimati che facevaprivilegio della s a pienza, e l'appartava lungi dalla modesta sublimità delsenso comune. Laonde gli Stoici (prosegue Tullio), per non essere da quanto ilvolgo, mutavano i principj della natura,dicevano che l'uomo è anima e corpo,chevisono nel corpo alcune cose desiderate da noi come beni; m a poi,avendo fattonell'uomo eccellente l'animo sopra ogni altra sua facoltà, designarono per modola natura del bene sommo come se l'anima non sovrastasse soltanto,ma fosseunica parte della umana persona. E qui è notevole davvero come ricercando ilnostro filosofo le cause ultime dell'errore nel principio stoico del benesupremo,si va gradatamente avvicinando al con cetto positivo e scientificodella morale.Io dico che dalla confutazione degli Stoici esce un concettopositivo e scien tifico della morale, perchè quivi egli non segue le formeirresolute della Nuova Accademia, nè desume gli argo menti più validi dallecontradizioni relative e parziali del sistemaavverso,ma procede piùinnanzi, indagasottilmentel'intervallo che separa il conoscimento diretto dal cono scimento riflesso, epone la vera indole della scienza nel suo differire dalla natura,a quel modoche il compiuto differisce dall'incompiuto, l'attuale dal virtuale e il perfezionamento dal perfettibile. La scienza, dice Cicerone, move dai principjdinatura, e come tale ha nella stessa natura la possibilità d'ogni suo sviluppoulteriore; la scienza non crea l'uomo,ma ne è un perfezionamento, non genera lenotizie dirette,m a le chiarisce,le distingue, le corregge,le riduce aprincipj; non disegna ella stessa l'immagine dell'umana virtù, nè disponel'uomo a desi derarla, m a trae in atto quelle essenziali e ingenite disposizioni; talchè l'opera sua è un continuo avvicinarsi al concetto delbene,seguendo un archetipo eterno di perfezione, e somiglia all'opera dello scultoreche riceve da altri già disegnata e delineata la statua per ridurlapoi acompimento colla virtù del proprio scalpello. « Ut Phidias potest a primoinstituere signum idque perficere, potest ab alio inchoatum accipere etabsolvere,huic similis est sapientia: non enim ipsa genuit hominem,sed accepita natura inchoatum. Hanc ergo intuens debet institutum illud quasi signumabsolvere.Qualem igitur natura homi nem inchoavit? et quod est munus,quod opussapientiæ? quid est quod ab ea absolvi et perfici debeat? Si nihil in quoperficiendum est præter motum ingenii quemdam, id est,rationem,necesse est huicultimum esse ex virtute agere: rationis enim perfectio est virtus: si nihilnisi corpus, summa erunt illa, valetudo, vacuitas doloris,pulcritudo,cætera.Nunc de hominis summo bono quæ ritur. Quid ergo dubitamus intota ejus natura quærere quid sit effectum? Quum enim constet inter omnes,omneofficium munusque sapientiæ in hominis cultu esse occu patum, alii ne meexistimes contra Stoicos solum di cere, eas sententias adferunt, ut summumbonum in eo genere ponant, quod sitextra nostram potestatem,tam quam de inanimoaliquo loquantur, alii contra, quasi corpus nullum sit hominis, ita præteranimum nihil cu rant, quum præsertim ipse quoque animus non inane nescio quidsit -- neque enim id possum intelligere --, sed in quodam genere corporis, utne is quidem virtute una contentus sit,sed appetat vacuitatem doloris.Quam obrem utrique idem faciunt, ut si lævam partem negli gerent, dexteram tuerentur,aut ipsius animi, ut fecit Herillus, cognitionem amplexarentur, actionemrelinque rent. Eorum enim omnium, multa prætermittentium, dum eligantaliquid,quod sequantur,quasi curta sententia. Atveroillaperfectaatqueplenaeorum,quiquum de hominis summo bono quærerent,nullam in eo neque animi nequecorporis partem vacuam tutela reliquerunt.» Questa bella dimostrazione,che Kuehner annovera tra le dottrine interamente proprie di Tullio, e chetrascorre con tanta signoria di sè stessa dalle nature inferiori allesuperiori, ponendo la legge che governa il sapere a riscontro colla leggedell'universo, mostra quanto alto fosse pel filosofo romano il concetto dellaScienza Prima,ed è uno splendido testi monio della sua potenza speculativa edell'universalità dell'ingegno latino. Concepiva il Romano lascienzacome unripensamento della natura, e la natura, considerata nell'ordine che la informa,era per lui un'arcana ar monia d'attinenze; talchè la scienza ei la immaginavacome un ripensamento delle naturali relazioni, che in tercedono tra i varjgradi della vita nell'universo, tra le varie parti della natura fisica,intellettiva e morale nell'uomo, e poi tra la natura e la speculazione, e trala speculazione e la vita civile. Filosofo vero è per lui chi ripeteveracemente, tal quale gliela diè la coscienza, quell'armonia dinatura;filosofo falso o sofista chi con fondendo o separando riesce a negarla.Quindi era sofista l'epicureo, che meditando l'uomo solo nella parte più bassadi sua natura, e chiudendo gli occhj davanti alla luce non estinguibiledell'intelletto, poneva nel piacere il supremo dei beni; era sofista Erillo chedisconoscendo la libera attività del volere, confinava la virtù nell'in tuizioneinefficace e disamorata del vero scientifico; ma non errava meno lo stoico, chepervenuto al concetto di virtù movendo dalle naturali tendenze, a un tratto leabbandona per rifugiarsi in un ideale di sapienza che alla natura dell'uomocontraddiceva. Cf. De legibus. Considerata sotto questo rispetto,l'ideaaltamente c o m prensiva,che Tullio s'era formata della scienza morale, loravvicinava ai principj delle scuole socratiche.La ra gione parmi assai chiara;poichè,posto una volta,com'è di fatto, la scienza non essere altro che unfedele ripen samento dell'umano soggetto, e dall'ordine dei principj intrinseciad esso venire l'ordine esterno costitutivo del metodo dilei; ammesso inoltreinfilosofiailrinnovamento essenziale d'ogni riforma essere,come nelleistituzioni ci vili, un ritorno verso i naturali principj dell'animo; da ciòconsegue che la misura per determinare la bontà del metodo d'una scuola, e ilsuo avanzare o allontanarsi dall'istituto riformatore,sarà ilparagone tra lapienezza della forma scienziale e l'integrità della materia esaminata; talchè,dato un degeneramento delle scuole successive dal principale istitutore, chiprendesse a confutarle richia mandole ad un esame più pieno dell'umanacoscienza, s'incontrerebbe per via diretta negl'intendimenti del ri formatore.Tale è il caso da noi esaminato rispetto al filosofo latino. Il principio dellamorale delle scuole so cratiche è il conosci te stesso. Ora è noto quale fossela pienezza e la comprensione del significato, che il filosofo ateniese dava aquel precetto in ogni parte della filosofia, e come il sentimento dellaperfezione ideale, connaturato all'ingegno greco, e reso più vivo dalle armoniepitta goriche, traesse lui, uomo di smisurato intelletto, a im maginare lavirtù costituita da un armonico concorso delle facoltà umane fra loro e coitermini esterni, e a conce pire il cittadino nell'ideale dell'uomo perfetto.Tale indirizzo dell'ingegno greco nei principj costi tutivi della moraleseguitarono Platone e Aristotele; ma l'uno, giovane della fantasia edell'affetto,e nato in una civiltà, giovane ancora, e che serbava nell'eventodelle istituzioni civili tutte le speranze d'un avvenire glorioso, sebbeneaffermasse l'effettuamento del bene assoluto non potersi dare q u a g g i ù,perchè il bene assoluto è l'ente i n finito, in sè e per sè sussistente,epartecipato solo im perfettamente dalle cose finite, pure faceva consistere lavirtù in un continuo avvicinarsi dell'uomo a quell'esem plare immortale diperfezione, e riconosceva nei beni ter reni un'effigie lontana e appenaun'analogia della beatitudine eterna (Quo i w s i s Sew. De rep. e Thea et. ).Aristotele, ingegno più virile e più temperato e ritraente dai tempi, in cui, perdutoil fatto delle libere istituzioni, se ne ve niva creando con affetto maggiorela scienza, se rinvenne il perfetto della vita nell'intuizione del vero speculativo, si volgeva di preferenza alla pratica, e faceva del pensiero un sempliceavviamento all'azione, della politica la parte principalissima della suamorale. Il concetto del bene, rimasto assai indeterminato nelledottrine del figlio di Sofronisco, si bipartisce dunque nel l'Accademia enel Peripato; Platone lo congiungeva alla psicologia e alla dialettica;Aristotele lo ravvicinava alla politica; con che, si avverta bene, noi vogliamosolo far notare certa speciale prevalenza nella forma scientifica delle duescuole, non già determinare una essenziale diver sità nei fondamenti della morale.Chè la pienezza dell'osser vazione interiore, tanto raccomandata da Socrate,durava lungo tempo ancora nei successori d'Aristotele e di Pla tone, e fu trale cause principali ond'essi, concordi con Zenone nel sostanziale del sistema,ne combatterono il metodo e il concetto del bene supremo come un trali gnamentodalle dottrine dei loro istitutori. Da queste considerazioni s'inferisce piùcose.Primie ramente si comprende come il pensiero dell'oratore latino sullateorica del bene morale, considerato sotto il rispetto o semplicementespeculativo, sia universale, comprensivo e di un importante valore scientifico,sia un testimonio di più del suo risalire mediante un principio più alto e piùgenerale,non certamente partecipato dalle scuole negative e sofistiche, ai veri supremicostituenti la scienza. Da queste considerazioni esce anche nuova luce sull’intendimento a cui mira il libroDe finibus. Quest'opera è di una singolare importanza per la storia dellascienza morale, e, a considerarla bene, si vede che Tullio a fin di mostrare echiarire la perfetta dottrina sulla natura del bene su premo, si valse delmetodo più famigliare a Socrate e a Platone, metodo che potrebbe dirsi ababsurdis, assai usato nelle dimostrazioni dei problemi di Geometria; pose cioèpiù concetti particolari e negativi del bene perfetto, e su via dicontradizione in contradizione si levò elimi nando, e integrando insieme, alconcetto più universale e più comprensivo. Per talmodo egli,imitando il Socratedel Convito, del Fedro e della Repubblica,addestrava il giovane ingegno latinoa scoprire nel particolare e nel mutabile delle opinioni l'idea universale chesignoreggia la scienza. Conforme a tal metodo, se egli nel primo e nel secondolibro confutava Epicuro mostrando quantfosse difettivo il suoprincipio che ponera il bene ed il fine nel puro sentimento animale,e se nelterzo e nel quarto esponendo e correggendo le dottrine del Portico richiamava ifilosofi a meditarne la parte imperfetta, cioè il prevalere soverchio delprincipio spirituale e sog. gettivo nel concetto del bene;nel quinto librointro dusse a coronamento della morale ilsistema dell'Accademia e del Peripato.Questo libro è una sintesi di tutta quanta la scienza; vi si studia l'uomo daiprimi rudimenti della vita vegetativa e animale su su fino agli albori dellavita intellettiva e morale; vi si mostra come l'istinto primitivo dellaconservazione esca in sentimento, il sentimento germini in affetto,equell'affetto,incerto e inconsaputo da prima, a poco a poco coll'apprensionepiù viva di noi stessi e della differenza che ci distingue daglialtrianimali,simuta inconoscimento; vis'insegna come debba la filosofia tenerconto nelle sue meditazioni di questa piega üei sentimenti animali espirituali, perchè le sono scala all'evidenza del vero che più tardi la riflessione esaminatrice coglie nei penetrali della coscienza. Invero quando ioleggo il trattato dei Fini non mi posso capacitare come vi siano stati alcunicritici che han vo luto scoprire nel quinto e nel quarto libro, e nella conciliazione ivi proposta tra gli Stoici e l'Antica Accademia, non altro che unmisero tentativo dell'eclettismo latino; poichè (giova ripeterlo)mentreinvestigava ilfine scientifi camente,Cicerone conciliava le scuole,maintegrando col metodo dell'osservazione interiore; procedeva sì ravvici nandoisistemide'filosofi,mailprincipiodellaloroarmo nia desumeva dall'esemplare della natura, ch'è sistemaimmortale di Dio. Vedi riassunto e citato diligentemente ilDe finibus nelladissertazione già allegata di Thorbecke, e in quella di Kuehner, Vedi pure perciò che risguarda ilconcetto di tutto il trattato l'importante dissertazione diHinkel: De variis formis doctrine moralis Peripatetico rum usque ad Ciceronem, earumquecum cæterarum scho larum placitis comparatione. Marburgi Cattorum).Il concettoscientifico della morale di Cicerone, quale noi l'abbiamo meditato sinqui,comprendendo nella sua pienezza tutti i principj costitutivi di quelladottrina, e unificando in un termine superiore, che era l'integrità delsoggetto umano, le contradizioni parziali delle scuole, dà luogo a risolvereuna delle più importanti questioni mosse dagli storici sulla moraledell'oratore latino. I m perocchè ci spiega in qual modo, concorde coll'anticaAccademia e col Peripato nei principj supremi e nel l'idea del bene e dellavirtù, quanto poi alle parti a c cessorie,che avevan per fine determinare ilcontegno del saggio rispetto a sè stesso,e nelle relazioni civili,egli secondasse talvolta gli Stoici la cui severità, civilmente con siderata,gliparevaun argine saldocontrolastraboccata corruttela dei tempi. Procedendo con talcriterio, i libri attinenti a questa parte soggettiva della morale appajonoinformati da un solo ed unico disegno di scienza,e ven gono distribuiti perclassi in ordine al metodo e agli in tendimenti. Infatti dall'opera dei Fini,la quale tiene la parte suprema dell'Etica, ch'io chiamai soggettiva, ediscorre del bene e della vita con fine immediatamente scientifico, scendonoconforme a questo principio le Questioni Tusculane, e il libro dei Paradossi. Manifestanoun fine positivo o d'applicazione e un esercizio di metodo le disputeTusculane,dove in mezzo ai precetti stoici,esposti nella maggior partedell'opera, traluce l'intendimento di offrire, in tanta corruttela dellepubbliche istituzioni e dei costumi romani,un alto esemplare del saggio,capacedi volgere le menti a studj più generosi; e divisa la filosofia in piùquestioni (loca),si prende in ciascuna a ribattere le istanze proposte colmetodo della Nuova Accademia. Poi un semplice esercizio di metodo forenserivelano i Paradossi, nei quali Tullio poco dopo la morte di Catone Uticenseprese a lodare secondo i principj stoici le virtù dell'amico, e mostrò aglistudiosi dell'eloquenza come qualunque soggetto di filosofia, il più remoto dalleopi nioni volgari,si porgesse ad un utile esperimento dell'in gegno oratorio. «Ego vero (così egli dice nel Proemio) illa ipsa quæ vix in gymnasiis etin otio Stoici probant, ludens conieci in communes locos.» 3. Insino a questopunto, esponendo fedelmente l'in dirizzo delle indagini speculative di Ciceronenella con troversia intorno al bene supremo,noi paragonammo volta per volta lesue opinioni coi principali sistemi contemporanei. Da quindi innanziprocederemo con metodo di verso e più spedito, giunti a parlare di quella partedella sua filosofia, dove egli si avvenne a minori opposizioni,e dove la suariflessione era soccorsa più largamente dalle idee nazionali e dai principj delDiritto romano. mente la parte soggettiva della morale,che,come vedem ilfine dell'operare affetti e nel più intimo della coscienza mo sinqui,indagaumani, e col riscontro di Tullio non lieve di veri incer avvalorataindubitabili tezza alla riflessione più che altrove cadendo l'indagineaffettuosa dell'essere mai dalla scienza, potea far velo al giudizio;separabile o perchè la discordia senza metodo più ragione i problemi e lecontroversie. Ma con si governa sicuro, e con più evidenti da sottili argomenti,offriva ai tempi esaminatrice. Forse perchè in quella oggettiva della nellaquale egli,esaminate tendenze,el'istinto filosofale sulla umano,ilfomite dellesette vi avea moltiplicati principj morale di Cicerone la parte, ossia quellaparte le naturali felicità, e ciò che per rispetto del della l'adempimento benee alla suprema universale della legge e del dovere. E proprio fecondaspeculazione va dal soggetto all'oggetto dall'esame e conoscitive eterni, tantopiù, come chi senta del fine, si leva al concetto idealità anche in, che quantopiù il nostro questo è im fatto notevole,trascende minuto delle potenzeaffettive alla contemplazione per la via della scienza degli intelligibilianimoso procede della valle a una alleggerirsi vista interminata il respirouscendo dal basso teorica della della filosofia di pianure e di mari. La e deldovere è dunque il fondamento legge civile di M. Tullio; e certo a questachiarezza dei sommi parte più delle passioni,non E vera degli,perquanto nellapiega a noi costituisce tempi di pensiero il sensibile,e passaprincipjmorali da cui ella è desunta,e dove il pensiero del filosofo latino si fermaper rinvenire le armonie più remote della scienza morale colle dottrine dellostato e della vita politica, conviene attribuire quella pienezza dispeculazioni largamente intrecciate all'esame del mondo e dell'animo umano,ondeil libro delle Leggi riassumendo le teoriche civili,si rannoda da un lato coldialogo dei Fini e coll’Etica soggettiva,e dall'altro cogli Officj e col librodella Repubblica. Talchè, a voler direpienamente il pen siero del filosoforomano, tutta la scienza morale sì del l'individuo come dell'umana famiglia, ela filosofia civile nelle sue più remote congiunzioni colle altre dottrine,muovono, come due maestose riviere di fiumi perenni, da quel fonte immutabile,che è il concetto della eterna legge. Le dottrine della filosofia civile diCicerone furono da molti anni soggetto di lunghe e diligenti ricerche inGermania, in Inghilterra ed in Francia, tanto che su questa più che sopraqualunque altra parte delle sue opere forniscono le biblioteche copiosa materiadi lavori storici, critici e dottrinali agli studj dei commentatori e deifilosofi.La quale abbondanza di ricerche sulle dottrine positivedelfilosofolatinoprovennealcerto,cosìdaunatalquale novità e armonia didisegno scientifico che egli dava ai suoi studj sulla filosofia civile,applicandovi l'esempio di Roma e i larghi principj della Giurisprudenza e del di ritto latino;come da quell'opinione invalsa universalmente tra i dottich'egli avesse un ingegno più fecondo nel l'applicare che nel trovare, piùacconcio ad esporre i pre cetti della scienza che a fondarne i principj per viadi rigorose indagini speculative. Ma niente è più contrario a questa opinionequanto un severo esame del libro De legibus. Meditando con attenzione questodialogo,uno dei più eloquenti che mai uscissero dalla fantasia largamenteinventiva del nostro filosofo, ti accorgi tosto essersi in gannati a partitocoloro i quali sull'autorità di alcune poche parole di lui nel cap. VI: «quoniam in populari ratione omnis nostra versatur oratio,populariterinterduinloqui necesse erit », vollero indurre doversi annoverare questotrattato fra i libri mancanti di vera speculazione scientifica, e volti ad unfine semplicemente pratico popolare.Ora per risolvere una siffatta questione,non certo di poca importanza nella critica della morale di Cicerone, erisguardante quei principj che ne collegano le varie parti in u n disegnoordinato di scienza, io distinguo nel libro De legibus due rispetti parimenteimportanti in cui può essere considerato:un rispetto istorico, o giu ridico, eun rispetto semplicemente speculativo. E a par lare innanzi tutto del primo,non debbo lasciare indietro come dal 490, età della prima guerra cartaginese,al 628, anno della distruzione di Numanzia, mentre gran parte all'oriente eall'occidente d'Europa, e l'Africa stessa venivano in potere dei Romani, larepubblica (come dice il Forti) rapidamente si corrompesse.S'indeboliva a pocoa poco l'ordine delle famiglie, si mutava la moderazione in crudeltà ecapriccio, l'ossequio e l'ubbidienza in vile condiscendenza ai vizj con animorivolto a sciogliersi dai legami della famiglia, perdera forza la religione delgiu ramento; nel VI secolo frequenti i privilegj, caduta in discreditol'autorità sacerdotale, frequenti le prorogazioni degl'imperj; indi a grado agrado cessava Roma dal l'avere una costituzione fissa e un prudente consiglioche la dirigesse, e s'avviava all'anarchia popolare. Di queste condizionicivili,che rendevano sempre più facile il vivere sciolto da ogni legge morale,dovea risentirsi la disci plina del dritto. La quale nata da una vivadisposizione dell'ingegno latino a ricercare la suprema legge del vero nellamoralità delle azioni, e guidata dalla sublime idea del giure che G. B. Vico riconobbenel linguaggio dei primitivi italiani, si perfezionava tra il sesto secolo e ilsettimo a causa del bisogno vivamente sentito di ridurre le consuetudini aleggi scritte, per l'uso delle lettere greche, per lo studio dell'antichitànecessario alla notizia delle leggi,e per l'efficacia della morale stoica.Vafrat tanto la sparsa materia del diritto romano non si ordi nava in forma discienza; non già che molte massimegenerali delle XII tavole e dei pretorinon fossero d e sunte dall'intimo della filosofia, e che l'applicazione e losvolgimento delle dottrine non desse impulso efficace al l'ingegno speculativode'Giureconsulti.Vi s'opponeva un difetto,antico nella costituzioneromana,percuicadendo in dissuetudine le leggi, spesso occorreva di rinnovarle,l'autorità troppo larga dei legislatori, onde, al dire di Cicerone, sistudiavano piuttosto gli editti del Pretore e le opere dei Giureconsulti, cheil testo delle XII tavole, e poi il moltiplicare delle massime e dellequestioni per cui avveniva che la scienza, anzichè ordinarsi a sistema con universalitàdi disegno, si veniva soltanto applicando gradatamente ai bisogni civili. M averso la metà del settimo secolo,quello stesso in cui Cicerone scriveva laTopica,eaRoma epertuttoildominiodella repubblica s'era da un pezzo largamentepropagato lo studio della filosofia e delle lettere greche,l'ingegno romano giàesperto nell'esercizio della logica, e maturo all'abito della rifles sioneinteriore, cominciò a dare forma più rigorosa di scienza alle discipline delgiure. Uno di coloro che più vi si volse, e che, per testimonianza di CICERONE(si veda), vi recò un vero abito del raziocinio nutrito da studj profondi difilosofia, fu il giureconsulto Servio Sulpicio,di cui si parla con molte lodinel libro De claris oratoribus ; e dopo lui il nostro filosofo, al quale chilegga il libro delle Leggi non può negare il merito insigne di avere meditatouna riforma del giure, desumendone l'origine,come dice egli stesso, dall'intimodella filosofia, e tentato un codice del diritto pubblico per sopperire albisogno,allora viva mente sentito,di ridurre a principj universali e a dise gnoordinato le sparse discipline del Diritto romano. (Libro I, e sey.) Ma questostesso proporsi una riforma del giure e meditarne l'ordinamento scienziale, chinon vede ch'era già nella mente del nostro filosofo un naturale appa recchioall'indagine speculativa dei principj morali? L'oratore latino a cercare checosa è legge, mosse,come i giureconsulti odierni, dalla considerazione di duerispetti nei quali la legge può meditarsi, cioè in quanto ellaesiste nel fatto come regola coattiva delle azioni, ovvero in quanto ha unaragione d'esistere,o vogliam dire una origine razionale (Forti). Ei risguardòdi preferenza il secondo rispetto, e cercando nella sua definizione l'ottimoideale, « si rifece da un gius naturale anteriore alle leggi, variabili secondoil volere dei legislatori,norma razionale al paragone della quale si potessedistinguere la legge buona dalla cattiva, che in sostanza è una violazione delgiusto sostenuta dalle forze della società. Questo termine di confronto delleleggi civili lo ravvisava nella legge di natura,ossia nella somma ragionedell'economia che gli dèi, signori dell'universo, avean posta nel governo dellecoseumane.Da questo fonte derivava la giustizia assoluta ed eterna, chedefinisce il bene ed il male indipendente mente dagli stabilimenti sociali edalle opinioni degli uomini. Idea di assoluta giustizia,che,come Ciceroneavverte egregiamente, non può star separata dalla credenza reli giosa in unsupremo legislatore cui sia a cuore il bene e l'avanzamento dell'umanità. Icomandi e le proibizioni di questa legge suprema sono noti agli uomini, secondoCicerone, per natural lume di ragione, solchè essi vogliano esaminare se stessie consultare la coscienza. Laonde è da considerare sapientissimo il dettodell'antico savio, che pone a fondamento di sapienza il conoscer sè stesso.Conoscendo sè stesso, l'uomo vede di essere naturalmente socievole, e vapersuaso che la società è uno stato neces sario al genere umano.Vede eziandioche gli uomini tutti fanno una sola famiglia, che ha un padre e regolatorecomune,che tutti ama ugualmente e gliobbliga a vicen devoli uffizj. » FrancescoForti, nome caro alle lettere e alla giurisprudenza toscana,così riassumeva nelI libro delle sue Istituzioni civili le dottrine del dialogo sulle Leggi; ed iolo citai augurando che per suo esempio il trattato insigne del filosofo latinoporgesse materia di larghe e fruttifere meditazioni agli studiosi del Diritto.Tra le cause adunque che dettarono a Cicerone il dialogo delle Leggi, sono inprimo luogo da annoverarsil'incertezza del vero senso del giure per lamoltiplicità delle massime,deglieditti, delle leggi, degl'interpretanti, ondespesso si perdeva il significato filosofico e morale nella aridità delleformule, ed era opera di scienza vera e fruttuosa il ricondurvi le umane menti;poiuna ragione politica che voleva richiamate ai principj morali le libereistituzioni;ed infine un contrasto alle scuole greche, e specialmente allaNuova Accademia,la cui dottrina po teva riuscir fatale all'Etica e allaGiurisprudenza, fon data com'era,non già sull'osservazione interiore o sopra unvero criterio scientifico, m a sui deboli artifizj della dialettica e delsofisma. Ora si consideri bene come ilnotare diligentemente questo con trastodel filosofo latino colle scuole negative degli asso luti principj morali,cimena a poco a poco a scoprire la parte altamente speculativa delle sue indaginiintorno alle leggi,la quale dobbiam confessare avere sin qui assai pococonsiderata i critici e i commentatori. Eppure ogni età della storia (e lonotammo più innanzi) ci porge ampie e innegabili testimonianze di questotornare della riflessione all'esame della legge morale e della genesi dei sommiprincipj che ne derivano, e si manifestano all'intelletto fecondid'innumerevoli attinenze con qua lunque parte dello scibile umano,ogni voltache le dot trine dei sofisti pullulate dalla profonda corruzione civile edall'intepidire del senso morale, ponevano il bene ed il giustonell'attraimento degli istinti animali, e nel l'esca dell'interesse. In queitempi di grandi sventure private e pubbliche, massima delle quali è per certoil dilungarsi degli ordini civili dalla notizia dei sommi prin cipj, gl'intellettipiù alti,nutriti nella meditazione e negli studj dell'antichità, mossero lariforma morale da quella relazione chiarissima e primitiva che intercede tral'in telletto e l'assoluto, e si manifesta nell'energia dell'im perativomorale.Questo intendimento di opporsi allo scet ticismo coll'esame dellarealità oggettiva del supremo concetto di legge,è manifesto nelle teoriche delVico,è m a nifestissimo in quelle degli Scozzesi, e dettò le paginepiùeloquenti di quel famoso libro che s'intitola dalla Ragionepratica,sebbene l'affermare,come essofa,chelamia ra gione è un ched'imperativo, che la mia volontà vi si sente soggetta, e che quindi m'accorgoche quell'impero è universale e viene da Dio legislatore,creatore e provvidente, sia pronunciato assolutamente contrario al si stema della scuolacritica e alle dottrine del filosofo di Conisberga. M a poichè in questo luogofacemmo espressa menzione del libro della Ragione pratica,vogliamo invitareinostri lettori a seguirci in un paragone per certo singolare e inaspettatodelle dottrine di due differentissimi ingegni. Il filosofo di Conisberga,abbeverato alle dottrine del Cartesio, e seguace, benchè inconsapevole, delloscetticismo di Hume, Kant i primi baleni di quella filosofia, onde più tardisfolgorava la rivoluzione fran cese, ammise a fondamento del suo sistemal'assoluta impossibilità di trapassare dal soggetto all'oggetto, rappresentando il pensiero racchiuso in sè stesso e pensante le cose con proprieforme o categorie. La qual dottrina, oltre al contraddire, come fa, alla naturadel pensiero e all'evidenza immediata della percezione,e porre il filo sofonell'assoluta impossibilità di edificare la scienza nel tempo stesso ch'eglisipropone ilproblema,se lascienza è possibile, distrugge ogni certezza morale,e vieta alla mente di aggiungere mai colla riflessione scientifica l'ori ginevera della legislazione assoluta. Per Kant (osserva giustamente Mamiani)l'anima è onninamente legisla trice di sè medesima e crea l'assolutodovere,crea,dico, non meno di un assoluto; e quella forza invincibile diapprovare o di biasimare è pur fattura dell'anima, onde ella identicamente esimultaneamente è comando e obbe dienza, è autorità ed obbligazione, è dirittoe dovere, è attiva e passiva, è finita e infinita (perchè ogni assoluto vero èinfinito), e rimordesi talvolta amarissimamente delle azioni contrarieall'imperativo di cui ella stessa è autrice spontanea. Cotal dovere e cotalelegislazione assoluta che emerge tutta ed unicamente dall'umano subbietto, apparenel Kant (se è lecito dirlo)più contradit toria assai che negli Stoici antichie nei moderni panteisti germanici.Imperocchè appo entrambe le scuole la volontàe libertà umana si sustanzia in ultimo con la divina e assoluta. Quindi nelleloro dottrine morali ricomparisce la contradizione perpetua d'identificareazione e passione, finito e infinito e così proseguì;ma non vi si dee ravvisare cotesta forma particolare di ripugnanza tanto più deplorevole quanto lascienza morale à un carattere sacro e interessa il genere umano e la vitacivile più che altra disciplina quale che sia. » Confessioni. Tale è pertantola differenza notevole che corre tra le contradizioni morali del Kant e quelledel nostro filo sofo. Già vedemmo parlando delle dottrine sulla natura come daparecchj luoghi dei suoi trattati apparisca assai chiaro ch'egli, seguace delsemipanteismo platonico e stoico,faceva consustanziali l'intelletto umanoeildivino; la qual dottrina applicata nel dialogo delle Leggi avrebbe dovutocondurlo per legittima illazione a identificare la natura infinita del precettomorale colla ragione finita dell'uomo.Ora una volta ammessa questadottrina,come mai poteva dedurne il filosofo l'azione trascendente e as solutadell'imperativo morale sull'anima nostra? Come concluderne che la ragioneperfetta, in quanto risplende dell'assoluto concetto del bene, s'impone allamente e prende natura di legge? E d'altra parte è chiaro a chi siamediocremente versato nella storia della nostra scienza che l'oratore roman o,il quale rifiuta nel libro De finibus la parte soggettiva della morale delPortico,come il su perbo concetto del perfezionamento umano,l'indifferenza aibeni esteriori e l'eguaglianza delle imputazioni, qui nel dialogo delle Leggine accettò pienamente la parte oggettiva, vo'dire l'idea della legge eterna e iconcetti dell'obbligazione e della città universale. Tale repu gnanza del semipanteismoplatonico e stoico accoltoda Cicerone coll’autonomia dell'umano arbitrio, ecoll'effi] [Veramente non è ben chiaro se Cicerone si facesse mai taldomanda; ma, a dirla breve e come io la penso, il sentimento più naturale espontaneo ch'io ritrassi dalla prima lettera del libro De legibus, fu una fermaopinione che il filosofo latino movendo dalla indagine sul concetto dilegge,soccorso dalle tradizioni del diritto romano, d o vesse riuscire arappresentarsi quell'azione trascendente della legge morale sull'animo nostrosiccome derivata dall'intima natura di un assoluto,distinto dalla ragionedell'uomo e a lei superiore. Argomento valevole assai per confermarmi in talegiudizio,è l'altezza a cui poggia l'indagine speculativa di Tullio,cheallontanatosi dal l'esame particolare e sottile delle scuole antecedenti econtemporanee, e dalla parte soggettiva della stessa d o t trinastoica,riordinava la scienza tutta al lume dei sommi principj, più tardi uscitia fondamento della sapienza cristiana.cacia trascendente di quella virtù ondesi genera in noi l'obbligazione morale, involge un importante quesito di storiadella filosofia. Nel quale si domanda, se il filosofo latino propose giammainettamente innanzi all'esame della sua riflessione questa controversia da cuidipende il principio costitutivo dell'obbligazione e del bene m o rale; e sechiese a sè stesso come potessero mai conci liarsi l'identità di natura tral'intelletto divino e l'intel letto dell'uomo con quel sentimento di soggezioneassoluta che in noi s'accompagna all'impero della legge morale. Un'altra provadi non lieve importanza è altresì la dif ferenza notevole che corre tra i librifisici e morali del filosofo nostro.In quelli egli dubita il più delle volte,e,menoche nei principj fondamentali,segue irresoluto leforme della NuovaAccademia;neilibrimorali partuttoun altr'uomo, e le sue conclusioni rivelanosempre una maravigliosa armonia del sentimento colla riflessione speculativa. Al tresì non v'è dubbio alcuno che i concetti correlativi di Dio e dell'animaumana e del libero arbitrio,assai inde terminati nel De natura deorum,nelleTuscolane, nel Sogno di Scipione e negli Accademici primi,qui nellibrodelle Leggi profilano più nettamente le loro fattezze,e ne discendeordinata e architettata nelle sue verità uni versali tutta quanta la scienza.Ilconcetto del divino sopra ogni altro giunge in questo libro ad un'altezza sconosciuta alla maggior parte dei filosofi antichi.Egli è rap presentato al lumedelle tradizioni romane come inente eterna ed eccelsa che tuttoprovvede,che atutto impera,e veste idue caratteri dell'arbitrio e dellam o ralità, che, aldir del Gioberti, ne costituiscono le origi nalifattezze. L'indagine tulliana dellaleggesuprema pa lesa poi,per mio avviso,un vigore non ordinario d'ingegnospeculativo.Posta a capo di tutto ilragionamento lano zione di legge universalecome un riscontro delle leggi particolari e una misura intelligibile a cuiricorrendo si potesse apprezzare l'essenza delle cose giuste od ingiuste, talnozione presentava in sè due rispetti intimi ambedueeambeduenecessarj.Lapoteviconsiderarecome idealità suprema,comeinfinitagiustiziaonde ilgiusto sipartecipa, benchè imperfettamente, alle cosefinite, e come primo assoluto ed universale, che volgendo le menti alla comunedispensazione del bene porgesse quasi l'unità morale del l'umana famiglia.Considerata nel primo rispetto, la n o zione di legge si offriva alla mente delfilosofo latino come idealità suprema e assoluta,e come un intelligibile primoche rappresentando ilperfetto nell'ordine della ra gione le si imponeva comeregola dell'operare.Egli dunque concepiva quella nozione come un vivo riverberodell'as soluto, e poichè l'assoluto è divino, e la sua idea si palesapartecipata come luce dall'alto nella perfetta ragione dell'uomo, unico ditutti gli animali che abbia innata nell'animo la notizia di Dio, quell'idea gliparve una partecipazione segreta ed arcana dell'assoluto nell'umano intelletto.Udiamo le sue parole: « Est quidem vera lex recta ratio,naturæcongruens,diffusa in omnes,constans, sempiterna, quæ vocet ad officium jubendo,vetando a fraude deterreat, quæ tamen neque probos frustra jubet aut vetat necimprobos jubendo aut vetando movet.Huic legi nec abrogari fas est nequederogare ex hac aliquid una licet neque tota abrogaripotest,nec vero aut per senatum aut per populum solvihaclegepossumus,nequeestquæ rendus explanator aut interpres ejus alius,nec erit alia lex Romæ, aliaAthenis, alia nunc, alia posthac, sed et omnes gentes et omni tempore una lexet sempiterna et immutabilis continebit unusque erit communis quasi magisteret imperatoromnium deus:illelegishujusinventor, disceptator, lator, cui qui non parebit,ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas p ænas,etiam si cætera supplicia, quæ putantur, effugerit. De Repub. -- riportato daLattanzio Instit.div. – Stupenda definizione èquestadel principio regolatoredegli atti umani,e tale da mostrare una volta per sempre che qualcosa più diuna semplice continuazione delle scuole greche s'acchiudeva nei prin cipjdell'Etica romana. Vi s'acchiudeva la speranza e la promessa immortale delCristianesimo! Considerato al lume di questi principj, il dialogo delle Leggici si offre come una sintesi vasta di tutta la scienza. Una volta posto contanta chiarezza ilconcetto di legge nella cima dell'umana ragione,e l'umanaragione stretta da un legame arcano d'attinenza coll'assoluto, se ne chiarivaalla mente del nostro filosofo la nozione di Dio e quella dell'uomo edell'universo, e il fondamento primo dei doveri civili. La causa di tutto ciòera per fermo nel l'intima natura del metodo di lui, il quale movendo dallacoscienza morale e dal vivo sentimento dell'obbligazione, coglieva nel suostesso principio la più ampia e la più feconda di tutte le armonie scientifiche;siccome quella in cui soggetto e oggetto si trovano unificati in un ter minesuperiore e trascendente,onde poi si diparte,come da unico centro, l'ordineuniversale delle idee e quello dei fatti.La qual cosa non accade per certonella ragione informatrice del sistema di Kant, e degli altri critici erazionalisti moderni. In tali sistemi il pensiero (per valerci delle lorostesse parole) non esce mai da se stesso,non coglie la realità viva e concretache è pre sente all'intuito, nè anche, dico, in questa parte dellafilosofiade'costumi, dove la mente afferma ogni volta per ingenita necessità di natural'indipendenza del pre cetto morale assoluto dall'atto informatore del nostrospirito. Non ha dunque la filosofia soggettiva un punto stabile e fermo in cuigetti le prime fondamenta dell’edi fiziomorale,eillegameintimodeipensierichenecon nette le parti, non avendo corrispondenza nella realità obbiettiva deisommi principj,dee riuscire per necessità fenomenico, relativo e contingente.Eppure, come ben nota il Gioberti,vano è il voler riformare la dottrina delBuono senza risalire ai principj, che è quanto dire, senza considerarla comeuna scienza seconda,fondata sui canoni della scienza prima. (Del Buono) Questanobile impresa, degna di un condiscepolo dei Giureconsulti romani, fu tentatadall'Autore del dialogo delle Leggi. L'esame della sua dottrina,solo cheillettore se lo riduca per poco al pensiero, ci ha mostrato assai largamenteche il metodo Socratico dell'osservazione in teriore lo condusse nei librifisici e logici ad accettare il conoscimento come un dato legittimo dellascienza,e nella disputa contro gli Stoici intorno al fine quel metodo istessolo avvertiva doversi trovare la ragione constitutrice del bene per rispettoall'uomo nell'indagine piena dell'umano soggetto. Da questa cognizionedell'animo si levava il Romano per l'evidenza dei comandi morali alla notiziapiù perfetta di Dio,e lo concepiva come mente e ragione infinita in cui posal'idea della legge eterna, di questa legge obbiettiva,immutabile,necessaria,anteriore a tutte le leggi civili, più antica d'ogni città e d'ognigente, e coevaa quel Dio che governa laterraedilcielo.Da Dio è disceso l'uomo;egli uscito nel mondo ultimo degli ani mali, allorchè la natura fu disposta adaccoglierlo,benchè mortale nelle altre parti dell'esser suo,nell'animo è generato da Dio.Egli solo quindi tra tutti gli animali ha notizia del Creatore,solo è capace di virtù, e può valersi in suo servigio dei frutti della terra, einventò per a m maestramento della natura innumerevoli arti che imitate poidalla ragione gli procacciarono le cose necessarie allavita. L'uomodunque è primitivamente simile a Dio; similitudine che può vedersi dal fine ache la natura stessa lo destinava, e dai mezzi che gli diede a conseguire quelfine; conciossiachè prima ordinò la intera costituzione del mondo in suobeneficio, e all'uomo stesso diede conosci mento veloce, e del conoscimentoministri e satelliti i sensi,e gl'impresse nell'intelletto certe oscure nozionidi cose innumerevoli che furono in qualche modo fonda mento alla scienza: Diedeanche all'uomo forma dimembra acconce a significarne la naturaintellettuale;poichè,mentre gli altri animali fece inchini alla terra per l'usodel pasto, il solo uomo rivolse al cielo quasi alla contemplazione del l'anticasua patria, e ne atteggiò il volto per modo che vi si leggesse profondamentescolpita l'effigie dell'animo.Sarebbe lungo il seguire M. Tullio inquesta larga deduzione dei veri morali e psicologici ch'egli trasse dalconcetto di legge. Basti per noi l'osservare che son belle e vere dottrine, piùtardi ripetute dai Padri e dai Dottori e dalle recenti scuoleitaliane,l'autorità assoluta dell'im perativo morale,la sua attinenza con Dioprovvidente, l'idea dell'imputazione e dell'atto umano, e finalmente quellagrande città in cui l'ordine mondano e sopram mondano si congiungono insiemenella universale comu nione degli spiriti eterni. (De leg.) Esaminata la leggenel suo primo rispetto,vale a dire in quanto essa èobbiettiva,necessaria,immutabile, eterna, il filosofo latino passa aconsiderarla come un principio universale, che si dispiega al di fuori di sèstesso in un ordine di relazioni,ed è norma comune dell'operare agli umaniintelletti. E qui egli veniva cercando la comunità del concetto di legge nellasomiglianza di natura intel lettuale, onde avviene che a significare tuttaquanta la umana specie vale una sola definizione,e principio del consorziocivile è la comune e vicendevole partecipazione del giure. « Non est enim (eglidiceva) singulare nec solivagum genus humanum.» Quindi esce altresì nel primodella Repubblica la bella definizione della città, fonda mento alle suedottrine politiche: « est igitur respublica] [Il cardine della morale diCicerone posa dunque manifestamente in questa dottrina della legge, il cuimerito insigne si è di avere volto le sparse discipline del diritto romanocontemporaneo ad un ordinamento più razionale, e fondata la metafisica e lafilosofia civile sopra principj assoluti di scienza. Questo intendimento delnostro ora tore è tanto più manifesto, in quanto che egli,dopo spie gata perordine la dottrina della legge suprema, assume nel primo libro la questione piùtardi agitata nel De finibus, e contro le dottrine di coloro che il buono misuravano dall'utile, si distende a provare la virtù sola d e siderabile per sèstessa, e l'efficacia del buono venire dalla natura anzichè dalle mutabiliopinioni. La qual cosa, mentre è una prova di più per mostrare comel’oratore-filosofo dai punti capitalis simi della morale, scendesse con unitàdi concetto alle più remote applicazioni, prende in fallo quei critici chesupposero di fresco avere CICERONE (si veda) abbandonato improv visamente ladottrina dell'Antica Accademia sulla legge naturale per accettare il metodoperipatetico nel suo più recente trattato dei Beni. Ma innanzi tutto noidomandiamo a quei critici come mai,se Tullio si ribellò più tardi alla ragioneinformatrice delle dottrine platoniche, qui nel libro delle Leggi espone confronte sicura la stessa teorica trattata nei Fini? In secondo luogo, fra le dueopere v'è certo diversità nella ragione del metodo esterno (procedendosideduttivamente nel libro delle Leggi, e induttivamente nel libro dei Fini), mala diversità non involge alcuna contradizione; poichè nel trattato dei Beni,quando esaminava quella controversia da parte dell'umano res populi;populus autem non omnis hominum quoquo modo congregatus, sed cætus multitudinisjuris consensu et utilitatis communione sociatus,» dove egli af ferma ilnessoprimitivo tra il diritto naturale e ildiritto delle genti, e contro Platone cheattribuiva l'origine del consorzio umano alla debolezzadegl'individui,riconosce invece quell'origine nella comunità di una leggeassoluta e soprammondana. cætus 1 soggetto, affermò nella vita presente nonpervenire l'uomo al compiuto adempimento del fine se non svolgendo eperfezionando ogni parte integrale di sua natura,laddove qui nelle Leggi salitoad un concetto più universale, m e ditò oggettivamente l'idea del buono edell'obbligazione, riconoscendovi un'assoluta efficacia indipendente dall'attodello spirito umano.Così da questi due larghissimi aspetti in cui può esseremeditata la materia della scienza m o rale, e dove all'intelletto del filosofoappajono congiunti l'assoluto e il relativo, il contingente e il necessario,l'anima e Dio,deriva secondo la mente di Cicerone, il vero e più ampio concettodella dottrina sul buono. La diligente esposizione impresa da noi degli scrittidel filosofo latino ci ha condotti,come avranno osservato i lettori, atrattenerci alquanto intorno alla parte specu lativa delle sue dottrine morali,e segnatamente intorno ai due trattati De finibus e De legibus. La qual cosaabbiamo fatta coll'intendimento di porre innanzi agli occhi degli studiosi iprincipj fondamentali e il disegno scien tifico dell'Etica latina,esposta daCicerone,sembrandoci che questo esame fosse stato assai leggermente condottosin qui dai critici precedenti, i quali o tenerano Cicerone in luogo di uneclettico e di un moralista positivo e spe rimentale, o non facendo professionedi filosofi, conside ravano nei suoi trattati meglio la parte istorica e letteraria che l'intimo nesso e il metodo speculativo delle dottrine.Eppure convienconfessarlo) questa critica preoc cupata e parziale è sommamente contraria allagiusta estimazione dei libri speculativi di Tullio.Per essa avviene che iprincipj e la unità delle sue dottrine morali ci ri mane ignota per sempre; cisfuggono le più alte indu zioni che il grande oratore e i Giureconsultiadoperarono intorno ai pronunciati del senso comune,e riesce un fatto senzaragione alcuna quell'ampia utilità applicativa del l'Etica romana,da tuttiriconosciuta,se il filosofo morale non ne rintraccia i principj nellespeculazioni più remote intorno al vero ed al buono.Premesse questeosservazioni, veniamo ora alla parte positiva dell’Etica tulliana,nella quale ci terremo più brevi secondo è richiesto dalla naturaprincipalmente fi losofica di questo scritto. L'indagine che si contiene nelprimo libro delle Leggi, porge naturalmente il passaggio dai supremi principjspeculativi alle dottrine pratiche della morale, pel con cetto d'obbligazione edi vicendevole comunanza del giure, onde il libero arbitrio sperimentando in sèl'efficacia trascendente del precetto morale, e riconoscendovi un imperoincondizionato che si dilata nell'universalità del l'umana famiglia, si sentestretto all'osservanza degli officj religiosi, individuali e civili. Officiodunque (così lo domandavano le scuole socratiche) è illibero conformarsi dellavirtù all'impero della legge morale. E importa assai determinare il significatoscientifico della parola, perchè si capisca come la teorica dell'officio che hatanta parte nel sistema del Portico,mentre discende immediatamente da quelladel dovere (considerato nella sua genesi razio nale),ha poi certi suoipeculiari rapporti che la connet tono colla parte più positiva della scienzamorale. Due specie d'officio distinguevano gli Stoici.L'officio retto operfetto (29Tóptospa, zadrzov téheLov) che cade uni camente nel saggio,o incolui che abbia ottenuto l'ultimo grado del perfezionamento morale;e l'officiocomune,o medio (2997zov uésov),che era un ordinario conformarsi della virtùagli obblighi della vita privata e civile,o,come direbbesi oggi popolarmente,unfare da persona dab bene. Ora insorse controversia tra i critici, se Ciceronenel suo trattato, da tanti anni notissimo nelle scuole, de finissescientificamente l'officio. Il Manuzio e il Facciolati difesero Cicerone; ilLilie con altri più antichi, citati dal Kuehner, giudicò veramente omessaquella definizione; mentre il Binkes,il Kuehner e il Grysar avvisavano avereCicerone definito soltanto l'officio medio, di cui prese a trattareespressamente nel suo libro,in quelle parole del capitoloIII,1.I:«mediumofficiumidesse,quodcur factum sit ratio probabilis reddi possit. » (Vedi Lilie,Comment.de Stoic. doctrin. mor.ad Cic. libr.De off.,1, Kuehner. Fran. Binkes, Responsioad quæst. juridicam etc., Franeq., Prolegomena ad Cic .libr. De Off. scripsit, Grysar,Köln). Questa opinione dei commentatori tedeschi tanto più è conforme allanatura del libro D e officiis e al metodo espositivo che quivi si proposel'autore, in quanto che egli stesso ci dice nel capitolo III: due questionipotersi fare intorno all'officio; l'una che si riferisce al fine deibeni,l'altra che cade nei precetti ai quali in ogni parte si può conformarel'uso della vita; parole meritevoli di speciale considerazione, conciossiachèmentre spiegano quell'intimo nesso scientifico che annoda le dottrine p ositive colla teorica del bene morale, stabiliscono poi il vero oggetto delpresente trattato,il quale non è altro, come giustamente osserva un criticomoderno, che la determinazione dei nostri doveri particolari. Coloro d u n queche dal libro degli Officj prendevano argomento a ravvisare nel filosofo latinoun mediocre valore scientifico, perchè egli trattando dell'officio non sisolleva ai supremi principj della morale, non osservarono quale attinenza corratra i libri speculativi e pratici della sua morale, onde egli investigato primache cosa è il bene nell'umano soggetto (De finibus), si leva alla nozioneoggettiva di legge (De legibus), e scende per ultimo alle applicazioni piùremote dell'Etica nella vita privata e civile. (De of ficiis, De republica, Deamicitia, De senectute.) Migliore giudizio invece recarono quei critici, segnatamente francesi, i quali considerando di preferenza questo speciale rispettotutto positivo e civile, in cui possono meditarsi gli Officj, quindi desumevanoi pregj e i difetti del libro. Infatti il trattato degli Officj non è un'operasemplicemente speculativa,o un'opera di psicologia. Ivi si richiamano, èvero,le altre parti delle dottrine m o rali, vi si accenna la distinzionestoica tra l'officio per fetto e l'officio comune,e il pensiero dello scrittoresi leva talvolta a indagare la qualità morale degli atti nel l'intima naturadell'uomo,ma l'intendimento primo a La gentilezza degli Atticieducata nell'ordine m a t e riale della civiltà da fina eleganza di costumi, edallo spettacolo d'una natura ridente, li traeva ad una viva e, quasidirei,religiosa ammirazione del bello,onde il pen siero dalla convenienza earmonia delle parti reali che genera il perfetto nei corpi,passavaall'invisibile bellezza degli animi. Ma in Rom a dove ogni istituzione fu vôltasin da principio a rafforzare i legami che vincolavano il cittadino allo stato,e il rispetto delle relazioni civili superava a gran pezza gl'interessidomestici e il culto delle arti, regnava dominatrice siffatta la pubblica opinione che in lei risedeva il solo e inappellabile arbitrio di giudicare leazioni. E per fermo i Greci considerando nella virtù la corrispondenza idealeche corre tra l'ar monia interiore dell'animo nostro e le forme più elettedella natura sensibile,la nominarono bellezza, pei Romani la virtù sono quasiconvenienza delle azioni colle leggi sociali. Laonde Cicerone che qui negliOfficj la conside 148 cui mira quel libro, è un intendimento civile, eTullio che lo compose dopo la morte di Cesare, quando to nava per l'ultimavolta nel fôro in difesa delle libere istituzioni, volle lasciare a suo figlioin luogo di testa mento il codice più compiuto della morale politica. A questoproposito nel libro degli Officj merita spe ciale considerazione una dottrinache pel modo in cui fu trattata da Tullio palesa un rispetto istorico,e un'attinenza immediata colle istituzioni e coi costumi di Roma. Tale è la dottrina deldecoro (Tpétrov), esposta nel capitolo XXVII del libro primo. Cicerone,osservaacutamente il Ritter, traduceva nei Paradossi la sentenza degli Stoici:crcpovovaysoró 2.016; il solo buono è bello, collepa role: quod honestum sit,idsolum bonum esse;onorabile è solamente ciò che è buono. Ora questo diversoconcetto che i Greci e i Latini s'erano fatto della virtù, e che più volteritorna nel De officiis, come in quel libro in cui Cicerone conformò forsemaggiormente le sue dottrine morali al pensare e al sentire romano, si spiegaassai facilmente ricorrendo alla Storia. rava in un rispetto quasiesclusivamente civile, l'accom pagnava al decoro, o vogliam dire a quella luceesterna di onoratezza, onde la stessa virtù si porgeva all'ammi razione dellapubblica coscienza. Considerato per questo rispetto, il libro D e officiis,mentre si attiene alle altre opere speculative, presenta nelle sue parti piùsostanziale un vero ordinamento di scienza. Il filosofo latino segueliberamente Panezio, e perchè autore di un ottimo libro intorno agli Officj,adesso perduto, e perchè assai temperato nelle dottrine dello stoicismo,comeportava l'età.Da Panezio,eforseda Pos sidonio, continuatore di lui, trasse ingran parte le dot trine intorno all'onesto ed all'utile, che offrono soggettoai due primi libri, e v’aggiunse del proprio la materia del terzo, ovvero ilcombattimento dell’utile coll'onesto, omessa dallo scrittore greco. La partepiù bella e più filosofica di tutto il trat tato, e dove splende più pura lanobiltà dell'animo di Cicerone, è quella dov'egli toccando le relazioni dellapolitica colla morale, biasima altamente quei fatti, nei quali l'interessedell'utile pubblico avanzò le norme della giustizia e della onestà, e proponeal figlio i più sui blimi esempj dell'antica virtù ne'quali l'animo ritemprando possa uscire incontaminato dalle scelleratezze dei tempi. E i tempidovevano esser tristi davvero, se con sideriamo parecchj esempjd'ingiustiziacontemporanea che Tullio ricorda al suo Marco, e ch'egli sebbene commessi dauomini potentissimi nella repubblica e amici suoi, ge nerosamente condanna.Nèdee far maraviglia che fosse cosìa chi consideri come il disgiungersi della moraledalla scienza di stato è uno dei maggiori indizj della corru zione civile, eche tutto allora in R o m a precipitava a ro vina, religione, costumi, esercito,cittadinanza, popolo, senato, magistrati, privati; e in quel rovescio d'ognicosa e divina poneva i fondamenti sanguinosi la ti rannide degli imperatori.Nel terzo libro, discorse le attinenze della politica colla morale, passa ilfilosofo latino alle attinenze dellaumana morale colle altrescienze sociali, la Giurisprudenza e l'Economia. In queste pagine di Tullio, asempre più smentire l'opinione di quelli che non trovano nei giure consultiromani le tracce d'una profonda speculazione,si vede chiaramente come lagiurisprudenza latina, benchè costituisse da sè stessa un vero e proprio corpodi scienza con norme immutabili e fisse, con ordine scienziale di dottrine,desumeva da'principj della filosofia i suoi fon damenti; il che mostra CICERONE(si veda) citando parecchie que stioni esaminate dagli antichi giureconsulti, edefinite con formule certe che più tardi assunsero la forza di legge. La qualcosa apparisce vie più manifesta quando ne' seguenti capitoli Tullio, dopo definitealcune questioni di morale, appellandosene al testimonio della coscienza edella retta ragione,quasi a riprova di quei principj ne cerca il riscontronella più antica e venerata delle legislazioni romane, nella legge delle XIITavole. Questo ricorrere ai più vetusti testimonj, oltrechè era proprio almetodo di Cicerone, che cercava nell'antichità più presso all'origine divina,leverità naturali più schiet te,e le prime tradizioni,ha qui un'importanzad'oppor tunità, perchè egli di fronte alla corruzione della morale civilevoleva additare lo scadimento della repubblica. Lo che è chiaro in tutto illibro; chiarissimo poi dove avendo citato gli esempj di Fabbrizio e di Cammilloe dell'antico senato romano,soggiunge l'infamia di L. Silla che coll'autoritàdel senato raggravava i dazj antichi so pra alcuni popoli che se n'eranosciolti pagando, nè restituiva il danaro; e prorompe con mobile sdegno: p i r atarum enim melior fides quam senatus! Il De officiis accolto nelle scuoled'Europa sino dal primo risorgimento delle lettere antiche, e stampato per laprima volta a Magonza, levò di sè tanta fama da affaticare per ogni tempol'acume degli eru diti e dei commentatori. Un esame critico di questo trattato,che Paolo Janet chiama « il più belmonumento filosofico della letteraturalatina, » fu recentemente pro posto dall'Accademia delle scienze morali epolitichedi Francia,e ne usciva nel 1865 il libro del signor ArthurDesjardins col titolo: Les devoirs, essai sur la morale de Cicéron. Inquest'opera ricca d'ingegno, di filosofia e di larga dottrina in ogni partedella giuris prudenza e delle lettere antiche,l'autore con utile esem pio, chevorremmo rinnovato in Italia, prende a esami nare largamente il libro Deofficiis, ne mostra le varie attinenze coi principj supremi della moraletulliana, e lo confronta coi migliori filosofi antichi, e coi giurecon sultimoderni. È un lavoro di critica larga e profonda, in cui la gravità delsoggetto è abbellita dallo stile ele gantemente sereno. E accresce lode al criticofrancese la schietta imparzialità dei giudizj, onde egli intento solo aconoscere la verità, difese da ingiuste accuse la fama del grande oratore, neosservò opportunamente le omissioni o la brevità soverchia per quel cherisguarda i doveri verso il divino, la famiglia e noi stessi, e rappresentò ilDe officiis come un codice compiuto di Etica civile, in cui si ragiona deidoveri del cittadino verso lo Stato,e il concetto della umana famiglia e dellacarità universale perviene a tale altezza da annunciarci vicino il granderinnovamento dell'evangelo.Dai principj della filosofia civile e daiprecetti par ticolari intorno ai costumi si varca alla teorica dello Stato.Questa fu esposta da Cicerone nel De republica, giudicato universalmente daicritici come una delle opere le più ori ginali del nostro autore.Gran parte neandò sventu ratamente perduta,ma le reliquie del primo e del se condo librofanno assai splendida testimonianza che l'ora tore latino vi avea diffuselargamente le memorie della antichità greca, le grazie severe dell'eloquenza,eigrandiinsegnamenti della vita politica. Quando prese a trattare dello Stato,egli aveainnanzi a sè due scuole egualmente illustri, egualmente seguite dagliscrittori: la scuola di Platone e la scuola d'Aristotele. Ma ei dovette certoconsiderare che l'ingegno dell’Ateniese, poderoso d'invenzione e di vedutaspeculativa, non intese forse nei termini del vero le attinenze della filosofiacolla politica. Il merito insigne di aver sostituito alle dottrineideali l'autorità degli esempj, è pur quello della Repubblica di Cicerone. Inquest'opera, spartita in sei libri, e condotta con larga unità di disegno, il grandeoratore imitò Platone nella forma letteraria e nel tono dello stile, del restosi attenne al metodo aristotelico; e volendo fare opera non solo utile alle lettere,ma vantaggiosaallapatriae alle più lontane generazioni, incarnò i suoi precettinel grande esempio di Roma. L a dottrina sui reggimenti civili si r i duce alladisputa delle tre forme monarchica, aristocra tica e popolare, alle quali eglipreferiva la mista, invo cando le ragioni d'Aristotele e di Polibio e tuttaquanta la storia di Roma. Da questepremesse esce a compimento delle dot trine morali la disputa sull'immortalità. Equi Cicerone lasciando al tutto le orme dei Greci, seguì l'indole pro pria edella sua nazione, e fece di quel problema una vera e compiuta dottrina. Forsel'incertezza in cui aveano la sciata la controversia sui destini dell'anima ipanteisti [La quale, mentre ha bisogno per disegnare e applicare lecivili istituzioni di ricorrere talvolta ai principj uni versali dellanatura,non può trascurare per altro nel l'ordine dei fatti le imperfezionidell'essere umano, e quella lunga serie d'esperienze infelici per cui soltantonella storia dei popoli si perviene ad applicare le istitu zioni alle necessitàdei tempi. A questo metodo, chiamato da'Cesare Balbo un metodo razionale, siopponeva l'altro sperimentale d'Aristotele. Il filosofo di Stagira, dispostoper natura d'ingegno a un accordo più perfetto della spe culazione col sennocivile,e cresciuto alla scuola di Fi lippo e d'Alessandro, intravide con occhiopiù fermo le armonie delle dottrine scientifiche coll'esperienza, applicó allascienza dello Stato quell'analisi sicura e paziente che negli ordini delpensiero e della natura lo avea condotto a creare la logica e la fisica;raccolse da ogni parte gli esempj dei governi migliori, li ordinò, li paragon), li ridusse a principi, e ne trasse la sua Politica fonda mento della scienzacivile.Ma a tali prove di ragione edifatto altreseneag giungevano per lui desunte dall'affetto individuale ecivile. L'indole del suo ingegno, inclinato a quanto v'ha di più grande e dipiù sublime nelle opere della natura e di Dio, gli svegliava nell'animo un vivodesiderio dei sommi estinti, e massimamente di quelli la cui vita consacrataalla patria nelle scienze,nelle lettere, nelle arti, nei pubblici negozj, liraccomanda alla riconoscenza di Roma. Gran parte,e la più bella forse della suavita,s'era pas sata nella società di quei grandi; chè molti n'avea co nosciutida giovinetto, e seguiti nello studio delle leggi e nella pratica del fôro; dimolti avea udito favellare al padre e agli zii paterni, m a di tutti glirestava impressa nell'anima una memoria viva e costante, siccome di per sonedomestiche e care.La vita lungamente agitata nei pubblici affari in tempi digrandi rivolgimenti, non gli tolse quest'abito di ritornare sul passato, eperchè vi pendeva l'animo naturalmente mite, e disposto a racco gliersi in sèstesso, e perchè la sua parte di conservatore lo menava in politica adesiderare il ritorno della virtù e degli antichi costumi. Più tardi lesventure della patria lo strinsero a ritirarsi dalla vita pubblica, e allora lafantasia nutrita negli studj speculativi gli consolava spesso colle grandimemorie i dolori civili e le meditazioni della scienza. E quindi si spiegaperchè quelle meditazioni,in cambio di riuscire una fredda copia delle operegreche, gli si convertivano spesso in dialoghi vivi e passionati, e l'abito diconversare coi s o m m i estinti gliene porgesse gli interlocutori, e si spiegaaltresì come la dottrina del l'immortalità occupi tanta parte nel Sognodell’Affricanoe dualisti italici e greci, contribuì non poco a svogliarlod'immaginarie astrazioni, e volgerlo a una via più sicura. Fatto è che nelleTusculane,ma più nel De republica e negli opuscoli popolari della Vecchiezza edell'Amicizia, egli chiese di preferenza le prove dell'immortalità alla coscienzamorale, alle antiche tradizioni, ai riti delle tombe, al desiderio, connaturatonell'uomo, del divino e dell'assoluto.] e nel Catone Maggiore, dov'egliimitando il Socrate di Platone, paragonava sè stesso ai sommi che l'aveanpreceduto, e si consolava di speranze immortali. Un'altra occasione,opportuna a indirizzare le medita zioni del nostro filosofo sulla controversiadell'immorta lità, e a dettargli intorno al soggetto affettuosi e mestipensieri, fu per certo la morte della sua Tullia, avvenuta il mese di Febbraiodell'anno 709. Nelle solitudini della sua villa presso Astura, là dove avea inanimo d'inal zare un tempio alla figlia perduta, egli scrisse un libretto chepoco appresso indirizzò ad Attico, e che intitolava Consolazione. Su questo libro,adessoperduto,gli eruditi studiarono a lungo,e dai pochi frammenti che Ciceronestesso ci conservava,e da quel che ne dissero parecchj scrit tori antichi,inspecial modo Lattanzio nelle Istituzioni di vine,tentarono restituire per sommicapi il disegno gene rale e lo spartimento delle materie. Schneider neragionava in un saggio dove suppose Cicerone avere trattato a lungodell'immortalità degli spiriti nell'opera della Consolazione, come apparisce ingran parte dal primo libro delle Tuscolane. La quale supposizione, cheriteniamo a buon dritto per certa,ci fa grandemente deplorare la perdita diquesto monumento della letteratura latina,una forse delle opere più originalidi Cicerone,e da mostrare come il desiderio della figlia perduta gli volgesse apiù gravi e più solenni ispirazioni l'ingegno naturalmente fecondo. Puòsembrare opportuno ai lettori (se pure ne avemmo in questo esame dellafilosofia di M. Tullio) che noi dopo aver discorso delle scuole precedenti ocontem poranee all'oratore latino,del suo metodo e concetto della scienza efinalmente dei libri fisici, logici e morali, con sideriamo adesso sotto unrispetto più universale il valore speculativoel'indoledellesue dottrine.La qualcosa,ol tre all'essere richiesta dalle leggi severe delle disciplinescientifiche, in cui l'uso della sintesi non deve mai scom pagnarsi da quellodell'analisi,si porge opportuna a con futare l'accusa, che da alcuno potrebbeesserci mossa,di attribuire al più grande degli oratori latini una potenzad'ingegno speculativo che mai per avventura non ebbe. La critica intorno alleopere dottrinali di Cicerone, ne gletta dagli eruditi e dagli storici piùantichi, e infor mata a una severità eccessiva da quelli del secolo scorso edel presente, è tempo ormai che ritorni a più maturoesameeapiùimparzialigiudizj. Ma ciòammesso,non resta men fermo quell'altrosupremo pronunziato che Tacito invocava eloquentemente in un'età scelleratacomenorma dell'ottima condotta civile, e che comanda allo spirito umanodi seguire una via lontana del pari dalla venerazione cieca, e dal disprezzonon ragionevole del l'autorità. A questa via ci siamo attenuti nell'esame delleopere di Cicerone. E non pertanto al critico che prende in mano quei suoiscritti così varj, così fecondi, dove si mesce tanta parte della vita e dellememorie latine, soprag giungono di tratto in tratto infinite difficoltà; nonultima per certo quella, avvertita altra volta da noi, di accom pagnarlonell'indagine di tanti sistemi discordi, di racco glierne le sparse dottrine,equindi ricomporle nell'armonia dei principj e delle conseguenze. Laimparzialità delle opinioni, e il largo apprezzamento di quel tanto di vero edi buono, che si trova sempre in ogni sistema, mentre costituisce un pregiocapitale della filosofia di Cicerone, fa sì che ella non si porga semprefavorevolmente al giudizio della critica odierna,la quale troppo più spessovien cercando nelle materie speculative lo stupore delle invenzioni, anzichè lalegittima novità dell'esame e delle attinenze scientifiche. Ma per contrarionulla v'è d'in ventato, nulla di strano nella filosofia di Marco Tullio. Ella èla filosofia del senso comune e delle grandi tra dizioni, la quale, perdefinirla con uno dei nostri filosofi, « non presume in alcuna cosa di sapernepiù là della stessa natura:ma di questa,invece, si dichiara attenta disce pola,e ne accetta i pronunziati siccome oracoli;.... filosofia tanto riguardosa emodesta, quanto serena e sicura nei suoi giudicj,e della quale fu detto averlaSocrate pri mamente levata dal cielo,e condotta a conversare famigliarmente inmezzo agli uomini.” (Mamiani). Tale è l'indole vera della filosofia di MarcoTullio; e contuttociò crediamo avere abbastanza mostrato in que sto nostrolavoro, come alla semplicità de'principj e dei metodi si congiunga,segnatamentenella parte morale,il procedimento rigoroso e l'unità di scienza.Coloropoi che misurano il valore degli ingegni spe culativi dall'ardimento delleinnovazioni, e giudicano Marco Tullio una povera mente perchè diceegli stesso di professare dottrine non arroganti, e non molto disco ste dalleopinioni popolari, non hanno considerato a b bastanza in quanti modi si possaesercitare la spontaneità del pensiero nelle materie scientifiche. V'hannoinfatti di quelle filosofie che esaminando e sindacando combattono gli erroride'tempi loro;ve ne hanno altre che esponendo un nuovo ordine di pensieri,ricostituiscono sopra diversi fondamenti l'edifizio scientifico;e nell'un casoe nell'al tro l'intelletto del filosofo è attivo nelle materie esami nate odesposte, e in quella efficacia speculativa v'ha pure sempre del nuovo. Lacritica e l'esposizione delle dottrine speculative, sebbene quanto alla formaestrin seca de pensieri sia opera d'arte, quanto alla materia è un esercizio rigorosodi ragionamento e di filosofia; im perocchè al critico, se non vuol fermarsinella superficie, m a penetrare nel fondo e nell'anima delle cose,convengarifare,a dir così,il concetto dell'autore e trasformarsi in lui stesso,convengasvelare illegame intimo che annoda le idee principali, concepirne unamoltitudine di acces sorie, da cui soltanto rampollano quelle, vedere itrapassi e le attinenze più remote tra concetto e concetto,e scom posta latotalità del sistema, ricomporla poi novamente colla viva efficacia del suopensiero. Apparisce da queste considerazioni che la novità e il valorespeculativo delle dottrine di Tullio si potrebbe soltanto dedurre dalla criticaassennata, e spesso profonda, ch'e'fece delle dottrine a n tecedenti econtemporanee, raccogliendo con rara lar ghezza di principj e d'esame quanto dimeglio gli por gevano le scuole greche, per suggellarlo dell'impronta latina,esvogliare iconnazionali della imitazionede'fo restieri. Questa parte espositivae confutativa delle greche dottrine, che tanto prevale nei libri tulliani, noila m o strammo contrapponendo ai pensieri proprj del sommo oratore l'analiside'sistemi da lui combattuti ed esposti; e tanto più perchè sappiamo essersiaffermato piùvolte da critici insigni che mancò a Cicerone una notizia profonda della filosofia greca, mentre è cosa omai notissimaCicerone adunquepuò innanzi tutto considerarsi come un istorico insigne della filosofia, degnod'essere raggua gliato con Aristotele e con Platone per l'ampio studio delledottrine antecedenti e contemporanee. Chè se dai critici più recenti è tenuto aragione come fonte non principale di storia, perchè spesso allega testi divisi,e perchè l'indole della sua riflessione scientifica lo menava non di rado,comePlatone,a suggellare del proprio pen siero le dottrine d'altri sistemi, ognietà debbe essergli riconoscente d'aver campato tanta e sì nobile parte dellegreche meditazioni dalla ingiuria de'tempi e dalla barbarie degli uomini. Mad'altro canto, dopo una lettura ben considerata degli scritti tulliani, puòegli negarsi che vi si rinvenga una parte dommatica, e un esercizio suo propriodella riflessione speculativa? A una simile domanda ci sembra averebastantemente soddisfatto nella parte antecedente di questo discorsocoll'esporre ilmetodo di Cicerone nelle principali teoriche della scienza; equi facemmo manife sto come un tal metodo di fina osservazione consistesse perlui nel ridurre ai semplici elementi delle verità prin cipali i sistemi, e,sceverati gli errori, comporre un'altra volta quelle verità nell'ordine delsapere. Difficile i m presa,che in tempi funesti alla scienza ricercava un ingegno universale, e un potente esercizio della riflessione. La quale,adoperatada Tullio al lume dell'evidenza in teriore, lo condusse a salvare dal naufragiodello scetti cismo le più nobili parti delle dottrine speculative.In Fisicamantenne la distinzione, quantunque non piena, tra il finito e l'infinito, ilcontingente e il necessario, la natura e il divino, l'esistenza del divino,dell'universo e dell'uomo, la natura delle cose corporee inferiori allespirituali e all'eterne, l'ordine universale, la eccellenza della] filosofia [nellestorie che la critica degli antichi scrittori, segnatamente per opera degliAlessandrini, fioriva ai tempi di lui, eruditissimo nella lingua de' Greci, dacui tradusse più libri di letteratura e di scienza, e che indirizzava i suoiscritti ai più culti ingegni di Roma.] ragione, il libero arbitrio el'immortalità. In Logica tenne salda la capacità del conoscimento a cogliere ilvero, il concetto di potenza, i sommi principj della ragione, la evidenzainteriore, la distinzione tra senso e intelletto e il metodo inventivo delleconoscenze. Nella Morale al lume dei sentimenti interiori e del senso comunericom pose il sistema perfetto di quellascienza,esalendocon metodo induttivo dalle tendenze e dai fini della natura all'oggettouniversale di legge e di dovere, ne seppe d e durre tutto l'ordine dei verirelativi alla famiglia, all'in dividuo e allo stato.Veramente se ad unuomo,apparso in quella età quando tutta la scienza,divenuta un pro blema, silacerava fra i delirj di una moltitudine di so fisti, nasca il pensiero diricomporla a sistema, e riassu mendo l'impresa di Socrate,raccolga le veritàprincipali in una sintesi vasta; e se vissuto in mezzo ai pregiudizj di unpatriziato superbo, e in tempi d'ateismo e di co stumi nefandi, egli invochi asoccorso della riflessione speculativa l'esame delle antiche tradizioni e delleverità fontali, contenute nella coscienza del genere umano e nei più nobili affetti,a quest'uomo, parmi, non si possa negare il nome di FILOSOFO GRANDE. – Grice:To hold those who are great and dead as if they were great and living. --L'indaginedei dommi primitivi e dei sentimenti nella natura e nel linguaggio dei popoli vuole–voleva -- in CICERONE (si veda) un ingegno forte e addestrato a meditare, e unuso continuo dell'osservazione interiore. Del che sono splendido testimonio l’orazioni,l’epistole, il primo libro delle Tusculane, il secondo e il quinto dei Fini eil proemio delle Leggi; che esposti senza preoccupazione rettificherebberod'assai il giudizio sul valore speculativo dei suoi saggi, e mostrerebberocom'egli esa minasse con vero criterio di scienza l'umana natura nelle varieetà, nelle diseguaglianze de'sessi, degl'ingegni e de gli ordini civili, e sinodall'alto della tribuna, o seduto agli spettacoli del circo cogliesse le veritàeterne della coscienza nelle manifestazioni spontanee del sentimento popolare.Parecchj critici di CICERONE (si veda), e segnatamente quelli che gli neganoogni facoltà d'ingegno speculativo, non hanno inoltre considerato qual uso eifacesse della tradizione scientifica,e come, movendo dalla coscienza, contrapponesse all'esame imperfetto e negativo de sistemi un esame comprensivo di tuttoil sapere. Dissi più volte ch'egli moveva dalla coscienza; e questo fattodell'osservazione interiore, manifestissimo nelnostro filosofo,ogni volta cheegli prende a trattare importanti materie morali, non può mai andare disgiuntonell'esame compiuto dei suoi scritti dallo studio ch'e'fece de'sistemiantecedenti e contem poranei, perchè ci porge la più intima ragione del suometodo esterno, chiamato da molti impropriamente un eclettismo;e ci spiega comenella viva armonia dell'animo umano egli cercasse quell'unità informatricedelle sue dottrine,che il metodo sincretico d'Antioco e d'altri eru ditiavrebbe indarno aspettato dall'accozzamento inge gnoso di cento scuole. CertoCicerone non ebbe quella potenza inventrice d'ingegno speculativo, e quellarara felicità degli ardimenti metafisici, che hanno Socrate, Platone, Aristoteletra gli antichi,e tra imoderni Cartesio, Kant e VICO (vedasi). Il suo ingegnonon altrettanto acuto, rapido e penetrativo, quanto uni versale,comprensivo esolenne,più che in escogitare nuove dottrine, e in architettare sistemimirabili per ipotesi a u daci e tirati a filo rigoroso di logica, piacevasi nelsot toporre ad esame le antiche dottrine,sceverarne gli errori, ribatterne leistanze,scoprire nuove armonie della ra gionescientificacolsensocomune, eiltuttopoi ricom porre in un vasto disegno di scienza concorde colle arti, coicostumi e colla vita civile. Nel che mirabilmente lo secondavano itempi. Allora,comeera avvenuto nel secolo di Socrate,e come per molte parti accade ora nelnostro, si manifestava nella condizione delle discipline morali un'imperiosanecessità di riforma. L'eccesso delle specu lazioni avea spossati gl'ingegni, ela scienza e l'arte tor navano al vero della natura,unica fonte delle operegrandi. Era dunque suprema necessità deporre la vana superbia delle innovazioniassolute, farsi discepoli della natura, tornare agli adagj della sapienzapopolare, e chiedere alla tradizione de savj, non già il supremocriterio del vero,m a il sindacato delle opinioni attinto nella coscienza piùeletta del genere umano. Tale è la parte modesta, e a un tempo solenne, che CICERONE(si veda) appresenta nella storia della filosofia. Se ne'suoi scritti prevaleil criterio della tradizione scien tifica, perchè poco o nulla rimaneva daaggiungere alle speculazioni dei filosofi greci; e se, parlando ai concittadini innamorati della letteratura e delle dottrine stra niere, si mostrastudioso al sommo dell'altrui autorità, confessa però nel 1° degli Offici,ch'e'non seguiva gli a n tichi come interprete, m a per proprio arbitrio e conli bero esame attingeva ai loro fonti. È scritto nel primo dei Fini che eglisosteneva quelle dottrine soltanto che erano approvate da lui,e vi aggiungevaun ordine pro prio di scrivere. Come poi quest'ordine di scrivere (significante non altro che un ordine di pensieri) si esten desse per lui alcollegamento necessario di tutta la scienza, te lo dice in quelle parole dei Tuscolani(II, 1): « Difficile est in philosophia pauca esse einota,cui non sint autpleraque aut omnia.» Noi dunque invitiamo gli studiosi delle lettere edella filosofia antica a prendere in più seria considerazione quella sentenza,divenuta pur troppo comune, che fa del filosofo latino non più che un seguaced'Antioco, e un modesto raccoglitore delle dottrine greche. Di quanto intervallo egli si lasciasse discosti i migliori filosofi greci contemporanei puòapparire assai manifesto a chi ricordi quanto è detto nella prima parte diquesto discorso. Fra i latini poi non sapremmo chi contrapporgli,se non forseil dottissimo VARRONE (si vefda) suo familiare, rammen tato nel primo degliAccademici,e della cui filosofia per altro o poco o nulla sappiamo. Veramente,ammesso che l'oratore romano fosse un eclettico, nella schietta e ger manasignificazionedellaparola,eglinon solo(siconsideri bene ) avrebbe dovutoaccettare le principali dottrine della scienza tal quali gliele porgeva laGrecia, senza nulla mutare o innovare,ma l'autorità della tradizione scien11 tifica sarebbe stata per lui unico e assoluto criterio pervenire dall'opinione al sapere.Ma per contrario, esami nando nella loropienezza le dottrine di Tullio, si vede ch'egli, anzichè inchinarsi a servileimitazione, intese l'uso dell'autorità come un legittimo ossequio della ragione al vero riconosciuto per altrui testimonianza, e propose a sè stesso ilgran problema (chiarito poi dai moderni) del passaggio dalla certezza naturaleo volgare alla certezza scientifica. Pensatore e scrittore di cose fi losofichein una età in cui la scienza si divideva tra un dommatismo eccessivo e unoscetticismo quasi assoluto, stimò che avrebbe ben meritato dell'umana ragione edella patria,seguendo una filosofia modesta in mezzo agli estremi del tuttocredere e del tutto negare; e scelse a suo metodo la verosimiglianza dellaNuova Accademia senza parteciparne lo scetticismo. Condotto da questo metodo inmezzo alla confusione dei sistemi e alle rovine dell'edifizio scientifico, nesottopose ad esame le princi pali dottrine, e nelle parti incerte e dubbioseammise più gradi di verosimiglianza; le verità d'evidenza interiore affermòrisoluto. Nella fisica sperimentale non ebbe che verosimiglianze; in teologianaturale, in cosmologia,in psicologia ed in logica ondeggiò tra il verosimile eil certo; nella morale soggettiva e oggettiva, nelle teoriche del Diritto edello stato romano si volse alla luce innegabile della coscienza e affermò concertezza assoluta. Talchè in cia scuna parte delle sue dottrine, e nellasuccessione delle tre parti fra loro si nota quest'ordine di gradi che vannodal verosimile al certo. Tale procedimento, che si attiene all'intimo del suopensiero speculativo,l'osservi anche talvolta nella forma estrinseca enell'ordine logi cale delle dottrine.Imperciocchè,mentre isuoi scrittisono perla maggior parte inquisitivi e disputativi,e la disputa ferve specialmentenelle teoriche dell'essere e del cono scere e nei principj della teoricadell'operare, quanto più procediamo nell'esame di questa, e dai giudizj deisistemi particolari e dalle pure opinioni ci leviamo al concetto del divino,che pose nell'umana ragione,a testimonianza disèstesso,laleggemorale,lacontroversia gradopergrado diminuisce,e questaparte,cominciata col De finibus,dia logo contenzioso, segue col De legibus ecol De officiis, opere espositive, terminando colle dottrine della Repub blica,e co'dialoghi popolari dell'Amicizia e della vecchiezza. Esaminando nellasuccessione dei libri fisici, dialettici e morali questo procedimento delpensiero di Tullio, le sue dottrine ci rappresentano quasi un tentativo diricom porre la filosofia nell'ordine perfetto delle conoscenze. Fu provatoassai largamente nel Capitolo primo della seconda parte, e in più luoghi delledottrine morali, come il nostro filosofo concepisse chiara la relazione cheinter cede tra la pienezza del soggetto scientifico, su cui si volge ilpensiero, e la unità oggettiva de'principj che danno legamento e connessionerigorosa alla scienzaprima. Certo,checchè ne dicano il Brucker e il Bernhardy(il secondo de'quali afferma che gli ultimi fondamenti del sapere rimaserodubbiosi per Cicerone),apparisce evidente dai libri morali che il nostrooratore seguendo la ragione informatrice del sistema platonico e dell'Etica diZenone, intese la sovranità dell'idea del Buono nell'ordine delle cognizioni, ecercò in quel principio la più vasta di tutte le sintesi, che gli porgesseunificata e spiegata nelle più remote sue applicazioni tutta la scienza. Laqual cosa crediamo avere posta sufficientemente in chiaro, esami nando ildialogo delle Leggi. Ma il por mente a questa unità informatrice delledottrine tulliane, ci spiana la via per vedere come il suo metodo conciliativodelle scuole particolari si risolvesse inun criterio intrinseco di ragione. Quistaildivario essenziale tra la filosofia di Cicerone e la filosofia degli eclettici.L'eclettico infatti raccogliendo le sue dottrine da sistemi contradittorj einfetti sostanzialmente d'errore, come non può sperare di levarsi mai collariflessione a principj assoluti di scienza, così è costretto a scambiare lavera filosofia,che è semplice ed una,con un viluppo di multiformi dottrinesenz'armonia e senz'accordo. Laverità,cheèingenita,assoluta,immortale,nonpuòuscire in eterno dall'accozzo fortuito del falso; e la scelta a b bandonata asè stessa e senza un criterio intrinseco ed uno, mancherà sempre di principjsaldi, universali, apodittici. La qual cosa non conobbe abbastanza quella scuolafran cese,fiorita nella prima metà di questo secolo, e a cui giu stamente siattribuisce la lode di avere spento il sensismo, e restaurati gli studjistorici della filosofia nella nostra Europa, quando sentenziava che i sistemipiù avversi si compiono tra loro, e che lo spirito umano procede d'er rore inerrore per cammino non interrotto alle armonie della Scienza prima. Ma Ciceroneintese ben altrimenti il principio costi tutivo delle sue dottrine. Per lui latradizione scientifica trovava un riscontro nell'esame immediato dei fatti interni, e quindi egli desunse il criterio con cui variamente conciliava isistemi. Ora a questo criterio che è la parte propria ed originale di suadottrina, e che rappresenta un vero esercizio dell'indagine filosofale nel sindacatodelle scuole particolari,fa d'uopo aver l'occhio per ve dere come e quanto egliattingesse ai fonti delle opere greche. Sennonchè in tal questione, comeosserva Kuehner, che ne disputava a lungo, e con rara diligenza, si affaccianonaturalmente non lievi difficoltà. In primo luogo, perchè M. Tullio, fornito divaria e multiforme erudizione, volse in proprio uso tutte le migliori dottrinedell'antichità italica e greca; secondariamente, perchè parlando di un datosoggetto, non se ne stava contento all'autorità di un solo autore, m ainterrogava la m a g gior parte di quelli che ne avevano trattato, moltissimitra’ quali andarono per noi sventuratamente perduti; e infine perchè il nostrofilosofo o tace non di rado, o accenna di passaggio i fonti a cui attinse, osoltanto rammenta gli autori quando gli accade di confutarli. Passando poi adeterminare il metodo con cui Cicerone attinse ai greci filosofi, osservagiustamente il critico te desco che questo metodo si esercitava in tre maniere.Traduceva egli dal greco, trasportando liberamente inlatino, tanto (comeegli stesso ci avverte nell'operetta “De optimo genere oratorum”) da serbare ilcolorito e la forza nativa del testo. Nelle altre opere filosofiche seguiprincipalmente un solo autore, adoperandovi sopra con libera efficacia diriflessione ilsuo giudizio,e componendo le materie con proprio ordine dipensieri;ricorse ad altri scrittori ove quello che seguiva fosse riuscitomancante, e v'aggiunse del proprio.Era altresì suo costume inter rogare varj libriche avean preso a trattare un m e d e simo soggetto, e ove fosse statopossibile il conciliarli, trar fuori dalle loro dottrine un tutto perfettamenteconnesso ed armonizzato. Quindi,prosegue Kuehner,è necessario al critico di CICERONE(si veda) avvertire con diligenza gli scrittori da lui citati e accennati,raffrontare spesso i suoi libri coi grandi monumenti dell'antica filosofia, checi pervennero intatti, osservare quello ch'egli trasse dai suoi maestri,e nonpiccola luce daranno le congetture assennate e prudenti. Esposte questenorme più generali di critica, noi non seguiremo più oltre l'erudito tedesconell'indagine minuta intorno alle fonti delle dottrine tulliane. Tale indagineinfatti, oltrechè si allontanerebbe di troppo dal l'indole speculativa e daiconfini di questo scritto,e riu scirebbe inutile al tutto per noi che nonneghiamo avere il filosofo latino attinto le sue dottrine migliori dall'antichità greca, è piena altresì d'incertezza e di congetture là dove i fontioriginali andarono perduti, e dove riesce difficile lo sceverare quantoappartiene all'ingegno del nostro filosofo, e quanto debba invece attribuirsiall'au torità stessa dei Greci. Del resto, concludendo coll'au tore delladissertazione, M. Tullio ne'libri fisici, e in special modo nella disputasull'immortalità,seguì princi palmente Platone; nei libri logici e nellaquestione sul criterio della verosimiglianza e sulla percezione sensitiva,attinse dal Portico e dalla Nuova Accademia; nei libri morali poi, discepolodegli Stoici e dell'Antica Accade mia e del Peripato per ciò che risguarda ledottrine speculative del bene e della legge, nelle materie politiche ecivili seguì a preferenza Aristotele,Teofrasto e Polibio. L a qual cosa peraltro vuole essere intesa discre tamente; poichè, a considerare bene il metodocon cui egli compose i varj sistemi, si vede che, sebbene in più luoghi attinseseparatamente dagli Stoici e da Platone,tut tavia la natura dell'ingegno latinolo menava a tempe rare l'austerità degli Stoici colle massime dell'Ateniese; ilche fece in più luoghi, e segnatamente nel secondo libro della Natura degliDei, e nel primo della Divina zione. Come poi usando le opere dei greciscrittori, è attingendo ai loro fonti la materia di sue dottrine, eiconservasse non pertanto la libertà dell'ingegno, con queste parole lo attestaKuehner. Negari quidem non potest Ciceronem disputationes suas philosophicas eGraecorum fontibus hausisse; sed græca non interpretis modo ad verbum inlinguam latinam convertit,sed suum ipse iis adjunxit judicium, suum scribendiordinem,viam rationemque atque orationis lumen.Reputemus nobiscum, quantumingenii judiciique dexteritatis Cicero probaverit in hauriendis sapientiæpræceptis e græcorum philosophorum monumentis. Nam ex omnibus omnium æta tumgræcorum philosophorum disciplinis, ex hac ingenti materiæ quasi silva,eadelibavit,quæ ad fingendos mores sapientiæ præceptis,et ad omnem vitamconformandam vim omnino habebant saluberrimam.” Cicerone dunque, a riassumereil tutto in poche parole, non fu nè Stoico, nè Accademico, nè Peripatetico, mafu vero Socratico con libertà di riflessione e di esame. Come Socrate, egli noncompose un sistema per fetto di cognizioni, m a tentò una riforma; non pervenneagli estremi resultamenti delle indagini iniziate da lui, ma ne accennò la viapiù sicura; non chiuse tutta la scienza nell'ambito angusto d'un'ipotesi,d'un'inven zione o d'un fatto; m a assorgendo colla mente alla più fecondadelle armonie scientifiche, che è la ragione m o rale, vedeva in un'occhiataspiegarsi da quella sintesi l'ordinamento necessario della scienza prima. Percerto l'ingegno onnipotente dell’Ateniese, la cui efficacia duradaventiquattro secoli nell'indirizzo delle dottrine specu lative, è unicoesempio, e non mai superabile, nella storia della filosofia. Ma consideri unpoco il lettore, come al filosofo romano, ingegno senza dubbio men vasto e menoinventivo, mentre si attraversavano per via le stesse dif ficoltà, e forsemaggiori,non arrisero altrettanto propizie, quanto al greco, le condizioni deitempi e dei pubblici costumi. Tullio non s'abbattè,come Socrate, ad un popolo,qual era quello d'Atene, poderoso della fantasia, supremamente inclinatoda natura agli studj speculativi, e innamorato d’un amore infinito del bello edel perfetto. La gente romana, sebbene felicemente disposta a sentire ciò che ècerto e applicabile fra i resultamenti dell'umano ingegno, sebbene disciplinatanelle deduzioni morali dal magistero dei Giureconsulti, ritenne per se coliquei costumi severi e quell'abito politico e militare, non facilmenteconciliabile colla vita meditativa della scienza e dell'arte. Più tardiallorchè l'impero esteso a due terzi del mondo, e il vivere agiato, e lanecessità di allontanare il pensiero dallo spettacolo della tirannia nascente,volgeva i migliori tra i Romani agli studj della filosofia, maestra aivincitori d'ogni arte e di ogni disciplina civile, li trasse a sè, sviando lasponta neità degl'ingegni col facile diletto dell'imitazione. Chè, se ciò nonpuò dirsi assolutamente delle lettere e delle scienze latine da chi consideriquel tanto d'originale che pur v'è nelle imitazioni di Lucrezio, di Catullo edi Virgilio, e che sappiamo esservistato nei libridiVarrone,ora perduti,nonresta men vero che tanta era la servitùdel pensiero ai tempi di Tullio dacostringerlo a scusarsi pubblicamente per avere usata la propria lingua nellematerie speculative. Opera altamente civile, altamente romana fu adun quequella che imprese il nostro filosofo, procacciando di volgere il linguaggiolatino alla significazione dei veri scientifici. Nel che, tanto più egli simostrò gran maestro, quanto minori e maggiormente imperfetti erano gli esempidi coloro che l'avean preceduto. Amafinio e Rabirio epicurei, rammentati da luinel libro terzo delle Tuscolane e ch'egli dice non averlettoneppure,scris seroprimi di cose filosofiche in modo informe ed incolto. Più tardi Tito LUCREZIOCaro esponeva splendidamente nelpoema De rerum natura la filosofia d'Epicuro; matutti questi scrittori, dei quali il secondo non era uscito dalle pastoje dellapoesia didascalica, non aveano potuto al certo esercitare un'alta efficacia sullinguaggio filo sofico di Roma,ristretti com'erano nelle cerchia d'un sistemapovero e meschinamente sofistico.Noi dunque con corriamo ben volentieri nellasentenza del Ritter, assicu rando che soltanto ai tempi di Cicerone la filosofiavolse in proprio uso l'idioma latino; la qual cosa,per quanto è lecito pensarneai moderni, può unicamente affermarsi dei libri di lui dove la linguafilosofica è già formata, e dove la parola si porge per modo mirabile ad ogni mo venza e inflessione del pensiero. L'impresa che Cicerone tentava, era dunquenovissima, e l'istrumento ch'egli ha fra mano, il meno acconcio a compirla.Perchè non si trattava già d'esporre le dottrine d'un solo filosofo, come aveanfatto Amafinio, Rabirio e Lucrezio,ma con veniva volgersi a tutte le scuole, eaddestrare il linguaggio latino nell'intero ámbito della scienza.Talvolta, èvero, gli mancò la parola più appropriata al concetto, e ristretto entro itermini d'una lingua non disciplinata ancora nelle indagini troppo sottili,procedè incerto sulla significazione di qualche frase scientifica appresa daiGreci; m a nella maggior parte dei suoi scritti egli ebbe in grado supremo lafacoltà di lumeggiare e colorire l'idea, e di far sì che il pensierorispondesse nella p a rola, come figura bella in limpido specchio. Sentenziandoch'è vana impresa e da fanciulli voler dire con favella ornata le cose sottili,plane autem it perspicue posse, docti et intelligentis viri -- De fin. -- seguìuno stile che fosse egualmente lontano dalla forma splendida degli oratori, edalla aridità faticosa di parec chj contemporanei. Quinci egli trasse quelgenere d'ora zione che negli Officj chiamò æquabile et temperatum.L'ingegnouniversale e comprensivo di CICERONE (si veda) apparisce in ogni parte dellesue dottrine. Venuto in Roma, dove fanno capo le faccende d'Italia e del mondo,tollerante per natura delle altrui opinioni, e disposto a tolleranza maggioredallo studio. Intorno allo stile filosofico di CICERONE (si veda) scrive conmolta dottrina FERRUCCI (si veda), in un suo discorso “De singolari meriti di CICERONE(si veda) nella lingua ed eloquenza latina, edito in Pisa coi tipi delNistri.La severità della meditazione filosofica è in lui sempre solenne,ma variamente temperata dall'indole del soggetto. E sobrio l'uso delle metafore.Il periodo procede ora maestoso, ora interrotto, ora veloce, ora lento, asconda della materia, e talvolta, come negli Accademici, imita il linguaggiofamiliare, talaltra, come nelle Tuscolane, sembra avvicinarsi piuttosto allaforma oratoria. Chi poi considerasse a parte a parte la varietà degli stilinelle opere differenti, osserverebbe potersi queste distin guere in più classi,modernamente in più manière, corrispondenti ai varj tempi in cui l'autore lescrive. Il “De republica” e il “De legibus”, appartenenti al primo tempo, incui egli era ancora indefessamente occupato nei negozj pubblici e del foro,hanno più del carattere oratorio. “Gli Accademici”, il “De finibus”, il “Denatura deorum”, scritti poco prima la morte di Cesare, palesano uno studiodeliberato, continuo della severa forma speculativa; laddove nel “De officiis”,nel “Cato Major” e nel “De amicitial” t’av vedi come l'abito della meditazionee la lettura degli ottimi esemplari o avessero condotto al miglior temperamentodello stile didattico colla forma oratoria. Imitatore delle melodie d'Iocrate,e innamorato dello splendore di Platone, ch'egli chiama il divino dei filosofi,lo segue non soltanto nella forma estrinseca de' suoi trattati, e nel metododel dialogizzare, ma improntò sul Fedro, sulla Repubblica, sul Fedone, sulleLeggi i tratti più belli delle opere sue, rimasti fino a noi come uno deimonumenti più solenni delle lettere antiche imparziale che fa delle dottrinecontemporanee, con trasse per tempo quell'abito universale d'osservazione, equel sentimento delle armonie scientifiche, così vivo in ogni tempo nelle mentiromane, in lui straordinario. Cresciuto intempi funesti alla libertà, etestimone di quanti esilj e di quanto sangue contaminasse l'Italia la rabbiascellerata di Mario e di Silla, egli in mezzo allo strepito delle armi eall'imperversare delle civili discordie applica dì e notte con ardoreinestimabile ad ogni generazione di studj. Più tardi per restaurare la salute,inde bolita dalla pratica del fôro, si reca in Grecia, dove udì le scuolemigliori, peragra tutta l'Asia, si trattenne a Rodi, e torna in patriaammaestrato da una larga notizia d’uomini e di cose,e dalla famigliarità coi piùpre stanti oratori. La sua eloquenza, nutrita negli spazj dell'Accademia, ebbeampiezza misurata e solenne, tanto diversa dalla nervosa concisione diDemostene, e quale s'addiceva alla pienezza e solennità de'suoi pensieri. Nellaragione intima dell'arte sua cirimane occulta, qualora si consideri nel “Deoratore”, nel “Bruto” e nell'”Orator” il significato vastissimo ch'egliriferisce alla parola elo quenza. Quindi il largo concetto dell'unità delsapere, espresso in varj luoghi del “De oratore”, e meglio in quella sentenza:« omnem doctrinam ingenuarum et humana rum artium uno quodam societatis vinculocontineri,» ci fa manifesto com'egli intendeva l'officio dello scrittore,e comenella sua vita di cittadino, d'oratore e di filosofo si mostrasse uno degliuomini più universali che mai siano apparsi nel mondo. Come uomo di stato, eglivagheggiò la carità universale del genere umano, e ne scrisse mirabili parolenegli “Offici” e nelle “Leggi.” Patrocinando la causa di una donna Aretina,giustifica le pretensioni delle città italiane alla cittadinanza romana. Nelsuo consolato sven tando la congiura di Catilina, salvava da pericolo certo eimminente la libertà di Roma,e tentava comporre l'or dine senatorio el’equestre in un saldo partito contro il prevalere della fazione plebea.Comeavvocato e comeoratore politico (così scrive di lui Vannucci),«creò unnuovo genere d'eloquenza composto di tutto ciò che v'era di più bello a Roma. Pergiungere a questo con l'amore e con l'entusiasmo,che è padre di tutte leegregie cose, coltivò gli studj trascurati da altri, e con siderando che ilpoeta e l'oratore dal lato degli orna menti hanno, com'egli scrisse, molte cosecomuni, con esercizj poetici ingentili e perfezionò lo stile latino. Ricerca imodelli più famosi dell'eloquenza romana, svolge i Greci, ne traduce per suouso le orazioni più belle.Sti mava che per esser grande oratore si vuol sapereogni cosa,e avere tutte le dottrine come compagne e ministre. Quindi afforzò lasua ragione colle dottrine dei grandi filosofi, si arricchì della scienza deldiritto, non lasciò niuno studio da banda; e così apparecchiato rappresentò nelfôro la grandezza romana ingentilita dall'arte greca, e apparve come splendidoesempio dell'oratore perfetto, di cui mandò a noi il ritratto ne'suoi scrittididattici, Studi storici e morali sulla filosofia latina, Firenze, Monnier. Nonè dunque maraviglia se, dis posto per abito di mente e per disciplina a sentirel’uni versalità in ogni cosa, espose più tardi ne'suoi scritti speculativiilmeglio delle scuole greche, e tornando ai fondamenti e ai principj di tuttoil sapere, vi cercò quel legame unitivo che desse vita e armonia alle sparsemembra della tradizione scientifica. Se in lui dopo l'oratoreeilpoliticoconsideratel'uomo,dovrete riconoscere negli scritti speculativi profondamente scolpite le traccedel sentimento e dell'animo suo. In essi,quanto alla manifestazione degliaffetti, ritrovi quella sua schiettezza d'indole generosa, quegli amori potentidi gloria, di famiglia e di patria, quell'abbandono di t e nerezza,ond'era carofinchè visse ad ogni anima gen tile, e l'incertezza dei propositi, che talvoltalo rese in feriore all'impeto degli avvenimenti, e un desiderio di lodi un po'troppo sincero lo sentì qua e là nell'irreso lutezza delle espressioni e nellostile maestoso non senza, pompa. L'esempio di Roma antica ch'egli seguì estudiocon amore,quale un perfetto monumento di sapienza civile,non glitolse però di vederne e di biasimarne i difetti, come l'eccessivo potere delpopolo che spesso trascorreva in licenza, l'abuso dell'autorità ne'patrizj, leguerre volte a istrumento di grandezza privata,la prolungazione degli imperj,idisordini quotidiani nel fôro, e quelle leggi agrarie e sui contratti, la cuipromulgazione sciogliendo i diritti di proprietà e l'osservanza della fede, eraun vero attentato alle basi della società civile. Dalla critica meno benigna siallegano alcuni passi dei suoi scritti politici in cui parve dimenticare iprincipj della giustizia e della moralità lodando il tirannicidio, tentandogiustificare col titolo della civiltà il primato oppressivo dei Romani sullealtre nazioni, ammettendo come teorica di condotta civile il cangiar partito aseconda delle circostanze.Nè io lo difendo da queste accuse;ma rammento soloper debito imparziale d'istoria, che le stesse ragioni recate da lui a' suoitempi per giustificare le conquiste romane, sono state addotte in pieno secoloXIX da una delle nazioni più civili del mondo per iscusare non meno odioseconquiste; e che,se la storia non giustificò Tullio nel diritto, l'ha in partegiustificato nel fatto, mostrando di quanto lume di civiltà la moderna Europasia debitrice alle conquiste romane. I giudizj intorno alla sua condotta moralee politica, già di troppo benigni nelle opere del Middleton, e delNiebuhr,troppo severi in quelle di Melmoth, Drumann e Mommsen, furono non haguari saviamente temperati in un bel saggio di Forsyth, venuto alla luce in Londra, e di cui abbiam vedutaquest'anno una nuova edizione. Tullio, così osserva sapientemente il biografoinglese, fu qualche volta debole, timido, irreso luto,m a a tali difettirispose in altre condizioni di tempi con una nobile condotta civile. Ei sidiportò da uomo e da cittadino nella congiura di Catilina, e nel finale c o mbattimento contro il triunviro Antonio. Chè se non sem pre fu pari agli avvenimentiche lo incalzavano, se non sostenne coraggiosamente l'esilio, e restituito inpatria, ondeggiò a lungo tra la parte di Cesare e quella diPompeo, bisognaconsiderare quanto difficili tempi fossero quelli a chi, come lui, non avea maipatteggiato colla coscienza, e riconosceva nella religione del giuramento, enella santità dei costumi civili il principio tutelare delle libereistituzioni. Questo alto sentimento del buono,po tentissimo nel nostro oratore,è la ragione che diede sublimità vera alle sue dottrine morali; e ci spiegacome nei libri degli Officj, della Repubblica e delle Leggi egli desunse iprincipj fondamentali della filosofia civile dal concetto più puro dell'onestoe della legge; e vissuto in tempi nefandi intese a conciliare l'interessedell'utile pubblico colla giustizia assoluta, nell'idea della famiglia,nell'idea dello stato, nel possesso, nella legislazione e nei diritti di guerrae di pace. Tale pure è l'opinione esposta dal signor Gaston Boissier ne'suoidotti articoli sulla politica di Cicerone, stampati nella Rivista de'due mondi.Correadesso in Europa un tempo assai propizio alla critica degli scrittorilatini.Invero gli studj che accompa gnarono fra noi ilprimo risorgimento dellelettere anti che, mossi da curiosità e da desiderio di un passato a cui lanotte tempestosa dei tempi di mezzo sembrava aver cresciuto splendore, nonmantennero sempre una giusta eguaglianza fra il libero esame e l'ossequiodovuto alle tradizioni. Ma tal difetto venne largamente emendato in età piùvicina, allorchè da molti si esaminò solo per negare,e le passioni politiche ereligiose fecero impaccio più volte alla schietta manifestazione del vero. Oggila quiete dei tempi,e questo nuovo ricomporsi d'Europa a monarchienazionali,avvicinando i popoli tra loro e ren dendo sempre più facile ilsindacato delle opinioni, per suade le menti a giudizj più severi e imparziali.Ne mancano esempj di queste nuove condizioni della critica odierna,segnatamente per ciò che risguarda gli studj del l'antichità latina; nonignorano infatti i nostri lettori che, mentre in Germania Bernhardy e Mommsengiudicarono con molta severità CICERONE (si veda), in Francia e in Inghilterrahanno parlato con bella temperanza delle sue dottrine morali edella sua vita politica Desjardins e Forsyth. Fra noi, gli studj istorici dellafilosofia o non furono sin qui troppo favorevolmente accolti, o rimasero oscurinella solitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitano un ufficio civile,e all'unità e all'indipendenza dava opera l'intera nazione. È tempo oggimai chetorniamo a così nobili studj; e la critica istorica e filosofica fa prova dirichiamare nella memoria riconoscente degl’italiani la storia di quel popolo dacui venneDesjardins e Forsyth. Fra noi gli studj istorici della filosofiao non furono sin qui troppo favorevolmente accolti, o rimasero oscuri nellasolitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitavano un ufficio civile, eall'unità e all'indipendenza da opera l'intera nazione. È tempo oggimai chetorniamo a così nobili studj; e la critica istorica e filosofica fa prova dirichiamare nella memoria riconoscente degli Italiani la storia di quel popoloda cui venne la prima luce delle nostre istituzioni. Allora soltanto ledottrine di CICERONE (si veda) sono meglio studiate e apprezzate, e la naturacomprensiva dell'ingegno romano, di cui egli è esempio solenne, ci appare comeuna sintesi vasta e feconda in cui s'accoglie la coscienza dei popoli antichi. Giacomo Barzellotti.Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barzellotti” – The Swimming-PoolLibrary.
Luigi Speranza -- Grice e Basilide: il portico a Roma:il tutore del principe – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofoitaliano. Member of the Porch. A teacher of Antonino. Basilide.
Luigi Speranza -- Grice e Basilio: il circolo diGiuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofoitaliano. He studied philosophy alongside the future emperor Giuliano. Basilio.
Luigi Speranza -- Grice e Basso: gl’ortelani -- Roma– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.According to Seneca, a follower of the philosophy of The Garden, who borewitness to his school’s teachings in the way he copes with prolonged illhealth. LucioAufidio Basso. Basso.
Luigi Speranza -- Grice e Basso: il portico a Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member ofthe Porch. Tito Avianio Basso Polieno. Basso.
Luigi Speranza -- Grice e Batace – Roma – filosofiaitaliana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. A pupil ofCarneade.
Luigi Speranza -- Gricee Battaglia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei valoriitaliani – scuola di Reggio Calabria – filosofia calabrese. filosofia italiana– Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library(Palmi).Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Palmi, ReggioCalabria, Calabria. Grice: “You gotta like Battaglia; he plays with the Italianlanguage in ways I cannot play in the English language; e. g. consider hisphilosophising ‘between being and value,’ ‘tra l’essere e il valore.’ Surelythe thing is the copula: A is B, A is worth B.’-- “A e B,” “A vale.” “A vale B.” – “We cannot say that a dollar isworth a dollar --. Stricctly, we CAN, it’s true – but the implicaturum is ‘I’man idiot or a philosopher.” Grice: “And I can say, “Socrate e,’ i. e. Socratesis. And ‘Socrates vale,’ i.e. Socrates has value.’” Grice: “When I did my linguistic botanising on‘value,’ I followed Austin’s misadvice: never contrast with Anglo-Saxon, butactually ‘worth’ in Anglo-Saxon WAS a verb, and cognate with Battaglia,‘valere.’!” Inseguito al terremoto di Messina lasciò la Calabria, trasferendosi con tutta lafamiglia a Roma, dove intraprese il suo percorso di studi. Si laurea con una tesi su Marsilio da Padova.Ottenuta la libera docenza di filosofia e un contratto d'insegnamento dall'ateneocapitolino, si trasferì a Siena, dove vinse la cattedra nella medesimadisciplina. Si sposta da Siena aBologna, dove già teneva delle lezioni. Nell'ateneo bolognese insegna,contemporaneamente, filosofia morale e filosofia del diritto nella Facoltà diFilosofia, di cui e preside. Rettore dell'ateneo di Bologna. Il Comune diBologna gli ha dedicato una strada, e Bologna intitola a suo nome la Bibliotecadel ‘Dipartimento’ di filosofia. È stato autore di numerosi saggi in diversebranche del diritto e della filosofia e, in loro connessione, sulla storia delpensiero, sia antico che modern. Tale interesse declina anche in chiavepedagogica, a testimonianza dell'intensa attenzione rivolta alla storia qualeconcreta fonte dell'organizzazione sociale umana e del complesso e diffidenteapprodo allo spiritualismo. Con isostenitori attualisti dell'autonomia della categoria filosofica dellapolitica, pensa che occorresse lasciare alla storia tout court quanto non fossepensiero sistematico, preservando così la storia delle dottrine da ognicontaminazione con le dialettica sociale e istituzionale". Altre opere:“Cuoco e la formazione dellospirito nazionale in Italia” (Bemporad, Firenze); “Marsilio da Padova e la filosofiapolitica del Medioevo” (Felice Le Monnier, Firenze); “La crisi del dirittonaturale: saggio su alcune tendenze contemporanee della filosofia del diritto”(La Nuova Italia, Firenze); “Diritto e filosofia della pratica: saggio sualcuni problemi dell'idealismo contemporaneo” (La Nuova Italia, Firenze); “Thomasiofilosofo e giurista” (Circolo giuridico di Siena);“Scritti di teoria dellostato” (Giuffré, Milano); “Orientamenti metodologici nella storia delledottrine politiche” (Tip. Nuova, Siena); “Problemi metodologici nella storiadelle dottrine politiche ed economiche” (Foro Italiano, Roma); “Corso di filosofiadel diritto” (Soc. editrice "Foro italiano", Roma); “Il domma dellapersonalità giuridica dello Stato” (Zanichelli, Bologna); “Impero Chiesa estati particolari nel pensiero di Alighieri” (Zanichelli, Bologna); “Libertà eduguaglianza nelle dichiarazioni francesi dei diritti: testi, lavori preparatorii,progetti parlamentari” (Zanichelli, Bologna); “Il valore nella storia” (Upeb,Bologna); “Il problema morale nell'esistenzialismo” (Zuffi, Bologna); “Saggisull'Utopia di Tommaso Moro” (Zuffi, Bologna); “Cenni storici intorno alconcetto di lavoro” (Zuffi, Bologna); “Filosofia del lavoro” (Zuffi, Bologna);“Lineamenti di storia delle dottrine politiche” (Giuffré, Milano); “Morale estoria nella prospettiva spiritualistica” (Zuffi, Bologna); “Nuovi scritti diteoria dello stato” (Giuffré, Milano); “I valori fra la metafisica e la storia”(Zanichelli, Bologna); “Linee sommarie di dottrina morale” (Patron, Bologna); “Ivalori della pratica e l'esperienza storica” (Patron, Bologna); “Il valoreestetico” (Morcelliana, Brescia); “Cinque saggi intorno alla sociologia” (ISturzo,Roma); “ Parva Desanctisiana” (Patron, Bologna); “Economia, diritto, morale” (Coop.libraria universitaria editoriale bolognese, Bologna); “Croce e i fratelliMario e Luigi Sturzo” (Longo, Ravenna); “Rosmini tra l'essere e i valori,Guida, Napoli); “Mondo storico ed escatologia” (Clueb, Bologna); “Le carte deidiritti: dalla Magna Charta alla carta del lavoro” (Sansoni, Firenze); “Lecarte dei diritti: dalla Magna Charta alla Carta di San Francisco” (Sansoni,Firenze); “Meis, I problemi dello stato moderno” (Zanichelli, Bologna);“Sanctis, Lettere a Villari” (Einaudi, Torino); “Lettere di Meis a Spaventa”(Azzoguidi, Bologna); “Il pensiero pedagogico del Rinascimento” (Sansoni,Firenze); “Locke, Antologia degli scritti politici” (Il Mulino, Bologna). Ilpensiero di Felice Battaglia, Atti del Seminario promosso dal Dipartimento diFilosofia di Bologna, Matteucci e Pasquinelli, Bologna, CLUEB, A cent'annidalla nascita, Bologna, Baiesi, Dalfilosofo all'uomo, Atti del convegno di studi su B. (Palmi), Chiofalo, Palmi,Arti Grafiche, Ferrari, La filosofia italiana, in «Storia dellaFilosofia», (La filosofiacontemporanea. Seconda metà del Novecento), t. I, M. Paganini, Vallardi, Milano,Marchello, B., Edizioni di Filosofia, Torino, Matteucci, Felice Battaglia,filosofo della pratica, in Atti della Accademia delle Scienze dell'Istituto diBologna, Classe di Scienze Morali, Rendiconti, (ora rifuso in Id., Filosofipolitici contemporanei, Il Mulino, Bologna, Polato, B., Dizionario Biograficodegli Italiani, Volume 34, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scerbo, B.:la centralità del valore giuridico, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, Anzalone,Lo abstracto y lo concreto en la Teoría del Derecho de Battaglia. FeliceBattaglia y el dilema entre Croce y Gentile, Atelier, Barcelona, A. Anzalone, B.. Per una teoriagiuridica tra idealismo crociano e gentiliano, Euno edizioni, Leonforte. Anzalone,Las aparentes contradicciones de la filosofía jurídica y política de B., in«Studi in onore di Sinagra»,Miscellanea, Aracne, Roma,, A.Anzalone, El Estado, sus fines y su relación con el derecho. La perspectiva deFelice Battaglia, in “Lex Social (Revista jurídica de los Derechos Sociales)”,Anzalone, La integración europea como modelo para Latinoamérica según FeliceBattaglia, in «Temas de Filosofía Jurídica y Política», SFD, Córdoba, Cotroneo,B. e la "filosofia dei valori", in Benedetto Croce e altri ancora,Soveria Mannelli, Rubbettino, Onorificenze Dottore honoris causanastrino peruniforme ordinariaDottore honoris causa — Universidade de São Paulo. Ufficiale dell'Ordinedi Leopoldo IInastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine di LeopoldoII Cavaliere dell'Ordine di San Gregorio Magno (classe civile) nastrino peruniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine di San Gregorio Magno (classe civile)Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiaanastrino per uniformeordinariaGrande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana —Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrinoper uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito dellaRepubblica italiana. Vittor Ivo Comparato, Vent'anni di storia del pensieropolitico in Italia, Il pensiero politico, Università degli Studi di Bologna,fondata nel sec. XI. Annuario degli Anni Accademici Bologna, Tipografia Compositori, Dettagliodecorato, Presidenza della Repubblica. Sito web del Quirinale: dettagliodecorato. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'EnciclopediaItaliana. ULTURAMODERNA - Quaderni di Storia, Filosofia e Politica cura di Battaglia L'opera diVincenzo Cuoco e la formazione dello spirito nazionale in Italia R. BEMPORAD etFIGLIO - Editori - FIRENZE Rappresentanti per il Piemonte: S. LATTES et C.Torino. R. BEMPORAD et Firenze, Stab. Pisa et Lampronti. La tradizione italica.Il Settecento e la sua importanza. L’Italia ritrova sè stessa nella sua storia.Il processo unitario. L'erudizione: Muratori. La filosofia: Vico. Antitesi alcartesianismo. Esperienza filologica. Italianismo di Vico. De antiquissimaitalorum sapientia. Vico impersona la nuova tradizione. A lui si ricollega Cuoco. La fortuna di Vico nell'alta Italia ele origini del nuovo pensiero. Cuoco e i suoi studiosi. La rivoluzionenapoletana. La cultura rivoluzionaria e prerivoluzionaria. Razionalismo,astrattismo. La classe colta di Napoli. Riformismo governativo. Rottura tra statoe borghesia. Carattere passivo della rivoluzione. Le origini sacre della nuovaItalia. Gli storici della letteratura e della vita del popolo italiano, chevogliano trattare del risorgimento nostro con piena e sicura conoscenza dicause e di effetti, devono necessariamente rifarsi a secoli passati. Sono lescaturigini di quel vasto e nobile movimento, denso più di idee che di fatti,poi che i pochi e modesti avveni menti ricevono luce ed acquistano nobiltà solonel riflesso delle idee, di quel vasto e nobile movimento che conduceall'unificazione e all'indipendenza italiana. Mirabile la continuità della vitadi questo popolo antico d'Italia. I secoli, che ad una critica occhialutasembrano i più torbidi, si presentano, poi, a chi sa investigarli con amore econ coscienza, gravi di preparazione, ponderosi d'esperienza. È tutta una vitache si prepara, si svolge, sente il bisogno di concretizzarsi, finchè scoppieràin foga d'eroismo e di volontà. È una preparazione lenta diuturna faticosa, laquale fa emergere figure grandi di FILOSOFI e di poeti, di giuristi e di uominidi governo o di chiesa. La critica ha il dovere di rivendicare questi secoli edi valutarli al paragone di concetti superiori di filosofia. È ridicolocondannare alcune età nel corso d'un popolo, alcuni secoli in blocco per altrisecoli, chiamare questa età di decadenza, quella età di fioritura. I periodistorici, le ere, i secoli sono quello che sono con le loro istituzioni, colloro pensiero, con la loro arte, con i loro uomini, soprattutto coi lorouomini. È ridicolo condannare il passato come si usava sino a venti anni fa,critico spietato, Minosse che giudica e manda senza appello, il nostro maggiorepoeta, CARDUCCI (si veda). La storia ha invece diritto alla nostra ammirazionecome i secoli, in cui i destini della patria si sono venuti maturando,attraverso un rinnovato fervore di pensiero, di critica, di storiografia,preludio modesto mafaticoso di opere civili, attraverso un rifoggiarsi,insomma, della coscienza nazionale, che da universalmente umana tende adivenire più veramente, se pure più ristrettivamente, italica. È forse, sel'affer mazione non trovasse nella sua rigidità una smentita nell'oceanicafigura di VICO (si veda), un chiudersi in noi stessi, un rinnegare gli idealicosmopolitici, per ritrovare il particolare più veramente nostro, l'essenzadella stirpe. La storia è l'esperienza dello spirito, che gradualmente vieneformandosi. Il popolo della penisola s'astrae, si ritira, si allontana dallegrandi competizioni politiche e culturali europee. Il centro del mondo si èspostato. Non più solo Roma, ma Bologna, Milano, Parigi, Vienna. Mentre lealtre genti si gettano tumultuose nel fervore della conquista, nella lotta peril predominio, e noi siamo le vittime, la nostra razza si chiude nel gusciodella propria coscienza, nel culto della propria essenza. Perchè? Per esserepiù italiani, per essere noi stessi, per riacquistare a noi tutto noi stessi,per sapere il nostro passato, per foggiare nello spirito l'avvenire. Cosìquell'Italia, che ai miopi occhialuti corifei dello storicismo positivo sembraassente, per riacquistare vita nuova proprio con la critica razionalista pre-rivoluzionaria,e poi con gl’immortali princípi, è invece viva e desta, sempre, in ogni tempo,per ritrovarsi, essa stessa, di fronte all'irrompere delle giovani schieregalliche con un patrimonio nobilissimo di schietta FILOSOFIA ITALA, di sapienzacivile antica, di esperienza politica. Il filosofo deve valutare tutto. Lastoria della cultura, ben altra cosa, notiamo, dalla storia dell'arte,particolaristica, d'un subiettivismo che rinnega ogni sviluppo che non sianello spirito individuale e creatore, ha una sua mirabile continuità, una suaininterrotta evoluzione. L'oggi sorge dal passato, nel passato si prepara ilpre sente, il presente è la fucina in cui si foggia il futuro. La storia devevalutare tutto e trovare i nessi ideali tra gli avvenimenti, se vuol esserestoria, cioè studio critico e superiore delle idee, che muovono gli uomini gliuo mini sono sopra tutto idee, spirito —, e non cronaca astratta di ciò che gliuomini fanno e potevano anche non fare. Lo storico deve dunque, se vuolrinvenire l'origine vera del nostro Risorgimento, salire assai più indietro chedi solito non si faccia ed osservare più le idee che i fatti, poi che i fatti avolte sono puri e semplici fenomeni senza conseguenze, che si spengono comestelle cadenti nel cielo dopo un breve ciclo, mentre le idee vivono, germinanonell'oscurità, generano altre idee, seguendo la trama fatale del corso dellestirpi. Le idee rivelano quel mondo dello spirito, ove si foggiano gli eventi,rivelano il segreto della génesi de' popoli, il loro assurgere all'im 8 pero,le cause della grandezza politica. Dietro il fatto sto rico c'è l'idea, la cuivita, vita storica cioè dinamica, lo studioso deve analizzare nella suacomplessa formazione e non rinnegare per i preconcetti del proprio cervello. Larinascita dell'elemento italiano, particolaristico e nazionalista, è un fattoestrinsecamente assai prossimo a noi, intimamente preparato da lungameditazione, da lunga speculazione, da lunghe ricerche. Una storia vera dellacultura, specie della cultura politica, non può non ricollegarsi, anzi, per ritrovarvi le origini vere dell'Italia di oggi. Dove si foggia questa nuovacoscienza, questa nuova italianità? Nell'angolo della penisola, che per ilmomento, guardando in modo sommario la distesa temporale della storia, è il piùli bero dall'influsso culturale straniero. Non Venezia, non Milano, non Torino,non Firenze.... Napoli. Venezia è decaduta non già, come la retorica vuole, perla corruzione d'una nobiltà festaiola e carnevalesca, ma per un fatto storicoed economico incontrovertibile, perchè la vita commerciale d'Europa hadisertato le antiche vie dell’oriente, per spaziare negli oceani, ove le navivenete non possono andare, troppo lontane dall'infelice scalo della città diSan Marco (1 ). Torino è più francese che italiana, più sabauda che nazionale.Firenze è il centro d’uno Stato troppo piccolo, per imporre un'idea politicaalle città vicine, ed è estenuata per il rigoglio anteriore. Milano sola puòessere il centro delle nuove fortune nostre, e vedremo poi come essa col disastro della Partenopea riprenda tutto il tesoro ideale del popolo italiano perrendersene degna depositaria. Ma Milano oggi è troppo aperta all'influenzastraniera, risente troppo gli effetti d'una vita non propriamente italiana, ètroppo cosmopolita, troppo mondana. Bisogna che il rinnovamento si inizialtrove. Milano poi com pirà l'unità spirituale dell'italianismo, sui primianni Rosi, L'Italia Odierna, Torino,dell'Ottocento, fondendo i due elementi propri della no stra natura: ilsuo positivismo, più o meno razionalistico secondo i tempi, conl'idealismo.concretamente storico e critico del mezzogiorno, per foggiare quelcarattere mentale del rinato popolo italiano, che rifugge così dalla metafisicanubilosa di certe filosofie straniere come dal materialismo volgare, ritrovandola sua sana vita in tima nel ponderato storicismo d'una filosofia dellospirito. Napoli, posta dalla natura nel più incantevole luogo della penisola, arrisadal cielo e dal mare, beatificata dal sole, Napoli mite e pensierosa impersonala nuova vita nazionale; essa, chiusa nella sua remotezza dalle grandi viecommerciali dell'alta Italia tra Francia ed Austria, sola può custodire ilpatrimonio culturale della nazione. L'Italia era senza dubbio indietro difronte alle grandi speculazioni, di fronte alla grande cultura straniera. Cartesio, Grozio, Spinoza, Locke, Hobbes erano nomi re centi per la gloria dellafilosofia delle altre stirpi, nomi grandi illustri, pietre miliari nellosviluppo del pensiero moderno. Che avevano gli italiani da contrapporre? Nulla,fuor che la loro povertà nuda ed altera. Lo spirito ita liano era chiuso in sèstesso, ho detto, quasi disdegnoso della merce straniera, che gli si volevadonare. E pure questa cultura, questa filosofia straniera pas sava da noi edacquistava diritto alla cittadinanza, spe cie a Torino e a Milano, in quellecittà più aperte ai nuovi rapporti civili. Il cartesianismo ovunque si imponevae con esso il classicismo francese lineare geometrico arido. L'Italia però nonfilosofava. Il Muratori nella sua solitu dine di Modena cercava, ricercava,spogliava, compilava con foga di ricostruttore, traeva dagli archivi polverosii resti della storia nostra, e il lavoro di paleografia e di trascrizionediveniva poi lavoro di sceveramento, d’ana lisi, di critica. Il nuovoitalianismo rinasce con un rin novato fervore di studi storici. « Il seriomovimento scientifico » scrive Sanctis « usciva di là dove si era arrestato,dal seno stesso dell'erudizione. Lo studio del passato era come una ginnasticaintellet tuale, dove lo spirito ripigliava le sue forze. Alle raccolte 10successero le illustrazioni. E vi si sviluppò uno spirito d'in vestigazione, diosservazione, di comparazione, dal quale usciva naturalmente il dubbio e ladiscussione. Lo spi rito nuovo inseguiva gli eruditi tra quegli antichi monumenti. Già non erano più semplici eruditi: erano critici » A Modena, intanto,studiava il Tiraboschi, a Roma il Crescimbeni, a Napoli il Gravina; altroveFabretti, Bianchini, Maffei e con essi una vera pleiade di dotti « segnano giàquesto periodo, dove la scienza è ancora erudizione e nella eru dizione sisviluppa la critica ». A Napoli e poi in un remoto paese del Cilento si formava intanto il Vico. E a VICO bisogna rial lacciare tutto il complessomovimento filosofico politico meridionale, tutta la fortuna dell'italianismo,di cui lo scrittore del quale imprendiamo lo studio, Vincenzo Cuoco, è ilrappresentante maggiore. La filosofia del Vico nasce da una parte in antitesial cartesianismo aritme tico e razionalista, dall'altra sopra una perfettaconsape volezza, sopra un vero fondamento di ricerca storica, nell’un caso enell'altro come reazione al pensiero stra niero e ritorno alle fonti nostrane.Solo l'antitesi al cartesianismo, cioè alla filosofia im perante, avrebbepotuto portare Vico ad affermare l'im possibilità d'una scienza della natura, ein questa scienza era la gran cieca fede del razionalismo, e la sicurezza d'unascienza perfetta nel mondo umano, morale e sto rico. La conversione del verocol fatto (verum ipsum factum), impossibile nel mondo naturale agli uomini, divien possibile nel mondo morale. Per conoscere una cosa occorre farla, o rifareil processo creativo: ciò è impossi bile nell'ordine naturale a tutti, fuor chea Dio, divien possibile nell'ordine umano, spirituale e storico, fattodall'uomo, nel quale l'uomo opera come Iddio. Le scienze morali, la politica,la poesia perdono il mero carattere di probabilità e brillano di pura lucenello spi SANCTIS, Storia della letteratura italiana, Milano, Treves ed.] rito.È un nuovo principio gnoseologico, il vero è riposto nel fatto: a questoprincipio si rifà tutto il nuovo sistema storico. Ma domandiamoci: questo nuovoprincipio, che è il nucleo d'ogni futura filosofia dello spirito, quest ' inversione, che è la nuova gnoseologia, era possibile come semplice reazione adun cartesianismo, che a Vico era pervenuto, sia pure, come scrive il De Sanctis,in una forma antipatica e menomatrice dei suoi studi, ma certo non in manieradel tutto opprimente e scettica? Io credo di no o almeno credo che larivoluzione non sa rebbe stata possibile senza considerare un nuovo ele mento,le pure ricerche storiche, che portarono in fine il Vico a conclusioni inattese.Vico, scritto il De ratione studiorum, il De antiquis sima italorum sapientia,s ' ingolfò negli studi eruditi di storia antica, di diritto romano, neglistudi di diritto naturale, di pura linguistica, di filologia. Dice bene quindiCroce che, se pure il grande napoletano non fu condotto alla filosofia, alnuovo orientamento della sua gnoseologia, in virtù di un processo puramentefilolo gico, certo lo stimolo e la materia gli furono offerti da gli studisopra detti, « attraverso i quali egli ebbe a fare un'esperienza solenne; ecioè che quella materia di studio Ecco quel che scrive SANCTIS, Storia, Lamateria della sua cultura è sempre quella: dritto ro mano, storia romana,antichità. La sua fisica è pitagorica, la sua metafisica è platonica,conciliata con la sua fede. Base della sua filosofia è l'Ente, l’Uno, Dio.Tutto viene da Dio, tutto torna a Dio, l'unum simplicissimum di Ficino. L'uomoe la natura sono le sue ombre, i suoi fenomeni, ecc. ecc.... ». Dentro a questacoltura e contro a queste credenze venne ad urtare Cartesio. La coltura non havalore: del passato bisogna far tavola. Datemi materia e moto, ed io farò ilmondo. Il vero te lo dà la scienza ed il senso. Cosa dive niva l'erudizione diVico, la fisica di Vico, la metafisica di Vico? cosa divenivano le idee divinedi Platone? e il simplicis simum di Ficino cosa diveniva? e il dritto romano,la storia, la tradizione, la filologia, la poesia, la rettorica non era piùbuona a nulla? Nella violenta contraddizione Vico sviluppo le sue forze, ecc.». 12 non poteva essere e non era elaborata dal suo pensiero senza l'aiuto dicerti princípi necessarî, che gli si ripre sentavano in ogni parte della storiada lui presa a medi tare. Un tempo gli era sembrato che le scienze morali,ragguagliate al metodo matematico, occupassero, quanto a sicurezza, l'infimoposto. Ora, nella quotidiana fami liarità con quelle scienze, gli venivaapparendo il con trario: niente di più sicuro del fondamento delle scienzemorali. Verum ipsum factum: « ove avvenga che chi fa le cose, esso stesso lenarri, ivi non può essere più certa l'istoria » Il nuovo pensiero italianos'afferma schiettamente storicista: il carattere della tradizione se guenteserba questo carattere: Cuoco, il discepolo di Vico in un'età caratterizzata dauna profonda negazione della storia, riaffermando l'italianismo, riafferma lastoria, Tutta la filosofia dell'autore della Scienza nova nasce da questascoperta, e questa scoperta nasce da un'affan nosa ricerca storica. Laresistenza a Cartesio, a Malebran che, al razionalismo francese sarebbe rimastaresistenza, cioè in parte incomprensione, se il Vico non avesse potuto superareCartesio stesso in una nuova visione della realtà. Solo la gran vita dellastoria, l'eterno farsi de' po poli, gli imperi che sorgono si mutano sisviluppano muoiono, solo l'analisi delle istituzioni politiche, del di ritto,delle religioni, delle lingue, delle arti ne' loro par ticolari potevano darglila superba certezza:... il pen siero si fa, il pensiero è in quanto diviene, inquanto ha una sua propria dinamica. Il vero è in quanto noi lo facciamo, inquanto lo rifacciamo pensandolo. Le scienze morali s'aprono a nuova vita. Soloin esse v'è perfetta scienza, vera conoscenza. « Il pensiero è moto che va daun termine all'altro, è idea che si fa, si realizza come (1 ) B. CROCE, Lafilosofia di Vico, Bari, Laterza, Vico, La scienza nuova giusta l'edizione, acura di Nicolini, Bari, Laterza GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli,Edizione della Critica] natura, e ritorna idea, si ripensa, si riconosce nelfatto. Perciò verum et factum, vero e fatto, sono convertibili; nel fatto viveil vero; il fatto è pensiero, è scienza; la storia è una scienza, e, come ci èuna logica per il moto delle idee, ci è anche una logica per il moto dei fatti,una storia ideale eterna, sulla quale corrono le storie di tutte le nazioni. Oraritorniamo al nostro argomento. Non interessava me tanto ridire quel che sulVico fino ad oggi si è detto e che coglie assai bene la génesi e il valoredella spe culazione del grande napoletano, se non per dimostrare come la nuovafilosofia d'Italia, il nuovo italianismo nasca da una vera e propria esperienzacritica ed erudita. Il Vico stesso nel De antiquissima italorum sapientia eslignuae latinae originibus eruenda aveva compiuto uno sforzo mirabile diricerca etimologica, che lo aveva por tato ad affermazioni di grande audacia enobiltà, se pure non accettabili, quale l'esistenza di una setta filosoficaitalica preromana, l'esistenza d’un'antica filosofia etrusca, generatrice d’unlinguaggio filosofico, che poi trascorse in altre lingue nostre, quali illatino, in cui si trovano singolari tracce altrimenti inspiegabili, filosofiaautoctona nostrana, antichissima, di cui Pitagora stesso sarebbe un fievoleepigono. Nella sua seconda gnoseologia il Vico rinnegherà il principioinformatore dell'opera: il linguag gio cessa d'essere in rapporto alla logica,trova la sua spiegazione « nei principi della poesia, cessa d'avere la suaorigine nella volontà per acquistare maggiore sponta neità e naturalezza, Maintanto resta acquisito lo sforzo vichiano della conquista d'un veroitalianismo pre latino e preellenico, sforzo in parte rinnegato dallo stessoautore, che trova al suo pensiero nuove vie, ma sforzo non perciò meno degno,dal punto di vista culturale nazionalista. È una riconquista dell'italianitànella tra [SANCTIS, Storia; CROCE, La filosofia di Vico; SPAVENTA, Prolusione eintroduzione alle lezioni di filosofia, Napoli, Vitale] dizione, nella storia.La storia è fatta dall' uomo: la storia d'Italia dagli italiani: trovare losviluppo della storia italiana significa trovare lo sviluppo di quella volontà,di quello spirito, di quelle idee, che formano il popolo nostro. Dai « rottamidell'antichità » nasce la storia italiana. Nel Nord della penisola la culturaera razionaliştica e cosmopolita. I dotti parlavano francese, non potevanosottrarsi all'influsso di Cartesio o di Locke. A Napoli invece la cultura èstorica e filosofica e particolaristica mente italiana, sebbene pur comprensivaed universale. Vico si sottrae al pensiero europeo, ritorna a Pita [Intendereil Vico e staccarlo in un certo senso dallo sfondo comune delsuo secolo ènecessario per colui, che voglia studiare la storia, in cui senza dubbio sonole origini della nuova Italia e del nuovo pensiero. Ciò non ha saputo fare, peresempio, Gabriele Maugain, autore di un dotto Étude sur l'évolution intel.lectuelle de l'Italie environ (Paris, Hachette), in cui ritorna ed insistel'antica tesi (carducciana tra l'altro ) d'una decadenza e di una stasi dellospirito nazionale durante un periodo più o meno lungo. Ma, se non accettiamoquesta visione parziale del fenomeno, come poi spiegarci tutta la fio rituradel secolo XIX? Dobbiamo crederla davvero, mancando una tradizione italica, unafioritura estrinseca, mero riflesso della cultura rivoluzionaria francese primae romantico -germa nica poi? O invece il periodo anzi detto è periodo diprepara zione metodica, e in esso sono i germi della nuova Italia? Questo vieneal pensiero di chi legge il libro accennato, in conclusione assai dotto edinteressante. Questo venne al pen siero di Giovanni Gentile, che nella Criticarecensì l'opera del Maugain (recensione riveduta e ristampata in Studi vichiani,Messina, Principato), e che, pur riconoscendo che nel complesso, se si eccettuila figura titanica del Vico, questa storia è una storia di cui non abbiamomolto a com piacerci, nota come il Maugain la renda più malinconica di quantonon sia. A prescindere dal fatto che proprio nell'età di cui si tratta fiorisceVico, e Vico per noi è il genio dell'Italia nuova, la tradizione insomma a cuiil succes sivo italianismo si ricollega, occorre pensare che dalla morterinascerà la vita, e si preparerà l'Italia che accoglierà la Rivoluzione, e siscuoterà tutta, e ri prenderà la sua via in tutte le manifestazioni della vitaspiri tuale, e si aprirà un varco nella politica de grandi Stati, e ri. sorgeràcome nazione ». Ora ciò sfugge all'autore del libro. 15] gora, a Platone, aifilosofi cristiani da un lato, dall'altro, come vedemmo, procede da sè, per unavia del tutto nuova. La Scienza nova è, come scolpì Sanctis, « la DivinaCommedia della scienza, la vasta sintesi, che riassume il passato e aprel'avvenire, tutta ancora in gombra di vecchi frantumi, dominati da uno spiritonuovo. Essa non è intesa per il momento, non importa ! Lo stesso Vico non sirende conto dei formidabili svi luppi che si trarranno dai suoi studi. Ma ilseme, get tato in glebe feconde, germoglierà. Il pensiero meridio L'Italiarinasce e si rinnova, dal cosmopolitismo antinazio nalistico nel culto d'ununiversale umano l'Italia diviene na zionalistica nel culto d'untradizionalismo più nostro, pur non dimenticando d'esaurire il mondo morale nellafilosofia del Vico, proprio nel periodo che al Maugain sembra morte e stasi.Ben nota il Gentile a proposito (Studi vichiani ). Non bisogna dimenticare chequella stessa che diciamo morte, è una morte relativa; ed è anch'essa vita,perchè condizione e momento di quella che dicesi vita: e senza intendere l'una,non è possibile giungere all' intendimento dell'altra. Tutto sta a non cercarela vita nella morte: e non volere una cosa nell'altra. Lastasi del periodostudiato dal Maugain non è il progresso della creazione, ma è pure progresso,se è la pre parazione del progresso ulteriore. Noi infatti non potremmointendere l'Italia nuova, nutrita dalla cultura europea compene trata con latradizione nostra, quale la troviamo p. e. nella poe sia del Foscolo enell'Italia tutta del tramonto e degli albori del seguente, [ quale la troviamo,mi permetta l ' illustre Maestro la chiosa, nel nostro CUOCO (si veda)] se lainnestassimo immediatamente all'Italia tutta italiana, crea trice in filosofiacome in arte, maestra ancora all'Europa tutta, e vivente di una vita spiritualesua, del 500 e del primo 600. L'Italia è l'Italia che accoglie il riflussodella cultura europea, su cui ha esercitato ella prima l'azione sto ricarinnovatrice: e in questo lavoro di riassorbimento, che dev'essere ed è anchereazione (esempio solenne Vico), è la vita sua nuova rispetto al passato. Ilsenso di questa vita nuova, se non m'inganno, non c'è nel libro del Maugain....». Precisamente così: può darsi che chi rilegga i fogli dei vari Giornali de'letterati vi ritrovi morte, ma chi trascorra le su date carte del Muratori e leinduzioni geniali del Vico non può che rinvenirvi la vita, e le origini grandidella nuova patria, la fonte onde trassero la linfa vitale Cuoco e Foscolo.SANCTIS, Storia] nale si ricollega tutto al Vico e col Vico medita i nuoviconcetti e i nuovi concreti problemi della storia e della vita; col Vico sipresenta, dopo la caduta d'una repub blica, ad incontrare il pensierosettentrionale per ani marlo, per storicizzarlo nella realtà dello spirito,donde nascerà la nuova cultura veramente nazionale, e non più lombarda toscananapoletana. Così solo si possono spiegare molti atteggiamenti della cultura diMonti e di Cesarotti, di Manzoni e di Foscolo. La tradizione vichiana è in finela tradizione del più puro italianismo. Da Napoli passerà a Milano, intantonotiamo come a Napoli stessa, nel suo centro ideale, là dove il genio diGiambattista s'era formato nell'umiltà borghese della vita d'ogni giorno, fraamarezze familiari, fra disavventure accademiche, fra l'incomprensione diquella che la retorica chiama alta cultura e poi non è che la più presuntuosasaccenteria, come a Napoli stessa questa tradizione non fu sempre dominante, nèsempre uguale, battuta in breccia dal francesismo, prima carte siano, poiilluminista, volterriano, ecc. Comprensione vera e propria, infine, il Vico nonebbe neppure in vita (1 ): immaginiamo, dunque, se dopo la morte del grande autore della Scienza nova la patria potesse intendere affatto l'oceanico spiritodel suo figliolo. « Certamente a Napoli, nel secolo decimottavo, ci fu in moltiuna confusa coscienza della grandezza dell'opera vichiana; ma in chepropriamente questa grandezza con sistesse non si poteva determinare, perchèfacevano an cora difetto l'esperienza e la preparazione adeguate. Lo stessodiscepolo ideale del Vico, colui che a, detta di Vincenzo Cuoco, solo puòcondurci al maestro, solo può servirci di guida per raggiungere i suoi voli,non fu immune da contaminazioni estrinseche: il vichismo in Mario Pagano èmescolato al nuovo sensismo francese (3 ). CROCE, La filosofia di Vico; Cfr.VINCENZO Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, Bari, LaterzaNella carriera sublime della 37 potè volgersi alla compilazione d'una legge -base per la repubblica, e architetto un progetto. Il lavoro porta nell'edizioneche ho sott'occhio il seguente titolo: Pro getto di costituzione dellarepubblica napoletana per Pagano, Logoteta e Cestari, ed è diviso in unRapporto del Comitato di Legislazione al Governo provvisorio, opera del Pagano,chè lo stile e tutto lo appalesa, e in una Dichiarazione dei diritti e doveridell'uomo, del cittadino, del popolo e de' suoi rap presentanti, a stendere laquale fu certo maxima pars il celebre autore dei Saggi politici. Per mezzo diVincenzo Russo il Pagano dovette farne pervenire una copia al Cuoco. Questirispose coi Frammenti (2 ). di uno scrittore. Potremmo a questo puntointraprendere una confutazione delle operazioni del Tria, ma non lo facciamo,per chè la confutazione scaturisce da tutto il nostro lavoro, e perchè giàfatta da N. RUGGIERI, e da M. ROMANO, op. 51 e sgg., i quali non hanno nullatralasciato per lu meggiare storicamente la complessa figura del molisano. Noiper conto nostro abbiamo insistito su questo punto per mettere in guardia illettore su certi atteggiamenti del Cuoco, che, certo in antitesi conl'atteggiamento del tempo suo, occorre valutare da un punto di vista moltoelevato, quasi metastorico, come quello che spesso trascende l'èra sua perincontrare nel passato e nell'avvenire la più vera essenza del popolo nostro. (1)Seguo per la Costituzione del Pagano l'edizione nap. del Rapporto al cittadinoCarnot sulla catastrofe napoletana del 1799 per LOMONACO, con @enni sulla vitadel l'autore, note e aggiunte di AYALA ed infine il Pro getto di costituzionedella repubblica napoletana per PAGANO,LOGOTETA E CESTARI, con note di LANZELLOTTI, Napoli, Lombardi; I Frammenti sicredono quasi certamente anteriori al Saggio, scritti quindi proprio durante larivoluzione, a meno che non si riesca a provare, il che non mi sembra facile,che siano stati scritti col Saggio o del tutto dopo. Del resto ideal mentevanno innanzi. RUGGIERI, li crede an ch'egli, scritti durante il tempo dellaPartenopea: a pag. 132 della sua monografia conferma il suo giudiziocronologico, e in nota dà notizie sulla bibliografia del Progetto del Pagano,inedito fino al giorno, in cui CUOCO (si veda) stampa il Saggio con l'ap.pendice dei Frammenti, pubblicato la prima volta a Napoli da Lancellotti,seguito da 30 note, 10 sue, 20 38 La critica al progetto ci mostra interol'animo di Vin cenzo Cuoco e la sua lucida netta precisa opposizione agliimmortali ed astratti princípi. Ma prima due parole su Russo. Potrebbe sembrareun puro caso che le lettere siano a lui indirizzate. Si dirà: una grande amicizia univa il Russo al Cuoco, amicizia d'antica data, in trinsichezza fraterna;si dirà: il Russo ha fatto pervenire all'amico studioso il Progetto dicostituzione, ond' egli ne prenda visione per le sue ricerche, quindi ènaturale che a lui sia diretta la critica ideale della legge. Sì, tutto ciò vabene, ma non bisogna dimenticare che proprio Vin cenzio Russo è ilrappresentante tipico dell'astratto rivo luzionarismo, di cui il nostro fa larequisitoria, proprio il Russo il corifeo dell'estremismo che il Cuoco detesta (1), proprio il Russo, il socialista che crede furto la proprietà che l'amicoinvece pone base della nuova società e del nuovo ordinamento civile, comediremo. Teniamo pre sente ciò e le lettere assumeranno un duplice valore, dicritica scientifica e giuridica, d'opposizione ad un si stema politicoculturale. Sono, ripeto, l'una contro l'altra due filosofie, due sistemi, ilsistema rivoluzionario, esu berante e fiducioso nel momentaneo trionfodell'idea, il sistema liberale moderato, più realistico, che solo nel tempolentamente spera di vedere sanzionata dalla storia la sua forza. Chi era Russo?.Basta leggere i suoi Pen del Cuoco, ripubblicato con le sedicenti note delLancellotti nella cit. edizione napoletana, ROMANO] crede i Frammenti anteriorial Saggio. Lo stesso il CROCE, La rivoluzione napoletana, CROCE, La rivoluzionenapoletana, p. 108 e sgg., scrive a proposito del Russo e del suo estremismo: «Certo, anche gli amici che gli volevano bene e l'avevano in grande stima per lasincerità e nobiltà dei suoi convincimenti, come il suo compagno della primagiovinezza Vincenzo Cuoco, non potevano appro vare la via senza uscita per laquale egli si era messo ». Su Russo vedi CROCE, La rivoluzione napoletana, pp.85-112; nonchè G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meri dionale, Laterza ed.,Bari, che ci offre una buona analisi del pensiero del 39 sieri politici, suiquali lo stesso Cuoco esprime nel Saggio un giudizio un po' incolore, sebbenene tra peli una critica, per intendere il suo astrattismo. Rileg giamo, aproposito, le parole di Benedetto Croce. Il suo sistema si fondava « sull'ideadi una repubblica popo lare, in cui ciascuno possederebbe un pezzo di terra dacoltivare direttamente e da trarne i mezzi di sussistenza. Non testamenti e nonatti tra vivi, e neanche succes E sioni legittime; alla morte del possessore laquota di lui sarebbe tornata alla repubblica per una nuova di stribuzione. Gliuffici esercitati dagli stessi cittadini agricoltori, epperò senza stipendio,altro che i mezzi di sussistenza a coloro cui fosse tolto il tempo di lavorarepersonalmente la terra; al qual uopo si sarebbero fatti leggieri prelevamentisulle quote dei coltivatori. L'in dustria, domestica e ridotta al puronecessario; e il com mercio ridotto, del pari, a permuta di cose necessarie.Nessun lusso di nessuna sorta; l'istruzione si sarebbe ristretta principalmentealla morale repubblicana e ai princípi dell'agricoltura. Nessuna religione,tranne forse « un tal quale vincolo di fratellanza nel centro di una ideasublimamente tenebrosa »; e quindi, non classe sa cerdotale. Non grandi città:una serie di piccoli villaggi costituirebbero le nazioni. E, tra le nazioni,non più guerre, tranne quelle per liberare le nazioni oppresse o per respingeretentativi di oppressione. Le nazioni, in unione tra loro, avrebbero poiformato, come termine ultimo, la « Società universale. Era nel Russo, come inmolti rivoluzionari, special l'insigne martire, specie nelle sue derivazionidal Leib nitz e dal Rousseau. Un sunto delle dottrine del Russo ci of fronoFIORINI e LEMMI. Il periodo napoleonico, Milano, Vallardi, Il giudizio (Saggio)è il seguente. La sua opera de Pensieri politici è una delle più forti che sipossano leggere. Egli ne preparava una seconda edizione, e l'avrebbe resa anchemigliore, rendendola più moderata ». In quel miglio ramento nella moderazionesta tutto CUOCO (si veda)! CROCE, La rivoluzione napoletana mente meridionali,un misto curiosissimo di anticlerica lismo e di romanità, di filosofia ellenicae di razionalismo moderno, di evangelicità e di naturalismo, che univa insiemeLeibniz e Mably, Condorcet e Bruno, Campa nella e Tacito, Platone e Saint- Just,un misto di fierezza spartana e di retorica petroliera, di rigidità catoniana edi montatura civica. Ma se guardiamo il Russo e la sua opera, non vi troveremocerto il gonfio anticlé ricalismo e le diatribe di Francesco Lomonaco, che potècol suo scilinguagnolo incantare il giovinetto Manzoni, ma non potè incantarela posterità; troveremo, invece, contrasti, contraddizioni, astrattismi, ma infondo un sistema, una volontà, un regime di vita e una aspira zione, sia purenon realizzata, al concreto. Nella prefazione ai suoi Pensieri politici scrive:« Io non ho volta la mente nè alle antiche repubbliche nè alle moderne, nonalle nuove nè alle vetuste legislazioni: ho consul tato nelle cose stesse laverità ». Quindi un desiderio di analizzare l'uomo ne'suoi bisogni specifici, esovra di essi fondare la sua repubblica, mentre i bisogni stessiindividualmente indeterminabili, concetti economici in sommo grado subiettivi,gli sfuggono. In fondo anche il Russo è un astratto e non si distingue dairepubblicani, se non per ingegno, non certo per diversità di metodo e dipratica politica. Basta rileggere i Pensieri e lo studio del Croce perconvincersi che i suoi concetti, democra tizzazione sistematica, educazionerepubblicana e sta tale, fraternità tra i popoli, sono quelli della generalità,La prima edizione dei Pensieri politici è di quando il Russo, esule da Napoli,trovavasi a Roma, e fu stampata per sottoscrizione:Pensieri politici di Russo,napolitano, Roma, presso il cittadino Poggioli, anno I della ri stabilitarepubblica Romana. L'opera fu ristampata in Milano (Milano, Tip. Milanese inStrada nuova); e poi ancora a Napoli (ed. a cura del D'Ayala ) (ed. a cura diPeluso con pref. di Marinis). Vedi a proposito B. CROCE, La rivoluzionenapoletana, CROCE, La rivoluzione napoletana, civile. Aggiungiamo a ciò quellasua ritrosia, quella specie di natural pigrizia, di cui abbiamo detto, ecomprende remo un altro elemento della solitudine di Vincenzo della sua critica.Ma la causa principale del suo atteg giamento negativo è sopra tutto, innanzitutto spirituale culturale. Che cosa è la rivoluzione per lui, nutrito di studicon creti d'economia e di storia? La documentazione della risposta sta in tuttoil Saggio storico, ma io credo che egli, sin dagli inizi del movimentosovversivo, dovesse pensarla come si espresse in seguito, altrimenti non sispiega in qual maniera egli abbia potuto in piena repub blica scrivere i suoiFrammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo, in risposta al Progetto dicostituzione di Mario Pa gano. Nella dedicatoria del suo Saggio, nella Letteradel l'autore a N.Q. scrive: « Come va il mondo ! Il re di Na poli dichiara laguerra ai francesi ed è vinto; i francesi conquistano il di lui regno e poil'abbandonano; il re ritorna e dichiara delitto capitale l'aver amata la patriamentre non apparteneva più a lui. Tutto ciò è avvenuto senza che io vi avessiavuto la minima parte, senza che neanche lo avessi potuto prevedere: ma tuttociò ha fatto sì che io sia stato esiliato, che sia venuto in Milano, dove, percerto, seguendo il corso ordinario della mia vita, non era destinato a venire,e che quivi, per non aver altro che fare, sia diventato autore. Tutto èconcatenato nel mondo, diceva Panglos: possa tutto esserlo per lo meglio! Eglidichiara che nella rivoluzione tutto si i è svolto senza che egli vi abbiaavuto nessuna parte, senza che egli vi sia intervenuto. L'affermazione è verasolo in quanto si sappia intenderla. Il Cuoco ha preso parte agli avvenimentipolitici del tempo, egli primo lo sa, e i nuovi studi lo confermano, anchequando per prudenza tace con il fine di non compromettere persone, che non vuolcompromettere. Nel capo I del suo Saggio, esplicando la natura del suo lavoro,studio di idee e non di fatti, con cui quasi intende prevenire il giudiziodella Cuoco, Saggio storico] posterità sugli avvenimenti, di cui è statospettatore e di cui imprende la narrazione, s'esprime diversamente. Dichiaroche non sono addetto » scrive « ad alcun par tito, a meno che la ragione el'umanità non ne ab biano uno. Narro le vicende della mia patria; raccontoavvenimenti che io stesso ho veduto e de quali sono stato io stesso un giornonon ultima parte; scrivo pei miei con cittadini, che non debbo, che non posso,che non voglio ingannare. Dunque di fatto l'autore stesso accetta la partecipazione. Che vuol dire? Cuoco sin dall'inizio della rivo luzione ha la coscienzadella passività di questa, in quanto è opera d'una classe colta, che ha suoibisogni speciali, più intellettuali che materiali, e non opera del popolo, ilvero agente delle grandi rivoluzioni; ha la coscienza della fatalità delmovimento repubblicano, in quanto non spontaneo, scaturito invece dacontraccolpi internazionali, che nessuno può evitare e dirigere; ma nellostesso tempo egli non può sottrarsi al terribile vortice che lo attrae, perchèla sua educazione e in parte la sua cultura sono quelle della classe dirigente,perchè conosce la nobiltà dei propositi di questa, perchè sa, e questo sovraogni altra cosa è decisivo, l'ignominia che da dieci anni in qua ha guidato iBorboni e i loro fa voriti, incapacità, cupidigia, sfrenatezza. La rivoluzioneper Vincenzo è davvero un fatale vortice. La parola « vortice » percaratterizzare la rivoluzione ricorre spesso ne'suoi scritti. Egli non necondivide le idee, ne critica la genesi, ne prevede la triste fine, ciò non pertanto non può sottrarsene perchè i suoi bisogni, la sua classe, la suaposizione sociale infallibilmente lo traggono ad una par tecipazione, che noipossiamo, come la rivoluzione stessa, chiamare passiva Nè basta ! Egli vede chela rivo luzione di Napoli è più francese che italiana; che gli uomini, che sonoalla testa della cosa pubblica, sono più CUOCO (si veda), Saggio storico, Oltrei brani citati cfr. Saggio storico, illuministi che non i pensatori francesi,che s ' astrag gono dalla realtà e costruiscono sull'acqua, alla ricerca d'unbene che dovrebbe provenire dalla pura ragione, senza nessi con i bisogniconcreti delle masse, senza legami con l'immanente vita pubblica, che vuoleessere soddisfatta con provvedimenti specifici e non con le pa role. Questo ilCuoco nota, e doveva aver già notato da un pezzo: fin dai primi processi ilgiovine Vincenzo ha dovuto notare l'astrattismo repubblicano, con sacrato delresto dal sangue de' martiri, e meditarlo aspramente, molto aspramente, se poidarà nel Saggio giudizi rudi contro i fanciulli e gli studenti infrancio sati. Queste poche osservazioni bastano a spiegarciil contegno di Vincenzo Cuoco nei grandi eventi, contegno di critica, dunque,dovuto ad un diverso tem peramento culturale, ad una vera antitesi o incompatibilità d'educazione e di metodo tra il nostro e i suoi compatrioti, non già,come qualche storico vuole (2), ad un vero e proprio antifrancesismo,antifrancesismo, che, se potè essere difesa de costumi e del pensiero italianocontro la moda straniera, non fu mai astio contro la nobile nazione gallica,nella quale anzi l'autore degli articoli del Giornale italiano, di cuiparleremo a lungo, ebbe grande fiducia per l'avvenire d'Italia. Questo puòspiegarci la natura dei Frammenti di lettere a Vincenzio Russo, che ci appaiononon l'appendice, come giusta mente nota il Romano, ma i precedenti solidi esobri del Saggio storico. Rosi; CROCE, La rivo luzione napoletana, ove troveraiabbondanti notizie sui primi movimenti sovvertitori a Napoli, sui primiprocessi, sulla morte eroica di De Deo, Vitaliani e Galiani. HAZARD. Prima diandare innanzi bisogna pur dire poche parole intorno ad una questionecuochiana. Si tratta d'un argomento già dibattuto e risolto, ma su cui metteconto indugiarsi, poi che la figura del nostro dal contrasto s'avvantaggia enon è menomata. U. Tria in una sua nota, Vincenzo Cuoco a propo sito di due suelettere inedite, pubblicata in Rassegna critica della 36 Dopo che il Governoprovvisorio di Napoli fu diviso in due commissioni, la legislativa el'esecutiva, la prima letteratura italiana, getta gravi ac cuse sulla figuramorale del molisano. Le lettere, sulle quali il Tria basa la sua requisitoriacontro il nostro autore, sono state alui date dal signor L.A.Trotta di Toro (Molise).« In tutte e due le lettere », scrive il Tria « il Cuoco di scorre liberamentecon il fratello (Michele Antonio] di sè stesso, dei suoi interessi, deiprogetti, delle speranze sue. Evidente mente egli non si angustiava del suoavvenire, non perchè le difficoltà incontrate aMilano fossero moltissime, ma,anelando egli a raggiungere una condizione migliore e più comoda degli indugisi infastidiva, e per sè stesso e per il vantaggio dei suoi, che sempre avevanel cuore. Nè gli studi sulla storia degli an tichi italiani, che proprio inquegli anni andava facendo, nè le vicende non liete della patria sua oppressa,nè il rumore degli inauditi successi di Napoleone lo distoglievano dal suoparticu lare, siccome avrebbe detto molto esattamente il Guicciardini ! », Cosiil Tria: e tutto ciò, perchè il povero Cuoco, pur tra le angu stie economichedell'esilio, rivolge il pensiero ai suoi cari ! Ma fin qui poco male, se ilTria, basandosi su alcune frasi dello scri vente, non avesse voluto gravar lamano anche sull'uomo poli tico. Vediamo prima di tutto le frasi incriminate. Inquel tempo il governo borbonico era disposto a concedere a CUOCO (si veda) ilperdono, ma egli lo rifiutò. « A che ritor nerei io in patria scrive l'esule alfratello. —- Se io fussi reo, accetterei un perdono: ma un uomo che non haavuto la viltà di far un delitto, un uomo che ha potuto esser condannato soloperchè si trovò strascinato in un vortice che egli odiava, ma a cui era impossibile resistere; un uomo in cui l' amor della patria, della pace, dellavirtù non sono parole, un tale uomo non deve cer tamente esser contento di unperdono che gli lascia sempre l'apparenza di reo ». Alte sublimi parole, chenon possiamo non raffrontare con quelle non meno alte e sublimi, con cui l'Alighieri rispondeva all'amico fiorentino, che gli annunciava l'umi liante graziadel sospirato ritorno in patria. Ebbene in esse il Tria vede un indice didisdegno verso la rivoluzione, dal Cuoco designata col nome di vortice. « Leparole sue» commenta, « hanno un certo sapore di pentimento e di ritrattazione,che non gli fanno onore: ora egli sconfessa gli atti e gli scatti del cittadinoCuoco, che pure, durante la Repubblica, s'era reso benemerito della patria; sidice un fuorviato, dimentica i compagni di lotta, di patimenti, li rinnega »,Abbiamo citato abbondevolmente dal Tria, tanto più per di mostrare come ci sidiscosti dal vero, quando, sedotti dalle ap parenze ci si abbandona ad esse,senza penetrare nello spirito 45 senso che le costituzioni siano una formazioneassoluta mente irriflessa e popolaresca, che il giurista osserva senzaintervenire, passivo, ma nel senso che non possano prescindere, sia pure quandosono opera di studio perso nale e di ricerca dotta, dalla concreta realtà dellanazione. La faccenda si chiarifica. La Volkseele dello Schelling, la coscienzagiuridica popolare del Savigny diventano, sono in Cuoco, più concreto epositivo, i bisogni del po polo, bisogni economici e materiali, religiosi emorali, qualcosa di più tangibile. « I nostri filosofi, » scrive « sono spessoillusi dall'idea di nu ottimo, che è il peggior nemico del bene. Se si volesseseguire i loro consigli, il mondo, per far sempre meglio, finirebbe col non farnulla. L'ottimo non è fatto per l'uomo. Costoro,ai quali accenna il critico, sono i rivoluzionari astratti, che credono ad ununiversale, che non è, e vanno tanto alto da perdere ogni contatto col mondo.Una costituzione non può scaturire dal cervello di un uomo, come Pallade dalcervello di Giove, armata e folgorante; deve sorgere dopo mature riflessioni,sulla natura della nazione deve avere una base. « Questa base deve poggiare sulcarattere della nazione, deve precedere la costituzione; e mentre con questa sidetermina il modo in cui una nazione debba esercitare la sua sovra nità, videbbono esser molte cose più sacre della costi tuzione istessa, che il sovrano,qualunque sia, non deve poter alterare. Nessuno può « törre al popolo tutti isuoi costumi, tutte le sue opinioni, tutti gli usi suoi, che io chiamerei basedi una costituzione. CUOCO (si veda), se osserviamo bene la questione,distingue due momenti: una elaborazione incosciente del popolo che creaistituti giuridici, per consuetudine, desumendoli dalla sua stessa essenza; unaelaborazione cosciente e riflessa, che sistematizza e regola ciò che nel popoloera mera pratica senza norma. Questi due momenti si compene Framm. trano e sonoindispensabili. La consuetudine, senza la legge, può divenire anarchia, dominiodella volontà parti colare. La legge, che astragga dalla volontà dei singoli, èmera parola, generalità senza significato. Siamo lon tani dallo storicismotedesco dell'Hugo e del Savigny. La base, alla quale accenniamo, è d'una grandecom plessità. Il costituzionalista, in particolare il legislatore, deve avereriguardo non solo ai costumi, agli usi, alla religione, ai bisogni economici,ma anche ai pregiudizi, ai difetti, ai mali del popolo. La vita non è ottima,nè buona: è male e dolore. Gli uomini sono buoni e cattivi, generosi edegoisti, eroi e birbanti. Il più grave pericolo è che il legislatore, piùfilosofo che uomo politico, alla ricerca dell'eterno dimentichi il transeunte,alla ricerca dell'ottimo dimentichi il buono, creda non esservi il male. Lecostituzioni debbono parlare alla fantasia e ai sensi dei popoli, avere unacerta solennità, quasi un ele mento sacro, perchè « dopo le sue opinioni ed isuoi costumi, il popolo nulla ha di più caro che le apparenze della regolaritàe dell'ordine. È un consiglio di este riorità. Poco importa ! Le plebi amano l'esteriorità.« Quelle leggi sono più rispettate dal popolo, che con mag giori solennitàesterne colpiscono i sensi. Dunque, ammesso che un legislatore possa dare unacostituzione, interpretando più che sia possibile le esi genze di una nazione,come potrà e dovrà egli compor tarsi?.Un popolo ha dei costumi. « Non vi ènazione quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia de costumi, checonvien conservare; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale nonabbia molte parti convenienti ad un governo libero. Ogni popolo che oggi èschiavo fu libero una volta.... Quanto più pesante sarà la schiavitù di unpopolo, tanto più questi avanzi degli altri tempi gli saran cari; perchè nonmai tanto, quanto tra le avversità, ci son care le memorie dei tempi felici.Quanto più il governo che voi distruggete è stato Framm. Ibarbaro, tanto piùnumerosi avanzi voi rinvenite di an tichi costumi; perchè il governo, urtandotroppo violen temente contro il popolo, l'ha quasi costretto a trince rarsi trale sue antiche istituzioni, nè ha rinvenuto nei nuovi avvenimenti ragione diseguirli e di abbandonare ed obbliare gli antichi. Nello sviluppo storico nullasi perde completamente: l'evoluzione vitale degli uomini e delle istituzioni loroè trasformazione e non distruzione, onde sotto la scorza della modernità sipossono ritrovare i nuclei ancor verdi dell'antico. La tradizione non è unculto senza dèi, pro prio de' letterati e de ’ filosofi, è la vita dellanazione, è quel che di più sacro essa ha, poi che rappresenta la suacontinuità. Ciò non deve dimenticare il legislatore, come colui che è piùvicino al palpito dei popoli, dovendo re golare le manifestazioni più svariatedella loro attività privata e pubblica. « Questi avanzi di costumi e governo dialtri tempi, che in ogni nazione s ' incontrano, sono preziosi per unlegislatore saggio, e debbono formar la base dei suoi ordini nuovi. Il popoloconserva sempre molto rispetto per tutto ciò che gli viene dai suoi mag giori;rispetto che produce talora qualche male, e spesso grandissimi beni. Ma coloro,che vorrebbero distruggerlo, non si avvedono che distruggerebbero in tal modoogni fondamento di giustizia ed ogni principio d'ordine so ciale? Noi nonpossiamo più far parlare gli dèi come i legislatori antichi facevano: facciamoalmeno parlare gli eroi, che agli occhi dei popoli son sempre i loro antichi.Un popolo, il quale cangiasse la sua costituzione per solo amor di novità, nonpotrebbe far altro di meglio, che darsi una costituzione all'anno. Ma, perbuona sorte, un tal popolo non esiste che nella fantasia di qualche filosofo. Unlegislatore quindi può realmente fare del bene alla nazione, ma deve seguire lanatura, cioè la na zione stessa nel suo spirito, e trarre da essa il sistemacostituzionale, non il sistema costituzionale da princípi Framm. che non sononella natura, ma nella testa dei filosofi. « Tutto è perduto quando unlegislatore misura la infi nita estensione della natura colle piccoledimensioni della sua testa, e che, non conoscendo se non le sue idee, gira perla terra come un empirico col suo segreto, col quale pretende medicar tutt'imali. CUOCO (si veda) ci si presenta come un tradizionalista e un moderato. Nonbisogna distruggere per distruggere, perchè si può perdere il buono per unproblematicissimo ottimo; non bisogna atterrare, perchè non sempre si puòricostruire; non bisogna aprire un novus ordo, perchè i novi ordines deifilosofi sono in cielo e non in terra. Bi sogna costruire su quel che già è,edificare sulle fonda menta della storia, che non soffre soluzioni dicontinuità, riformare e non distruggere. « Io non credo la costitu zioneconsistere in una dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Essa èqualcosa di più profondo: è il popolo, il quale da sè stesso trae le normeregolatrici della sua esistenza, della sua attività, della felicità. « E chinon sa i suoi diritti? Ma gran parte degli uomini li cede per timore;grandissima li vende per interesse: la costituzione è il modo di far sì chel'uomo sia sempre in uno stato da non esser nè indotto a venderli, nè costrettoa cederli, nè spinto ad abusarne. Ciò è possibile solo in quanto lacostituzione assicuri un medio benessere, attinga quella umana felicità, allaquale abbiamo ac cennato. Le rivoluzioni nascono da un malessere economicogeneralizzato. Le costituzioni post-rivoluzionarie debbono ristabilirel'equilibrio, il benessere, l'armonia, la vita pa cifica ed operosa. Per fareciò bisogna intendere le esi genze e i bisogni della nazione, i suoi costumi,il suo carattere. Ecco perchè Cuoco ci dice che, se egli fosse invitato a darleggi ad un popolo, vorrebbe prima stu diarlo e conoscerlo; ecco perchè Cuococi dice che egli Framm. forse più accentuati da una dinamica naturale d'oratore, da un estremismo fervente, che voleva, credo, far dimenticare in una vitaintemeratamente vissuta un istante di antica debolezza (1). Queste esagerazioninon sono proprie del tempera mento meridionale, ed in genere italiano. Ma, comebene osserva il Romano, calcando un giudizio di Zito, mentre all'inizio delmovimento, i nostri alle teorie nuove davano di proprio la misura e la calma,in seguito invece l'intrepidezza deduttiva propria del tempera mento francese,non trovò più freni neppur da noi, e sovente le dottrine non furono sottopostea tentativi di analisi e di giudizio. Ed è proprio così ! Anche Pagano, mentegeniale e solida, è travolto dalla corrente e segue l'andazzo. Il suo vichismonon è coerente a sè stesso, e risente gli influssi esterni, e, se pure glistudi suoi non sono pura speculazione metafisica, « giovevole se mai nellascuola e presso che inutile, se non pure dan nosa, nell'attrito reale delgoverno di uno Stato, è certo però che il grande autore del Processo criminalesi mostrò insufficiente all'ardua opera della ricostru zione. Dare lacostituzione ad un popolo è l'opera più grande che un uomo possa a sè stessoassegnare, opera da far tremare le vene e i polsi non solo ai legislatori dioggi, ma a menti divine, come quelle di Platone e di Aristo tele. Lacostituzione non può essere una sovrastruttura, che i dirigenti impongano ad unpopolo, perchè le costi tuzioni non si dànno ab externo, ma si formano nellecoscienze prima che sulla carta, e, se pure si impongono, non si reggono sullearmi e sui fucili. Il popolo è una realtà concreta viva palpitante, ne' suoimolteplici bi sogni, ne ' suoi desiderî, ne' suoi costumi, ne' suoi pre CROCE,La rivoluzione napoletana, Zito, Vita cd opere di Pagano, Potenza, Garramone,ROMANO. Il giudizio sull'opera di Pagano è eccessivo e non può esseresenz'altro condiviso da noi. 42 giudizi. Egli non sopporterà mai una legge, chenon intende la sua intima vita e il suo benessere, che tra scenda la suanatura. « Le costituzioni sono simili alle vesti: è necessario che ogniindividuo, che ogni età di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale, setu vorrai dare ad altri, starà male. Non vi è veste, per quanto sia mancante diproporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cuisieda bene; ma, se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorchè essasia misurata sulla statua modellaria di Poli clete, troverai sempre che ilmaggior numero è più alto, più basso, più secco, più grasso, e non potrà faruso della tua veste. Non esiste un ottimo costituzionale, esi ste un buonorelativo alla vita delle singole genti. « Le costituzioni si debbono fare pergli uomini quali sono e quali eternamente saranno, pieni di vizi, pieni di errori; imperocchè tanto è credibile che essi voglian de porre que' loro costumi,che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che iocredo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio chepretendesse accorciare il piede di colui cui avesse fatta corta una scarpa. Idue raffronti con la veste e la scarpa, tratti dal mondo fisico, sono d'unaevidenza mirabile. Il legislatore deve intendere il popolo, e costruire sullabase dei bisogni del popolo. Il popolo non parla. Ma per lui parla tutto,costumi, usanze, religione, pregiudizi, vizi. Le costituzioni non si fanno neigabinetti e negli studî, nelle scuole e nelle accademie, nascono da sè, sottol'impulso di concrete esigenze dell'anima collettiva, o più vichianamente dellacollettività, e il legislatore non può essere che un interprete di essacollettività, della (1 ) Seguo il già citato testo di NICOLINI, edito dalLaterza di Bari, che come tutte le altre ed. cuochiane, porta i Fram menti dilettere a Russo in appendice al Saggio. Per le ci tazioni basterà quindi lasigla Framm. seguita dal numero d’ordine I o II ecc., e dalla paginadell'edizione barese, Framm. sono suacoscienza, non già il saggio che dal suo cielo di sa pienza impone norme enomi. L'obietto delle costituzioni sono gli uomini, e gli uomini sono pieni divizi, pieni di errori. Ora, chi si propone di legiferare deve prendere gliuomini, come sono, e non andare alla ricerca di un ottimo, che in na tura nonè, contentarsi di rendere felici gli uomini, e ren dere felici gli uomini sipuò solo, soddisfacendo alla loro natura, che è un misto di buono e di cattivo,d'eticità e di pregiudizi, di religione e di ferocia. Siamo, come ognun vede,penetrati nel pieno della critica cuochiana, ma la mia mente, riflettendo suqueste acutissime osservazioni, non può non instaurare un pa ragone tra ilrelativismo giuridico del nostro e lo stori cismo germanico di Hugo e Savigny.È curioso ! Negli stessi anni, nell' infierire della rivoluzione francese, oquando ancor fresche ne le conseguenze, con basi, cultura diametralmentediverse, con intendimenti presso che uguali, scrivono in Italia il Cuoco, inInghilterra il Burke, le di cui Riflessioni sulla rivoluzione francese sono publicati,in Germania l'Hugo che nello stesso anno formula in un suo libro quei princípi,che poi il Savigny, nella polemica col Thibaut, svilupperà nell'operetta: Dellavocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza. Ma tra ilSavigny e l'illuminismo rivoluzionario c'è uno sviluppo continuo di pensierogermanico, tra il Cuoco e la rivoluzione non c'è transizione, poi che egliscrive i Frammenti nella rivoluzione stessa, quando già i san fedisti di Ruffosono alle porte della città. Notiamo però come un certo parallelo c'è: ilnostro si ricollega al Vico, tradizione perenne d'italianità; il Savigny parladi una coscienza giuridica popolare, che non può non tro vare la sua originenella filosofia idealista tedesca, Schel ling e Hegel, ai quali il grandegiurista si ricollegano. Guardiamo brevemente la questione. Col Cuoco siamo daun punto di vista filosofico giuridico più innanzi, ma il parallelismo nonmanca. Che cosa è il diritto per il Sa vigny che combatte l'unificazionelegislativa e la codificazione proposta dal Thibaut? Non certo un quidastratto, vivo nel solo pensiero del legislatore. Il diritto ha úna vita suapropria nella vita d'ogni giorno, che non è che consuetudine irriflessa epratica comune. Ricor diamo lo Schelling: il principio dello spiritocollettivo, principio animatore in perpetuo divenire, si sviluppa dalla suafilosofia, dall'evoluzione stessa della natura nell'infinita sua produttività,concepita non più come mero oggetto, ma come soggetto, nucleo di sviluppo ditutto il pensiero germanico, che dal dualismo di Kant risolve il problema,attraverso Schelling, in Hegel, ul tima conseguenza della posizione kantiana.Il concetto evolutivo della natura trascorre nel diritto. Il diritto è lamanifestazione d'una coscienza giuridica che è nel popolo, il quale popolo hauna sua anima (la Volkseele dello Schelling ), che determina la morale, l'arte,il lin guaggio, e così pure il diritto e la costituzione politica. Quel chenello Schelling è generalmente accennato all'ori gine della costituzione edegli ordini civili, nel Savigny è applicato ad una questione concreta: seconvenga im mobilizzare il diritto, elaborazione istintiva e irriflessa, vivanella consuetudine, in un sistema di codici. Donde una illazione: lacostituzione, legge fondamentale, non può che essere la risultanted’un'elaborazione incosciente del popolo, che il legislatore può cogliere edinquadrare per princípi, ma non ex novo, così come il grammatico studia lalingua già formata e non crea la lingua. CUOCO (si veda) più concretamente non arriva alle conclusioniun po' anarchiche del Savigny, il quale in reazione ad una filosofia chepretendeva di sistematizzare e creare tutto a fil di logica, si appalesa ostilead ogni costituzione scritta, come ad ogni codificazione; il Cuoco ammette invece che un legislatore possa compilare un progetto di costituzione. Ma come?Il legislatore deve interpretare i bisogni del popolo, alla felicità del qualevuol provve dere. Il principio base è uno. « Le costituzioni durevoli sonoquelle che il popolo si forma da sè. Ciò non nel Framm. civile. Aggiungiamo aciò quella sua ritrosia, quella specie di natural pigrizia, di cui abbiamodetto, e comprende remo un altro elemento della solitudine di Vincenzo e dellasua critica. Ma la causà principale del suo atteg giamento negativo è sopratutto, innanzi tutto spirituale culturale. Che cosa è la rivoluzione per lui,nutrito di studi con creti d'economia e di storia? La documentazione dellarisposta sta in tutto il Saggio storico, ma io credo che egli, sin dagli inizidel movimento sovversivo, dovesse pensarla come si espresse in seguito,altrimenti non si spiega in qual maniera egli abbia potuto in piena repub blicascrivere i suoi Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo, in risposta alProgetto di costituzione di Mario Pa gano. Nella dedicatoria del suo Saggio,nella Lettera del l'autore a N.Q. scrive: « Come va il mondo ! Il re di Na polidichiara la guerra ai francesi ed è vinto; i francesi conquistano il di luiregno e poi l'abbandonano; il re ritorna e dichiara delitto capitale l’averamata la patria mentre non apparteneva più a lui. Tutto ciò è avvenuto senzache io vi avessi avuto la minima parte, senza che neanche lo avessi potutoprevedere: ma tutto ciò ha fatto sì che io sia stato esiliato, che sia venutoin Milano, dove, per certo, seguendo il corso ordinario della mia vita, non eradestinato a venire, e che quivi, per non aver altro che fare, sia diventatoautore. Tutto è concatenato nel mondo, diceva Panglos: possa tutto esserlo perlo meglio! Egli dichiara che nella rivoluzione tutto si è svolto senza che eglivi abbia avuto nessuna parte, senza che egli vi sia intervenuto. L'affermazioneè vera solo in quanto si sappia intenderla. Il Cuoco ha preso parte agliavvenimenti politici del tempo, egli primo lo sa, e i nuovi studi loconfermano, anche quando per prudenza tace con il fine di non comprometterepersone, che non vuol compromettere. Nel capo I del suo Saggio, esplicando lanatura del suo lavoro, studio di idee e non di fatti, con cui quasi intendeprevenire il giudizio della. Cuoco, Saggio storico] posterità sugli avvenimenti,di cui è stato spettatore e di cui imprende la narrazione, s'esprimediversamente. « Dichiaro che non sono addetto » scrive « ad alcun par tito, ameno che la ragione e l'umanità non ne ab biano uno. Narro le vicende della miapatria; racconto avvenimenti che io stesso ho veduto e de'quali sono stato iostesso un giorno non ultima parte; scrivo pei miei con cittadini, che nondebbo, che non posso, che non voglio ingannare. Dunque di fatto l'autore stessoaccetta la partecipa zione. Che vuol dire? Cuoco sin dall'inizio della rivoluzione ha la coscienza della passività di questa, in quanto è opera d'unaclasse colta, che ha suoi bisogni speciali, più intellettuali che materiali, enon opera del popolo, il vero agente delle grandi rivoluzioni; ha la coscienzadella fatalità del movimento repubblicano, in quanto non spontaneo, scaturitoinvece da contraccolpi internazionali, che nessuno può evitare e dirigere; manello stesso tempo egli non può sottrarsi al terribile vortice che lo attrae,perchè la sua educazione e in parte la sua cultura sono quelle della classedirigente, perchè conosce la nobiltà dei propositi di questa, perchè sa, equesto sovra ogni altra cosa è decisivo, l'ignominia che da dieci anni in quaha guidato i Borboni e i loro fa voriti, incapacità, cupidigia, sfrenatezza. Larivoluzione per Vincenzo è davvero un fatale vortice. La parola « vortice » percaratterizzare la rivoluzione ricorre spesso ne' suoi scritti. Egli non necondivide le idee, ne critica la genesi, ne prevede la triste fine, ciò non pertanto non può sottrarsene perchè i suoi bisogni, la sua classe, la suaposizione sociale infallibilmente lo traggono ad una par tecipazione, che noipossiamo, come la rivoluzione stessa, chiamare passiva Nè basta ! Egli vede chela rivo luzione di Napoli è più francese che italiana; che gli uomini, che sonoalla testa della cosa pubblica, sono più Cuoco, Saggio storico, Oltre i branicitati cfr. Saggio storico] illuministi che non i pensatori francesi, che s ’astrag gono dalla realtà e costruiscono sull’acqua, alla ricerca d'un bene chedovrebbe provenire dalla pura ragione, senza nessi con i bisogni concreti dellemasse, senza legami con l'immanente vita pubblica, che vuole essere soddisfattacon provvedimenti specifici e non con le pa role. Questo il Cuoco nota, edoveva aver già notato da un pezzo: fin dai primi processi del '94 il giovineVin cenzo ha dovuto notare l'astrattismo repubblicano, con sacrato del restodal sangue de' martiri, e meditarlo aspramente, molto aspramente, se poi darànel Saggio giudizi rudi contro i fanciulli e gli studenti infrancio sati (1 ).Queste poche osservazioni bastano a spiegarci il contegno di Vincenzo Cuoco neigrandi eventi del 1799, contegno di critica, dunque, dovuto ad un diverso temperamento culturale, ad una vera antitesi o incompati bilità d'educazione e dimetodo tra il nostro e i suoi compatrioti, non già, come qualche storico vuole (2),ad un vero e proprio antifrancesismo, antifrancesismo, che, se potè esseredifesa de costumi e del pensiero italiano contro la moda straniera, non fu maiastio contro la nobile nazione gallica, nella quale anzi l'autore degliarticoli del Giornale italiano, di cui parleremo a lungo, ebbe grande fiduciaper l'avvenire d'Italia. Questo può spiegarci la natura dei Frammenti dilettere a Vincenzio Russo, che ci appaiono non l'appendice, come giusta mentenota il Romano, ma i precedenti solidi e sobri del Saggio storico. Rosi, CROCE,La rivo luzione napoletana, ove troverai abbondanti notizie sui primi movimentisovvertitori a Napoli, sui primi processi, sulla morte eroica di De Deo,Vitaliani e Galiani. HAZARD, op. cit., 219 e sgg. (3) Prima di andare innanzibisogna pur dire poche parole intorno ad una questione cuochiana. Si trattad'un argomento già dibattuto e risolto, ma su cui mette conto indugiarsi, poiche la figura del nostro dal contrasto s’avvantaggia e non è menomata. U. Triain una sua nota, Vincenzo Cuoco a propo sito di due sue lettere inedite,pubblicata in Rassegna critica della [Dopo che il Governo provvisorio di Napolifu diviso in due commissioni, la legislativa e l'esecutiva, la primaletteratura italiana] getta gravi ac cuse sulla figura morale del molisano. Lelettere, sulle quali il Tria basala sua requisitoria contro il nostro autore,sono state alui date dal signor Trotta di Toro (Molise). « In tutte e due lelettere », scrive il Tria « il Cuoco di scorre liberamente con il fratello[Michele Antonio] di sè stesso, dei suoi interessi, dei progetti, dellesperanze sue. Evidente mente egli non si angustiava del suo avvenire, nonperchè le difficoltà incontrate aMilano fossero moltissime, ma, anelando egli araggiungere una condizione migliore e più comoda degli indugi si infastidiva,eper sè stesso e per il vantaggio dei suoi, che sempre aveva nel cuore. Nè glistudi sulla storia degli an tichi italiani, che proprio in quegli anni andavafacendo, nè le vicende non liete della patria sua oppressa, nè il rumore degliinauditi successi di Napoleone lo distoglievano dal suo particu, lare, siccomeavrebbe detto molto esattamente il Guicciardini ! ». Cosi il Tria: e tutto ciò,perchè il povero Cuoco, pur tra le angu stie economiche dell'esilio, rivolge ilpensiero ai suoi cari ! Ma fin qui poco male, se il Tria, basandosi su alcunefrasi dello scri. vente, non avesse voluto gravar la mano anche sull’uomo politico. Vediamo prima di tutto le frasi incriminate. In quel tempo, siamo tra il1871 e il 1802, il governo borbonico era disposto a concedere al Cuoco ilperdono, ma egli lo rifiutò. « A che ritor nerei io in patria — scrive l’esuleal fratello. - Se io fussi reo, accetterei un perdono: ma un uomo che non haavuto la viltà di far un delitto, un uomo che ha potuto esser condannato soloperchè si trovò strascinato in un vortice che egli odiava, ma a cui era impossibile resistere; un uomo in cui l ' amor della patria, della pace, dellavirtù non sono parole, un tale uomo non deve cer tamente esser contento di unperdono che gli lascia sempre l'apparenza di reo ». Alte sublimi parole, chenon possiamo non raffrontare con quelle non meno alte e sublimi, con cui l'Alighieri rispondeva all'amico fiorentino, che gli annunciava l'umi liante graziadel sospirato ritorno in patria. Ebbene in esse il Tria vede un indice didisdegno verso la rivoluzione, dal Cuoco designata col nome di vortice. « Leparole sue» commenta, « hanno un certo sapore di pentimento e di ritrattazione,che non gli fanno onore: ora egli sconfessa gli atti e gli scatti del cittadinoCuoco, che pure, durante la Repubblica, s'era reso benemerito della patria; sidice un fuorviato, dimentica i compagni di lotta, di patimenti, li rinnega ».Abbiamo citato abbondevolmente dal Tria, tanto più per di mostrare come ci sidiscosti dal vero, quando, sedotti dalle ap parenze ci si abbandona ad esse,senza penetrare nello spirito 37 potè volgersi alla compilazione d’una legge-base per la repubblica, e architetto un progetto. Il lavoro porta nell'edizioneche ho sott'occhio il seguente titolo: Pro getto di costituzione dellarepubblica napoletana del 1799 per Mario Pagano, Giuseppe Logoteta e GiuseppeCestari (1 ), ed è diviso in un Rapporto del Comitato di Legislazione alGoverno provvisorio, opera del Pagano, chè lo stile e tutto lo appalesa, e inuna Dichiarazione dei diritti e doveri dell'uomo, del cittadino, del popolo ede' suoi rap presentanti, a stendere la quale fu certo maxima pars il celebreautore dei Saggi politici. Per mezzo di Vincenzo Russo il Pagano dovette farnepervenire una copia al Cuoco. Questi rispose coi Frammenti (2 ). di unoscrittore. Potremmo a questo punto intraprendere una confutazione delleoperazioni del Tria, ma non lo facciamo, per chè la confutazione scaturisce datutto il nostro lavoro,e perchè già fatta da N. RUGGIERI, op. cit., p. 34 e sgg.e da ROMANO, op. cit., p. 51 e sgg., i quali non hanno nulla tralasciato per lumeggiare storicamente la complessa figura del molisano. Noi perconto nostroabbiamo insistito su questo punto per mettere in guardia il lettore su certiatteggiamenti del Cuoco, che, certo in antitesi con l'atteggiamento del temposuo, occorre valutare da un punto di vista molto elevato, quasi metastorico,come quello che spesso trascende l'èra sua per incontrare nel passato enell'avvenire la più vera essenza del popolo nostro. (1 ) Seguo per laCostituzione del Pagano l'edizione nap. del 1861, Rapporto al cittadino Carnotsulla catastrofe napoletana del 1799 per FRANCESCO LOMONACO, con cenni sullavita del l'autore, note e aggiunte di MARIANO D'AYALA ed infine il Pro getto dicostituzione della repubblica napoletana del 1799 per PAGANO, LOGOTETA eCESTARI, con note di LANZELLOTTI, Napoli, Tip. di M. Lombardi. (2 ) I Frammentisi credono quasi certamente anteriori al Saggio, scritti quindi proprio durantela rivoluzione, a meno che non si riesca a provare, il che non mi sembra facile,che siano stati scritti col Saggio o del tutto dopo. Del resto ideal mentevanno innanzi. N. RUGGIERI, op. cit., p. 17, li crede an ch'egli, scrittidurante il tempo della Partenopea: a pag. 132 della sua monografia conferma ilsuo giudizio cronologico, in nota dà notizie sulla bibliografia del Progettodel Pagano, inedito fino al giorno, in cui il Cuoco stampa il Saggio con l'ap.pendice dei Frammenti, pubblicato la prima volta a Napoli nel 1820 da AngeloLancellotti, seguito da 30 note, 10 sue, 20 38 La critica al progetto ci mostraintero l'animo di Vin cenzo Cuoco e la sua lucida netta precisa opposizioneagli immortali ed astratti princípi. Ma prima due parole su Vincenzio Russo.Potrebbe sembrare un puro caso che le lettere siano a lui indirizzate. Si dirà:una grande ami cizia univa il Russo al Cuoco, amicizia d'antica data, intrinsichezza fraterna; si dirà: il Russo ha fatto pervenire all'amico studiosoil Progetto di costituzione, ond' egli ne prenda visione per le sue ricerche,quindi è naturale che a lui sia diretta la critica ideale della legge. Sì,tutto ciò va bene, ma non bisogna dimenticare che proprio Vin cenzio Russo è ilrappresentante tipico dell'astratto rivo luzionarismo, di cui il nostro fa larequisitoria, proprio il Russo il corifeo dell'estremismo che il Cuoco detesta (1), proprio il Russo, il socialista che crede furto la proprietà che l'amicoinvece pone base della nuova società e del nuovo ordinamento civile, comediremo. Teniamo pre sente ciò e le lettere assumeranno un duplice valore, dicritica scientifica e giuridica, d'opposizione ad un si stema politicoculturale. Sono, ripeto, l'una contro l'altra due filosofie, due sistemi, ilsistema rivoluzionario, esu berante e fiducioso nel momentaneo trionfodell'idea, il sistema liberale moderato, più realistico, che solo nel tempolentamente spera di vedere sanzionata dalla storia la sua forza. Chi eraVincenzio Russo? (2 ). Basta leggere i suoi Pen del Cuoco, ripubblicato conlesedicenti note del Lancellotti nella cit. edizione napoletana del '61. IlROMANO, op. cit., p. 22 e p. 62 e sgg. crede i Frammenti anteriori al Saggio.Lo stesso il CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 108. (1 ) B. CROCE, Larivoluzione napoletana, p. 108 e sgg., scrive a proposito del Russo e del suoestremismo: « Certo, anche gli amici che gli volevano bene e l'avevano ingrande stima per la sincerità e nobiltà dei suoi convincimenti, come il suocompagno della prima giovinezza Vincenzo Cuoco non potevano appro. vare la viasenza uscita per la quale egli si era messo ». (2 ) Su V. Russo vedi B. CROCE,La rivoluzione napoletana, pp. 85-112; nonchè G. DE RUGGIERO, Il pensieropolitico meri dionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza ed., Bari, 1922, p. 120 esgg., che ci offre una buona analisi del pensiero del, 39 sieri politici, suiquali lo stesso Cuoco esprime nel Saggio un giudizio (1 ) un po ' incolore,sebbene ne tra peli una critica, per intendere il suo astrattismo. Rileg giamo,a proposito, le parole di Benedetto Croce. Il suo sistema si fondava «sull'idea di una repubblica popo lare, in cui ciascuno possederebbe un pezzo diterra da coltivare direttamente e da trarne i mezzi di sussistenza. Nontestamenti e non atti tra vivi, e neanche succes sioni legittime; alla mortedel possessore la quota di lui sarebbe tornata alla repubblica per una nuova distribuzione. Gli uffici esercitati dagli stessi cittadini agricoltori, epperòsenza stipendio, altro che i mezzi di sussistenza a coloro cui fosse tolto iltempo di lavorare personalmente la terra; al qual uopo si sarebbero fattileggieri prelevamenti sulle quote dei coltivatori. L'in dustria, domestica eridotta al puro necessario; e il com mercio ridotto, del pari, a permuta dicose necessarie. Nessun lusso di nessuna sorta; l'istruzione si sarebberistretta principalmente alla morale repubblicana e ai princípidell'agricoltura. Nessuna religione, tranne forse « un tal quale vincolo difratellanza nel centro di una idea sublimamente tenebrosa »; e quindi, nonclasse sa cerdotale. Non grandi città: una serie di piccoli villaggicostituirebbero le nazioni. E, tra le nazioni, non più guerre, tranne quelleper liberare le nazioni oppresse o per respingere tentativi di oppressione. Lenazioni, in unione tra loro, avrebbero poi formato, come termine ultimo, la «Società universale » (2 ). Era nel Russo, come in molti rivoluzionari, speciall ' insigne martire del '99, specie nelle sue derivazioni dal Leib nitz e dalRousseau. Un sunto delle dottrine del Russo ci of. frono V. FIORINI e F. LEMMI.Il periodo napoleonico dal 1799 al 1815, Milano, Vallardi, s. d., p. 167 e sgg.(1 ) Il giudizio (Saggio, L, p. 209) è il seguente: « La sua opera de Pensieripolitici è una delle più forti che si possano leggere. Egli ne preparava unaseconda edizione, e t'avrebbe resa anchemigliore, rendendola più moderata ». Inquel miglio ramento nella moderazione sta tutto Cuoco ! (2) B. CROCE, Larivoluzione napoletana, p. 90 e sgg. 40 mente meridionali, un mistocuriosissimo di anticlerica lismo e di romanità, di filosofia ellenica e dirazionalismo moderno, di evangelicità e di naturalismo, che univa insiemeLeibniz e Mably, Condorcet e Bruno, Campa nella e Tacito, Platone e Saint-Just, un misto di fierezza spartana e di retorica petroliera, di rigiditàcatoniana e di montatura civica. Ma se guardiamo il Russo e la sua opera (1 ),non vi troveremo certo il gonfio anticle ricalismo e le diatribe di FrancescoLomonaco, che potè col suo scilinguagnolo incantare il giovinetto Manzoni, manon potè incantare la posterità; troveremo, invece, contrasti, contraddizioni,astrattismi, ma in fondo un sistema, una volontà, un regime di vita e unaaspira zione, sia pure non realizzata, al concreto (2 ). Nella pre fazione aisuoi Pensieri politici scrive: « Io non ho volta la mente nè alle anticherepubbliche nè alle moderne, non alle nuove nè alle vetuste legislazioni: hoconsul tato nelle cose stesse la verità ». Quindi un desiderio di analizzarel'uomo ne'suoi bisogni specifici, e sovra essi fondare la sua repubblica,mentre i bisogni stessi individualmente indeterminabili, concetti economici insommo grado subiettivi, gli sfuggono. In fondo anche il Russo è un astratto enon si distingue dai repubblicani, se non per ingegno, non certo per diversitàdi metodo e di pratica politica. Basta rileggere i Pensieri e lo studio delCroce per convincersi che i suoi concetti, democra tizzazione sistematica,educazione repubblicana e sta tale, fraternità tra i popoli, sono quelli dellageneralità, (1) La prima edizione dei Pensieri politici è dell'anno 1798,allorquando il Russo, esule da Napoli, trovavasi a Roma, e fu stampata persottoscrizione:Pensieri politici diVINCENZIO Russo, napolitano, Roma, presso ilcittadino V. Poggioli, anno I della ri stabilita repubblica Romana. L'opera furistampata in Milano tra il 1800 e il 1801 (Milano, anno IX, Tip. Milanese inStrada nuova, n. 561); e poi ancora a Napoli nel 1861 (ed. a cura del D’Ayala)e nel 1894 (ed. a cura di B. Peluso con pref. di E. De Marinis ). Vedi aproposito B. CROCE, La rivoluzione napole tana, CROCE, La rivoluzionenapoletana, p. 92 e sg. 41 forse più accentuati da una dinamica naturale d'oratore, da un estremismo fervente, che voleva, credo, far dimenticare in una vitaintemeratamente vissuta un istante di antica debolezza (1 ). Questeesagerazioni non sono proprie del tempera mento meridionale, ed in genereitaliano. Ma, come bene osserva il Romano, calcando un giudizio di G. Zito (2),« mentre all'inizio del movimento, i nostri alle teorie nuove davano di propriola misura e la calma, in seguito invece l ' intrepidezza deduttiva propria deltempera mento francese, non trovò più freni neppur da noi, e sovente ledottrine non furono sottoposte a tentativi di analisi e di giudizio » (3). Ed èproprio così ! Anche Mario Pagano, mente geniale e solida, è travolto dallacorrente e segue l'andazzo. Il suo vichismo non è coerente a sè stesso, erisente gli influssi esterni, e, se pure gli studi suoi non sono puraspeculazione metafisica, « giovevole se mai nella scuola e presso che inutile,se non pure dan nosa, nell'attrito reale del governo di uno Stato » (1 ), ècerto però che il grande autore del Processo criminale si mostrò insufficienteall'ardua opera della ricostru zione. Dare la costituzione ad un popolo èl'opera più grande che un uomo possa a sè stesso assegnare, opera da fartremare le vene e i polsi non solo ai legislatori di oggi, ma a menti divine,come quelle di Platone e di Aristo tele. La costituzione non può essere unasovrastruttura, che i dirigenti impongano ad un popolo, perchè le costi tuzioninon si dànno ab externo, ma si formano nelle coscienze prima che sulla carta,e, se pure si impongono, non si reggono sulle armi e sui fucili. Il popolo èuna realtà concreta viva palpitante, ne' suoi molteplici bi sogni, ne' suoidesiderî, ne' suoi costumi, ne' suoi pre (1 ) B. CROCE, La rivoluzionenapoletana, p. 87. (2 ) G. ZITO, Vita ed opere di Mario Pagano, Potenza, Tip.Garramone, 1901, passim. (3 ) M. ROMANO, op. cit., p. 61. (4) ROMANO, op. cit.,p. 63. Il giudizio sull'opera del Pa gano è eccessivo e non può esseresenz'altro condiviso da noi. 42 e giudizi. Egli non sopporterà mai una legge,che non intende la sua intima vita e il suo benessere, che tra scenda la suanatura. « Le costituzioni sono simili alle vesti: è necessario che ogniindividuo, che ogni età di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale, setu vorrai dare ad altri, starà male. Non vi è veste, per quanto sia mancante diproporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cuisieda bene; ma, se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorchè essasia misurata sulla statua modellaria di Poli clete, troverai sempre che ilmaggior numero è più alto, più basso, più secco, più grasso, e non potrà faruso della tua veste » (1 ). Non esiste un ottimo costituzionale, esi ste unbuono relativo alla vita delle singole genti. « Le costituzioni si debbono fareper gli uomini quali sono quali eternamente saranno, pieni di vizi, pieni di errori; imperocchè tanto è credibile che essi voglian de porre que' loro costumi,che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che iocredo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio chepretendesse accorciare il piede di colui cui avésse fatta corta una scarpa » (2). I due raffronti con la veste e la scarpa, tratti dal mondo fisico, sonod'una evidenza mirabile. Il legislatore deve intendere il popolo, e costruiresulla base dei bisogni del popolo. Il popolo non parla. Ma per lui parla tutto,costumi, usanze, religione, pregiudizi, vizi. Le costituzioni non si fanno neigabinetti e negli studî, nelle scuole e nelle accademie, nascono da sè, sotto l' impulso di concrete esigenze dell'anima collettiva, o più vichianamente dellacollettività, e il legislatore non può essere che un interprete di essacollettività, della (1 ) Seguo il già citato testo del NICOLINI, edito dalLaterza di Bari,che come tutte le altre ed. cuochiane, porta i Fram menti dilettere a V. Russo in appendice al Saggio. Per le ci tazioni basterà quindi lasigla Framm. seguita dal numero d'or dine I o II ecc., e dalla paginadell'edizione barese. Framm. I, p. 218. (2 ) Framm. I, p. 219, 43 1 sono suacoscienza, non già il saggio che dal suo cielo di sa pienza impone norme enomi. L'obietto delle costituzioni sono gli uomini, e gli uomini sono pieni divizi, pieni di errori. Ora, chi si propone di legiferare deve prendere gliuomini, come sono, e non andare alla ricerca di un ottimo, che in na tura nonè, contentarsi di rendere felici gli uomini, e ren dere felici gli uomini sipuò solo, soddisfacendo alla loro natura, che è un misto di buono e di cattivo,d'eticità e di pregiudizi, di religione e di ferocia. Siamo, come ognun vede,penetrati nel pieno della critica cuochiana, ma la mia mente, riflettendo suqueste acutissime osservazioni, non può non instaurare un pa ragone tra ilrelativismo giuridico del nostro e lo stori cismo germanico di Gustavo Hugo edi Federico Carlo Savigny. È curioso ! Negli stessi anni, nell' infierire dellarivoluzione francese, o quando ancor fresche ne le conseguenze, con basi,cultura diametralmente diverse, con intendimenti presso che uguali, scrivono inItalia il Cuoco, in Inghilterrà il Burke, le di cui Riflessioni sullarivoluzione francese sono del 1790, in Germania l'Hugo che nello stesso anno1790 formula in un suo libro quei prin cípi, che poi il Savigny, nel 1814,nella polemica col Thibaut, svilupperà nell'operetta: Della vocazione delnostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza. Ma tra il Savigny el'illuminismo rivoluzionario c'è uno sviluppo continuo di pensiero germanico,tra il Cuoco e la rivoluzione non c'è transizione, poi che egli scrive iFrammenti nella rivoluzione stessa, quando già i san fedisti di Ruffo sono alleporte della città. Notiamo però come un certo parallelo c'è: il nostro siricollega al Vico, tradizione perenne d'italianità; il Savigny parla di unacoscienza giuridica popolare, che non può non tro vare la sua origine nellafilosofia idealista tedesca, Schel ling e Hegel, ai quali il grande giurista siricollegano. Guardiamo brevemente la questione. Col Cuoco siamo da un punto divista filosofico giuridico più innanzi, ma il parallelismo non manca. Che cosaè il diritto per il Sa vigny che combatte l'unificazione legislativa e la codi44 ficazione proposta dal Thibaut? Non certo un quid astratto, vivo nel solopensiero del legislatore. Il diritto ha una vita sua propria nella vita d'ognigiorno, che non è che consuetudine irriflessa e pratica comune. Ricor diamo loSchelling: il principio dello spirito collettivo, principio animatore inperpetuo divenire, si sviluppa dalla sua filosofia, dall'evoluzione stessadella natura nell'infinita sua produttività, concepita non più come merooggetto, ma come soggetto, nucleo di sviluppo di tutto il pensiero germanico,che dal dualismo di Kant risolve il problema, attraverso Schelling, in Hegel,ul tima conseguenza della posizione kantiana. Il concetto evolutivo dellanatura trascorre nel diritto. Il diritto è la manifestazione d'una coscienzagiuridica che è nel popolo, il quale popolo ha una sua anima (la Volkseeledello Schelling), che determina la morale, l'arte, il lin guaggio, e così pureil diritto e la costituzione politica. Quel che nello Schelling è generalmenteaccennato all’ori gine della costituzione e degli ordini civili, nel Savigny èapplicato ad una questione concreta: se convenga im mobilizzare il diritto,elaborazione istintiva e irriflessa, viva nella consuetudine, in un sistema dicodici. Donde una illazione: la costituzione, legge fondamentale, non può cheessere la risultante d’un'elaborazione incosciente del popolo, che illegislatore può cogliere ed inquadrare per princípi, ma non ex novo, così comeil grammatico studia la lingua già formata e non crea la lingua. Il Cuoco piùconcretamente non arriva alle conclusioni un po' anarchiche del Savigny, ilquale in reazione ad una filosofia che pretendeva di sistematizzare e crearetutto a fil di logica, si appalesa ostile ad ogni costituzione scritta, come adogni codificazione; il Cuoco ammette in vece che un legislatore possa compilareun progetto di costituzione. Ma come? Il legislatore deve interpretare ibisogni del popolo, alla felicità del quale vuol provve dere. Il principio baseè uno. « Le costituzioni durevoli sono quelle che il popolo si forma da sé » (1). Ciò non nel (1 ) Framm. I, p. 218. 45 senso che le costituzioni siano unaformazione assoluta mente irriflessa e popolaresca, che il giurista osservasenza intervenire, passivo, ma nel senso che non possano prescindere, sia purequando sono opera di studio perso nale e di ricerca dotta, dalla concretarealtà della nazione. La faccenda si chiarifica. La Volkseele dello Schelling,la coscienza giuridica popolare del Savigny diventano, sono nel Cuoco, piùconcreto e positivo, i bisogni del po polo, bisogni economici e materiali,religiosi e morali, qualcosa di più tangibile. « I nostri filosofi, » scrive «sono spesso illusi dall'idea di nu ottimo, che è il peggior nemico del bene. Sesi volesse seguire i loro consigli, il mondo, per far sempre meglio, finirebbecol non far nulla ». « L'ottimo non è fatto per l'uomo.... » (1 ). Costoro, aiquali accenna il critico, sono i rivoluzionari astratti, che credono ad ununiversale, che non è, e vanno tanto alto da perdere ogni contatto col mondo.Una costituzione non può scaturire dal cervello di un uomo, come Pallade dalcervello di Giove, armata e folgorante; deve sorgere dopo mature riflessioni,sulla natura della nazione deve avere una base. « Questa base deve poggiare sulcarattere della nazione, deve precedere la costituzione; e mentre con questa sidetermina il modo in cui una nazione debba esercitare la sua sovra nità, videbbono esser molte cose più sacre della costi tuzione istessa, che il sovrano,qualunque sia, non deve poter alterare » (2 ). Nessuno può « tôrre al popolotutti i suoi costumi, tutte le sue opinioni, tutti gli usi suoi, che iochiamerei base di una costituzione » (3 ). Il Cuoco, se osserviamo bene laquestione, distingue due momenti: una elaborazione incosciente del popolo checrea istituti giuridici, per consuetudine, desumendoli dalla sua stessa essenza;una elaborazione cosciente e riflessa, che sistematizza e regola ciò che nelpopolo era mera pratica senza norma. Questi due momenti si compene (1 ) Framm.I, p. 219. (2 ) Framm. III, p. 245. (3 ) Framm. III, p. 245. 46 trano e sonoindispensabili. La consuetudine, senza la legge, può divenire anarchia, dominiodella volontà parti colare. La legge, che astragga dalla volontà dei singoli, èmera parola, generalità senza significato. Siamo lon tani dallo storicismotedesco dell'Hugo e del Savigny. La base, alla quale accenniamo, è d'una grandecom plessità. Il costituzionalista, in particolare il legislatore, deve avereriguardo' non solo ai costumi, agli usi, alla religione, ai bisogni economici,ma anche ai pregiudizi, ai difetti, ai mali del popolo. La vita non è ottima,nè buona: è male e dolore. Gli uomini sono buoni e cattivi, generosi edegoisti, eroi e birbanti. Il più grave pericolo è che il legislatore, piùfilosofo che uomo politico, alla ricerca dell'eterno dimentichi il transeunte,alla ricerca dell'ottimo dimentichi il buono, creda non esservi il male. Lecostituzioni debbono parlare alla fantasia e ai sensi dei popoli, avere unacerta solennità, quasi un ele mento sacro, perchè « dopo le sue opinioni ed isuoi costumi, il popolo nulla ha di più caro che le apparenze della regolaritàe dell'ordine » (1 ). È un consiglio di este riorità. Poco importa ! Le plebiamano l'esteriorità. « Quelle leggi sono più rispettate dal popolo, che con maggiori solennità esterne colpiscono i sensi » (2). Dunque, ammesso che unlegislatore possa dare una costituzione, interpretando più che sia possibile leesi genze di una nazione, come potrà e dovrà egli compor tarsi? Un popolo hadei costumi. « Non vi è nazione quanto si voglia corrotta e misera, la qualenon abbia de' costumi, che convien conservare; non vi è governo quanto sivoglia dispotico, il quale non abbia molte parti convenienti ad un governolibero. Ogni popolo che oggi è schiavo fu libero una volta... Quanto piùpesante sarà la schiavitù di un popolo, tanto più questi avanzi degli altritempi gli saran cari; perchè non mai tanto, quanto tra le avversità, ci soncare le memorie dei tempi felici. Quanto più il governo che voi distruggete èstato (1 ) Framm. III, p. 246. (2) Framm. III, p. 246. 47 barbaro, tanto piùnumerosi avanzi voi rinvenite di an tichi costumi; perchè il governo, urtandotroppo violen temente contro il popolo, l'ha quasi costretto a trince rarsi trale sue antiche istituzioni, nè ha rinvenuto nei nuovi avvenimenti ragione diseguirli e di abbandonare ed obbliare gli antichi (1 ). Nello sviluppo storiconulla si perde completamente: l'evoluzione vitale degli uomini e delleistituzioni loro è trasformazione e non distruzione, onde sotto la scorza dellamodernità si possono ritrovare i nuclei ancor verdi dell'antico. La tradizionenon è un culto senza dèi, pro prio de letterati e de ' filosofi, è la vitadella nazione, è quel che di più sacro essa ha, poi che rappresenta la suacontinuità. Ciò non deve dimenticare il legislatore, come colui che è piùvicino al palpito dei popoli, dovendo re golare le manifestazioni più svariatedella loro attività privata e pubblica. « Questi avanzi di costumi e governo dialtri tempi, che in ogni nazione s ' incontrano, sono preziosi per unlegislatore saggio, e debbono formar la base dei suoi ordini nuovi. Il popoloconserva sempre molto rispetto per tutto ciò che gli viene dai suoi mag giori;rispetto che produce talora qualche male, e spesso grandissimi beni. Ma coloro,che vorrebbero distruggerlo, non si avvedono che distruggerebbero in tal modoogni fondamento di giustizia ed ogni principio d'ordine so ciale? Noi nonpossiamo più far parlare gli dèi come i legislatori antichi facevano: facciamoalmeno parlare gli eroi, che agli occhi dei popoli son sempre i loro antichi.Un popolo, il quale cangiasse la sua costituzione per solo amor di novità, nonpotrebbe far altro di meglio, che darsi una costituzione all'anno. Ma, perbuona sorte, un tal popolo non esiste che nella fantasia di qualche filo sofo »(2 ). Un legislatore quindi può realmente fare del bene alla nazione, ma deveseguire la natura, cioè la na zione stessa nel suo spirito, e trarre da essa ilsistema costituzionale, non il sistema costituzionale da princípi (1 ) Framm. I,p. 220 e sg. Framm. I, p. 221. 48 che non sono nella natura, ma nella testa deifilosofi. « Tutto è perduto quando un legislatore misura la infi nitaestensione della natura colle piccole dimensioni della sua testa, e che, nonconoscendo se non le sue idee, gira per la terra come un empirico col suosegreto, col quale pretende medicar tutt'i mali (1 ). Vincenzo Cuoco ci sipresenta come un tradizionalista e un moderato. Non bisogna distruggere perdistruggere, perchè si può perdere il buono per un problematicissimo ottimo;non bisogna atterrare, perchè non sempre si può ricostruire; non bisogna aprireun novus ordo, perchè i novi ordines dei filosofi sono in cielo e non in terra.Bi sogna costruire su quel che già è, edificare sulle fonda menta della storia,che non soffre soluzioni di continuità, riformare e non distruggere. « Io noncredo la costitu zione consistere in una dichiarazione dei diritti dell'uomo edel cittadino » (2 ). Essa è qualcosa di più profondo: è il popolo, il quale dasè stesso trae le norme regolatrici della sua esistenza, della sua attività,della felicità. « E chi non sa i suoi diritti? Ma gran parte degli uomini licede per timore; grandissima li vende per interesse: la costituzione è il mododi far sì che l'uomo sia sempre in uno stato da non esser nè indotto a venderli,nè costretto a cederli, nè spinto ad abusarne » (3 ). Ciò è possibile solo inquanto la costituzione assicuri un medio benessere, attinga quella umanafelicità, alla quale abbiamo ac cennato. Le rivoluzioni nascono da un malessereeconomico generalizzato. Le costituzioni post - rivoluzionarie debbonoristabilire l'equilibrio, il benessere, l'armonia, la vita pa cifica ed operosa.Per fare ciò bisogna intendere le esi genze e i bisogni della nazione, i suoicostumi, il suo carattere. Ecco perchè Cuoco ci dice che, se egli fosseinvitato a dar leggi ad un popolo, vorrebbe prima stu diarlo e conoscerlo; eccoperchè Cuoco ci dice che egli (1 ) Framm. I, p. 221. Framm. II, p. 233. (3 ) Framm. II, p. 233. 49vuol ritornare all'antico, e all'antico ricollegare il pre sente, perchè ilpopolo ama le antiche istituzioni, che in passato gli han pure dato felicità;ecco perchè il Cuoco vuol riformare solo ove è male ed ove le istituzioniantiche non rispondono più ai nuovi bisogni, ed è tra dizionalista all'eccesso,laddove la mania novatrice cerca distruggere istituti e norme consacrate dasecoli. Questi i convincimenti del critico. Ma che cosa in vece era avvenuto aNapoli, qual'era, com'era la costi tuzione che Mario Pagano aveva elaborato?Ogni po polo ha una individualità ineffabile. Il popolo napole tano, quindi, hapur esso una sua natura specifica, che risulta da un complesso di cose.Parliamo perciò, dice il Cuoco all'amico Russo, « della costituzione da darsiagli oziosi lazzaroni di Napoli, ai feroci calabresi, ai leggieri leccesi, aispurei sanniti ed a tale altra simile genìa, che forma nove milioni novecentonovantanove mila nove cento novantanove decimilionesimi di quella razza umanache tu vuoi tra poco rigenerare » (1 ). Cioè discendiamo ai fatti, al concreto,vediamo se il progetto costituzionale del Pagano risponde alla natura dellecose. Il Cuoco ri sponde risolutamente: « Per questa razza di uomini par mi cheil progetto donatoci da Pagano non sia il migliore. Esso è migliore al certodelle costituzioni ligure, romana, cisalpina; ma al pari di queste è troppofrancese e troppo poco napolitano. L'edificio di Pagano è costrutto collematerie che la costituzione francese gli dava: l'architetto è grande, ma lamateria del suo edifizio non è che creta » (2 ). Il Pagano, nonostante il suovichismo, è caduto nell'er rore tipico di tutti i rivoluzionari alla francese,ha cre duto in un ottimo che non è; ha creduto negli immortali princípi che lemasse non intendono, poi che gli uomini sentono solo i bisogni e non i princípiche parlano al l'intelletto di pochi; ha fatto quella, che il critico mo lisanochiama una costituzione da tavolino; « e quindi ne è avvenuto, che siesiperduta la vera cognizione delle (1 ) Framm. I, (2) Framm.] cose e della loroimportanza » E nel dispiacere del fallimento, che al nostro appare evidente,c'è una punta d'ironia, che al lettore è facile avvertire pur nell'amichevolezza dell'espressione: « Oh ! perdona. Non mi ricor dava » dice il Cuoco alRusso « di scrivere a colui, che, sull'orme della buona memoria di Condorcet,crede possi bile in un essere finito, quale è l'uomo, una perfettibilitàinfinita. Scusa un ignorante avvilito tra gli antichi errori: travaglia arenderci angioli, ed allora fonderemo la re pubblica di Saint- Just. Per oracontentiamoci di darcene una provvisoria, la quale ci possa rendere menoinfelici per tre o quattro altri secoli, quanti almeno, a creder mio, dovrannoancora scorrere prima di giugnere all'esecu zione del tuo disegno » (2 ). Anchel'amico fedele Vincenzo Russo, come il grande maestro Pagano, è un illuso, unastratto ! Ma osserviamo bene. Quest'astrattismo, che il Cuoco rimprovera alsuo Pagano, non è solo del Pagano, è di tutto un sistema, che il nostrovivamente deplora. Primi i francesi, coloro per cui la rivoluzione nacquespontanea esplosione di lungamente compressi bisogni, per cui il motorepubblicano fu attivo e non passivo com'è a Na poli, caddero negli stessierrori. « I francesi aveano fondata la loro costituzione sopra princípi troppoastrusi, dai quali il popolo non può discendere alle cose sensibili se non permezzo di un sillogismo; e quando siamo a sillogismo, allora non vi è piùuniformità di opinioni e non si potrà sperare regolarità di operazioni » (3 ).Di ciò il molisano dà un esempio concreto. In Francia si volle stabilire comenorma costituzionale il diritto all'insur rezione. Ma senza quelle circostanze,che l'accompagna vano e la dirigevano in qualche paese dell'antichità, ovesimile norma era stata applicata, essa non poteva pro durre che sedizioni eturbolenze, seguite da una reazione violenta del governo attaccato, in barba adogni princi F (1 ) Framm. III, p. 241. Framm. I, p. 220. (3 ) Framm. III, p.247. 51 pio legale. « Per buona sorte della Francia » commenta iro nico ilnostro « questa massima fu guillottinata con Robe spierre » (1 ). Vedete, dice,« la costituzione romana era sensibile, viva, parlante. Un romano si avvedevadi ogni infrazione dei suoi diritti, come un inglese si avvede delle infrazionidella Gran carta. In vece di questa, immagina per poco che gli inglesi avesseroavuto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino: essi allora nonavreb bero avuto la bussola che loro ha servito di guida in tutte le lororivoluzioni. I romani eccedettero nella smania di voler particolarizzar tutto,per cui negli ultimi tempi formarono dei loro diritti un peso di molti cameli.Ma, mentre conosciamo i loro errori, evitiamo, anche gli ec cessi contrari, eteniamoci quanto meno possiamo lon tani dai sensi. Se la molteplicità deidettagli forma un bosco troppo folto nel quale si smarrisce il sentiero, iprincípi troppo sublimi e troppo universali rassomigliano le cime altissime,dei monti, donde più non si riconoscono gli oggetti sottoposti » (2 ). Questisono gli errori dei francesi. L'esasperazione dei princípi dovea portarenecessariamente agli errori fatali. Questa è l'idea che il Cuoco ha dellacostituzione francese del 1795. Una « costituzione è buona per tutti gli uomini? Ebbene: ciò vuol dire che non è buona per nes suno.... » (3 ). Il Pagano,ritorniamo a lui, s'è ingolfato negli stessi errori. Seguiamo il nostro autorenel suo excursus e nella sua critica minuta del progetto; ma per intendere comeegli colpisca nel segno, e come i Frammenti siano una meditazione veramenteprofonda, una critica sincera e non sistematica, rileggiamo le prime righe delRapporto al governo provvisorio, che precede la Dichiarazione dei diritti e deidoveri dell'uomo, e che è certo opera di Mario Pagano. « Una costituzione, cheassicuri la pubblica libertà, e (1 ) Framm. III, p. 247. (2) Framm. III, (3)Framm. I, p. 219. p. 247. 52 che slanciando lo sguardo nella incertezza de 'secoli av venire, guardi a soffocare i germi della corruzione e del dispotismo,è l'opera la più difficile, a cui possa aspirare l’arditezza dell'umanoingegno. I filosofi dell'antichità, che tanto elevarono l'umana ragione, nepresentarono i principii soltanto, e le antiche repubbliche le più celebri esagge ne supplirono in più cose la mancanza con la · purità de' costumi, ecolla energia dell'anime, che ispirò loro una sublime educazione. Gran passiavea già dati l'America in questa, diremo, nuova scienza, formando lecostituzioni de' suoi liberi Stati. Novellamente la Fran cia, che ha contestatostraordinario amore di libertà con prodigi di valore, ha data fuori altresì unadelle migliori costituzioni che siansi prodotte finora ». Fin dalle primebattute si sente l'uomo geniale, ma insieme lo scolastico, che ha bisogno dirifarsi ai prece denti generici (1 ). Il Comitato di legislazione « ha....adottata la costitu zione della madre repubblica francese. Egli è ben giusto,che da quella mano istessa, da cui ha ricevuto la libertà, ricevesse eziandiola legge, custode e conservatrice di quella. Ma riflettendo che la diversitàdel carattere mo rale, le politiche circostanze, e ben anche la fisica situazione delle nazioni richiedono necessariamente de' cam giamenti nellecostituzioni, propone alcune modificazioni, che ha fatte in quella della repubblicamadre, e vi rende conto altresì delle ragioni che a ciò l'hanno determinato ».La derivazione è confessata, e con essa l'astrattismo. Senonchè il Paganoafferma una esigenza, che in lui na poletano e vichiano, deve essere sincera,ma che resta poi in pratica insoddisfatta: tenere conto dei bisogni pe (1 ) L.PALMA, I tentativi di nuove costituzioni in Italia dal 1796 al 1815, in NuovaAntologia, a. XXVI, v. XXXVI, 16 no vembre, 1-6 dicembre 1891, p. 441. Il Palmaci offre una buona analisi della costituzione di M. Pagano in rapporto allealtre costituzioni francesi ed italiane del tempo, nonchè un'acuta critica diessa, critica che fondamentalmente coincide con quella cuochiana. Sullacostituzione del Pagano vedi pure V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit., Milano,Vallardi, s. d., p. 170 e sgg. 53 ) ) culiari della nazione alla quale siprovvede; e nel resto dell'opera legislativa si rivela per quello che è, cioèun mero teorico. Vediamo. « La più egregia cosa che ritrovasi nelle moderne costituzioni, è la dichiarazione de' dritti dell'uomo. L'uguaglianza non è undiritto, ma la base di tutti i diritti, che da essa scaturiscono. «L'uguaglianza è un rapporto, e i dritti sono facoltà. Sono le facoltà di oprare,che la legge di natura, cioè l ' invariabile ragione e cono scenza de 'naturali rapporti, ovvero la positiva legge sociale, accorda a ciascuno ».Sembra di leggere un trat tato di filosofia giuridica e non un rapporto di uncomi tato legislativo, che presenta un progetto di legge. « Da tal rapportod'uguaglianza di natura, che avvi tra gli uomini, deriva l'esistenza, el'uguaglianza de' dritti: es sendo gli uomini simili, e però uguali tra loro,hanno le medesime facoltà fisiche e morali: e l'uno ha tanta ragione di valersidelle sue naturali forze, quanto l'altro suo simile. Donde segue, che lenaturali facoltà indefi nite per natura, debbano essere prefinite per ragione,dovendosi ciascuno di quelle valere per modo, che gli altri possano benancheadoprar le loro. E da ciò segue eziandio, che i dritti sono uguali; poichènegli esseri uguali, uguali debbono essere le facoltà di oprare. Ecco adunquecome dalla somiglianza ed eguaglianza della na tura scaturiscano i dritti tuttidell'uomo, e l'uguaglianza di tai dritti ». Io qui non istò a riferire comeMario Pagano « dall'unico e fondamentale dritto della propria conservazione »derivi « la libertà, la facoltà di opinare, di servirsi delle sue forzefisiche, di estrinsecare i suoi pensieri, la resistenza all'oppressione »,modificazioni tutte del primitivo innato diritto, che l'uomo ha di na tura, ilconservarsi. Tutto il sistema si sviluppa con una logica impeccabile filosoficae giuridica, e noi non sap piamo che ammirare la grandezza di uno spiritogeniale e deplorare la sua morte immatura e tragica. Le defini zioni paganianesono stupende di sintesi. Ecco la li bertà ! « La libertà è la facoltàdell'uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace,colla !! 54 sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso ».Tutto s ' impernia su un principio - postulato e scaturisce di lì. Dal primofonte di tutto il diritto deriva la pro prietà, poi che « la proprietà reale èuna emanazione e continuazione della personale ». Gli stessi diritti ci dànno idoveri; i diritti e i doveri dei cittadini, i diritti e i doveri dei magistratie dei pubblici funzionari, e così di seguito. Nè mancano sani princípicostituzionali, che occorre an che oggi meditare. V'è un vigile e vichianosenso della dinamicità delle costituzioni, che, sebbene carte sacre di unpopolo, non per questo sono inviolabili, cioè non mo dificabili, poi che lavita stessa e le rinnovate esigenze delle nazioni dànno origini a riformenaturali nel loro stesso seno. « La società vien formata dalla unione dellevolontà degli uomini, che voglion vivere insieme per la vicende vole garanziade proprii dritti. L'unione delle forze fa la pubblica autorità, e l'unione de'consigli forma la pubblica ragione, la quale, avvalorata dalla pubblicaautorità, diviene legge. Quindi l ' imprescrittibile dritto del popolo di mutarl'antica costituzione, e stabilirne una nuova, più conforme agli attuali suoiinteressi, ma demo cratica sempre; quindi il dritto di ogni cittadino di essere garantito dalla pubblica forza, e il dovere di con tribuire alla difesadella Patria; quindi finalmente i dritti e i doveri de'pubblici funzionarii,che per delega zione esercitano i poteri del popolo sovrano, e per do vere sonovittime consacrate al pubblico bene ». E dire che ancor oggi questo principiodella vita giu ridica, che è dinamicità come ogni altra manifestazione dellospirito, non è inteso, e la riforma dello Statuto ita liano è temuta come unterribile evento sovvertitore, mentre le leggi fondamentali sono una vuotaforma senza contenuto materiale, vuota forma premuta da esigenze nuove, e,purtroppo, dal più sfacciato illegalismo dei partiti ! Ma, se dal Rapportopassiamo al Progetto costituzio nale, quanto astrattismo ! Quanta artificiositàne' sin goli istituti, in quell'eforato, che ricorda Sparta, ma che 55 non èche il direttorio o potere esecutivo francese; in quella distinzione traassemblee primarie ed assemblee elettorali espresse dal seno delle prime; inquell'istituto censorio, che arieggia la censura di Roma, ma che in uno Statomoderno e vasto è inconcepibile e vano ! Se guardate il Progetto dicostituzione nel suo complesso la critica del giovane Cuoco vi apparepienamente giusti ficata e altamente vera. Essa non si limita ad appuntid'ordine pratico, ma risale pure ai princípi, e traccia, direi, l'abbozzo d'unanuova scienza costituzionale, che nel nome di Vico e di Machiavelli da un lato,di Monte squieu dall'altro, vuol essere positiva senza cadere nel l'empirismo.La sovranità del popolo si manifesta in due maniere: la legislazione el'elezione. Negli Stati antichi, nelle città primitive, a base democratica, ilpopolo stesso era legi slatore: negli Stati moderni, che trascendono la grecaTól.is, la romana urbs, numerosi di popolazione, vasti di territorio, il popolosovrano può legiferare solo per mezzo della rappresentanza. La costituzione delPagano adotta il sistema rappresentativo, ma lo travisa, per mezzo diun'assurda divisione delle assemblee popolari in primarie, alle quali spetta ilcompito di eleggere un certo numero di cittadini, ai quali è deferito ilcompito supe riore della scelta del deputato, e in elettive, alle quali èassegnata la vera sovranità, la nomina del rappre sentante in seno alConsiglio. Così il prescelto è allonta nato, divenuto rappresentante dellanazione napolitana e non del dipartimento che lo nomina, dal popolo, di cuidovrebbe sentire i bisogni e rendersene esponente. Il Pagano, in sostanza, nonaccetta l'elezione con man dato. Il Cuoco vuole invece che il deputato ricevadalle popolazioni memoriali veri e propri, utili avvertimenti, e che, durantel'esercizio della sua carica, viva a contatto con le sue masse elettorali, enon si perda ne' meandri d'una politica, che, per volere essere nazionale egenerale, finisce per essere astratta e generica. Tutte le deficienze delsistema parlamentaristico, specie nelle degenerazioni de' nostri paesi, saltanoal pensiero, nelle lungimiranti 56 notazioni del nostro autore. E dire che nonera necessario che guardarsi attorno per rinvenire il sistema più adatto aifini, che la Commissione legislativa o il Pagano per lei si proponeva ! « Lanazione napolitana offre un me todo più semplice. Essa ha i suoi comizi, e sonquei par lamenti che hanno tutte le nostre popolazioni; avanzi di anticasovranità, che la nostra nazione ha sempre difesi contro le usurpazioni deibaroni e del fisco. È per me un diletto (e qui il Cuoco pensatore diviene unpochino lirico ) ritrovarmi in taluni di questi parlamenti, e ve dervi unpopolo intero riunito discutervi i suoi interessi, difendervi i suoi diritti,sceglier le persone cui debba affi dar le sue cose: così i pacifici abitantidelle montagne dell'Elvezia esercitano la loro sovranità; così il più grande,il popolo romano, sceglieva i suoi consoli e deci deva della sortedell'universo » (1 ). Il sistema nostro na zionale è il più spontaneo, il piùnaturale, consacrato dalle glorie dei nostri comuni, enti che hanno avuto ungiorno in una storia grande indipendenza e forza, ed hanno subìto un'evoluzionemillenaria. La costituzione francese del 1795 ha distrutto tutto ciò. « I municipinon sono eletti dal popolo, e rendono conto delle loro operazioni al governo,cioè a colui che più facilmente può e che spesso vuole esser ingannato » (2 ).Ma il Cuoco si spiega tutto. La storia insegna molte cose. L'ac centramento inFrancia è naturale: questa nazione non ha avuto mai l'esperimento dei comuni,una vera e propria municipalità, poi che questo paese ha trovato l'unità assaipresto. In Italia la faccenda è assai diversa. In Italia il comune è stato unistituto spontaneo, espres sione della rinascente romanità contro il feudalismofer rato, istituto che non è morto mai, e s'è sviluppato, perpetuato, ancheallorquando da ente sovrano è dive nuto ente subordinato entro gruppi politicipiù vasti, come il principato o signoria e lo stato monarchico. Il Cuoco nondice tutto ciò, ma si intravede chiaramente (1 ) Framm. II, p. 223. (2 ) Framm.II, p. 224. 57 che questo è il suo pensiero. « Io perdono » scrive « ai francesi il loro sistema di municipalità: essi non ne aveano giammai avuto, nè neconoscevano altro migliore: forse non era nè sicuro nè lodevole passar di unsalto e senza veruna preparazione al sistema nostro. Ma quella stessa natura,che non soffre salti, non permette neanche che si retroceda; e, quando i nostrilegislatori voglion dare a noi lo stesso sistema della Francia, non credi tuche la nostra nazione abbia diritto a dolersi di un'istituzione che la privadei più antichi e più interessanti suoi di ritti ! » (1 ). Il sistemacostituzionale, dunque, che ha alla sua base il comune, è il più naturale pernoi, poi che l’ente comu nale è l'espressione prima di quei bisogni complessiche abbiamo detto essere la base imprescindibile di ordini durevoli. In pocheparole, ecco tracciate le funzioni del comune, funzioni varie e molteplici,dirette ad assicu rare la più immediata soddisfazione de' bisogni elemen tariprimordiali di una gente ! « Ciascuna popolazione dunque, convocata inparlamento (questo nome mi piace più di quello di assemblea: esso è antico, ènazionale, è nobile; il popolo l'intende e l'usa: quante ragioni perconservarlo !), eleggerà i suoi municipi. Essi avranno il potere esecutivodelle popolazioni, saranno i principali agenti del governo, e dovranno renderconto della loro condotta al governo ed alla popolazione. La loro carica dureràun anno. Tu vedi bene che fino a questo punto altro non farei che rinnovare alpopolo le antiche sue leggi » (2 ). Tutto trova la sua consacrazione nellastoria italiana. Affermare il comune è il primo passo. Ad esso occorreattribuire tanto potere da assicurargli la possibi lità di vivere e diprosperare, vale a dire occorre dargli una vera e propria autonomia amministrativa.« La mia prima legge costituzionale sarebbe, che qualunque popo lazione dellarepubblica riunita in solenne parlamento possa prendere sui suoi bisogniparticolari quelle determi (1 ) Framm. II, p. 224. (2 ) Framm. II, p. 225. 58nazioni che crederà le migliori; e le sue determinazioni avran vigore di leggenel suo territorio, purché non siano contrarie alle leggi generali ed agl 'interessi delle altre popolazioni » (1 ). La legge è la volontà generale. Ogniindividuo ha d'al tra parte una volontà particolare, che costituisce la sualegge e la sua libertà. Il sorgere dello Stato afferma la legge generale, ma ilsuo ingrandirsi moltiplica le vo lontà particolari, onde sempre cresce es'acuisce un fa tale dissidio tra le due volontà, la generale e la particolare, tra lo Stato e l'individuo, tra l'autorità e la libertà, tra la sovranitàe l'autonomia, dissidio che in certe cir costanze anomali può portare aldisfacimento dello Stato, tendendo l'uomo per natura ad affermare la sua indipendenza, lo Stato la sua universalità autarchica. La legge, quindi, nella suastessa génesi è destinata a cozzare contro l'individualismo umano, onde quantopiù generalizza e si astrae tanto più divien tirannica. C'è il pericolo insommache si venga a creare una discrepanza tra volontà pubblica e volontà privata.Il rimedio è solo nel decentramento. « Quanto più dunque le nazioni s 'ingrandiscono, quanto più si coltivano, tanto più gli oggetti della volontà generale debbono esser ristretti, e più estesi quelli della volontà individuale.Ma, affinchè tante volontà partico lari non diventino del tutto singolari, e loStato non cada per questa via nella dissoluzione, facciamo che gli og gettisiano presi in considerazione da coloro cui maggior mente e più da vicinointeressano. Vi è maggior diffe renza tra una terra ed un'altra che tra un uomoed un altro uomo nella stessa terra. Se la base della libertà è che ad ogniuomo non sia permesso di far ciò che nuoce ad un altro, perchè mai ciò non deveesser permesso ad una popolazione? Perchè mai, se una popolazione abbia bisognodi un ponte, di una strada, di un medico, e se tutto ciò richiegga una nuovacontribuzione da' suoi (1 ) Framm. II, p. 227. 59 cittadini, ci sarà bisognoche ricorra all'assemblea legi 4 slativa, come prima ricorrer dovea alla Camera?Come si può sperare che quelle popolazioni, le quali erano im pazienti delgiogo camerale, soffrano oggi il giogo di altri, i quali sotto nuovi nomiriuniscono l'antica ignoranza de' luoghi e delle cose, l'antica oscitanza?... »(1 ). È as sicurata così la forza dello Stato e la libertà dell'indi viduo.L'individuo si sente più libero, se per lui opera il comune, la sua espressionediretta, poi che il comune è a lui più vicino, è la immediata manifestazionedella sua sovranità di cittadino. Si dirà al Cuoco: ma anche la legge, lavolontà generale è tale in quanto è la risultante d'una convergenza di consensie di volontà particolari; che anche lo Stato opera sul fondamento del diritto,e in questo senso è Stato di diritto, e nella forma del di ritto, in quantoogni suo atto è manifestazione giuridica, cioè libero volere della collettività;ma tutto ciò non esclude e menoma la grande verità affermata dal mo lisano. Lavolontà generale che s ' esprime nello Stato è lontana dai sensi del cittadino,in quanto la sua realtà concreta è una formazione etica di volontà mediata,ond' essa è lontana dalla possibilità d'esaurire tutta la complessa naturadella nazione; mentre la volontà che si estrinseca negli atti del comune, allaquale il Cuoco vuol dare carattere di legge, surge spontanea dalle più intimefibre dell'anima popolare, realizza bisogni vera mente profondi, parla infineai sensi e alla fantasia, di quegli elementi de' popoli, che vichianamentepossiamo considerare eterni fanciulli ed eterni primitivi. I risultati praticidi questo sistema sono incalcolabili. « Quante buone opere pubbliche noiavremmo, se più li bero si fosse lasciato l'esercizio delle loro volontà allepopolazioni » (2 ). Vi sono paesi per i quali, esemplifica l'autore, un porto,una rada è indispensabile, e che, in pochi anni, sotto la pressione di esigenzeinderogabili, avendo sufficienti libertà, lo costruirebbero: ebbene, que Framm. II, p. 229. Framm. II, p. 230. 60 ste stesse popolazionioggi, posto un freno all'iniziativa individuale, attendono dal governo quel chenon viene. Si potrebbe obiettare: ma queste affermazioni sono le affermazionid'un federalista ! No.... Il Cuoco stesso ha prevenuto la domanda, ed hadistinto tra autonomia e separazione, tra Stato su base decentrata e Stato federativo. L'autonomia non rinnega l'unità, anzi la conso lida, mentre lafederazione per popoli schiettamente par ticolaristi e campanilisti, com'èl'italiano, è un primo passo verso la disgregazione. Tra il sistemaaccentratore alla francese, in cui gli organi periferici ricevono tutto dallacapitale, e il sistema federativo di Stati alla sviz zera, ove ogni gruppo godedi leggi sue proprie, ha un parlamento suo proprio, c'è lo Stato unitario sulargo decentramento amministrativo, e a quest'ultimo sistema il nostro molisanosi volge. « So gl’inconvenienti che seco porta la federazione; ma, siccomedall'altra parte essa ci dà infiniti vantaggi, così amerei trovar il modo dievitar quelli senza perdere questi. Vorrei conservare al più che fossepossibile l'attività individuale. Allora la repub blica sarà, quale esser deve,lo sviluppo di tutta l'attività nazionale verso il massimo bene della nazione,il quale altro non è che la somma dei beni dei privati. L'atti vità nazionalesi sviluppa sopra tutt'i punti della terra. Se tu restringi tutto al governo,farai sì che un occhio solo, un sol braccio, da un sol punto debba fare ciò,che vedrebbero e farebbero mille occhi e mille braccia in mille punti diversi.Quest'occhio unico non vedrà bene, lento sarà il suo braccio; dovrà fidarsi dialtri occhi e di altre braccia, che spesso non sapranno, che spesso nonvorranno nè vedere nè agire: tutto sarà malversazione nel governo, tutto saràlanguore nella nazione. Il go verno deve tutto vedere, tutto dirigere » (1 ).Nel sistema cuochiano l'attività privata è garantita. Il necessario conflittotra la volontà generale e la volontà particolare si risolve con lo stabilimentod’una naturale delimita (1 ) Framm. II, p. 230 e sg. 61 zione di competenza.L'individuo e gli enti a lui più vicini agiscono in pieną indipendenza: alloStato resta la funzione, che a lui è più propria ed è manifestazione vera dellasua sovranità, la guida e il controllo supremo. Vincenzo Cuoco, come ognunvede, nelle sue ricerche di natura costituzionale è fisso ad una realtà storicache non può fallire, e cerca di stabilire un edifizio incrollabile. La naturaopera in questo mondo umano e crea diversità, onde tutto ci si appalesa nellasua ineffabile particola rità, nel mondo fisico e nel mondo morale. I governioperano su questo mondo degli uomini, e la loro volontà è sempre generale. Lenorme giuridiche attraverso cui s'esprime questa volontà dello Stato sonoquindi fatal mente generali, hanno origine da un processo d'astrazione,riferendosi non al singolo, ma ai singoli in quanto formano una classe, unamedia, un tipo. Ai subietti per natura diversi di bisogni, di aspirazioni, dicarattere sovrasta una norma unica uguale indistinta, e però entro certi limititirannica. È fatale, non può essere diversamente. Ciò non toglie che questohiatus, che può divenire con trasto, tra la libertà dei singoli e l'autarchiasovrana dello Stato, cioè tra la volontà particolare e l'autorità suprema,debba, ed è doveroso, colmarsi. Ecco: lo Stato impone dei tributi, esprime lasua volontà in forma giu ridica, che non può non essere quindi generale; ma intanto i prodotti di una nazione, dai quali debbono i tributi raccogliersi, sonodiversi: una popolazione ha solo derrate, un'altra manifatture, una terzaproduce olio e deve realizzare la sua ricchezza in novembre, un'altra è deditaalla pastorizia e la ha realizzata in luglio, laddove un industriale ognigiorno produce, e così via.... « Ben duro esattore sarebbe colui che obbligassetutti a pa gar nello stesso tempo, e nello stesso modo; e questa sua durezzache altro sarebbe se non ingiustizia? Al l'incontro tu non potresti giammaiimmaginare una legge, la quale abbia tante eccezioni, tante modificazioni,quanti sono gli abitatori della tua repubblica: non ti resta a far altro se nonche imporre la somma dei tributi e farne la ripartizione sopra ciascunapopolazione, la 62 sciando in loro balìa la scelta del modo di soddisfarla;così la volontà generale della nazione determinerà l'im posizione, laparticolare determinerà il modo: questa non potrebbe far bene il primo, quellanon potrebbe far bene il secondo » (1 ). Tutto ciò è la necessaria conseguenzadi un sistema mentale potentemente fuso e senza una con traddizione. È naturaleche l'astrattismo alla francese si faccia sostenitore d’una unitarietàsoffocatrice del par ticolare umano, poi che vede i princípi, che sono schematici ed astratti, e non le cose, che rinserrano in loro l'ineffabilitàdell'opera della natura, la quale non crea una foglia simile ad un'altra foglia.È naturale all'in contro che lo storicismo vichiano di Vincenzo Cuoco vo gliadiscendere alla realtà, e nella realtà dedurre e sag giare i princípi, cosìcome l'oro si saggia dall'orefice esperto sulla pietra, e su questa realtàedificare il sistema. Per finire questo argomento, sul quale mi sono assaidiffuso, perchè lo ritengo interessante, noto che il Cuoco va ancora più in là,concedendo una certa autonomia ai cantoni, un quid come i nostri circondari, aidipar timenti o provincie. « La costituzione francese confonde municipalità concantone: cosicchè ogni cantone potrà avere più popolazioni, ma non avrà mai piùdi una mu nicipalità. Io distinguo due parlamenti: uno municipale per ognipopolazione di un cantone; l'altro cantonale per tutte le diverse popolazioniche compongono un can tone medesimo » (2 ). Ma anzichè fermarci e analizzare lacritica che il nostro fa alla divisione cantonale, qual'è p. 231. p. 236. (1 )Framm. II, (2 ) Framm. II, La Costituzione del Pagano organizzava il territorioin di. ciassette dipartimenti, che sono enumerati al tit. I, art. 3 delProgetto. L'articolo 5 al quale si riferisce il Cuoco dice: « Ciascundipartimento è diviso in cantoni, e ciascun cantone in comuni: i limitide'cantoni possono ancora esser rettificati o cambiati dal Corpo legislativo,ma in guisa che la distanza di ogni co mune dal capoluogo del cantone non siapiù di sei miglia ». Il titolo VII, art. 173, dice: « In ogni dipartimento viha una amministrazione centrale, e in ogni cantone almeno un'am ministrazionemunicipale ». 63 in Francia, vediamo com'egli crede debba essere orga nizzatal'amministrazione. « Sei tu ormai » scrive al Russo « persuaso dellaragionevolezza dell'articolo, che io vorrei fondamentale nella costituzionenostra? Tu mi conce derai anche questo secondo: se due o tre popolazionidiverse avranno interessi comuni, potranno provvedervi allo stesso modo; ed,ogni qual volta le loro risoluzioni saranno uniformi, avranno forza di leggeobbligatoria per tutte le popolazioni interessate » (1 ). Ecco quindi unacomunità d'interesși, che genera co munità d'opera. Sono i bisogni che muovonogli uomini, la loro attività legislativa, la loro vita pubblica. Occorre saliredal basso in alto, cioè dal senso all ' intelletto, dal cittadino al governo, enon viceversa. Adopero una simi litudine, che al Cuoco certo piacerebbe.L'individuo è il senso, il governo l'intelletto dell'organismo sociale.L'intelletto che agisce senza l' esperimento del senso è l'astrazione.Lasciamo, dunque, all'intelletto la direzione, ma lasciamo al senso laavvertenza dei bisogni, che solo l'esperienza immediata può dare. Unadelimitazione di competenze è la salute dello Stato. La visione netta e precisadel problema costituzionale, che ebbe Vincenzo Cuoco e che trascende ognilimite di tempo, poi che certe questioni anche oggi hanno il loro peso, ci siappalesa nella posizione che assegna al can tone. Vi sono bisogni, che pur nonessendo generali, non sono più particolari, ma riflettono esigenze comuni a dueo tre comuni: occorre che i comuni che formano il can tone li risolvano insieme.« Imperocchè, avendo ogni po polazione alcuni interessi particolari ad alcunialtri co muni, è giusto che talvolta prenda delle risoluzioni comuni e talaltra delle particolari » (2 ). Tuttavia il Cuoco non mi sembra che vogliaattribuire al diparti mento quella larga autonomia che assegna al comune.Perchè? L’autore dei Frammenti non lo dice, ma chi ha penetrato il suo pensierointende facilmente. Il comune (1 ) Framm. II, p. 235. (2 ) Framm. II, p. 236.64 è una formazione naturale, consacrata dal tempo, ri spondente a bisogniconcreti vigili e immediatamente primi della società. Il dipartimento è unafigura ammini strativa, che può avere importanza entro i limiti d'unacompetenza ben precisa. Se al dipartimento si dà una forza che di natura nonha, si crea un piccolo Stato nello Stato, si perde la sua qualità di nessod'unione tra il comune e il potere centrale (1 ). Come ognun vede si agitanoqui questioni ancor oggi vive nella coscienza politica della nazione nostra,que stioni, che, dopo un sessantennio di convivenza unitaria, non hanno ancoraavuto una loro pratica risoluzione e un impostamento concreto. È tipico edinteressante notare come tutti i progetti di riforma costituzionale edamministrativa siano partiti dall'Italia meridionale, la quale è forse la piùdanneggiata dal rigido sistema cen tralizzatore, che noi attraverso il Piemonteabbiamo ereditato dalla Francia. Nel '60, occupando Garibaldi la Sicilia,alcuni patrioti, Crispi, Mordini, agitarono il pro blema, fra l'incomprensionedelle masse e peggio del governo, che li tacciarono di separatismo (2 ). IlCavour stesso, mente lucida e serena, non intese il problema, e non condividevai vari progetti di governi regionali, che si presentavano da altri a lui vicini;ed era natura lissimo: egli conosceva più l'Inghilterra e la Francia che nonl'Italia meridionale e centrale. Ma la natura si vendica degli uomini, e lecrisi politiche hanno origine dalla questione sovra detta. Vincenzo Cuoco l'haintuito (1) Questa è la ragione per cui l'autore (Framm. II, p. 236) scrive: «Ma le unionicantonali non debbono occuparsi di altro che delle elezioni che lalegge loro commette: inutile, inco modo, pericoloso sarebbe incaricarle dioggetti che richiedes sero una riunione troppo frequente. I cantoni, seguendoquesti principi, potrebbero essere un poco più grandi di quelli di Francia ». (2) M. Rosi, L'Italia Odierna, v. I, t. II, p. 988 e sgg.; M. Rosi, Ilrisorgimento italiano e l'azione di un patriotta co spiratore e soldato, Roma-Torino, Casa ed. nazionale, 1906, p. 228 e sgg. 65 troppo bene, per noncomprenderne il valore. Ma, pur troppo, tra l'Italia settentrionale e l'Italiameridio nale c'è ancora un hiatus troppo vasto, perchè le stesse idee possanogerminare nel cervello positivo de gli uomini del nord e nel cervellostoricista degli uo mini del mezzogiorno. Notiamo: l'esperienza politica delledue parti d'Italia è troppo diversa, perchè la com prensione sia facile. Ilcomune nell'Italia settentrionale fu piuttosto sinonimo di particolarismo e difazione, mentre nell'Italia meridionale seppe chiudersi in limiti più naturalid'amministrazione. E ciò era necessario per un'altra considerazione. Laddovenell'Italia alta si eb bero infiniti domíni, monarchie e repubbliche, varie successive preponderanze straniere, l'Italia centrale e meri dionale, superato ildominio bizantino e il longobardico, che non s'estese del resto oltre Beneventoche per un tempo brevissimo — s'assettò sotto i papi e sotto i Nor manni, e chiricevette il dominio in eredità lo ricevette nella sua complessità, senzainfrangerlo. Quindi, mentre nell'Italia del sud non si teme l'autonomia, perchèquesta non può infrangere vincoli millenarî, nel nord si teme l'autonomia, perchèsi teme la sua degenerazione, il fe deralismo, e con il federalismo, quella chesi vuol chia mare la questione meridionale, che ai miopi della poli tica apparequestione separatista, mentre è puramente amministrativa. Errore, che non esitoa chiamare defi cienza d'educazione politica e di comprensione storica !L'Italia ha raggiunto l'unità non per un caso furtuito, per l'opera di tre oquattro genî più o meno ispirati, ma per un processo graduale spontaneosecolare di compene trazione di pensiero e di interessi. La storia segue unatrama eterna, e questa trama non s'infrange. Scombusso latela, violatela,provatevi a romperla, essa si rifà con i tro di voi, e si ricostituisce.L'Italia è fatta e non può disfarsi, poi che la sua unità è opera delle cose enon dei singoli individui. Nel suo seno vi sono i vincoli d'una unità ancormaggiore e non i germi della dissoluzione. E, se pure vi sono germidissolvitori, saranno altri, ma non il comunalismo, nome, che se vuolsignificare fazione e campanile, è superato da un pezzo. Crisi vi furono, visono e vi saranno, ma furono sono e saranno crisi ammi nistrative politicheeconomiche, ma non mai nazionali. La storia, e non il genio di alcuni ispirati,ha fatto l'Ita lia, la storia la guida nel suo travaglio e la guida sicura,anche fra le crisi, di cui ho detto la natura, senza il bi sogno di uomini,fatali patres patriae, che ogni cinque minuti si arrogano il diritto dirafforzarla, d’epurarla, e, modestamente, di salvarla ! La critica, come ognunvede, alla costituzione del Pa. gano è addirittura radicale: troppo francese etroppo poco napoletana; per essere ottima men che buona, mediocre; come quellafrancese del '95 per sancire gli immortali princípi non discende alla vitapositiva. I particolari dimostrano a sufficienza l'astrattismo dellaconcezione. Il paese elegge 170 rappresentanti, i quali il Pagano di vide indue gruppi: 50 membri formano il Senato, 120 il Consiglio. Il Senato piùaustero e savio approva o re spinge ciò che il Consiglio ha proposto. Ilcritico però sempre fisso ad una realtà che non sfugge, l'elemento economiconella vita dei popoli, si domanda: a qual divisione d'interessi corrispondaquesta divisione di Ca mere: « In Inghilterra ha una ragione, perchè gli uomini non sono eguali; ha una ragione anche in Ame rica, poichè, sebbene gliamericani avessero dichiarati tutti gli uomini eguali per diritto, pure – ed inciò han pensato come gli antichi (1 ) non si sono lasciati illudere dalle lorodichiarazioni, ed han. veduto che ri mane tra gli uomini una perpetuadisuguaglianza di fatto, la quale, se non deve influir nell'esecuzione dellalegge, influisce però irreparabilmente nella formazione della medesima. Gliamericani han ricercata nelle ric chezze quella differenza che gl'inglesiricercan nel grado. (1 ) E noi possiamoaggiungere come.... Cuoco stesso. IlCuoco non è davvero per il suffragio universale, nè per una limita. zioneplutocratica, come gli americani, o per una limitazione di classe come gliinglesi, ma per una limitazione di educa. zione politica, e lo proveremoappresso. 67 La costituzione francese ha adottato inutilmente lo stabilimentoamericano. In sostanza, non essendovi nes suna diversità di bisogni tra le dueCamere, che rappre sentano la stessa borghesia che le esprime, essendo ugualenell'una e nell'altra la possibilità della corruzione, la distinzione non hauna ragione pratica. È un altro esempio della concretezza del pensiero politicodel no stro scrittore. La nazione napoletana, mentre per il potere legisla tivo,offre, come abbiam detto una sua tradizione pae sana, alla quale il giuristapuò rifarsi, non offre pari menti una forma indigena di potere esecutivo potereè pure il più indocile e il più difficile ad organiz zare. Difficoltà questapiù grave oggi, in cui le costitu zioni si creano a tavolino nel pieno oblìodegli uomini. « Forse non siamo stati mai tanto lontani dalla vera scienzadella legislazione quanto lo siamo adesso, che crediamo di averne conosciuti iprincípi più sublimi » (2 ). Non esiste una costituzione giusta, unacostituzione ottima, esistono costituzioni che più o meno rispondono ai bisognidi un popolo. Un popolo rozzo avrà una costi tuzione rudimentale, la quale glisarà più utile della costituzione del Pagano. Un popolo culto avrà una costituzione sublime, e sol questa potrà essergli utile. Perchè parlare quindi invia assoluta? È questo un vero e pro prio bisogno di ciò che tocca i sensi, iltrionfo dello sto ricismo. La costituzione è di per sè una mera forma, che èvuota, se tu non le dài un contenuto di sensibilità umana, un contenutoessenzialmente storico, cioè dina mico. Portate il diritto a contatto con lavita, e la vita vi darà la direttiva, il metodo, i princípi (3 ). Voi andate (1) Framm. II, p. 237. (2 ) Framm. III, p. 241. (3) Nel Platone in Italia (a curadi F. Nicolini, Laterza, ed., 1916, v. I, p. 45) il Cuoco scrive: «.... InTaranto si disputa tutt' i giorni sulla miglior forma di governo; e talunodifende gli ordini popolari, altri si lagna che quelli, che si hanno, non sienoabbastanza oligarchici.... Tornate ai vostri affari -- ho detto io a molti diquesti tali; 68 ricercando una norma, che delimiti il potere esecutivo dalpotere legislativo, che ponga un freno all'arbitrio e tenga il governo entro lalegge: è come cercare l'astratto ! Sono elementi questi di una costituzione chesolo una pratica civile può darvi. Stabilite un principio desumen dolo dallacostituzione inglese, non è detto che possiate farlo valere da noi.L'Inghilterra ha fissato per prima questa divisione dei poteri, ed è stata inciò scrupolosa; così la Francia, la Svizzera. « Ma questa divisione di forzedipende dalle circostanze politiche di una nazione; e bene spesso lo statodelle cose ed il corso degli avveni menti vincono la prudenza dell'uomo:cosicchè, volendo troppo dividere la forza armata, si corre rischio d’indebolirla soverchio, e sacrificare così alla libertà della co stituzionel'indipendenza della nazione » (1 ). È facile ve dere ciò in concreto. Ogninazione ha bisogno della forza per la sua difesa, e questo bisogno è vario,secondo molte circostanze etnologiche, storiche, geografiche, ecc. InInghilterra, per esempio, la Carta costituzionale è animata da un sentimentod’estrema diffidenza verso l'elemento militare, nel timore che questo si facciastru mento del governo per opprimere le libertà, onde il so vrano stesso nonpuò disporre della forza armata, ed è necessario un atto parlamentare ogni annoper mante nere un esercito. Questi princípi hanno origine nelle lotte tramonarchia e popolo, e trovarono la loro risolu zione pratica nellaDichiarazione dei diritti (anno 1689 ), nel definitivo abbattimento degliStuart e nell'ascesa al fate in modo di star meglio nelle vostre famiglie, estarete anche meglio nelle città. Se voi vi volete occupar sempre degli affaripubblici, senza curar i vostri interessi privati, rassomi. glierete queiviaggiatori, i quali, per la curiosità di osservar gli edifizi pubblici nellacittà in cui arrivano, trascurano di tro varsi un albergo, e poi si dolgono chein quella città si alberga male. Se volete esser cittadini felici, diventateprima uomini virtuosi. « I vostri maggiori eran liberi perchè forti e virtuosi.» (1 ) Framm. III, p. 243. 69 trono degli Orange. Ma il problema così com'èstato risoluto in Inghilterra, non può essere risoluto altrove: il bisogno cheAlbione ha d'un esercito è minimo, poi che la natura stessa, il mare difende lesue coste dalle aggressioni straniere. Il potere esecutivo può perciò benissimoessere menomato nelle sue manifestazioni mi litaresche, mentre non potrebbeessere menomato, senza che la nazione venga indebolita, qualora dovesse ab bandonarela sua autorità sull'armata, sulla flotta, unico e grande presidio dell'isola.È possibile tutto ciò in Francia? Evidentemente no. A Napoli? Neppure. Da noidiminuire il potere esecutivo, togliendogli l'alta di rezione dell'esercito,significherebbe porre il paese in braccio allo straniero. D'altra parte quellostesso po tere esecutivo, che non ha energia sufficiente per difen dere lefrontiere, ne avrà sempre tanta da opprimere un collegio elettorale, per farglisubire la sua volontà estrinseca. Gli antichi, nota il Cuoco, « inveced'indebolire i po teri,... li rendevano più energici, e così, essendo tuttiegualmente energici, venivano a bilanciarsi a vicenda » (1 ). Oggi ilegislatori invece mirano più alle apparenze, per seguono una delimitazione diforze e di competenze, che non ha ragione di essere, ed ignorano il veroequilibrio delle cose. La ripartizione delle forze consiste in un'ar monia diopinioni, è la risultante d’un lungo processo storico di educazione politica. «I costumi de' maggiori, il. rispetto per la religione, i pregiudizi istessi deipopoli servon talora a frenare i capricci dei più terribili despoti, anchequando al potere esecutivo sia riunito il legisla tivo.... » (2 ). È la naturache mette un limite all'arbi trio nella stessa educazione, nello stesso sensocivile del popolo. Una nazione ha, in sostanza, il regime che si merita. Avolte gli stessi tiranni sono fatali. Quando per soverchio amore di ordine, diregolarità una repub blica, poniamo, vuol togliere alle popolazioni usi, co (1) Framm. III, p. 244. (2 ) Framm. III, p. 244. 70 stumi, religione, peruniformarle ad una prassi desunta da princípi, il déspota può darsi che siaaccolto come un liberatore. Il concretismo storico del Cuoco qui raggiunge lesue vette più alte. L'autore stesso dei Frammenti, dopo pochi anni, dovette alungo meditare su queste stesse analisi, veggendo come i fatti avesseroconfermato le sue induzioni con l'avvento di Napoleone al duplice trono diFrancia e d'Italia, tra il plauso delle popola zioni stanche di regolarismorepubblicano. « È pericoloso estendere soverchio l'impero delle stesse leggi,perchè allora esse rimangono senza difesa. Le leggi da per loro stesse son mute:la difesa la dovrebbe fare il popolo; ma il popolo non intende le leggi, e solodi fende le sue opinioni ed i costumi suoi. Questo è il peri colo che io temo,quando veggo costituzioni troppo filo sofiche, e perciò senza base, perchètroppo lontane dai sensi e dai costumi del popolo » (1 ). Il popolo ha sueesigenze d'ordine e di regolarità, in dipendentemente dall'ordine e dallaregolarità che gli si vuole imporre estrinsecamente, e da queste esigenze nascono spontanei contrappesi costituzionali, limiti al l'esercizio de' poteri.Vuoi che egli resti attaccato alla legge, e se ne faccia quasi il tutore? Devisfruttare la sua natura, pure i pregiudizi. Vuole solennità? Dà alle leggisolennità quasi jeratica. La costituzione gli sem brerà cosa sacra, larispetterà e la farà rispettare. L'uomo, però, è sopra tutto interessi,plasmato com'è da bisogni materiali. Su una base economica e materiale riposain parte la sua natura. Dividete i poteri esterior mente, non avrete fattonulla: il più forte invaderà il campo del più debole, ne nasceranno crisi,conflitti, pre dominii. Per frenare la forza non vi può essere che un solomezzo: dividere gli interessi. Da una disarmonia d'interessi nasce l'armoniadegli ordini civili, poi che ciascuno difenderà il proprio interesse e saràimpedito a (1 ) Framm. III, p. 246. 71 sua volta di violare l'interesse altrui.« Fate che il potere di uno non si possa estendere senza offendere il potere diun altro; non fate che tutt'i poteri si ottenghino e si conservino nello stessomodo; talune magistrature perpe tue, talune elezioni a sorte, talune promozionifatte dalla legge, cosicchè un uomo, che siasi ben condotto in una carica, siasicuro di ottenerne una migliore senza aver bisogno del favor di nessuno; tuttequeste varietà, lungi dal distruggere la libertà, ne sono anzi il più fermo sostegno, perchè così tutti i possidenti, e coloro che sperano, temono unrovescio di costituzione, che sarebbe contrario ai loro interessi » (1 ).Questa la vera sapienza costitu zionale: il resto è pregiudizio ed empirismo.Si è pensato a diminuire la forza del governo, aumentando il numero dellepersone a cui è affidato. Il numero impedisce, sì, l'usurpazione, ma porta secola debolezza. I romani avevano il Senato, ma operavano per mezzo de' dueconsoli, o meglio per mezzo del dittatore. « L'unità im pedisce la debolezza,che porta seco la dissoluzione e la morte politica della nazione ».Quest'affermazione unitaria del Cuoco avrà, come dimostremo, grande im portanzaper la successiva evoluzione del suo pensiero, e sarà la base dellalegittimazione politica dell'impero napoleonico. Un altro puntointeressantissimo è questo. Le costitu zioni sono istituti sociali, umani, eperò vivi di vita pro pria. Il giudizio sul loro valore è lento, graduale, sipuò avere solo dopo lungo tempo, sulla base degli effetti pro dotti e non inbase a princípi di ragione. Occorre cono scere i popoli, e vedere se essecostituzioni rispondono alla loro vita, alla loro natura: solo il tempo puòdarci un giudizio definitivo. Quindi nessuno può dirci se la monar chia o larepubblica sia buona o cattiva. « Un re eredita rio», dice Mably, parlandodella costituzione della Svezia, « quando non ad altro, serve a togliere aglialtri l'ambizione (1 ) Framm. III, p. 247. (2) Framm. III, p. 249. 72 diesserlo; ed io credo la monarchia temperata meno di quel che si pensa nemicadegli ordini liberi » (1 ). In piena rivoluzione il Cuoco afferma che non èdetto che la repub blica estremista e radicale sia la panacea di tutti i mali,e che vi possano essere sistemi più rispondenti alla realtà nazionale, chegarantiscono meglio l'unità del reggimento politico e la libertà stessa, senzacadere nella debolezza, che di solito interviene allorquando il potere supremoper essere nelle mani d'un direttorio di più persone nelle mani di nessuno. Giàspuntano nell'autore dei Frammenti idee, che germineranno e che renderannosempre più coerenti i suoi princípi, espressioni profonde di convincimentisinceri e di meditazioni severe, non opportunismi servili, come ha volutodimostrare qual che critico che del pensiero del grande molisano ha ca pito benpoco. Il popolo è quello che è, con le sue virtù e con i suoi vizi. Illegislatore non deve che osservare, e dar leggi conformi alle condizioni realidei subietti, sfruttando vizi e virtù, tutto disimpegnando, tutto cercando d'armonizzare positivamente. Nel Progetto del Pagano c'è un primo istituto, lacensura, che rivive ed arieggia la censura latina; c' è un secondo ufficio,l'eforato, che ri corda un nome spartano anche nella sostanza, avendo il finedi tenere i poteri pubblici nel proprio cerchio, non partecipando ad alcuno diessi. Il Cuoco loda quest'ultima magistratura, ma non nasconde la grave verità:non vi può essere forza estrinseca, fuor dalle cose stesse, che mantengal'equilibrio ! In quanto alla censura siamo sem pre allo stesso punto: moltanobiltà di sentimenti, poca concretezza. Come provare che un cittadino viva aristocraticamente, agisca con alterigia, « sia prodigo, avaro, intemperante,imprudente...? ». Se la nazione è corrotta, se gli strati sociali sono corrosi,la censura non potrà fare nulla di nulla. « Libertà ! virtù ! ecco quale deveesser la meta di ogni legislatore; ecco ciò che forma tutta (1 ) Framm. III, p.250. 73 la felicità dei popoli. Ma, come per giugnere alla libertà, così lanatura ha segnata, per giugnere alla virtù, una via inalterabile: quella chenoi vogliam seguire non è la via della natura » (1 ). La virtù, anch'essa, nonè un assoluto, quindi non esiste un termine a cui ricondurre le norme dellavita. Lo stesso entusiasmo per la virtù può produrre in un paese disgregamenti,e per essere troppo spartani o romani si può cessare d'essere napoletani omilanesi. La notazione è sottile e vera, in un tempo in cui ogni buonrepubblicano era un Bruto, uno Scevola o che so io in quarantottesimo, pronto arecitare la sua parte tragica d'eroe e di tirannicida. « La virtù è una diquelle idee, » scrive il Cuoco, « non mai ben definite, che si presentano alnostro intelletto sotto vari aspetti; è un nome capace di infiniti significati.Vi è la virtù dell'uomo, quella delle nazioni, quella del cittadino: si puòconsiderar la virtù per i suoi princípi, si può considerare per i suoi effetti» (2 ). Può darsi che esi sta un'assoluta virtù, ma questo concetto non può cheriflettere la filosofia morale. Il legislatore deve mirare a ben altro fine chead una virtù superumana sublime, deve mirare a stabilizzare un costume « chenon renda infelice il cittadino », deve cioè trovare quell'armonicadelimitazione tra libertà e libertà, tra volontà partico lare e volontàparticolare, che sola può rendere pacifica l'umana convivenza. « Il fine dellavirtù è la felicità, e la felicità è la soddi sfazione dei bisogni, ossial'equilibrio tra i desideri e le forze » (3 ). Il nostro autore è un politico.A lui non in teressa l'universale etico, che riconosce e legittima nella suasfera ideale ed eterna; a lui interessa la morale po sitiva, che altro non èche la conformità del costume del (1 ) Framm. VI, p. 261. La critica cuochianacoincide affatto con quella che un valente costituzionalista moderno ha fattodei due istituti del Pagano, l'eforato e la censura: vedi L. PALMA, op. cit., p.442 e sgg. (2 ) Framm. VI, p. 261. (3 ) Framm. VI, p. 262. 74 singolo cittadinocol costume della nazione (1 ). Il diritto ci appare, quindi, come un minimoetico, che assicura una certa non esagerata regolarità ed uniformità di viverecivile. D'altra parte il Cuoco riconosce che, se il diritto deve limitarsi adosservare dati di fatto e a porre norme alla convivenza, stabilendo una pura esemplice hominis (1) Il concetto che una costituzione politica può assicurarela felicità umana solo in quanto ha un fondamento sulla virtù politica; e,questa alla sua volta rafferma, appare assai fre quente nel Platone in Italia.Arehita (v: I, p. 87) dice: « Ciò, che veramente è necessario in una città; èche ciascuno stia al suo luogo, cioè che sappia lavorare e che ami l'ordine. Adottener l'uno e l'altro, sono necessari egualmente la scienza e lasubordinazione... -- Non perdete la stima del popolo, diceva Pittagora, sevolete istruirlo. Il popolo non ode coloro che disprezza. Di rado egli puòconoscer le dottrine, ma giudica se. verissimamente i maestri, e li giudica daquelle cose che sem. brano spesso frivole, ma che son quelle sole che il popolovede. Che vale il dire che il popolo è ingiusto? Quando si · tratta d'istruirlo,tutt' i diritti sono suoi: tutt' i doveri son nostri, e nostre tutte lecolpe.... Tutte quelle dottrine destinate a pro durre riforme popolari hannobisogno di collegi, d'iniziazione, di segreto. Tutt' i popoli hanno avuto disimili collegi. Sono i primi passi che ogni popolo fa verso migliori ordinicivili. I vo. stri misteri di Eleusi e quelli di Samotracia hanno la stessaorigine: ma nè sul principio sonosi occupati de' nostri oggetti, perchè nati inetà più barbara; nè oggi possono esser più utili, perchè resi troppo comuni.Come pretendete che gl'iniziati emen dino il costume di Atene, se voi ateniesisiete tutti iniziati?... ). « Non son questi, o Archita ), disse alloraPlatone, « i soli mali che jo temo per tali collegi. Essi talora possonosepararsi dal resto degli uomini, e perdersi o dietro astruse inutilicontemplazioni, o dietro l'ozio e gli agi che il rispetto del popolo loro dona.Questo male io temo ogni volta che si separano le instituzioni morali dallecivili. Del resto la morale di Pittagora è nell'in trinseca natura dell'uomo.Essa rinascerà, non ne dubito, sotto altri nomi ed in altre terre. Rinascerà,quando la corruzione dei costumi e degli ordini civili e la miseria generaleavrà ridotti gli animi all'estremo de' mali. L'estrema corruzione nei costumide' popoli produrrà l ' estrema austerità ne' precetti de' pochi saggi cheallora vi saranno; l'estremo de' mali produrrà l'estre. mo del coraggio, dellatemperanza, della virtù, e risorgeranno sotto altri nomi la sapienza ed icollegi di Pittagora. Possan non separarsi mai dalle leggi e dalla società !Possano non riunirsi mai con - vincoli troppo tenaci !... ». 75 ad hominemproportio, la politica deve andare più in là, assicurare una felicità presente,dalla quale sola può scaturire la virtù, ed inoltre aiutare lo sviluppo dellafelicità, creare la felicità futura e di conseguenza la virtù futura. La sferàdel politico, pur non attingendo il sü blime vertice dell'indagine etica chenon può vigere che nel mondo teoretico, la sfera del politico, sfera del tuttopratica, anzi economica, trascende, com'ognun vede, la pura determinazionegiuridica: La vita umana è una ë complessa nello stesso tempo, perchè uno ecomplesso è lo spirito: La felicità politica, e quindi la virtù pub blica, ciappaiono come una formazione vastissima, ri: sultando da elementi molteplici,d'indole spirituale, reli giosa, materiale. Un elemento però è sovra gli altriim portante, l'economico, pur che lo si sappia intendere in sepso lato. « Ilfine della virtù è la felicità » (1 ). Per un politico l'affermazione non suonamale, specie dopo the egli stesso ha ammesso la possibilità d'un'altra ricercasuperiore, i cui termini sono di natura teoretica, che po trà influire sullaricerca positiva, essendovi innegabili vincoli di reciprocanza, ma che non siconnatura con questå. « La felicità è la soddisfazione dei bisogni ossial'equilibrio tra i desideri e le forze ». Sottentra l'elemento economico. « Ma,siccome queste due quantità sono sem pre variabili, così si può andare allafelicità, cioè si può ottener l'equilibrio oscemando i desideri o accrescendole forze » (2 ). Il selvaggio cura poco il suo simile: la sua economia è, entrocerti limiti, economia individuale iso lata, L'uomo civile non può prescinderedal resto del mondo: la sua economia è solo per astrazione individuale,concretamente è economia collettiva sociale. I bisogni di quest'uomo sonobisogni dinamici e progressivi. Il con cetto della società ha implicito ilconcetto della progres sività, poi che è impossibile pensare una società umanastatica, senza condannarla ad una prossima morte. I bi sogni umani sono incontinuo sviluppo: il lusso, quel che (1 ) Framm. VI, p. 262. (2 ) Framm. VI,p. 262, 76 chiamiamo lusso, è la manifestazione di bisogni nuovi, null’affattosuperflui, poi che sono la cagione d'ogni umano progresso. Sorgono nuovibisogni, ma con essi nasce spesso un disquilibrio, l'infelicità, poi che nonsempre le forze bastano a produrre i beni necessari per soddisfare i nuovibisogni. Che vale predicare gli antichi precetti di moderatezza, fulminare lenuove esigenze so ciali, la ricchezza? La storia corre incessantemente il suocorso ideale. Nuove età: nuovi bisogni: disquilibrio di forze produttive: poi,di nuovo, equilibrio per una reintegrata armonia tra forze economiche ebisogni: infine ancora un secondo disquilibrio per esigenze sottentratenell'ambiente, e così in eterno. La dinamica economica è un avvicendarsicontinuo d'equilibri successivi, d'equi libri turbati che si compongono in unnuovo punto. L'intuizione cuochiana è lucida ed anticipa di molto alcune veduteeconomiche moderne. Il fine della politica è assicurare quest'equilibrio traforze e bisogni, tra forze e desideri, come dice il Cuoco. « Se tu ciinsegnerai», scrive « la maniera di soddisfare i nostri bisogni, se faraicrescer le nostre forze, c' ispirerai l'amore del lavoro, schiuderai i tesoriche un suolo fertile chiude nel suo seno, ci esenterai dai vettigali che oggipaghiamo per le inutili bagattelle dello straniero, ci renderai grandi efelici: e, senza esser nè spartani nè romani, potremo pure esser virtuosi alpari di loro, perchè al pari di loro avremo le forze eguali ai desidèri nostri» (1 ). Le ricerche del Cuoco sono le ricerche dell'uomo politico. Il molisanoè troppo superiore per credere che la sua analisi esaurisca ogni altro problema:egli stesso dice al Russo: « Ti dirò un'altra volta le mie idee sullo studiodella morale, sulle cagioni per le quali è stato tanto trascurato presso dinoi, sulle cagioni delle contraddizioni che ancora vi sono tra precetti eprecetti, tra i libri e gli uomini; e forse allora converrai meco che di questascienza, che tanto interessa l'umanità, non ancora si conoscono quei prin (1 )Framm. VI, p. 262 77 cípi che potrebbero renderla utile e vera » (1 ). A mesembra di vedere una netta distinzione tra filosofia e politica, tra etica epedagogia generale: quel che in una sfera ha un suo profondo valore èinsufficiente nell'altra. « L'amor del lavoro mi pare che debba essere l'unicofondamento di quella virtù, che sola può avere il secol nostro. La cura delgoverno deve esser quella di distrug gere le professioni che nulla producono, equelle ancora le quali consumano più di ciò che producono;,e ne verrà à capo,se stabilirà tale ordine, che per mezzo di esse non si possa mai sperare tantodi ricchezza quanto colle arti utili se ne ottiene » (2). Il governo deve dareun vero e proprio impulso alla produzione: le forze giovani anzi che dirigersiagli impieghi pubblici debbono svilup parsi altrove, alle industrie, aicommerci, e sovra tutto alla campagna. « Il lavoro ci darà le arti che cimancano, ci renderà indipendenti da quelle nazioni dalle quali oggi dipendiamo;e così, accrescendo l'uso delle cose nostre, ne accrescerà anche la stima, ecolla stima delle cose nostre si risveglierà l'amor della nostra patria » (3 ).È una vera pedagogia politica in cui i princípi vivono al contatto con larealtà, in un sano relativismo, che, non scendendo alla bassezzadell’empirismo, respinge da se ogni astruseria. Oggi specialmente, in cui lafilosofia po litica è di moda e si riconduce pure la pratica più volgare agli eterniprincípi; questo nobile realismo ideale, sia permessa la parola, dovrebbeinsegnarci più d'una cosa. La rivoluzione pretende di rinnegare la storia, s'afferma come antistorica; ma di fronte ad essa, per un processo, che non è solodi reazione, ma di sviluppo - da Vico a Cuoco è lo stesso genio italico lostoricismo rinasce, critica della stessa rivoluzione e entro certi limiti suarivalutazione. Il Cuoco non rinnega la rivoluzione, anzi mostra di conoscerne ibenefíci, che poi enumererà con lucida visione nel Saggio e soprattutto ne'suoi articoli (1 ) Framm. VI, p. 261. (2 ) Framm. VI, p. 263. (3 ) Framm. VI,p. 263. 78 milanesi. Ma l'astrattismo in materia legislativa è dele terio, edoccorre superarlo, riconducendo il diritto alla vita. Sentimento profondo, cheil nostro non tradirà mai, e sarà sempre alla cima del suo pensiero nel lungocorso, che noi ci sforzeremo di seguire. La critica del progetto di Pagano ciappare, quindi, come la manifesta zione d'un sistema, che nel molisano èorganico ed in tero, non l'opposizione piccina d'un antirepubblicano. NèVincenzo Cuoco si smentì mai. Le notazioni che egli volge alla costituzionepartenopea, rivolgerà più tardi nel Saggio alla costituzione francese, che alui sembra troppo poco adeguata ai bisogni del popolo. « Chi para gona laDichiarazione de ' diritti dell ' uomo fatta in America a quella fatta inFrancia, troverà che la prima parla ai sensi, la seconda vuol parlare allaragione: la francese è la formula algebraica dell'americana » (1 ). Ma quantoqueste idee fossero in lui radicate e profonde, possiamo ancora megliodimostrare. Nel Giornale italiano, ricevuto l'annunzio che la patria di Alcinooe di Ulisse ha riacqui stato l'indipendenza, costituendo la così detta Repubblica settinsulare, scrive alcune sue opinioni che è op portuno rivedere. « Èdifficilissimo giudicar di una costi tuzione. La migliore non è sempre quellache per astratti argomenti si dimostra ottima, ma bensì quella che è piùuniforme al costume de' popoli: a quel costume che esi ste sempre prima dellacostituzione; e, se è simile, la rende vicina e durevole; se diverso, laindebolisce e la distrugge.... ». Qual'è dunque il principio che solo puòsanzionare la bontà d'una costituzione? Noi lo sappiamo: il tempo, il quale ciconfermerà se essa risponde a bisogni concreti; la storia, la quale ci dirà seessa si riconnette allo sviluppo della nazione, sviluppo o corso, al qualeoccorre necessariamente rifarsi, come ad incrollabile base, poi che il processodella vita non soffre soluzioni di con (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p.39. 79 tinuità. « La storia de' tempi passati », ci ammonisce il Cuoco, è lanorma di quelli che ancora debbono ve nire » (1 ). (1 ) L'articolo è intitolatoLa costituzione della repubblica set tinsulare; Giornale italiano, 1804, 15febbraio, n. 20, pp. 78-79. Nelle pagine seguenti del mio lavoro avrò frequentebisogno di rifarmi al Giorn. ital., in cui c'è il meglio dell'ingegno po liticodel Cuoco, e citerò largamente disul testo. Siccome, peraltro, molti dei piùsignificativi articoli del foglio milanese sono stati ristampati in appendicealle opere critiche del Ro MANO e del Cogo, se è del caso, darò tra parentesi,dopo le indicazioni dirette del Giorn. ital., le indicazioni delle ristampe.Altri cinque articoli cuochiani sono stati ripubblicati da G. Gen tile insiemecol Rapporto al re Murat e Progetto di decreto per l'ordinamento della Pubbl.Istruzione nel Regno di Napoli col titolo di Scritti pedagogici inediti o rari(Roma-Milano, Albrighi e Se gati ed., 1909). Allorquando poi il mio lavoro eragià compiuto sono usciti alla luce due altri volumi contenenti quanto di V.Cuoco rimaneva disperso: Scritti vari a cura di N. CORTESE E di F. NICOLINI,Bari, Laterza ed., 1924. Forse sarebbe stata op portuna una ristampa di tuttigli scritti del Giorn. ital., ma gli egregi editori non hanno creduto di farla,limitandosi a ripro durre per intero ben ventisette articoli, e sono imaggiori, e a dare, a mo' di appendice, un catalogo ragionato degli altri ri.masti fuori. S'intende che io ho rivisto le mie citazioni sull'edi. zionelaterziana, che, dal punto di vista della correttezza, offre i maggioriaffidamenti. Il « Saggio storico sullarivoluzione napoletana ». Il Saggio storico mostra in atto il sistema negativoab bozzato nei Frammenti. – Lo storico e l'artista. – La. Rivoluzione franceseè attiva, quella napoletana pas siva. L'astrattismo. - La corte e il governo. –I re pubblicani e il popolo. - L'arte del Saggio. I Frammenti di letteredirette a Vincenzio Russo ideal mente vanno innanzi al Saggio storico sullarivoluzione napoletana, sebbene tipograficamente in tutte le edizioni cuochianeseguano, quasi a mo' d'appendice, questo. Essi sono una vera e propria formulazionedi princípi filosofici giuridici economici, che Vincenzo Cuoco desume da un'esperienzastorica e politica insieme, antica e mo derna nello stesso tempo. Larghi sono iraffronti tra le costituzioni classiche e le odierne, tra costituzione odiernae costituzione odierna, e la critica si svolge tra compara zioni ed appuntiacutissimi. È l'opera di una eccellente testa politica, che ha legittimepretese di teorizzatore e di sistematico. V'è un ordine logico ferreo, unadisciplina storica, una consequenzialità impressionante. Avremmo desiderato chequesto sistema in abbozzo il Cuoco stesso avesse sviluppato, ma noi posteri,ammirando la sua eletta figura, non possiamo domandargli più di quanto ci hadato, se non nel dolore di vedere quanta parte del suo genio sia andatadispersa nell'esilio, nella po vertà e infine nelle malattie. È il libro d’unpensatore 81 che ad una astratta ideologia oppone il suo paesano realismostorico. Vincenzo Cuoco assiste allo svolgersi degli avvenimenti, giudiceimparziale, ma non per que sto inattivo e mutolo, e vede la storia rinnegare isuoi ideali, l'errore trionfare e fatalmente sommergere l'edi fiziorepubblicano. La vita segue una via che è fatale che segua. L'errore trael'errore, l'estremismo l'estremi smo. L'astruseria rivoluzionaria forza le cose,e la storia sembra calpestare lo storicismo, i princípi, che la specu lazioneha desunto e desume dall'osservazione del suo eterno corso. La storia sembraseguire uno spiegamento, che non è quello che il passato legittima. Vedremo,invece, come, superato il vortice, sia la storia stessa che illumina le veritàcuochiane: sarà il periodo del Giornale italiano, il periodo napoleonicodell'impero. « L'uomo è di tale natura, che tutte le sue idee si cangiano,tutt'i suoi affetti, giunti all'estremo, s'indeboliscono e si estin guono: aforza di voler troppo esser libero, l'uomo si stanca dello stesso sentimento dilibertà. Nec totam liber tatem, nec totam servitutem pati possumus, disseTacito del popolo romano: a me pare, che si possa dire di tutti i popoli dellaterra. Or che altro aveva fatto Robespierre spingendo all'estremo il sensodella libertà, se non che accelerarne il cambiamento? » (1 ). « Questo è ilcorso ordinario di tutte le rivoluzioni. Per lungo tempo il po polo si agitasenza saper ove fermarsi: corre sempre agli estremi e non sa che la felicità ènel mezzo » (2 ). Tale è la vita: dalla sua stessa negazione scaturisceun'afferma zione. La rivoluzione rinnega la storia, e la storia prende la suarivincita sulla rivoluzione. La rivoluzione afferma il diritto alla sommossa:Robespierre, figlio della rivolu zione, lo nega ghigliottinando; il popolostanco lo afferma sul capo di Robespierre. La cos za storica stess sem bradistrutta da tutta una tragica serie di fatti, ispi rati alla più astrusaideologia: la realtà annichilisce i repubblicani e li conduce alla perdizione;l'equilibrio si (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p.- 99. (2 ) V. Cuoco,Saggio storico] ristabilisce, si riconferma ciò ch'era stato negato. Onde benscrive, a mio avviso, il De Ruggiero, affermando che l'esperienzarivoluzionaria dà un nuovo significato alla negazione, in quanto questa è lacrisi feconda di un rin novamento della vita storica. La crisi, in sostanza,non può non apparire che come una critica degli avveni menti passati e delleistituzioni da essi nate, che non giudica arbitrariamente, sovrapponendo unaverità a priori, ma svolge dagli errori stessi un latente spirito di verità.Questa, infine, la ragione dell'ottimismo rela tivo del Cuoco. L'esperienzapolitica del Machiavelli do veva necessariamente finire, data la sua natura, lesue premesse, i suoi fini, nel pessimismo o nell'amarezza. L'esperienza delnostro, certo più tragica, più dolorosa, più densa di dolore, che non quelladel segretario fioren tino, sfocia, ed è naturale, in un equilibrio, che èquanto dire in un bene relativo, in Napoleone. Tra l'astrattismo e Napoleonec'è la rivoluzione, la prassi sanguinosa, il rinnegamento del passato, lacritica assoluta delle isti tuzioni millenarie, l'apriorismo giuridico, lademocratiz zazione, universale, l'esaltazione dei princípi. La storia procedecon continuità mirabile, ma nella sua stessa continuità c'è un processo di tesiantitesi ed un supera mento implicito, c'è infine la vera dinamica dello spirito, dell'idea, che muove gli uomini e le nazioni. La rivoluzione e Bonapartesono due aspetti della stessa realtà: « il passato, negato violentemente, siriaffaccia alla vita nell'atto stesso della negazione » (2 ). La criticadell’astrattismo razionalistico, che ne' Frammenti abbia mo osservato e coltanella teoria, nel Saggio è mostrata e, direi, vista in atto, nello stessospiegarsi della storia. È la storia stessa, che, nell'indicare la fatalità delpro cesso storico determinato dai princípi e dalla prassi re pubblicana,giudica d’un metodo e d’una mentalità. La storia sembra dire: queste normehanno portato a tale orribile scioglimento, giudica tu, lettore, della lorobontà ! (1) G. DE RUGGIERO, op. cit., p. 167. (2 ) G. DE RUGGIERO, op. cit., p. 168. 83 In ciò è riposto quel caratteredi sana sapienza, quel l'obiettività del Saggio, per cui Luigi Settembrini benpotea paragonarlo ad una tragedia greca (1). Ed il raf fronto non è davverostiracchiato. La Provvidenza vi chiana vi tiene il posto dell'antico Fatonell'urto degli eventi, e gli uomini stessi, che hanno determinato la !catastrofe con i loro errori, con le loro incongruenze, sog giacciono ad undestino, che sembra irrevocabile. Sono essi, gli uomini, che determinano loscioglimento, o sono poveri burattini nelle mani d'un ignoto motore? Ma lastoria è reciprocanza e v'è perfetta conversione tra causa ed effetto: gliuomini, che fanno la storia, soggiacciono ad essa. Il Cuoco parla spesso di unvortice (2 ), in cui egli stesso fu tratto, e da cui potè districarsi a malapena, dopo aver perduto i beni e la patria, vortice che egli non ammirava, sepure non odiava, come vuole il Tria, ma che distrusse sul palco ferale tantenobili esistenze, parla insomma di un vortice, che non è altro che larivoluzione. Che cosa è mai? È superiore alla volontà degli uomini?: No, esso èfatto dagli uomini nel loro delirio, nel loro ! errore, e gli uomini possono avernesicura conoscenza, poi che essi ne sono i fattori, ma averne conoscenza, significa in un certo senso superamento e distacco da esso. Nei Frammenti era lateoria, la metodologia. Il Saggio storico è la vita in atto, la tragedia grecain isviluppo, le passioni colte nel loro urto. Questa è la ragione per cui essoè un'opera d'arte, una grande opera d'arte. Lo spi rito dello scrittore rifà ilprocesso della storia, segue il corso delle idee, e lo fa con tale intensavisione da ri crearcelo in un miracolo di luci, di chiaroscuri, di sfu Imature. V'è l'anima insomma, laddove prima era il pensiero; la fantasia,laddove prima era l'intelletto, la fantasia che s'esprime per immagini e tuttorisolve nella immagine. L'opera d'arte è attinta in un processo d'obiet (1 ) L.SETTEMBRINI, Lezioni di letteratura italiana, Napoli, Morano ed., 1882, v. III,p. 282. (2 ) V. Cuoco," Saggio storico, Lettera dell'autore a N. Q., p.11: I, p. 16; VIII, p. 47; XV, p. 84, 84 tivazione, che non esito a direperfetto, onde non v'è affatto, o assai raramente, quel contrasto ibrido tral'ar tista che intuisce e lo storico che analizza quale può rin venirsi inmolte opere di simile genere, poi che tutto è compenetrato e fuso, attraversouna lunga maturazione, che dovette certo essere prima consapevolezza di pensiero, meditazione di cause e di effetti, e poi immedia tezza nervosa e rapidad'espressione (1 ). Invano tu cercherai nel Saggio un elemento estrinseco all'artistae allo storico. Lo storico si fonde con l'artista, ma lo stesso storico èperfetto. L'uomo pratico non con turba l'artista, che supera nella visionel'enunciato fine utilitario della sua narrazione; il partigiano non con turbalo storico. Leggete invece il Rapporto al cittadino Carnot del vesuviano FrancescoLomonaco. Quante escla mazioni, quanti interrogativi, quante tirate oratorie,quanti pistolotti repubblicani, quanto anticlericalume, quanta montatura ! V? èl'uomo delle nobili passioni, ma v'è pure l'uomo pratico, che per raggiungereun suo fine, non esita di caricar di tinte fosche la storia, non esita unmomento per indossare la toga dell'avvocato. Infatti chi può negare la presenzad'una passionalità che di strugge la storia, d'una coscienza turbata ed oscura,che è la negazione d'ogni vera espressione artistica? (2 ). Nel Cuoco nulla ditutto ciò. (1 ) La questione della cronologia del Saggio a me sembra oramairisoluta. Fausto Nicolini, in una sua nota all’ed. barese del Saggio, p. 357 esgg., la riassume e ne trae le migliori conseguenze. Perciò non ho che darinviare il lettore a quanto il Nicolini ha egregiamente scritto. Del Saggiopoi possediamo numerose edizioni, di cui alcune buone, molte mediocri scorretteristampe, nonchè traduzioni straniere: vedi N. RUGGIERI, op. cit., p. 173; e lanota del Nicolini all’ed. laterziana. (2 ) Ogni possibile raffronto tra ilCuoco e il Lomonaco è assolutamente impari. Già lo osservò il Gentile ne' suoiStudi vichiani, p. 361, nota, là dove critica un giudizio di G. Na. tali, chenella sua monografia La vita e il pensiero di Francesco Lomonaco, Napoli,Sangiovanni, non esita a chiamare il suo scrittore predecessore in molte ideedi Vincenzo. Scrive il Gen tile: « Tra le superficialità del Lomonaco e levedute profonde 85 Chi si accinge a studiare il pensiero cuochiano, i mo mentiideali dello spirito del grande molisano, non può non rifarsi ad unavvenimento, che per lui, come per noi, è la fonte, donde scaturirono tutti isuccessivi avveni menti, la rivoluzione francese, di cui la rivoluzione partenopea non è che un tardo episodio. Il Cuoco, che studia più le idee che ifatti, le idee che sono degli uomini, le idee che muovono gli uomini, lega lastoria napoletana alla francese, e di questa ci dà un quadro ricco e vasto. «Le grandi rivoluzioni politiche occupano nella storia dell'uomo: quel luogoistesso che tengono i fenomeni straordinari nella storia della natura » (1 ).Le rivolu zioni-sono come le malattie nel corpo umano, i periodi sismici nelmondo geologico. Le generazioni si succedono incolori uguali, finchè « unavvenimento straordinario sembra dar loro una nuova vita ». Le rivoluzioni sonoun'misto di bene e di male, gravi di effetti buoni o cat tivi, come le crisi dicrescenza nel corpo d’un fanciullo. « In mezzo a quel disordine generale, chesembra voler distruggere una nazione, si scoprono il suo carattere, i suoicostumi e le leggi di quell'ordine, del quale prima si vedevano solamente glieffetti » (2 ). Le rivoluzioni sono esperienze politiche, dalle quali non sipuò prescindere, perchè sono nell'ordine stesso della natura. Esse rinnegano aparole il passato, di fatto poi lo riconfermano, e nella negazione della storiail filosofo ritrova lo sviluppo fatale della storia. Guardiamo la rivoluzionedi Francia, a la più gran rivoluzione dicui ci parli la storia » (3 ). Essascoppia improvvisamente, rinnegatrice di tutto un passato: una analisiimmediata ci dirà che lo stesso passato l'ha pre parata, e allo stesso passatoessa si ricongiunge, onde è stato possibile a molti il prevederla. Gli uominisono cie del Cuoco c'è tale abisso, che non è lecito raccostare i due nomi, senon per illustrare l'ambiente in cui si muoveva lo spi rito del Cuoco, o per farmeglio vedere la sua superiorità ». (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, I. p. 15. (2) V. Cuoco, Saggio storico, I, p. 15. (3 ) V. Cuoco, Saggio storico, II, p. 17,86 chi, ma la storia, fatta dagli uomini, non è cieca, ed ha una sua logica,nella cui grandezza noi siamo come dispersi. Gli uomini sono ciechi e sonoinclini a scambiare il processo della loro mente con il processo della storia,e, peggio, a credere i suoi sviluppi mero sviluppo d'un pen siero loroindividuale. Il filosofismo francese ha preceduto la rivoluzione: ciò nonsignifica che esso abbia generato la rivoluzione. La storia non s'esauriscenella filosofia, come non s'esaurisce nell'economia: la storia è d'unacomplessità mirabile. « I francesi illusero loro stessi sulla natura della lororivoluzione, e credettero effetto della filosofia quello che era effetto dellecircostanze politiche nelle quali trovavasi la loro nazione » (1 ). Ma lafilosofia non compie simili miracoli, non sovverte un mondo, tutt'al più aiutagli uomini ad insistere ne' loro errori di metodo. Così accadde in Francia. IlCuoco con ciò non nega l'alta importanza umana della filosofia, vuolsemplicemente delimitare la sfera di ogni attività e ad ognuna assegnare ilposto che le com pete; anzi egli stesso ritiene che in ogni operazione umanadebba richiedersi la forza e l'idea, e nelle rivoluzioni, come è necessario ilpopolo, sono necessari i filosofi, i conduttori, « i quali presentino al popoloquelle idee, che egli talora travede quasi per istinto, che molte volte seguecon entusiasmo, ma che di rado sa da sè stesso formarsi » (2 ). Il compito deifilosofi è chiarificato: essi debbono trarre i princípi della storia e dellapolitica, non dal loro cervello ed assumerli come postulati inderoga bili, madalla vita del popolo, dalla natura eterna del l'uomo, che non è solointelletto, ma vichiamente anche senso e fantasia. Credere un avvenimentogigantesco, come la rivoluzione francese, frutto soltanto del pensierofilosofico è uno sminuirlo in una visione ristretta e par ticolaristica. Lavita non è solo attività teoretica, è me diatamente anche attività pratica,politica ed economica. Pur tenendo di vista il sorgere e l'imporsi delle idee, (1) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 37. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XV, p.82. 87 occorre investigare i bisogni e lo stato dei popoli per ve dere quantoessi siano stati i propulsori d’un moto, che è determinato, ma non cieco, anchenelle sue più crudeli manifestazioni. La rivoluzione francese non si può intendere, se non s'intende tutta la storia che la precede. La Franciamonarchica, la gloriosa potente monarchia accentratrice era un paese di abusi:« la rivoluzione non aspettava che una causa occasionale per iscoppiare » (1).Il Cuoco analizza tutto ciò, e l'analisi breve serrata ner vosa, che egli fa,è, senza dubbio la cosa migliore, che si possa scrivere sul turbolento periodo:gli stessi storici francesi non ebbero mai nessuna di quelle lucide intui zioniche fanno grande il molisano. « Tra tanti » si doman da « che hanno scritta lastoria della rivoluzione francese, è credibile che niuno ci abbia esposte lecagioni di tale avvenimento, ricercandole, non già ne'fatti degli uomini, iquali possono.modificare solo le apparenze, ma nel corso eterno delle coseistesse, in quel corso che solo ne determina la natura? » (2 ). Nessuno,rispondiamo, perchè è fatale negli uomini vedere solo alcuni individui di genioe trascurare le masse e le cose; credere un moto preparato dai secoli unfenomeno sporadico senza stretti legami con l'antico; una rivoluzione, operad'un intero popolo, com presso a lungo dall'ineguaglianza, la manifestazione dipochi genî o d'un partito. Il Cuoco, ho detto, ci dà una disamina deiprecedenti della grande rivoluzione, che sfida i tempi nella sua tacitianaconcisione. Val la pena di riferirla: non si può estrarre il succo da ciò, chedi per sè è tanto concentrato, che togliere una parola val quanto distruggereuna meditazione. « La leggenda delle mosse popolari, degli eccidi, delle ruine,delle varie opinioni, de' vari partiti, forma la storia di tutte lerivoluzioni, e non già di quella di Fran cia, perchè nulla ci dice di quelloper cui la rivoluzione di Francia differisce da tutte le altre. Nessuno ci hade scritto, una monarchia assoluta, creata da Richelieu e (1 ) V. Cuoco, Saggiostorico, VII, p. 37. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 38, 88 riforzata daLuigi XIV in un momento; una monarchia surta, al pari di tutte le altred'Europa, dall'anarchia feudale, senza però averla distrutta, talchè, mentretutti gli altri sovrani si erano elevati proteggendo i popoli contro i baroni,quello di Francia avea nel tempo stesso nemici ed i feudatari, ivi più potentiche altrove, ed il popolo ancora oppresso; le tante diverse costituzioni cheogni provincia avea; la guerra sorda ma continua tra i diversi ceti del regno;una nobiltà singolare, la quale, senza esser meno oppressiva di quella dellealtre nazioni, era più numerosa, ed a cui apparteneva chiunque vo leva, talchèogni uomo, appena che fosse ricco, diven tava nobile, ed il popolo perdea cosìfinanco la ricchezza; un clero, che si credeva essere indipendente dal papa eche non credeva dipendere dal re, onde era in continua lotta e col re e colpapa; i gradi militari di privativa de' nobili; i civili venali ed ereditari,in modo che al l'uomo non nobile e non ricco nulla rimaneva a sperare; ledispute che tutti questi contrasti facevano nascere; la smania di scrivere, cheindi nasceva e che era divenuta in Francia un mezzo di sussistenza per coloro iquali non ne avevano altro, e che erano moltissimi; la discus sione delleopinioni a cui le dispute davan luogo ed il pericolo che dalle stesse opinioninasceva, perchè su di esse eran fondati gl'interessi reali de' ceti; quindi lamassima persecuzione e la massima intolleranza per parte del clero e dellacorte, nell'atto che si predicava la mas sima tolleranza dai filosofi; quindila massima contrad dizione tra il governo e le leggi, tra le leggi e le idee,tra le idee e li costumi, tra una parte della nazione ed un'altra;contraddizione che dovea produrre l'urto vicen devole di tutte le parti, unostato di violenza nella na zione intera, ed in seguito o il languore delladistruzione o lo scoppio d'una rivoluzione. Questa sarebbe stata la storiadegna di Polibio » (1 ). La Francia ha mille cause per muoversi. La rivoluzione(1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 38. 89 s'esprime dal seno d'un popolo intravaglio secolare, sca turisce da desideri compressi, da bisogni materiali, daun malessere durevole. Che ci hanno a che fare i filosofi? I filosofi servono,se mai, a conturbare quel che è chiaro, a far credere opera loro quel che è giànella storia, a far scambiare come esigenza intellettuale quel che è esigenzaeconomica nel suo più vasto significato. Enormi sono gli abusi, terribili icontrasti; più astratti, quasi per necessità, i princípi riformistici, comequelli che voglion compren dere un numero più grande di fatti umani. Eccol'errore ! I francesi deducono i loro princípi dalla metafisica, e cadononell'errore « di confonder le proprie idee colle leggi della natura » (1). Èuna ' falsa visione del reale questa in cui possono cadere tutti gli uomini cheseguono idee soverchiamente astratte. Commentando le incon gruenze deirepubblicani della Partenopea il Cuoco escla ma: « Io credeva di far delleriflessioni sulla rivoluzione di Napoli, e scriveva intanto la storia dellarivoluzione di tutt ' i popoli della terra, especialmente della rivolu zionefrancese. Le false idee che i nostri aveano conce pite di questa non han pococontribuito ai nostri mali » (2 ). Siamo sempre ad un punto: gli uomini credonotroppo ne' loro princípi e non s'accorgono che i principi sono spessoastrazioni, credono in essi e ' non osservano che intanto la storia si muoveoltre i princípi. La rivolu zione è opéra dei filosofi? Altro che filosofi ! «Il grande, il solo agente delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni >>è il popolo (3 ). Guardate questo popolo: si muove mai esso dietro i filosofemi?No. « Il popolo non intenderà, non seguirà mai' i filosofi » (). Perché? Laragione è una sola, vichiana. Il popolo è senso e fantasia: i filosofi intelletto. Date al popolo princípi: non li intenderà. Com primete il popolo,esacerbatelo: il suo senso s'esaspererà, la sua fantasia s'accenderà violenta,vremo una crisi vasta ' e potente, la rivoluzione. (1 ) V. Cuoco, Saggiostorico, VII, p. 39. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p. 96. (3) V. Cuoco,Saggio storico, Prefazione alla sec. ed., p. 5, (4) V. Cuoco, Saggio storico,VI, p. 30, 90 La rivoluzione nasce da bisogni positivi, cioè dal senso e dallafantasia popolaresca. Ciò non toglie che il suo pervertirsi, il suo incrudelireprovenga invece dalla falsa filosofia. L'origine è naturale, lo sviluppoabnorme: lo spunto è popolare ed economico, le conseguenze degene razioni diprincípi, intellettualistiche. Sono le astruserie dell'ultima ora che portanoseco loro gli inconvenienti propri delle grandi rivoluzioni, i capricci de'potenti, le fazioni, le turbolenze, il sangue. « Chi guarda il corso dellarivoluzione francese ne sarà convinto » (1 ). I saggi sono inutili a produrreuna rivoluzione (2 ), ma i pseudo saggi possono condurre un moto già evolutosur una falsa via. Ecco perchè la rivoluzione francese ha un vizio d'origine,che dovrà riuscire fatale alle rivoluzioni, che qua e là scoppiarono, riflessiincolori e pur gravi della grande rivoluzione: essa parla troppo alla ragione,poco al senso e alla fantasia, e i popoli, si sa, sono tutto senso, tuttafantasia. Quanto più i pensatori navigano in sfere superne, tanto meno i popolili intendono, anzi, a volte, sono i popoli che accendono le controrivoluzioni,se i princípi di ragione urtano le avite tradizioni, i sacri costumi, imillenari bisogni. La critica è profonda, e, come ognuno intende, coin volgetutta la rivoluzione francese, ma è una critica, che nel Saggio storico appareper incidenza, e che tocca allo studioso di rilevare. La storia è tutta unacatena, in cui un avvenimento non si può astrarre dagli altri. La vita dellenazioni oggi è così complessa, che, trattando della stessa Napoli e della suapolitica, non si può prescindere dalla politica generale dell'Inghilterra,della Francia, della Spagna. Nel passato una rivoluzione potea apparire unevento isolato, poteva chiudersi quasi in una barriera sanitaria; oggi, intempi nuovi, deve fatalmente trovare addentellati un po' ovunque. Larivoluzione francese suscita un incendio repubblicano in Italia, a Milano, aRoma, a Napoli. Ma in questa stessa considerazione (1 ) V. Cuoco, Saggiostorico, VII, p. 40. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione alla sec. ed.,p. 6, 91 sta il primo e capitale appunto alla rivoluzione parte nopea, di cuiil Cuoco esclusivamente si occupa. Lo storico critica lo svolgimento dellagrande rivoluzione francese, ma non nega l'origine pienamente legittima diessa, la riconosce nata da un secolare stato anomalo di cose, per cui ilpopolo, attivo e industrioso, ma ciò non pertanto trascurato ed isolatopoliticamente, reagisce e d'un balzo acquista di diritto ciò che di fatto avevagià acquistato. Nulla di tutto ciò a Napoli. Quivi la rivolu zione è un meroriflesso di quella gallica, è nella sua na scita e nel suo affermarsi passiva.L'aggettivo passivo ha fatto epoca, e val quanto dire impopolare. Le ideepassano di paese in paese, perchè trovano ovunque in gegni culti atti ariceverle e a meditarle; i bisogni sono invece ovunque diversi, da nazione anazione, da po polo a popolo, anzi da regione a regione, da provincia aprovincia. Quel che a Parigi è spiegabile, a Napoli ' non lo è: quel che aNapoli è naturale, in Calabria cessa di esserlo, diviene artefatto. Mentretutto il pensiero europeo, dalla Germania all'Italia, dall'Inghilterra allaRussia, dalla Spagna alla Svizzera, è infranciosato, ra zionalista,illuminista, i bisogni dei popoli sono sostan zialmente e profondamente diversiin ogni angolo del vecchio continente europeo. Come poter condurre realtà dilor natura ineffabili e particolari ad. aderire a prin cipi uniformi, se nonsforzando lo stesso ordine delle cose? Così.a Napoli. Invece di fare unarivoluzione na poletana, si fece una rivoluzione francese in piccolo. « Le ideedella rivoluzione di Napoli » scrive il Cuoco « avrebbero potuto esserpopolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratteda una co stituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopramassime troppo astratte, erano lontanis sime da’sensi, e, quel ch'è più, siaggiungevano ad esse, come leggi, tutti gli usi, tutt'i capricci e taloratutt'i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, da' nostricapricci, dagli usi nostri » (1 ). La rivoluzione (1 ) V. Cuoco, Saggio storico,XV, p. 83, 92 francese, in sostanza, e qui è il nucleo di tutte le considerazioni successive, è attiva, cioè risultante di molte plici elementieconomici e politici; la rivoluzione napo letana passiva, cioè frutto diopinioni labili. Ma guardate gli uomini ! I monarchi europei credono larivoluzione francese questione d'opinioni e la perseguitano, mentre, se era inrealtà questione d'opinione, sarebbe caduta di per sè stessa; il re di Napolicrede cosa grave e profonda, invece, ciò che nel suo nascimento era ' un ' po 'moda e opinione, la tormenta ed incrudelisce, finendo per creare col suocontegno un generico malcontento. Lo stesso atteggiamento politico estremo indue circostanze diverse finisce per produrre i più gravi effetti. Leconseguenze di non mirare entro la natura delle cose ! È un astratti smo, cheVincenzo Cuoco non vede solo nella rivoluzione, ma ne' governi, nei patrioti enei codini, nella filosofia e nella scienza militare. La reazione, al primomanifestarsi della rivoluzione francese, è tutta ispirata a questa visualeerrata. Le potenze europee si coalizzano contro la Francia: effetto: laFrancia, di fronte al pericolo straniero, è un sol uomo, si arma, si oppone,vince. « Una guerra esterna, mossa con.... ingiustizia ed imprudenza, assodòuna rivoluzione, che, senza di essa, sarebbe degenerata in guerra civile » (1 ).È l'astrattismo, il solito astrattismo del tempo, che crede forzare l'ordinedelle cose. La Francia deve ras sodare la sua insurrezione; ha contro di sètutta l'Europa: la guerra le diviene indispensabile per vivere. È l'opposizione stessa che costringe il paese alla lotta. Quindi si sviluppa un sistemadi democratizzazione universale, di cui i politici interessati si servono, acui i filosofi applau dono in buona fede; « sistema che alla forza delle armiriunisce quella dell' opinione, che suol produrre, e ta lora ha prodotti,quegl'imperi che tanto somigliano ad una monarchia universale » (2 ). (1 ) V.Cuoco, Saggio storico, II, p. 18. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, II, p. 20. 93A Napoli lo stesso errore dei governanti è aggravato da circostanze peculiari.Il principio della rivoluzione francese trova una nazione florida ed esuberantedi pen siero e di studi economici, giuridici, filosofici, un paese che traedalla Francia molte cose, ma tutte le concre tizza in una tradizione paesana,che si ricollega al Vico. La rivoluzione, se pure in questo ambiente èpossibile una rivoluzione, è affare d'opinione. Ma a Napoli mancano irepubblicani. Pochi giovinetti, presa la testa - dalle novità straniere, siproclamano sovversivi, vestono alla francese, parlano francese, seguono insommala moda. Convien disprezzarli. No, il governo muta rotta, incru delisce. Èproprio quella politica, che più conveniva evi tare, volendo rimanere saldinella grave crisi, che agi tava tutto il mondo civile (1 ). « I nostri affetti,preso che abbiano un corso, più non si arrestano. L'odio segue il disprezzo, edietro l'odio vengono il sospetto ed il timore » (2 ). Gli uomini s'oppongonoviolentemente, gli a ffetti s ' inacerbano: laddove con un metodo diverso lasituazione potea dominarsi, è lo scompiglio. « I mali d'opinione si guarisconocol disprezzo e coll'obblio: il popolo non intenderà, non seguirà mai ifilosofi » (3 ). A Napoli il popolo non partecipa a nessun movimento: larivoluzione, quindi, è lecito presumere, non c'è, non ci 16 li la ti (1 ) È lostesso concetto che V. Cuoco esprime nel Platone in Italia, v. I, p. 43: « Nelportico di Falanto si ragunan tutti i giorni, molti, la cura principale dequali è di ragionar della guerra e della pace di tutti popoli della terra...Forse un giorno taluno imporrà fine al loro cicaleccio. Archita non lo cura, adonta che il più delle volte si parli di lui, e non sempre con giustizia. E qualgiustizia sperare da coloro che siedono tutt' i giorni in un portico perragionar di regni? 0. presto o tardi si credono di esser re. Ma Archita, ataluno che gli ha con sigliato di vietar taliadunanze, ha risposto: —Tu vuoidunque che il popolo creda alle parole di costoro? Nessun uomo mostra la suastoltezza, nè il popolo se ne accorge mai al primo mo mento. Se vuoi smascherarlo stolto, lascia che parli lungamente. Gli chiudi tu la bocca al primo istante?Corri il rischio di farlo riputar savio (2) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p.29. (3) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p. 30. 94 sarà. Ma, ecco, la poliziaperseguita quei giovinetti, che hanno per moda il fare le corse a cavallo perChiaia e Bagnuoli, imitando gli antichi greci, che leggono ne' pe riodici lecose della rivoluzione francese e ne parlano ai loro barbieri e alleinnamorate, ecco, le opinioni diven tano sentimenti, il sentimento general'entusiasmo, l'en tusiasmo si comunica: « vi inimicate chi soffre la persecuzione, vi inimicate chi la teme, vi inimicate anche l'uomo indifferente chela condanna; e finalmente l'opi nione perseguitata diventa generale e trionfa »(1 ). Una politica sbagliata insomma ingenera errori nuovi. Si perde il sensodella moderazione e si cade nell'estre mismo. Si vuol sangue, si condanna (2 ).Pochi a Napoli intendono la rivoluzione francese, pochissimi l'approvano,nessuno la desidera: eppure si crea un ambiente insurre zionale, laddove nonera. « Il mezzo per opporsi al con tagio delle idee lo dirò io? non è che unsolo: lasciarle conoscere e discutere quanto più sia possibile. La di scussionefarà nascere le idee contrarie » (3 ). Il governo di Napoli invece è pavido, eil timore rende deboli e inetti, ci offre sprovvisti all'assalto inimico. «Vince una rivoluzione colui che meno la teme » (+ ). Questa incomprensionedella realtà sociale, che il Cuoco trova nella prassi politica preventiva dellacorte di Na poli, deriva dallo stesso astrattismo che domina i go verni europeicoalizzati, è lo stesso astrattismo che guida i giacobini di Francia e ipatrioti di Napoli. Non per nulla tutti gli attori del fòsco dramma, gli uni egli altri hanno bevuto alle acque della filosofia illuminista, che per laragione rinnega il senso, e ripone tutta la sua fiducia nell'umano intelletto enella sua ideologia. Eccone le conseguenze. Vedremo in seguito il comportamentodei (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p. 30. (2 ) Il tratto saliente di questapre -reazione è la condanna a morte di tre giovani, De Deo, Vitaliani e Galvani:la morte del De Deo fu sublime. Vedi quel che ne scrive B. CROCE, Larivoluzione napoletana, p. 204 e sgg: (3 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p.41. (4 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 42. 95 repubblicani, ora dobbiamoosservare più particolar mente la politica governativa e la sua insufficienza.La rivoluzione a Napoli, abbiamo detto, nasce come opinione, quindi passiva; lacorte finisce per renderla necessaria, sforzando il cammino storico dellanazione, suscitando vasti malcontenti in tutte le classi del po polo, ne'signori e nella borghesia, perseguitando dotti filosofi ed economisti, ungiorno già vanto e decoro della corte stessa, nel popolo, intaccando gravementei suoi interessi. Vediamo quest'ultimo punto, il quale ci mo strerà purel'importanza che Vincenzo Cuoco dà all'ele mento economico nella storia e nellapolitica. La storia per lui non è pura idea, come per gl’intellettualisti, chefiniscono per negarla, nè pura economia, come per i ma terialisti storici: lastoria è più complessa assai. « La storia si può suddividere in tante partiquanti sono gli aspetti sotto de' quali gli avvenimenti umani si vo glionoconsiderare » (1 ). Ogni scienza particolare ha una sua storia, ma quel che noiconsideriamo come la storia per eccellenza non s'esaurisce in alcuna ricercapartico lare. Lo spirito è complesso pur nella sua unità, così com plessa è lavita dei popoli, che è attività pratica e teore tica, prassi ed economia,intelletto e fantasia. Onde lo storico deve tener conto di tutto, e di tuttodeve rendersi conto. Ma non anticipiamo ! Il Cuoco dà molta importanzaall'elemento economico, ma non esaurisce in esso il pro cesso storico, losviluppo d'una nazione. Qual è la posi zione geografica, e di riflessoeconomica, del regno di Napoli? Ove portano questo Stato i bisogni generali?Qual'è quindi la direttiva più naturale della sua politica? Quando Napoleonediscende in Italia, la penisola è divisa in piccoli Stati, i quali unitiavrebbero potuto opporre resistenza, disuniti era fatale che cadessero. Que stacontingenza mostra quanto lo stato politico degli italiani sia infelice, senzaamor di patria e senza virtù militare. Di fronte al genio d’un gran capitanotutte (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 31. 96 le barriere caddero comescenari vecchi: gli austriaci furono messi in fuga, Venezia disparve colla suaimbe cille oligarchia, la distruzione del governo teocratico del Pontefice noncostò che il volerla. Napoli sola per un complesso di cose poteva resistere. ANapoli c'era un governo monarchico forte, che garantiva una maggiorecompattezza, una certa disciplina, un esercito, un po polo che bene o maleseguiva il suo sovrano, c'era un popolo, e dietro di esso una classe colta chevoleva stu diare e vivere. Tutto rendeva possibile l'esistenza felice dellamonarchia, pur nel vortice che dilagava in Eu ropa. Non fu così: la politicaborbonica da qualche anno seguiva, e ora sotto la pressione napoleonica continuò a seguire, l'andazzo antifrancese de' governi coa lizzati, ed urto in unacondizione di cose secolare e pro fondamente sentita dalle popolazionimeridionali. Il regno di Napoli era per sua natura una potenza me diterranea.Tutti i suoi interessi lo portavano ad una politica mediterranea, ad unapolitica, vale a dire, il cui centro di sviluppo fosse il bacino delMediterraneo, ad un commercio con l ' Oriente, con Tunisi, con la Francia, conla Spagna. Queste le esigenze del paese: la volontà della regina dominatriceco' suoi favoriti della corte e del governo dispose diversamente. Lo Statodiventò ligio all'Austria, potenza lontana, dalla quale il paese nulla aveva dasperare e tutto da perdere, che finì anzi per coinvolgerlo in continue guerre.Le cause di questo errore si riconducono ad uno di quei concetti, che nel Cuocosono alla base di tutto il suo pensiero: il disdegno di tutto ciò che èstraniero. L'ita lianismo del Cuoco, che si vuol porre di solito come meroantifrancesismo, è, entro certi limiti, un po' xenofobismo. Egli vuol inoculareagli italiani un sicuro orgoglio nazio nale, un vero bisogno d'essereesclusivamente italiani. La rivoluzione napoletana, come in genere tutte lerivoluzioni italiane del tempo, sono la negazione dell'italianismo, negazione,che, notiamo, è cominciata da lungo tempo e si perpetua tra gli errori de'governi e dei repubblicani. È un indirizzo mentale, che il Cuoco combatteovunque 97 lo trova. Egli non è antirivoluzionario, perchè critica i patrioti:egli non è antiborbonico, sol perchè critica il go verno. La sua critica haorigini più grandi: bisogna riguar darla quale espressione d'una mentalitàpolitico- giuridica più italiana, più grande che non tutti i sistemi che la rivoluzione ha maturati, d'una mentalità politica, che si rivolge combattivaovunque vede la sua negazione. L'azione rivoluzionaria è una prassid'astrattismo fran cese: è naturale che Vincenzo Cuoco non ne condivida ledirettive.. La politica di Maria Carolina di Napoli e del suo favorito Acton èpoco napoletana, molto austriaca: è naturale che Cuoco alla luce delle sue ideene riveli le incongruenze e le manchevolezze. La pietra di paragone: l'Italia,Napoli, il popolo e i suoi bisogni. Tutte le poli tiche, che astraggono daquesto elemento insuperabile, sono rovinose. Maria Carolina, salendo al tronomeridionale, dovea dimenticare di essere una tedesca, pensare di divenirenapoletana, se voleva divenire davvero regina di Napoli e cessare di essere unaprincipessa germanica. Volle in vece essere novatrice, cioè sforzare latradizione, gli usi, i costumi del nuovo ambiente, sviluppando una frivolasmania per ogni cosa estera, sia materiale, sia intellet tuale. Dalla moda peril vestire si passò a quella per il costume e per i modi, si parlò francese odinglese, e si ritenne poco obbrobrioso non sapere l'italiano; l'imita zione delvestimento e delle lingue portò di conseguenza l'imitazione delle opinioni. «La mania » ammonisce il « per le nazioni estere prima avvilisce, indi ammiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cosesue » (1 ). La stessa ineguaglianza in tutti i rami dell'ammi nistrazione.Ovunque si navigava nell'astrazione. Chi potrebbe mai pensare la felicità e lapotenza, a cui un governo savio ed attivo, cioè nazionale, avrebbe potutoportare il paese, sviluppando l'energia pubblica, ed esen Cuoco (1 ) V. Cuoco,Saggio storico, V, p. 29. 7 -- tando il paese perciò dalla dipendenzamanifatturiera estera, proteggendo le arti, sviluppando il commercio ! Inveceno: non v'è provvedimento borbonico che non si possa rimproverare. « L'epoca incui giunse Acton era l'epoca degli utili progetti: qual progettista egli sispac ciò e qual progettista fu accolto; ma i suoi progetti, ineseguibili o noneseguiti o eseguiti male, divennero cagioni di nuove ruine, perchè cagioni dinuove inutili spese » (1 ). Il Cuoco non fa distinzioni: il male è nella radice, nella mentalità del tempo. Si spera in un ottimo assoluto, che è ilpeggior nemico del bene, e si finisce per far male: si è miracolisti e siriduce a terra ogni utile antica istituzione. Gli ordini antichi bene o maleassicuravano la vita civile: perchè distruggerli ab imo, anzi che rif marli?Chi era Acton, chi era questo favorito, che voleva ! « Acton non conosceva nèla nazione nè le cose. Voleva la marina, ed intanto non avevamo porti, senzade' quali non vi è marina: non seppe nemmeno riattare quei di Baia e diBrindisi, che la natura istessa avea formati, che un tempo erano stati celebrie che poteano divenirlo di nuovo con piccolissima spesa, se, invece di seguireil piano delle creature di Acton, si fosse seguito il piano dei romani, che eraquello della natura » (2 ). Un esempio della vacuità del favorito di MariaCarolina. Napoli, dato che è un paese mediterraneo, aveva bisogni marinari. Ibar bareschi erano i suoi nemici diretti, i nemici dei suoi commerci, che conle loro scorrerie finivano per rovinare. Occorreva proteggere le navimercantili, occorreva una flotta di piccole navi veloci e leggiere da opporrealle navi da corsa. Acton volle provvedervi. Manco a farlo appo sta, la flottache fece costrurre, era composta di legni pesanti, da combattimento e non daguerriglia. Io non posso indugiarmi su questo argomento, poi che il mio assuntonon è quello di dare la contenenza del (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VIII, p.45. (2) V. Cuoco, Saggio storico, VIII, p. 46. 99 Saggio storico, ma ditracciare un profilo ideale del pen siero di Vincenzo Cuoco nelle sue svariatemanifesta zioni, seguendo fin dove è possibile la cronologia delle opere delmolisano, tradendola ove essa complica lo sviluppo sistematico dello spirito.Non mi indugierò quindi ad enumerare gli errori, l'atteggiamento del go vernoverso Napoleone, l'aggressione durante la sua as senza, la marcia di Mack, capodell'esercito borbonico, su Roma. Mack.... Se volete un ultimo esempio diastrattismo, basta pensare al generale austriaco, al quale il governo diNapoli'affidò le sue fortune. Cuoco non è un uomo di guerra, ma ha il buonsenso di cogliere il punto debole di duci della natura di Mack, inclini ascambiare le loro idee con l'universo. La scienza militare è una scienzapositiva, scienza d'osservazioni particolari, che ripugnano, alleschematizzazioni. Mack invece era la dottrina in per sona, ma faceva i piani atavolino, risalendo col pen siero ai princípi della sua scienza, senzacollaudarli con la realtà, che gli si parava dinanzi. « Vuoi conoscere » domanda il Cuoco « a segni infallibili uno di questi capitani? Soffre pochissimola contradizione ed i consigli altrui: il criterio della verità è per lui, nongià la concordanza tra le sue idee e le cose, ma bensì tra le sue idee medesime. Prima dell'azione sono audacissimi, timidissimi dopo l'azione:audacissimi, perchè non pensano che le cose pos san esser diverse dalle ideeloro; timidissimi, perchè, non avendo prevista questa diversità, non vi sitrovan pre parati. Affettano ne' loro discorsi estrema esattezza; ma questa èinesattissima, perchè trascurano tutte le diffe renze che esistono nella natura» (1 ). Simili uomini, come Acton e Mack, sono deleterii in ogni tempo, furonorui nosi ai Borboni, in contingenze delicatissime. Date queste premesse, lasconfitta, la fuga del re, l'in ganno della partenza, l'ingresso de' francesinella capi tale, il governo repubblicano, la proclamazione della Par (1 ) V.Cuoco, Saggio storico, XII, p. 72. 100 tenopea ci appaiono necessari sviluppidi tutti gli elementi, che abbiamo precedentemente analizzato. Ma la storia delCuoco procede con la stessa spietata critica, per cui l ' in dagine penetraacuta negli avvenimenti e nelle determi nazioni umane, come il bisturì nelcorpo d'un paziente, e ne rivela i mali, ne appalesa gli errori. Ancora lestesse deficienze, ancora la stessa visuale falsa. Repubblica e popolo sono duecose distinte. Vediamo i due gruppi. Chi sono i repubblicani di Napoli? Sonorepubblicani tutti coloro che hanno beni e costume. L'aristocrazia, la borghesia,la classe accademica, gli studenti, il clero an che alto, l'ufficialità dànnoil contingente maggiore dei patrioti: filosofi, finanzieri, giureconsulti,vescovi, teologi, giornalisti, poeti. Nel moto del '99 non è davvero il pensiero che manca. Ma basta l'idea a muovere i popoli, a sovvertire un ordinesecolare, a riformare ab imo gli istituti d'una nazione? Tra le file deirepubblicani c'è, abbiam detto, quanto di meglio ha prodotto il mezzo giornod'Italia in tutti i rami dello scibile umano, ma non si può negare, che anche aNapoli si sia prodotto quel fenomeno tipico di tutti i sovvertimenti,l'arrivismo, la speculazione. Molti hanno la repubblica sulle labbra, pochi nelcuore; molti l'esaltano, pochi la raffermano. Alcuni hanno voluto accusare ilCuoco di parzialità, anzi di malvolere verso le nobili figure de ' martiri del'99 (1). Ma il Cuoco è storico e non travisa ! Che meraviglia che accanto aPagano ci sia il faccendiere, accanto a Russo li procacciante, accanto aConforti il paglietta in cerca di clienti, accanto a Grimaldi il soldato chevuol far car riera ! È la storia d'ogni giorno, più o meno triste, ma sempreuguale. Il Cuoco del resto sa sollevare la testa e notare le grandi figure edeternarle. Questi repubblicani il molisano distingue in due gruppi: coloro chevogliono più un cangiamento che un buon cangiamento, per pescare nel torbido,coloro che in buona (1 ) Cfr. U. TRIA, op. cit., p. 158 e sgg. in Rassegnacritica della letteratura italiana, vol. VI, (1901); L. CONFORTI, op. cit., p.21 e sgg. 101 fede vogliono imitare tutto dalla Francia; i furbi, in somma, e ifantastici (1 ). Ma la virtù a Napoli è grande. Mentre in tutte le altrerivoluzioni è l'elemento cattivo, che fa sorgere principi pessimi, qui vi sonoi princípi non buoni, che fanno cadere uomini buoni ed eletti. La memoria dellostorico s'in china dinanzi ai martiri del '99. I patrioti sono uomini colti,superiori, il fior fiore della nazione: forse questa stessa loro origine è lacausa prima che li allontana, sele zionandoli, dalle masse, e quindi dallarealtà d'ogni sana politica. Gli uomini sono buoni; i princípi che essi professano, gli ordini cattivi. La loro virtù è una virtù stoica, il loro spiritoromano, la loro morale superiore, troppo superiore a quella comune delle plebi:quest ' è stata una delle cagioni della ruina (2 ). Uomini i patriotiinsufficienti tutti, nel giudizio sereno dello storico, a creare e a diri gereuno Stato, grandi solo nella morte: la loro fine con sacra alla posterità laloro sublime grandezza. Il Cuoco è davvero nella sua analisi uno scettico, e saesaltare l’eroi smo, come abbattere la falsa politica. Lo stesso uomo, cheenumera errori errori errori, è poi colui che con pa role degne di Tacito,esaltatore delle ultime aristocra tiche virtù, descrive la difesa strenua degliultimi nuclei rivoluzionari dinanzi all'irrompere delle torme sanfedi ste, ladistruzione del forte di Vigliena, oppure la ca duta di Altamura. L'assedio diAltamura, per esempio, è scolpito con una concisione ed una rapidità mirabili:l'eroica disperata lotta rivive paurosa nella nostra fantasia. Il salto delforte di Vigliena, la battaglia navale di Procida delle flot tiglie barcareccedi Caracciolo contro le munite navi di Nelson mostrano un Cuoco, non solofreddo analista, cri tico spietato d'errati metodi legislativi e costituzionali,ma un Cuoco, direi, lirico e commosso, preso dal fascino delle figure eroiche,che la storia suscita fra errori e de lusioni, onde ei può nel crollo dellasua, dico sua, repub (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XV, p. 84, nota. (2) V.Cuoco, Saggio storico, XXXVI, p. 157. 102 blica esclamare esaltato: « Si sonotanto ammirati i tre cento delle Termopili, perchè seppero morire; i nostrifecero anche dippiù: seppero capitolare coll'inimico e salvarsi; seppero almenouna volta far riconoscere la repubblica napoletana » (1 ). Ma lo spiritopolitico di Vincenzo Cuoco non può non far risalire alla sventatezza,all'impreparazione dei pa trioti la causa dello sfacelo; non può, esaltandovirtù e meriti, dimenticare l'insufficienza e la vacuità del me todolegislativo, che doveva dar le norme direttive al nuovo ordine. Si è detto (2 )che la storia del Cuoco non è scritta con un fine ben netto. No, il fine c'è:la condanna spietata d'una mitologia costituzionale e filosofica, af finchèl'Italia ritorni alla sua tradizione e non ricada sugli antichi errori. I saggisono inutili a produrre le ri voluzioni; i filosofi navigheranno sempre inbeate astra zioni, ma invano credono di poter muovere con i loro pensamenti ipopoli, poi che questi non si muovono che sotto l'urgenza di concreti bisogni.A Napoli, come al trove, c'era un popolo: bisognava tenerne conto, interpretarne i desideri. I patrioti non ne fecero caso. Tutta la rovina dellarepubblica s'impernia su questa incompren sione sociale. Il popolo, sappiamo, èil grande, il solo agente delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni (3 ).Credere un moto rivoluzionario determinato dalla filosofia è una sempliceillusione, che solo i francesi potevano concepire. La rivo luzione deve parlareai sensi e alla fantasia, non solo all'intelletto, cioè alle plebi, e non soloai pensatori. A Napoli c'era un popolo, che in qualche modo aveva di chelagnarsi della più recente opera de' Borboni: biso gnava farlo agire,soddisfare i suoi desideri, cointeressarlo alla nuova ricostruzione, legarloallo Stato: allora solo, (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XLVIII, p. 188. (2 ) U.TRIA, op. cit., p. 196, in Rassegna critica della lette ratura italiana, v. VI,(1901 ). (3 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione, p. 5. 103 fatto ciò, larepubblica poteva dirsi basata su un piedi stallo incrollabile. In unarivoluzione è necessario il numero e l'idea. Le idee repubblicane si sarebberopotute rendere popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso dellanazione. Quando la rivoluzione scoppia, il popolo ondeggia tra le due fazioni,i patrioti che vede padroni della capitale, il re che vede fuggireignominiosamente. È il momento ! Il popolo dubita della saggezza del sovrano,della sua magnanimità, lo coglie in peccato di vigliaccheria, dubita, e chidubita condanna a metà. Si può rendere il popolo partecipe all'azione, invecesi fa di tutto per allontanarlo. « La nostra rivoluzione » scrive Cuoco «essendo una rivo luzione passiva, l'unico mezzo di condurla a buon fine eraquello di guadagnare l'opinione del popolo » (1 ). Ma repubblicani e popolosembrano nonchè due classi, due popoli diversi per idee costumi lingua. I primisono fran cesizzanti; il secondo per natura tradizionalista, attac cato allesue istituzioni, ai suoi principi, alla sua reli gione, ai suoi pregiudizi. Tragli uni e gli altri c ' è un divario di due secoli di cultura e di storia. Idirigenti invece prescindono da ogni elemento nativo, quell'ele mento che sideve coltivare, essendo tutto nel popolo. Co loro, che sono ancora napoletani,nota con amarezza lo storico, e che compongono il maggior numero, sono incolti. Ritorniamo al solito concetto: la moda straniera è la causa di tutta larovina (2 ). « Le disgrazie de' popoli sono spesso le più evidentidimostrazioni delle più utili verità. Non si può mai gio vare alla patria senon si ama, e non si può mai amare la patria se non si stima la nazione. Nonpuò mai esser libero quel popolo in cui la parte, che per la superiorità dellasua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll’autorità sia cogliesempi, ha venduta la sua opi (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p. 90. (2) Ilgiudizio cuochiano coincide col giudizio degli storici più recenti: vedi V.FIORINI e F. LEMMI, op. cit., p. 104. 104 nione ad una nazione straniera: tuttala nazione ha per duto allora la metà della sua indipendenza » (1 ). Mancavaalla rivoluzione l'orgoglio nazionale, che solo può salvare i popoli nelle lorocrisi. Si voleva imitare la Francia e si dimenticava Napoli, si obliava che lagente meridionale avea una sua specifica natura diversa dalla natura dellegenti galliche. In Italia c'era un comunali smo, che in Francia non era maistato; a Napoli c'erano cento volghi diversi l'uno dall'altro, in Francia unpopolo compatto ed omogeneo. I repubblicani dovevano tener conto di ciò, etrovare un interesse comune, che riunisse dirigenti e diretti, governanti egovernati. « Quando la nazione si fosse una volta riunita, invano tutte lepotenze della terra si sarebbero collegate contro di noi » (2 ). Il popolo nonè mai né borbonico nè sovversivo, nè nero nè rosso: « i popoli si riducono »osserva con acutezza il nostro autore « a seguir quelli che loro offronomaggiori beni sul momento » (3 ). Il popolo di Napoli così avrebbe seguito irivoluzionari, se questi gli avessero dato spe ranze di miglioramenti, avesserointesi i suoi desideri, avessero rispettato gli istituti a cui era legato,avessero riverito la religione dei suoi avi. « Che cosa è mai una rivoluzionein un popolo? Tu vedrai mille teste, delle quali ciascuna ha pensieri,interessi, disegni diversi dalle altre. Se a costoro si nta un capo che livoglia riu nire, la riunione non seguirà giammai. Ma, se avviene che tuttiabbiano un interesse comune, allora seguirà la ri voluzione ed andrà avantisolo per quell'oggetto che è comune a tutti » (1 ). Ma per fare ciò bisognaandare cauti: non bisogna di struggere. Bene o male gli istituti esistentiassicurano la convivenza, occorre riformarli, migliorarli, non ab batterli alsuolo: « il voler tutto riformare è lo stesso che voler tutto distruggere » (5). (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p. 91. (2 ) U. Cuoco, Saggio storico,XVI, p. 92. (3 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 42. (4 ) V. Cuoco, Saggiostorico, XVII, p. 94. (5 ) Framm., p. 219. 105 Il popolo di Napoli, nota ilCuoco, ha una sua religione. Osserviamo la natura di questa religione, evedremo che essa non ripugna ai principi della democrazia. « La reli gionecristiana ridotta a poco a poco alla semplicità del Vangelo; riformate nelclero le soverchie ricchezze di po chi e la quasi indecente miseria di molti;diminuito il numero dei vescovati e dei benefici oziosi; tolte quelle cause cheoggi separan troppo gli ecclesiastici dal go verno e li rendono quasiindipendenti, sempre indifferenti e spesso anche nemici, ecc. ecc.: è lareligione che meglio d'ogni altra si adatta ad una forma di governo moderato eliberale » (1 ). In ciò il cristianesimo è assai diverso dal paganesimo, che,basandosi su un'idea di forza, non può produrre che schiavi indocili e padronitirannici. La no stra religione si appoggia su princípi di libertà, su princípi di fratellanza, su princípi di giustizia, e sembra quindi la più adattaper legare il popolo allo Stato. La reli gione, nota il Cuoco ripetendo unpensiero del Conforti (2 ), è un elemento insopprimibile nella vita dellospirito umano, dal quale quindi non si può prescindere. « Non è ancoradimostrato che un popolo possa rimaner senza religione: se voi non gliela date,se ne formerà una da sè stesso. Ma, quando voi gliela date, allora formate unareligione analoga al governo, ed ambedue concorreranno al bene della nazione:se il popolo se la forma da sè, allora la religione sarà indifferente algoverno e talora nemica » (3 ). Questi i concetti di Vincenzo Cuoco (4 ). LoStato deve avere una sua religione, ed imporla: Stato e Chiesa nazionaledebbono concorrere al benessere gene rale. Princípi che meritano un superioreapprofondi (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p. 129 e sg. (2 ) Sulla posizionereligiosa del Conforti in confronto al Cuoco vedi B. LABANCA, Giambattista Vicoe i suoi critici cat tolici, Napoli, Pierro ed., 1898, p. 414 e sgg. (3) V.Cuoco, Saggio storico, XXV, p. 130. (4) V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit., p.137. I due insigni storici concordano pienamente col Cuoco nel ritenere che glierrori dei repubblicani in fatto di religione hanno non poco influito adallontanare il popolo dalla rivoluzione. 106 mento, che noi faremo in seguito:resta acquisito in tanto l'alto e moderno ideale, che il molisano aveva dellareligione (1 ). La rivoluzione napoletana fu la negazione di questi princípi.Sorse democratica, s'affermò anticlericale e vi lipese l'alto valore eticodella dottrina cristiana e catto lica, per sostituirla con una generica moralelaica. Si ab bandonò all'incomprensione dei subalterni un problema grave, anzigravissimo, come il problema religioso. « Il po polo si stancò tra le tanteopinioni contrarie degli agenti del governo, e provò tanto maggiore odio controi repub blicani, quanto che vedeva le loro'operazioni essere effetti della solaloro volontà individuale. Il governo in sostanza era agnostico, non conducevaex professo una politica antireligiosa ed anticlericale, ma lasciava fare, egli emissari in provincia si sfogavano contro i beni ec clesiastici o peggiocontro il culto professato. Il popolo, colpito in uno dei suoi più profondiaffetti, s'affermò san fedista contro lo Stato. È questo un episodio, ma certoil più saliente, dell'incomprensione tra quelli, che Cuoco, nonchè due classi,due popoli volle chiamare, i repubbli canti dirigenti e le popolazionisubordinate. Alla religione alcuni volevano opporre una generica morale civilee laica. Si negava il cattolicesimo, si affer mava di contro la libertà. Ma checosa è la libertà, se non un mero astratto? Chi chiedeva la libertà? Non certoquelle popolazioni rurali, che il governo così bel lamente fraintendeva, « Lalibertà delle opinioni, l'abo lizione de ' culti, l'esenzione dai pregiudizi,era chiesta (1 ) Nel Platone in Italia (v. I, p. 84) ritornano spesso con:cetti consimili, indice della mirabile armonia dell'ingegno di V. Cuoco: «Nelle città colte le leggi civili debbono esser tutte diverse dai precetti direligione e di costumi: chiare, precise, inesorabili. Ma sapete voi perchè?Perchè, quando si deb bono riformare, il che avviene spessissimo, il popolotien altri precetti da seguire. Se il popolo allora si trovasse senza co stumie senza religione, si distruggerebbe per anarchia, prima di darvi il temponecessario a riordinare le leggi », (2) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p. 131.-107 da pochissimi, perchè a pochissimi interessava » (1 ). L'er rore, ripeto,è nelle basamenta, in un oblìo completo del popolo, nell'astrarsi ne'sublimiprincípi per dimenticare la vita e le sue molteplici manifestazioni. Eppure, eppure, nota con rimpianto il Cuoco, si poteva riuscire, si potevano sfruttare leforze ignote, ma inesauribili del po polo, e creare così una insuperabilebarriera al legittimi smo borbonico. « Il popolo è un fanciullo » (2 ): se neintendi la complessa psicologia, lo porterai dove vuoi: basta che tu intuiscala sua natura. « Il popolo è ordina riamente più saggio e più giusto di quelloche si crede » (3 ). Il talento del legislatore consiste nel sapere sfruttareque sto innato senso di saggezza e di giustizia nelle più adatte contingenze,così da « menare il popolo in modo che fac cia da sè quello che vorresti far tu» (4). Ovunque c'è un male da riparare, un abuso da riformare, presentandosicome salvatore il riformatore, che non distrugge per me todo, ma procede perosservazione diretta, troverà sem pre il popolo che saprà seguirlo erincorarlo. Il Cuoco osserva acutamente che a volte il malcontento nasceva dalvolersi fare talune operazioni senz'appa renza, senza quelle solennità tipiche,che la plebe ama, perchè sono nella tradizione. Si trattava di forma e non disostanza. Ebbene, i repubblicani preferivano urtare contro questi apparati,anzi che secondarli, perdere l'ar rosto per non volere il fumo. La filosofiapolitica di Vincenzo Cuoco a proposito della rivoluzione si concreta in unasola constatazione. « Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere ciòche tutto il popolo vuole, e farlo; egli allora vi seguirà: distinguere ciò chevuole il popolo da ciò che vorreste voi, ed arre starvi tosto che il popolo piùnon vuole; egli allora vi abbandonerebbe » (5 ). Una prassi rivoluzionaria, chesi (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XIX, p. 104. (2) V. Cuoco, Saggio storico,XIX, p. 106. (3 ) V. Cuoco, Saggio storico, XIX, p. 108. (4) V. Cuoco, Saggiostorico, XIX, p. 107. (5) V. Cuoco, Saggio storico, XVII, p. 95. 108 allontanida questo elementare principio produce effetti incalcolabilmente gravi eperniciosi. « La manìa di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione» (1 ). Le rivoluzioni nascono dai bisogni, ma dietro i bisogni sono gliuomini, e gli uomini sono idee, idee vive palpitanti, non astratte ecategoriche, sono senso, sono fantasia, sono religione, sono molte cose in uno.Ogni nazione ha un patrimonio di idee, il risultato d'una esperienza secolare,d'una vita non interrotta mai: essa è attaccata a questi princípi, vivi nellasua coscienza, presenti alla sua atti vità. La rivoluzione scompiglia questo statomentale, ma è un errore credere che si possa distruggere tutto, far sottentrarealle idee antiche idee del tutto nuove, ai princípi antichi princípi opposti.La rivoluzione può so pire molte cose, ma esse, idee e princípi, si rifannosulla rivoluzione; come la pressione s'indebolisce, affiorano novellamente necontrasti. Il popolo è scosso, tentato ne' suoi convincimenti: se voiesagerate, ritorna sui suoi passi. Anche nelle idee v'è uno spiegamento, unanatu rale continuità: non rompete il processo: è da savi: « il popolo passa pergradi dalle antiche idee alle nuove, e sempre le nuove sono appoggiate alleantiche » (2 ). Ogni nazione ha un suo spirito, una sua mente, dice Cuoco.Questo spirito soggiace ad un processo, non al trimenti che lo spiritoindividuale. L'estremismo poli tico, in qualsiasi suo aspetto, di destra osanfedista o legittimista, di sinistra o repubblicano o giacobino, riceve lasua condanna nelle osservazioni del molisano. Le idee nel loro spiegamento nonpossono essere sforzate, perchè, come ho detto, trovano nello stesso momentodella loro negazione un' implicita affermazione. L'estremismo, in sostanza, èun vero e proprio sforzo estrinseco, che si esercita sullo spirito e sul popolo.Le idee giunte allo estremo, debbono retrocedere. Si riforma più di quel che ènelle esigenze de' popoli; il popolo crede le riforme su perflue, cerca disottrarvisici; bisogna che il governo, se (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVII,p. 96. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVII, p. 97. 109 vuol mantenere il suopunto di vista, le faccia osservare con la forza: ecco come un malintesoriformismo legi slativo conduce all'estremismo, al terrore statale, alla finedella repubblica a Napoli, a Robespierre in Francia. « L'uomo è di tale natura,che tutte le sue idee si can giano, tutt' i suoi affetti, giunti all'estremo,s'indeboli scono e si estinguono: a forza di voler troppo esser libero, l'uomosi stanca dello stesso sentimento di libertà » (1 ). I popoli hanno un corsonaturale tra l'estrema servitù e la licenza, estrema libertà, corso eterno chetutte le genti percorrono ! I princípi non debbono correre innanzi alla storia,sforzandola a seguirli, poi che essa si vendica de ' princípi ed afferma la suaautonomia. La vendetta è nel sangue, nella reazione legittimista a Napoli, nellaghigliottina che abbatte Robespierre a Parigi. Da un estremo si ricorreall'altro, e così via, finchè non si ritrova l'equilibrio: il liberalismomoderato. Il Cuoco è l'esponente più vivido del liberalismo italiano. La suafigura si illu mina alla luce di questa idea liberale, grande sopra tutte leidee, la quale ha saputo dare agli italiani l'Italia. Da tutto il Saggiostorico l'insopprimibilità del liberalismo, non come teoria, ma come prassicostituzionale e politica, appare evidente. Non mi accusi il lettore disforzare la fisionomia intellettuale del Cuoco, no, poichè io mi rife risco aciò che leggo, e mi faccio cauto interprete di ciò che trovo, e documento. «Questo è il corso ordinario di tutte le rivoluzioni. Per lungo tempo il popolosi agita senza saper ove fermarsi: corre sempre agli estremi e non sa che lafelicità è nel mezzo » (2 ). Del resto queste opi nioni, che ora vediamo inatto nella storia, che il”Cuoco fa degli avvenimenti napoletani, di cui fuattore, spetta tore e giudice, rivedremo sotto un nuovo aspetto, allor quandoegli stesso ci dirà come e sino a quanto la storia, che si sviluppò dopo ilcrollo della Partenopea, abbia dato a lui ragione, vale a dire allor quandoconsidere remo Cuoco di fronte alla figura di Napoleone, Cuoco di (1 ) V.Cuoco, Saggio storico, XVIII, p. 99. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p.102. 110 1 2.02 fronte al problema teorico e pratico, filosofico e costituzionale dello Stato, Cuoco di fronte all'ideale dell'unità della patria.Notiamo: quest'atteggiamento di modera tismo cuochiano non è estrinseco, non èsolo il principio base della critica rivoluzionaria, è anche l'elementounificatore di tutta la filosofia politica del molisano, l'ele mento che le dàcoerenza, e che egli trova impersonato in Napoleone, il restauratoredell'ordine, il corifeo delle idee medie. L'estremismo è esaltazione diprincípi: allo Stato si sostituisce la setta: all'ordine costituzionalel'associa zione fuori e a volte contro lo Stato: al diritto codificato le normedel partito. Moderatismo significa: libertà nella legge, i partiti nello Statoe non fuori dallo Stato, diret tiva unitaria della vita civile, garanzia neldiritto. Come il Cuoco vedrà incarnata e realizzata questa sua conce zione, ècosa da studiarsi in seguito (1 ). La rivoluzione del '99, che per il Cuoco èveramente l'esperienza del sistema abbozzato ne' Frammenti, nella stessadegenerazione de' princípi, riconferma il nostro nelle sue aspirazioni. Egli,che dalla storia trae ogni in segnamento – la storia è la fonte d'ognipedagogia poli litica scrive: « La storia di una rivoluzione non è tanto storiàdei fatti quanto delle idee » (2 ). Conoscere il corso delle idee nella storiasignifica impadronirsi d'una tale sapienza, che ci permette di evitare ognierrore poli tico. Gli errori di Napoli? Denudiamo la realtà dai fron zoli dellaretorica, dice Cuoco, esponiamoli nella loro cru dezza, perchè gli uomini,gl'italiani si ravvedano. A Napoli abbiamo avuto perfino un esperimento diterrorismo. È mirabile la definizione psicologica del feno meno. « Ilterrorismo è il sistema di quegli uomini che vogliono dispensarsi dall'esserdiligenti e severi; che, non sapendo prevenire i delitti, amano punirli; che,non sa pendo render gli uomini migliori, si tolgono l'imbarazzo (1 ) Questafondamentale coerenza del pensiero di V. Cuoco è stata più che a sufficienzadimostrata da M. ROMANO, op. cit., p. 90 e sgg. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico,XXXVIII, p. 169. 111 che dànno i cattivi, distruggendo indistintamente cat tivie buoni. Il terrorismo lusinga l'orgoglio, perchè è più vicino all'impero;lusinga la pigrizia naturale degli uomini, perchè è molto facile » (1 ). IlCuoco non lo dice, ma lo pensa: i governi deboli sono i più inclini all'abusocostituzionale, al terrorismo di Stato. Tutte le considerazioni, che lo storicotrae dai fatti, convergono verso uno scioglimento, che ci appare fatal menteconsequenziario. L'estremismo terroristico, l'ultima ratio de' governi prossimia cadere, si mostrò più d'ogni altro sistema inutile. Il tribunalerivoluzionario, che si macchid del sangue dei Baccher (2 ), non salvò la repubblica pericolante. Stringiamo le fila della trama, che siamo venuti disegnando, portiamoci col pensiero di nuovo alla critica del l'opera governativa,alla génesi della repubblica, all'azione legislativa e costituzionale deirivoluzionari, all'estremi smo di molti patrioti, e ci apparirà vero quanto ilnostro autore scrive sull'ineluttabilità dello scioglimento. La sto ria delCuoco corre, si può dire precipita, ad un fine. Non c'è avvenimento, pagina chenon ci ammonisca: ecco un male, ecco un malinteso ! Perciò quando noi ci avviciniamo agli ultimi ruinosi eventi, non possiamo che dire: era fatale !, sia purecon rimpianto, con dolore. Ho detto in principio che nel Saggio storico si notauna mirabile obiettività, quell'obiettività del creatore, che sola può dare ilcapolavoro; ho detto che la personalità dello scrittore non s'intrude maipraticamente nello svi luppo narrativo e nel progresso degli avvenimenti: lastoria si svolge da sè, corre sul suo binario logico, senza estrinseci sforzi.Ciò non toglie che il Cuoco a volte rompa con sublime sapienza l'esposizioneper ammonire, per parlare ai suoi posteri, per consigliare: è lo storico che èconsapevole della sua missione, dell'altezza del suo inse gnamento. Questapedagogia non è, però, fuori dall'arte, (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXXVIII,p. 160. (2 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 115 e sgg. 112 personalitàpratica esterna all'arte, ma si risolve, attra verso una viva commozione dellospirito, in una forma fantasiosa, in una espressione immaginifica, insomma,nell'arte stessa. « La sua personalità » scrive assai bene Guido De Ruggiero (1) « non s'intrude arbitrariamente nel corso degli avvenimenti; essa non è cheraramente la sua empirica e circoscritta soggettività, è più spesso invece ladrammatica personificazione del giudizio storico, è quella soggettivitàsuperiore dove l'oggettività degli av venimenti e la soggettività dello storicosono fusi in un sol getto ». È insomma il processo creativo della vera storia,che conduce alla vera arte, risolvendo l'empirica personalità, in quell'altasubiettività, che forma l'essenza della storia e dell'arte. La formaprecettistica qui non è un elemento estrinseco alla storia, è la gran vocedella storia. La critica spietata degli avvenimenti politici lo porta adaccalorarsi per la sua stessa valutazione filoso fica, lo porta aconstatazioni, ad esclamazioni, in cui tu senti a volte un rimpianto, perchèuomini di ingegno s'ingolfano in lotte, che il nostro stima senza uscita, avolte una gioia profonda, in cui tu senti il pensatore che discopre unprincipio sano di vita. Così, dopo una disa mina minuta di idee e di fatti, ilCuoco può ésclamare, e nell'esclamazione io sento un dolore profondo romper laglacialità dell'analista: « Tutti i fatti ci conducono sem pre all'idea, laquale dir si può fondamentale di questo Saggio: cioè che la prima norma fusbagliata, ed i mi gliori architetti non potevano innalzar edificio che fossedurevole » (2 ). Le premesse dello scioglimento sono d'ordine spirituale, sonometodologiche, politiche. I susseguenti errori, mili tari, giuridici,religiosi, le disfatte, le congiure realiste appaiono inevitabili. Le trupperepubblicane agiscono in territori infidi, fra popolazioni ostili; i capi sonoine sperti, troppo giovani; i francesi portano aiuti sempre più (1 ) G. DERUGGIERO, op. cit., p. 189. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXXIX, p. 163. 113scarsi; al contrario i borbonici sono ben diretti, ben vet tovagliati, semprepiù numerosi; le plebi sempre più fa vorevoli ad essi: sono particolari, ma chenon possono distogliere il pensiero dal principio sopra espresso, sola ed unicacausa della sciagura. Il disastro appare la logica cruda conseguenza dipremesse false. Tutto il Saggio ci porta in un mondo di rivoluzione, ove lacritica è cruda e precisa, ma ove la simpatia umana non manca. Vincenzo Cuocopossiamo credere che rappresenti nel pensiero italiano quella medesimaposizione ideale che Edmund Burke rappresenta in quello inglese. Un raf frontominuto, particolareggiato tra i due scrittori non è stato fatto. Essoriuscirebbe assai interessante, e po trebbe dimostrare come in ogni lato dellavecchia Eu ropa l'opposizione alla rivoluzione si faccia in nome d'un ritornoalla tradizione nazionale. Il liberale moderato Cuoco è il rappresentantetipico dell'italianismo risor gente: il Burke whig, cioè in sostanza liberale,non crede ancora esaurita la missione delle antiche classi storiche, almenonella vecchia Inghilterra. È facile vedere alcuni punti di contatto tra i duescrittori d'opposizione. Fre quentemente il Cuoco deplora l'esagerazione deiprincípi di libertà e d'eguaglianza. Gli uomini, se, di diritto, dinanzi allalegge, sono uguali, serbano una originaria disugua glianza nel fatto: vi sono ibuoni e i cattivi, gli operosi e i parassiti, i borghesi industriosi e ilazzaroni oziosi, gli aristocratici colti e gli aristocratici gaudenti: ilgoverno dello Stato deve essere riserbato ai migliori, cioè ai bor ghesi, e lovedremo documentato in seguito, poi che questi soli sono maturi. « Quando lepretensioni di eguaglianza si spingono oltre il confine del diritto, la causadella libertà diventa la causa degli scellerati. La legge, diceva Cicerone, nondistingue più i patrizi dai plebei: perchè dunque vi sono ancora dissensionitra i plebei ed i pa trizi? Perchè vi sono ancora e vi saranno sempre, i pochie i moiti: pochi ricchi e molti.poveri, pochi indu striosi e moltissimiscioperati, pochissimi savi e moltissimi stolti » (.1 ). Se diamo una scorsa aiDiscorsi parlamentari o alle Riflessioni sulla rivoluzione francese del Burkescaturi scono osservazioni assai consimili, nel senso, che pur am mettendoliberalmente una rotazione di classi, il politico inglese crede ad un ordinesociale, in cui l'aristocrazia d'Inghilterra ha ancora una sua propria missione.Certo vi sono differenze tra i due scrittori, ma le analogie sono sempreinteressanti. S'intende, l'aristocrazia politica del Burke, il lievito, possiamdire, della grande vita costituzio nale d'Inghilterra è qualche cosa di diversodalla nobiltà italiana, con la quale parola il molisano indica « un ceto chepiù non deve esistere, ma che ha esistito finora » (2 ). Ma le nazioni hannosvolgimenti diversi e bisogni spesso opposti: quel, che nell’un paese si chiamacon lo stesso nome che nell'altro, a volte è una cosa sostanzialmente diversa,secondo varî elementi. Ma non posso lasciare questo argomento senza notare comelo stesso Burke nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese si rifaccia aduna valutazione, nella sua natura, simile a quella del Cuoco. Il liberale Burkenella rivoluzione d'Oltre manica vede la negazione del suo moderatismo, una rivoluzione, che prescinde dalle realtà peculiari d’un po polo, quale l'inglese,la cui vita è un esempio dimirabile continuità politica, una rivoluzione chepretende di struggere il passato, anche laddove il passato è il presup postod’un non disprezzabile presente; uno Stato, che rigetta alcune classi peraltre, invece di sintetizzarle in una volontà superiore ed unica; uno Stato,che rigetta elementi sociali di primissimo ordine, senza pensare che si possanoutilizzare per la vita civile, perché hanno ancora energia e sopra tutto hannoquell'esperienza pub blica, che ad altri manca. All'inglese, per cui la vitacivile dei popoli è un prodotto graduale d'una evoluzione storicaincancellabile, per cui la costituzione de' padri è una conquista continua,nell'aderenza più completa coi (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p. 100. (2) V. Cuoco, Saggio storico, XX, p. 109. 115 n mille bisogni d'un popolosecolare, la nuova pretesa di derivare un ordinamento democratico, valido pertutte le genti del globo, desumendolo dalla pura ragione, appare veramenteridicola. Mi sembra che il parallelo tra il Cuoco e il Burke non potrebbeessere più calzante, sia pure tra numerose differenze. Il Burke è un oratore,un parlamen tare, pratico e sensibile politico, che non risale mai a considerazioni superiori, pur quando la sua critica potrebbe coinvolgere non solola mentalità rivoluzionaria francese, ma una mentalità, che è di tutti i tempie di tutti i paesi. Il Cuoco invece, testa politica ma di volo più robusto, daiparticolari ascende ai princípi, dai fatti ritorna alle idee, che hanno uncorso eterno ed uno sviluppo continuo, per foggiare un suo sistema, che, collaudatoda una espe- ' rienza moderna ed antica, ha in sè qualcosa di ferreo. Sì, ilCuoco si può raffrontare al Burke, ma il Saggio storico 1 « è un'opera capitaledi pensiero storico, la quale, come osserva B. Croce (1 ), tiene in certo modoin Italia, e forse con maggiore altezza filosofica le celebri Riflessioni sullarivoluzione francese », non fosse altro per la vastità del campod'osservazione, per il senso vigile, che vi do mina, della storia, come eternofarsi, come eterno divenire dello spirito umano. Della maggiore levatura delmoli sano sull'inglese noi abbiamo una prova sicura e positivanell'atteggiamento definito di fronte alla rivoluzione: il Burke da una criticasuperiore passa presto all'op posizione sistematica, vedendo pura ribellione,mero ri voluzionarismo, semplice neomania, anche ove vè sano liberalismo,desiderio d'un nuovo pacifico equilibrio, rifor mismo contenuto entro limiti disaggezza, sicchè i benefici effetti del movimento gli sfuggono: il Cuoco,invece, rico nosce le origini delle rivoluzioni come legittime, e le spiegacompletamente; nega, sì, l'applicazione universale dei princípi da essadesunti, ma, nello stesso tempo, sa va lutare l'importanza della nuovasituazione creatasi, dalla (1) B. CROCE, Storia della storiografia italiana nelsecolo XIX, Bari, Laterza ed., 1921, v. I, p. 9 e sgg. 1 116 quale nessunpaese, nè l'Italia, nè l'Inghilterra, può prescindere (1 ). Siamo giunti allafine del nostro discorso sul Saggio storico. Come quest'opera sia nata, dalpunto di vista materiale, ove sia stata scritta, come sia stata concretata, anoi importa assai poco. L'esame che ne abbiamo fatto non può non esseresommario, incuneato com'è in un più vasto problema: il pensiero politico diVincenzo Cuoco, che non si esaurisce, come comunemente si crede, nel Saggio, matrova il suo naturale sviluppo e comple mento negli articoli del Giornaleitaliano, che il molisano venne scrivendo negli anni 1804-1806, dopo il grandesuccesso che ebbe il Saggio nell'ambiente milanese (2 ). Il Saggio storico, perchi ricerchi la sua genesi spirituale, si svolge spontaneamente dai Frammentidi lettere a V. Russo, de cui principi è la riprova vissuta, l'espe rienza. Sela rivoluzione di Napoli ha avuto una utilità, è questa: il foggiarsi d'unacoscienza italiana, che all'estre mismo e all'astrattismo oppone una vedutamoderna e positiva della vita pubblica. Nel Saggio, abbiamo detto, dette (1 )Conobbe il Cuoco quando scrisse il Saggio storico sulla ri voluzione napoletanale Reflections on the French Revolution di Edmund Burke? Con ogni probabilità,sì. Le sopra Reflections furono pubblicate per la prima volta neil' ottobre del1790, vale a dire dieci e più anni prima dell'opera del no stro. Nel Saggiostesso vi è una nota in cui il nome del Burke spicca evidente e col nome un suogiudizio (II, p. 18 ). Il Cuoco conosce assai bene i princípi costituzionaliinglesi e ne fa sfoggio nelle sue opere. Il popolo inglese lo interessa assai,e le scritture d'autori inglesi ha spesso fra le mani e le recensisce nelGiornale italiano (cfr. 1804, n. 17, 8 febbraio, p. 68; -1804, n. 28, 5 marzo,pp. 111-12; 1804, n. 54, 5 maggio, pp. 215-216; 1804, n. 58, 12 maggio, p. 228;ecc. ). Che l'opera del Burke, V. Cuoco conoscesse assai profondamente, lodimostra una re censione (cfr. Giorn. ital., 22 settembre 1804, n. 114, p. 446),ove egli discorre abbondantemente e fa un largo elogio di una traduzioneitaliana d'una opera estetica del celebre autore in glese, Essay on the Sublimeand Beautiful, Tutto ciò mostra una conoscenza delle cose d'oltre Manica assaiprofonda, prima e dopo la pubblicazione del Saggio. (2 ) N. RUGGIERI, op. cit.,p. 34: G. Cogo, op. cit., p. 10. 117 non è tutto il Cuoco, non è tutto il suopensiero politico, ma è certo quanto di meglio abbia prodotto il suo genio, dalpunto -di vista artistico. Il Gentile, giudice di alto valore, crede ilRapporto al re Murat per l'ordinamento della pubblica istruzione, di cui avremoa parlare in seguito, quando tratteremo d'altri atteggiamenti spirituali delCuoco, crede dunque il Rapporto, insieme con il Saggio storico, « ciò che dipiù notevole produsse il pensiero napoletano in quegli anni agitati tra il '99e il '20 » (1 ). Ma ciò riguarda più il valore politico dell'opera, di cuidiciamo, piuttosto che il valore artistico. Dal punto di vista puramentestorico, dal 1801 in poi gli scrittori hanno cercato in varî modi di far lucesugli avvenimenti napoletani, ma le conclu sioni, alle quali si è pervenuto,sono sostanzialmente quelle del nostro autore (2 ). Sembra impossibile che unindividuo, che, come il Cuoco, scrive pochi mesi dopo la sciagura, di cui èstato egli non piccola parte, possa superare i fatti stessi e la sua per sonalepassionalità, in una lucida espressione artistica, che di converso è anche unamirabile storia umana. Lo storico si leva sugli avvenimenti, e il suo sguardopene tra a fondo nello spirito degli uomini e nel corso delle cose, allargandola sua visuale dai fenomeni particolari ai princípi che sono eterni, dalproblema peculiarmente napoletano a questioni che sono europee, a considerazioni più largamente umane. L'artista poi trova l'espressione più adeguata epalpi-. tante in una forma, che non si sa se più ammirare per la sua immediataprecisione o per la sua sinteticità taci (1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p.279. (2 ) Un'offensiva anticuochiana tenta L. CONFORTI, op. cit., P: 21 e sgg.,ma da un punto di vista assolutamente errato é falso. Dopo quanto abbiamoscritto per il Tria una confuta zione delle affermazioni del Conforti ci appareinutile, anche perchè non potremmo che ripetere ciò che già fu detto dalRUGGIERI, op. cit., p. 104 e sgg., e dal ROMANO, op. cit., p. 99. 118 tiana, ascatti, nervosa, e pur viva e palpitante (1 ). In un mondo di riflessi e dichiaroscuri, di luci e di ombre, le figure dei tragici eroi del '99 apparisconoscolpite per l'eternità, appaiono martellate nel marmo da una manomichelangiolesca. Io non conosco pagina di storico mo derno, che mi animi la tristafigura del Vanni, bieco stru (1 ) Anche qui non mancarono i critici. IlGIORDANI, per esempio, in un abbozzo di opera, che aveva intenzione di scrivere col titolo di Studi degli Italiani nel secolo XVIII, discor. rendo diquelli che « sono venuti in tanta stoltizia che hanno fermato non esservi artealcuna di scrivere », osserva che in vece: « l'esperienza e la ragione el'autorità de' primicomprova che vi è: ed è fra tutte difficilissima: e ben lonotò Cicerone che pur futra’ principali. Ma dovette credersi più savio edesperto di Cicerone quel Vincenzo Cuoco che scrisse non darsi arte di scrivere,e quello che in poche parole affermò, ben con troppe carte, quanto a sè,confermò ». (Scritti editi e postumi, pubblicati da A. Gusalli, Milano, Borronie Scotti, 1856, v. I, p. 187 e sgg). Giudizio addirittura stroncatorio ! Delresto l'ar tifizioso Giordani per la sua cultura accademica, per la suamentalità scolastica era il meno adatto ad intendere la spon taneità genialedello scultore del Saggio. Ben altro giudizio di quello del Giordani dovea daredi V. Cuoco il Manzoni, per esempio ! Forse per reazione al Giordani ilSETTEMBRINI (op. cit., v. III, p. 280) nella sua felice esaltazione del Saggio,come opera di pensiero, in cui il Cuoco, pur narrando i fatti da pa triota, «li considera da filosofo, e la sua filosofia non è tutta francese, ma è anchesenno italiano, è la sapienza storica di Giambattista Vico e di Mario Pagano »,venendo quindi a dire della lingua della grande opera, « nella quale si senteil mesco lamento di due popoli », il francese e l'italiano, prorompe: « Cheimporta a me di lingua non pura e di francesismi, se io non me ne accorgoperchè le cose che dice mi occupano tutta l'anima, e in quella lingua torbidaio vedo e sento tutto quel torbido rimescolamento diuomini e di cose? È lalingua stessa del Filangieri, del Beccaria, del Verri, con qualche cosa di piùche viene da un profondo sentimento di dolore. Dopo il 1815 i grammatici s'intabaccarono con la Polizia e con l' Indice, e dissero che gli scrittori deltempo della Rivoluzione furono scorretti di lingua, anzi barbari, anzi senzaitalianità, e da non leggersi, e da dimenticarsi: e così Vincenzo Cuoco fra glialtri fu proscritto da tutte le potestà. Noi dobbiamo conoscere quest'uomo chefu il solo scrittore di pregio che i napoletani ebbero durante la rivoluzione,il solo che in sè stesso raccoglie il senno e la fortuna di un regno ». 119mento borbonico di reazione, con tratti così rudi ed espres sivi, come quellidello scrittore civitese. « Lo sguardo di Vanni era sempre riconcentrato in sèstesso; il colore del volto pallido- cinereo, come suole essere il colore degliuomini atroci; il suo passo irregolare e quasi a salti, il passo insomma dellatigre: tutte le sue azioni tendevano a sbalordire ed atterrire gli altri; tutt'i suoi affetti at terrivano e sbalordivano lui stesso. Non ha potuto abitar piùdi un anno in una stessa casa, ed in ogni casa abitava al modo che narrasi de 'signorotti di Fera e di Agrigento. Ecco l'uomo che dovea salvare il Regno ! » (1). V’è in questa prosa lucida e insieme aderente alla realtà dello spirito,tutta l'eloquenza di Livio, tutta la concentrata possanza di Tacito, v'è laacutezza di Ma chiavelli, l'oscura densità di Vico. Una parola scolpisce unindividuo, una immagine ci rende un uomo. « Schipani rassomiglia Cleone diAtene e Santerre di Parigi. Ripieno del più caldo zelo per la rivoluzione,attissimo a far sulle scene il protagonista d'una tragedia di Bruto, fu elettocomandante di una spedizione desti nata passar nelle Calabrie, cioè nella dueprovincie le più difficili a ridursi ed a governarsi, per l'asprezza dei siti eper il carattere degli abitanti. Non avea seco che ottocento uomini, ma essierano tutti valorosi e di poco inferiori di numero alla forza nemica » (2 ).Ecco come un raffronto, anzi due raffronti ci dànno il tipo dell'eroe giacobino, pieno di pseudo-romanità teatrale, e perciò lon tano dal secolo, in cuivive ed opera. Dovrei continuare.... Caracciolo e la battaglia navale diProcida, la difesa del forte di Vigliena sono nella narrazione del Cuoco pocherighe, ma s'imprimono indelebilmente nella memoria di chi legge e suscitano unalarga fantasia. Le pagine che lo scrittore dedica alla reazione sanfe dista ealla caduta della repubblica fanno fremere. Chi non ricorda il combattimentointorno ad Altamura? (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p. 35. (2) V. Cuoco,Saggio storico, XXXIII, p. 150, 120 « Il disegno di Ruffo era di penetrar nellaPuglia. Al tamura formava un ostacolo a questo disegno. Ruffo l'assedia;Altamura si difende. Per ritrovare esempi di difesa più ostinata, bisognaricorrere ai tempi della storia antica. Ma Altamura non avea munizioni bastantia di fendersi; impiegarono i suoi abitanti i ferri delle loro case, le pietre,finanche la moneta convertirono in uso di mi traglia; ma finalmente dovetterocedere. Ruffo prese Altamura di assalto, giacchè gli abitanti ricusarono sempre di capitolare; e, dove prima nelle altre sue vittorie avea usato apparentemoderazione, in Altamura, sicuro già da tutte le parti, stanco di guadagnar glianimi che potea ormai vincere, volle dare un esempio di terrore. Il sacco diAltamura era stato promesso ai suoi soldati: la città fu abbandonata al lorofurore; non fu perdonato nè al sesso nè all'età. Accresceva il furore deisoldati la nobile ostinazione degli abitanti, i quali, in faccia ad un nemicovincitore, col coltello alla gola, gridavano tutta via: Viva la repubblica !Altamura non fu che un mucchio di ceneri e di cadaveri intrisi di sangue » (1 ).Ma ove il Cuoco raggiunge le vette dell'eloquenza, e la sua espressione ècristallina, d'una cristallinità meravi gliosa, è nelle pagine da lui dedicatealla ricordanza dei grandi caduti, ai mani grandi di Cirillo, di Grimaldi, diCaracciolo, di; Carafa, di Conforti, della Fonseca. Alle volte è un episodioche lo scrittore riferisce, un aneddoto, una parola pronunziata: basta, unafigura s'illumina. Io non so, ma, forse, non c'è biografia dell'autore deiSaggi politici che valga le poche righe, che Vincenzo, discepolo riverente,dedica al maestro immortale. « Pa gano Francesco Mario. Il suo nome vale unelogio. Il suo Processo criminale è tradotto in tutte le lingue, ed è ancorauno delli migliori libri che si abbia su tale oggetto. Nella carriera sublimedella storia eterna del genere umano voi non rinvenite che l'orme di Pagano, (1) V. Cuoco, Saggio storico, XLV, p. 183. 121 che vi possano servir di guida perraggiugnere i voli di Vico » (1 ). V'è una grandezza degna di Machiavelli.Insomma il Saggio storico non è solo un monumento di sapienza politica e digrande istoria, ma è ancora un capolavoro d'arte, forse la più grande opera diprosa italiana, che dal Machiavelli al Manzoni si sia scritta. I protagonistidel dramma, e il poeta li coglie in atto, in tutta la loro spiritualità,illuminati da una luce di pen siero, possono sembrare ad alcuno marionetteagitate da un triste fato. Non è così ! Gli uomini determinano gli eventi, sonogli operatori della vita civile, dell'orribile rivoluzione; sono essi stessi,poi, che cadono sotto il peso dei loro errori. La loro autonomia così è salva.La storia del Cuoco è storia di idee, da cui uomini potrebbero ban dirsi edessere sostituiti con lettere dell'alfabeto, X, Y, 2.... Sì, è vero, poichèl'autore mira alle cose, agli interessi, ai bisogni; ma non dimentichiamo che ibisogni, gli inte ressi, le cose, sono in quanto vi sono gli uomini: il Cuocopolitico, che scaccia la personalità dalla storia, è vinto dal Cuoco artista,che a tratti nervosi ed icastici scolpisce una figura, anima una creaturaumana. Lo storico ab- · braccia un vasto quadro, e ricerca il corso eterno diquelle idee, sulle quali corrono gli eventi delle nazioni, e per lui gli uominisono elementi particolari e transeunti, meteore, che oggi sono e domani non saranno:l'artista, integrando lo storico, anima gli uomini, e di essi e del lorospirito vede piena la vita, di cui essi stessi sono i fattori. Tra storico edartista, insomma, c'è una supe riore armonia. « Il realismo dellarappresentazione, la nettezza del [ contorno » scrive Giovanni Gentile « ilrilievo delle figure, la luce di tutto il quadro » fanno del Saggio « una dellemaggiori opere storiche di tutte le letterature. Gli uo mini ci vivono ntro conla vita individuale della loro psicologia, intuita in atto, e con la vitastorica, e più vera, degli interessi che rappresentarono, delle idee onde (1 )V. Cuoco, Saggio storico, L, p. 208. 122 furon investiti, della logica che li governd.Pochi i nomi, e le figure appena abbozzate a tratti rapidi, scultorii, quasidanteschi: l'interesse dello scrittore è per l'in sieme, per le cose, come eidiceva, e per le idee, da cui gl'individui son dominati, e che giovano più all'istru zione di chi legge. Pure, dove sorgono quelle mozze figure, è tanto ilsentimento che lo scrittore vi spira dentro, e così fosca la luce in cui leavvolge, che l'opera politica, più che storica, s'anima del patos d'unatragedia » (1 ). Questo giudizio riecheggia con maggior precisione il giudizio, che sul capolavoro cuochiano ebbe ad esprimere Luigi Settembrini (2 ).Il De Sanctis conobbe il Cuoco; se pur non integralmente, conobbe certo ilSaggio storico e il Platone in Italia, ma in lui non vide il maggior pro satoredell'èra napoleonica; non vide che un mero disce polo di Giambattista Vico. Delresto ai critici come ai poeti non possiam chiedere più di quel che ci hannodato, quando quel che ci hanno dato, ed è il caso di Francesco De Sanctis, èperfetto. (1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 351 e sg. (2 ) Luigi SETTEMBRINI.Napoleone e la sua politica generale. L'antifrancesismo di Cuoco: reazioneitaliana. - Il prin cipio monarchico s'incarna in Napoleone. - I benefici dellarivoluzione. - La borghesia. - La proprietà base del nuovo ordine civile. -Quarto stato: proletariato. - Milizia. - Liberismo e protezionismo economico. –Lo Stato napoleonico. - L'unità d'Italia in rapporto alla politica generaleeuropea. - Anglofobia di Cuoco. Stato e religione. - Giurisdizionalismo. Unaillazione, forse fuori di posto, che si suole trarre dall'atteggiamento diVincenzo Cuoco di fronte alla rivo luzione di Francia e al giacobinismonapoletano, è quella di un vero e proprio suo antifrancesismo. Paul Hazard nelsuo bel libro La révolution française et les lettres ita liennes, parlando delmolisano, al quale egli dedica un buon capitolo, che io credo una delle cosemigliori che sul nostro sia stata scritta, ponendo in rilievo la sua opposizione all'astrattismo giacobino, accenna non solo ad una reazione culturaledell'italianismo, e fin qui tutto è legittimo, ma crede di poter rinvenire unavera e pro pria opposizione di natura politica (1 ). È un punto non solostoricamente importante, ma anche degno di di (1 ) P: HAZARD, op. 218 e sg. 124scussione per intendere un nostro giudizio sul Cuoco, che abbiamo detto essereassai coerente nel suo sviluppo spirituale, affermazione e giudizio, che ora —è venuto il tempo dobbiamo dimostrare, per respingere, di ri flesso, la taccia,che all'autore del Saggio è gettata di opportunismo e di particolarismo. Solorisolvendo questo problema, potremo intendere la situazione del Cuoco a Napoli,la sua visione generale della politica repubblicana e poi di quellanapoleonica, la sua concezione dello Stato, la sua risoluzione d'un anticoproblema, i rapporti tra Stato e Chiesa, tutte questioni che formano la materiadel presente capitolo. La critica, che il Cuoco fa della rivoluzione francese -astrattismo, esaltazione di princípi, democratizzazione universale – non è solocritica metodologica e filosofica, ma anche critica politica. Che cosa eglivede nei francesi? Nei francesi vede un popolo, il quale tende a sostituire ilproprio spirito, la propria natura, la propria tradizione allo spirito, allanatura, alla tradizione nostra. L'opera cuochiana, vista nel suo complesso, èdunque una reazione al francesismo dilagante in nome della cultura e delleglorie italiane, in nome della nostra storia: ben ha fatto l' Hazard, allorchè,sia pure con qualche esagerazione propria della dimostrazione assunta, haimpersonata que sta cultura, questa gloria, questa storia proprio in Vin cenzoCuoco. Tutto l'atteggiamento mentale di Vincenzo è diffidenza contro i francesie contro coloro che credettero di po tere imporre senza difficoltà gl'immortali princípi con le baionette. Il Saggio storico, che il critico francesede finisce l'esame di coscienza del popolo italiano, è infine la denunziadocumentata di un sistema che non va; è la critica senza tregua di un ibridismopolitico che la realtà smentisce. La documentazione non potrebbe es sere piùsicura e più ricca. E il modo questo di porta la libertà, l'uguaglianza, lafraternità? di farsi amare dalle popolazioni illuse? Il popolo italiano, sembradire il Cuoco, che aspetta l'indipendenza, e fors'anche l'unità, dall'operaaltrui, s'adagia in una troppo beata attesa di 125 ciò che non sarà mai. Lalibertà, l'unificazione, l'indi pendenza occorre sapersele conquistareattraverso un'o pera lunga indefessa grave. Bisogna rendersi degni di migliorfortuna, e però bisogna rendersi prima spiritual mente migliori: divenire primacittadini in ispirito della gran patria Italia per poi esserlo di fatto.Attendere la libertà come un dono dagli altri? Ohimè ! La libertà, prima diessere libertà civile, è libertà di pensiero, auto nomia di cultura. Possiamomai essere liberi noi, che prima di essere italiani, vogliamo essere francesi,noi che nelle cose più banali e più grandi, nella foggia del vestire enell'ordinamento costituzionale, ci allontaniamo sempre più dalla nostra naturaper acquistarne un'altra estrin seca? Le nazioni hanno un corso che è unitarioe lineare, perchè determinato da un primitivo impulso, che costi tuisce ilfondo materiale e morale della loro vita. « Una nazione che si sviluppa da sèacquista una civiltà eguale in tutte le sue parti, e la coltura diventa un benegenerale della nazione » (1 ). Ecco quindi come l'elemento cultu rale si legaintimamente alle fortune politiche di un paese. Una nazione, che imita un'altra,perde ogni com pattezza, ogni omogeneità, ogni ideale coerenza, e non può cherestare inferiore al modello, che ha dinanzi, senza considerare che la perditadell'unità spirituale porta seco fatalmente la perdita dell'unità politica, sequesta già c'è, ' o ritarda la sua formazione, se questa manca. « Non può maiesser libero » ammonisce il Cuoco « quel popolo in cui la parte che per lasuperiorità della sua ra gione è destinata dalla natura a governarlo, siacoll’auto rità sia cogli esempi, ha venduta la sua opinione ad una nazionestraniera: tutta la nazione ha perduta allora la metà della sua indipendenza » (2). A ciò bisogna aggiungere considerazioni d'altra natura. Il Cuoco nel suostesso fondo culturale è antirepubblicano, antirepubblicano per princípi, chetrascendono la sua stessa esperienza politica, la sua prassi civile. Ci obiet (1) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p. 90, nota. (2 ) V. Cuoco, Saggio storico,XVI, p. 91. 126 teranno: ma la sua partecipazione al moto del '99, partecipazione (1 ) che oggi al lume della critica storica appare più importanteche per l'innanzi non fosse sem brato, come si spiega? È dovere del buoncittadino ser vire la patria, qualunque sia la forma di governo, qua lunque siail suo reggimento politico. Senza dimenticare che tra i Borbonici malversatorie le nobili figure re pubblicane di Cirillo, di Pagano e di Ciaia Cuoco sapevafare le opportune distinzioni. Io credo che l'opposizione antirepubblicana eantigia cobina del Cuoco derivi da veri e propri princípi filoso fici, oltreche da pura ostilità pratica, che potrebbe anche essere un fenomeno transeunte.Nei Frammenti di lettere, cioè nel pieno della rivoluzione scriveva che « un reere ditario..., quando non ad altro, serve a togliere agli altri l'ambizione diesserlo »; e che egli credea « la monarchia temperata meno di quel che si pensanemica degli ordini liberi » (2 ). A me pare che il Cuoco inclini ad una formadi monarchia costituzionale vera e propria. La vita dei popoli corre unosviluppo prestabilito. Dall'assoluta ti rannia all'assoluta libertà è un passo,da un eccesso al l'altro eccesso: il punto d'equilibrio, che salva l'unità e lacoerenza interiore delle stirpi, è la monarchia costitu zionale. La libertà èun astratto. Bisogna che il popolo se ne renda degno, ed abbia nello stessotempo un inte resse nella libertà, in quanto questa effettivamente mi gliori laconvivenza civile. Bisogna in sostanza che il popolo sia maturo per leconquiste rivoluzionarie, e com prenda: se non è così, gli stessi più altibenefíci si con vertono in pericoli. È matura, si domanda il Cuoco, l'Eu ropaper l'assoluta libertà, per la repubblica? È matura Napoli per accogliereordini rivoluzionari? La risposta (1 ) Alludo alla preparazione del motoinsurrezionale in Avi. gliano, all'opera repubblicana che il nostro preparò inBasili cata. Questa attività cuochiana era rimasta nell'ombra finoa ieri:il primo che l'ha studiata e documentata è stato M. Ro MANO, op. cit., p. 19 esgg. (2 ) Framm. III, p. 250. 127 non lascia dubbio. I popoli hanno ancorabisogno d'una guida, hanno bisogno d'una forza, che li tenga costretti neilimiti d'una volontà generale, pur contemperando questa con una maggiorautonomia delle volontà parti colari o individuali. Questi sono gli ordinicostituzionali. Gli ordini giacobini sono costituzionali a parole, in realtàsono anarchici, libertari. La saggezza dei popoli è ancora da ritrovarsi: ipopoli sono ancora più fantasia e mito, senso e leggenda anzi che pensiero edintelletto: i gover nanti mostrano di non avere intesa questa complessa eprimordiale natura loro. I popoli hanno bisogno d'un in telletto, che li guidied eserciti ciò che essi, tutto senso e poesia nel significato vichiano, nonpossono esercitare, la volontà dell'intelletto. « Un sovrano saggio sul trono »scrive il molisano, « è meno raro d'un popolo saggio ne' comizi » (1). Notiamoche il Cuoco scriveva queste righe, quando l'astro di Napoleone non brillavaancora di pura luce, di tutta la luce grande che doveva poi spiegare, quandoegli scrivendo non poteva menomamente pen sare che dalle repubbliche di Franciae d'Italia doveva svolgersi il consolato, l'impero. Il Cuoco ci appare dunquecoerente. I suoi sentimenti, ripetiamo una sua frase ti pica, sono eterni. InNapoleone egli vedrà realizzato po sitivamente tutto il suo grande ideale.Nessuno potrà accusarlo di particolarismo, d'amore per il suo parti culare. Oranella repubblica francese Vincenzo Cuoco vede pre cisamente la negazione ditutto il suo sistema politico, l'astrattismo formulante vuoti schemi perchiudervi l ' ineffabilità delle determinazioni naturali; la democra (1) Framm.III, p. 242. Quanto quei sentimenti siano ra dicati nel Cuoco puoi vedereleggendo i suoi articoli su pro blemi politici: in particolare cfr. Giorn.ital., 1804, 30 maggio, 2 giugno; n. 65, 66; p. 260, p. 264; 1805, 2, 7, 17gennaio; n. 1, 3, 7; pp. 3-4, pp. 11-12, pp. 26-28. Nel Platone in Italia, v. I,p. 142 e sgg., riconferma il suo pensiero, « riafferma », come scrive ilROMANO, op. cit., p. 85, « la sua fiducia in ungoverno misto, temperato, tra lamonarchia, l'aristocrazia e la democrazia ». 128 zia universale, che cerca disovrapporsi a popoli, diversi di coltura e di interessi, per costringerli adaccettare un governo monotono uguale; la volontà generale, che cozza con levolontà singole; un pazzo alternarsi d'anar chismo e di tirannia. Che cosa èmai questa benedetta libertà, che i francesi portano? È la più sfacciatatirannia. Essere libero signi fica adattarsi al metodo, all'andazzo giacobino;se no, guai a chi si oppone: le baionette strappano il consenso liberamentemancato. La libertà imposta non è più li bertà, cioè libero volere, liberadeterminazione. La libertà data dalle repubbliche, nota Vincenzo, è sempre più durache non la libertà data dai re. Sembra un paradosso, ma è così. Le repubblichesono infatuate dai loro prin cípi, e credono che tutti siano desiderosi dicomparteci parne, e quando li vedono ripudiati, li impongono, poi che non vedonobene e felicità fuori di essi. L'antifrancesismo, dunque, di Vincenzo Cuocoreal mente ha radici profonde in questioni di metodo e di po litica. Il Cuoconon è un repubblicano. Egli vagheggia forme costituzionali, che sintetizzinol'indirizzo potente mente unitario dello Stato con le volontà autonome dellepopolazioni. Queste considerazioni di natura generale possono spie garci varipunti della biografia di Cuoco, che altrimenti sarebbero destinati a rimaneresenza delucidazioni; pos sono darci la ragione della scarsa sua partecipazionealla rivoluzione partenopea, la ragione forse della sua sal vezza dopo laprigionia borbonica, la ragione del suo iso lamento a Milano prima che un nuovoordine un po' più schiettamente italiano e meno repubblicano non venga acostituirsi; questioni, assai gravi, come ognun vede, ma che acquistano maggiorluce, se le si riconducono ai princípi, che sopra abbiamo accennato. Ilpensatore, che, criticando il progetto di costituzione del Pagano, scriveva aVincenzio Russo amaramente ed ironicamente nello stesso tempo: « Oh ! perdona.Non mi ricordavo di scrivere a colui, che, sull'orme della buona memoria diCondorcet, crede possibile in un es 129 sere finito una perfettibilità infinita»; il pensatore, che così ironicamente pungeva l'amico, è lo stesso uomo, cheoggi a Milano esule ricorda a un suo intimo il suo co stante odio contro iGalli (1 ). « Non ti pare che io era profeta » scrive « quando in faccia aScipione Lamarra (generale e carceriere dei repubblicani del 1799 ) mi dissicisalpino? E profeta anche più grande, quando diceva tanto male dei francesi?Eccomi dunque cisalpino, per chè in Milano, ed odiator de'Galli, quale lo eranel '93, nel '94, nel '95, nel '96, nel '97, nel '98 e finalmente in Capua nel'99. I miei sentimenti sono eterni. » Il Cuoco ci appare come il più genuinorappresentante di un pensiero politico in tutte le sue manifestazioni in antitesi col pensiero e con la prassi politica francese. Il suo spirito storico epratico lo rimena al Vico, l'investi gatore profondo delle leggi, che governanoil corso delle nazioni, al Machiavelli, che dai fatti trae le norme della vitapubblica, al Montesquieu, il più acuto studioso della natura delle leggi edella loro conformazione ai bisogni fisici e spirituali de' popoli. Nel Saggio,ricordiamo, dopo avere analizzato quanto la rivoluzione era lontana dalla vitaitaliana e napoletana, quanto i bisogni nostri eran, diversi da quellifrancesi, quanto i nuovi princípi erano astrusi, scrive delle righe assaiimportanti per una com prensione del suo pensiero. « La scuola delle scienze morali e politiche italiane seguiva altri princípi. Chiunque avea ripiena la suamente delle idee di Macchiavelli, di Gravina, di Vico, non poteva nè prestarfede alle pro messe nè applaudire alle operazioni de ' rivoluzionari di |Francia, tostochè abbandonarono le idee della monar chia costituzionale » (2 ).Ecco, l'opposizione politica di viene una vera e propria reazione culturale innome del l'italianismo. Non mi sembra più il caso ora di dubitare circa la po (1) La lettera che segue, pubblicata per primo da M. Ro MANO, op. cit., p. 269,in parte fu poi ripubblicata da G. GEN TILE, Studi vichiani, p. 350. (2 ). V.Cuoco, Saggio storico] sizione del Cuoco di fronte alla rivoluzione. Il Cuoconon è repubblicano, è monarchico costituzionale. Il Cuoco è antifrancese perchèè troppo profondamente italiano. La posizione non potrebbe essere più chiara.Questa rinnovata posizione di critica non conduce però Vincenzo ad unisolamento politico totale. Egli s'oppone ad uno stato di cose profondamenteradicato nella vita contemporanea, ma crede suo dovere agire, operare in unmondo di illusi e di dormienti, mostrare agli italiani quanto essi siano inerrore, ripudiando la loro essenza per una natura estrinseca. Come nel '99egli, vagheggia tore d'una repubblica costituzionale indipendente, da fondarsisubito dopo la partenza dei Borboni, prima del l'ingresso dei francesi, d'unarepubblica nazionale, non soggetta ad alcun influsso estraneo, che sapesseintendere la natura del popolo, e su questo solo trovasse la base d'ogni suooperare, rendendolo partecipe ed interessato, non seppe, non potè abbandonare isuoi generosi compa gni per problemi e dissensi di carattere teorico, e sisenti travolto in quel vortice che pur non amava; così oggi, a Milano,ricostituitasi bene o male una parvenza di libertà italica, egli è al suo postodi combattimento, assertore infaticabile delle più pure idealità nazionali. Lavita ha una sua particolare dialettica. Questo spie gamento non è lineareuguale, ma inframmezzato da cu riosi contrasti: una affermazione è implicitanell'atto stesso della negazione. La rivoluzione francese, che nega la storia,è nella storia, e afferma la storia. Tutto il movi mento post -rivoluzionario,in antitesi alla rivoluzione, nasce da uno stesso getto, con la rivoluzione.L'illumini smo afferma l'assoluto della ragione e da questa desume formule eprincípi ad informarne la vita. Il nuovo pen siero trova il fondamento di tuttonello spirito, che è in sè e fuori di se, istoria e natura, sviluppo continuo,pro duttività infinita, principio attivo. Il Fichte in Germania in parte èancora nella rivoluzione; lo Schelling e l'Hegel, e con essi tutto il movimentostoricista nella politica e nel diritto, sono già fuori dalla rivoluzione. Lafilosofia della rivoluzione non aveva prodotto un vero sistema costitu 131zionale, aveva ondeggiato tra troppo opposti princípi, per finire ad uno Stato,il cui contenuto etico era e non era. La nuova filosofia riconsacra nellanatura lo spirito, e lo spirito sublima nello Stato, sua perfetta creazione. Lafatale necessaria evoluzione dello spirito porta allo Stato, e in esso celebra,diciamo pur così, tutto sè stesso. Chi dice Stato dice realtà ed ideale,autorità e libertà, forza e consenso. È la reazione dello Schelling edell’Hegel alla rivoluzione. È la stessa reazione, ma anticipata, di altrifilosofi della restaurazione. In Italia questa reazione, che però è unarivalutazione dello Stato monarchico nel suo contenuto etico, è fatta daVincenzo Cuoco. Col Cuoco, giornalista nella repubblica cisalpina e poi nelregno italico, la rivoluzione muore, depone il berretto frigio, lascia il postoallo Stato, come manifestazione ultima d'un processo etico, in cui la libertà ènel con senso, l'unitarietà nella forza. Pochi hanno notato l'importanza delmolisano, come rivendicatore del principio monarchico. Si è detto che egli è ilprimo, che si faccia araldo del problema unitario in quanto problema spiritualee pedagogico; ma si è dimenticato che nel suo pensiero il fine della rinascitamorale è una unità, che non può ottenersi che nella mo narchia. Affermazionequesta, notiamo, che non implica alcun assoluto politico, ma che è larisultante di mere contingenze storiche, di una vera impreparazione popo lare apiù ampie libertà, da studiarsi, dunque, nell'am biente, in cui e per cui ilCuoco l'esprime. Il processo pedagogico, che deve condurre all'unità, è unprocesso nulla affatto rivoluzionario, anzi evolutivo. Mentre in Germaniaquesta rivalutazione è posteriore: alla rivoluzione, mentre in Germania ilFichte, il futuro autore dei Discorsi alla nazione tedesca, scrive il suo Contributo alla rettificazione dei giudizi del pubblico sulla ri voluzionefrancese, che non può non essere, nel grave incendio sovvertitore, unapartecipazione a quei princípi che agiscono in tutto il movimento, ed insiemeuna loro legittimazione; in Italia lo spirito nazionale nasce nella stessarivoluzione, come reazione d'una sostanza speci 132 ficamente italiana ad unaforma vuota ed estrinseca che le si vuol sovrimporre. Napoleone per Cuoco è lacreatura di genio, che impersona in sè tutto il nuovo ordine di cose, che sorgedalla rivoluzione e alla rivoluzione s'op pone, ordine di cose che il pensatoreha previsto sin dai primi bagliori dell ' incendio giacobino. Le prime paginedel Saggio storico, la Lettera dell'autore all'amico N. 0., la Prefazione allaseconda edizione sono la conferma di tutto ciò, che siamo venuti faticosamenteesplicando fin qui. In questi scritti la figura del gran capitano è esal tata:ma, se leggiamo profondo, più che l'uomo fatale sono esaltati il nuovo ordinedi cose e i nuovi princípi ci vili, che affiorano nella politica generale diFrancia. Il Cuoco, dopo alcuni anni dalla rivoluzione di Napoli, di cui erastato spettatore, si rivolge indietro, rivede con la fantasia accesa tutti gliavvenimenti, che nel breve corso d’un anno, il 1799, la storia ha suscitatonella sua patria: il regno del Borboni ruinato mentre minaccia la conquistad'Italia, un monarca debole abbandonare i suoi Stati, la libertà sorgere estabilirsi quando meno la si attende, i fati combattere la buona causa, e poigli er rori e il crollo; rivede tutto con la fantasia e, facendo ciò prova ilpiacere di chi, essendo stato giudice impar ziale, ha profetato un avvenire,nascente sulle contrad dizioni del presente. L'uomo dei Frammenti è infine ilprofeta di Napoleone. « Desidero » scrive Vincenzo nella Prefazione allaseconda edizione del Saggio storico « che chiunque legge questo libro paragonigli avvenimenti dei quali nel medesimo si parla a quelli che sono succedutialla sua pubblicazione. Troverà che spesso il giudizio da me pronunziato sopraquelli è stata una predizione di questi, e che l'esperienza posteriore haconfermate le antecedenti mie osservazioni » (1 ). La storia ha uno'svi luppoche non falla: lo storico, il quale intende le idee che sono eterne, e non gliuomini che brillano un istante, può a ragione divenir profeta. V'è nelle righesopra citate (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione, p. 8. 133 lasoddisfazione dell'uomo, che vede la conferma d'una realtà, che non gli sfugge.« Io ho il vanto » aggiunge « di aver desiderate non poche di quelle grandicose che egli [Napoleone] posteriormente ha fatte; ed, in tempi nei quali tutt'i princípi erano esagerati, ho il vanto di aver raccomandata, per quanto era inme, quella moderazione che è compagna inseparabile della sapienza e della giustizia, e che si può dire la massima direttrice di tutte le operazioni che hafatte l'uomo grandissimo. Egli ha verificato l'adagio greco per cui si dice chegl ' iddii han data una forza infinita alle mezze proporzionali, cioè alle ideedi moderazione, di ordine, di giustizia. Le stesse lettere, che io avea scrittoal mio amico Russo sul pro-. getto di costituzione composto dall'illustre esventurato Pagano, sebbene oggi superflue, pure le ho conservate e comemonumento di storia e come una dimostrazione che tutti quelli ordini che alloracredevansi costituzionali non eran che anarchici » (1 ). V'è qui tutta laspiegazione della nuova situazione, che s'è imposta e di cui il Cuoco si sentepartecipe. La rivoluzione era un vortice, che se egli non odiava, certo nonamava, al quale s ' era abban donato un po' passivamente, più per criticare cheper esaltare, più per negare che per affermare: libertà, fra ternità, vaneparole; virtù e gloria: parole astratte, lon tane dall'intendimento del popolo.Il regno d'Italia, l'impero di Francia, ora, sono invece realtà concrete, ovela prassi politica è ispirata al concreto, al benes sere delle genti, èispirata ad un principio monarchico unitario, che trova una precisa e sicuradelimitazione tra volontà generale e volontà particolari, tra governo edindividuo, in una nuova visione costituzionale, per cui lo Stato è concepitocome sublimazione dello spi rito, come forza e consenso, e quindi come autoritàe libertà. Il Cuoco dinanzi a Napoleone si trova nell'atteg giamento di chiosserva una realtà, a lungo deside rata, finalmente concretata nella politicagenerale euro (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione, p. 9. 134 pea, e nonnell'atteggiamento dell'adulatore che leva lodi per averne compensi. Si èvoluto dipingere il nostro come un volgare, se pur d'ingegno, procacciante, macoloro, che hanno sostenuto questa tesi non hanno esaminato certo per interogli scritti del molisano, o hanno perduto per il particolare quell'esatta econtinua visione d'in sieme, che ci spiega solo la natura d'una mentalità politica. Il Cuoco è l'uomo dai sentimenti eterni, l'eterno an tigiacobino, e inBonaparte vede l'uomo geniale, sintesi delle nuove idee, che si sono venuteformando, di libe ralismo, di moderazione, d'equilibrio. Come sorgono quegliuomini, che per il volgo sono usurpatori, che per lo storico non sono chel'espressione d'una fatalità storica, determinata da bisogni insiti nellenature umane? « La mania di voler tutto riformare porta seco lacontrorivoluzione: il popolo allora non si rivolta contro la legge, perchè nonattacca la volontà generale, ma la volontà individuale. Sapete allora perchè sisegue un usurpatore? Perchè rallenta il vigore delle leggi; perchè non sioccupa che di pochi oggetti, che li sottopone alla volontà sua, la quale prendeil luogo ed il nome di volontà generale, e lascia tutti gli altri alla volontàin dividuale del popolo. Idque apud imperitos humanitas vocabitur, cum parsservitutis esset. Strano carattere di tutti i popoli della terra ! Il desideriodi dar loro sover chia libertà, risveglia in essi l'amore della libertà controgli stessi loro liberatori » (1). L'usurpatore ha una ragione di essere nellastessa esagerazione della rivoluzione, rallenta il vigore delle leggi antiche,lascia pochi oggetti a sè, il resto alla volontà singola. Mentre le repubblichenel l'esaltazione dei princípi cadono dalla tirannia all'anar chia,dall'eccesso d’una volontà generale, che vuol sof focare ogni autonomia ovolontà subiettiva, all'eccesso di volontà individuali che non s'accordano inuna vo lontà generale, e viceversa, il monarca trova più facil mentel'equilibrio, che nelle ere primitive è nella forza, (1 ) V. Cuoco, Saggiostorico, XVII, p. 96. 135 nelle ere evolute nel consenso. Il giacobinismo, esaltandosè stesso, parimenti ha sviluppato una nuova opinione pubblica. Napoleone è ilrappresentante di questa nuova opinione pubblica. Non è detto che il potere,che si viene accentrando in un singolo, quando si sia trovata la delimitazionesovraccennata tra individualità e legge, sia per sè stesso cattivo: quand'esso,anzi, è saldo sicuro, può anche essere umano e temperato. È carattere pro priodei principi deboli essere sospettosi e feroci, mentre i sovrani, potenti subasi di consenso e di forza, non possono che essere equanimi, larghi, liberali.Tutta la logica storica cuochiana porta alla monarchia: la monarchia, date lecondizioni dei tempi e degli uomini, è la migliore forma di governo. Napoleone,ho detto, sorge dalla rivoluzione, e ad essa si oppone. Il Cuoco stesso ha lalucida intuizione che al sistema giacobino si è sostituito un sistema nuovo sunuove basi. Ciò non pertanto egli, ingegno superiore sto rico, portato avalutare le conseguenze ultime della ri voluzione, di fronte al nuovo reggimentoinstaurato, sa trovare i benefíci che da questa sono scaturiti insopprimibilmente per l'uman genere. L'articolo Varietà (1 ) che il molisano pubblicònel suo Giornale italiano, i primi giorni del 1805, è un vero e proprio esamedi coscienza, dinanzi alla nuova situazione politica, che trova le sue origini,pur negandole, nella rivoluzione. Col nuovo anno che si apre Vincenzo Cuocos'arresta e guarda indietro: molti mali da un lato, molti beni dall'altro:nonostante i grandi errori, le grandi deficienze, si può notare un progressivocammino sulla via della saggezza. « Gran parte dell'Europa fa grandi progressiverso un ordine migliore. « In Francia nell'anno scorso le opinioni sonodiventate più concordi, gli ordini più regolari. Le idee di rivolu- · (1 )Giorn. ital., 1805, 2, 7, 17 gennaio; n. 1, 3, 7; pp. 3-4, pp. 11-12, pp. 27-28:Varietà (ristampato in Scritti vari, v. I, pp. 134-144 col titolo Larivoluzione francese e l'Europa). 136 zione, divenute una volta estreme, hanfatto avverare il detto di Mirabeau che l ' esaltazione de' princípi altro nonè che la distruzione de' princípi. Ma, incominciando tali idee a retrocederedal 1795, non potevano arrestarsi se non giunte ad una forma di ordineregolare. Imper ciocchè ciascun costume richiede una forma di governo, eciascun governo ha in sé talune parti essenziali, senza le quali, invece dicostituzioni, si hanno que' mostri po litici, i quali soglion aver la vita diun almanacco. Possono sembrar sublimi agli occhi de’ mezzo- sapienti, ma sembrerebbero comici agli occhi de' sapienti veri, se l'espe rimento de medesiminon costasse tanto all'umanità. Ri conosciuta una volta necessaria laconcentrazione del potere, è indispensabile renderlo ereditario; altrimentisarebbe lo stesso che aprir la via a perpetue guerre ci vili. Esempio ne sia laPolonia. Nè vale il dare al primo magistrato il diritto di nominar il suosuccessore, poichè l'esempio di Roma antica e della Russia ben dimostrano chequesto ordine di successione non basta a render lo Stato sicuro dai tristieffetti dell'ambizione de' privati. Reso una volta il potere ereditario, ènecessario rivestirlo di tutte le apparenze esteriori della dignità, perchèqueste accrescon la forza della opinione, e la forza delle opinioni serve arisparmiar quella delle armi, della quale non si può mai far abuso senzapericolo. Un governo, il quale non ha per sè la forza dell'opinione, si chiamipure con quel nome che si voglia, sarà sempre un governo militare, il pessimodi tutti. Un governo, il quale, avendo già tutto il potere, procura difortificarsi coll'opinione, se questa opinione non è di sua natura teocratica,tende a cangiarsi da governo militare in governo civile. « Tale è l'ordinedelle cose, immutabile, eterno. L'ar restarsi dopo una rivoluzione in mezzo aquesta progres sione è lo stesso che dar fine ad una rivoluzione per incominciarne un'altra ». Come ognun vede, il pensiero di Vincenzo Cuoco, nellasua limpidezza, non lascia dubbio alcuno. Il nuovo or dine costituito, cioèNapoleone, ha la sua origine nella rivoluzione, ma la sua ragion d'essere nellanegazione 137 della rivoluzione, la sua base concreta ne' bisogni dei popoli ditrovare il loro punto d'equilibrio tra gli estre mismi di destra e di sinistrain quel consenso, che nel mondo moderno solo può fortificare i governi. In Napoleone il Cuoco vede il restauratore dell'ordine civile, ma non vuol vedere,nello stesso tempo, il militare, il con quistatore. Il governo militare, che sierige sulle baio nette, gli ripugna: non per nulla egli ha parteggiato nel '99per la repubblica, ha salutato con letizia la partenza dei borbonici dalla suaNapoli. Il governo, che tiene in pugno la cosa pubblica e la direzione delloStato, deve avere seco la forza del consenso, e da questa derivare la forzadelle armi. Altrimenti si cade in quel governo mi litare, che, come dice ilnostro autore, è il peggiore dei governi, come quello, che, essendo odiato,sovrapponen dosi alle volontà dei cittadini, rinnega le esigenze, i bi sogni,gli interessi delle popolazioni. Lo Stato del Cuoco non è nè lo Stato paterno,di polizia del Wolff, nè lo Stato rivoluzionario, che pone un limiteinsuperabile alla sua autorità in una visione anarchica dei diritti subiettivi.Nello Stato del Cuoco confluiscono vari e complessi ele menti, dal Rousseau alVico, dal Montesquieu ad Aristo tele. Se vogliamo caratterizzarlo, diremo che èStato di diritto, che importa e riposa su un contratto sociale, non storico maimmanente alla vita stessa dello Stato, sin tesi di attività e di dirittisingolari, Stato infine che non pud agire che sub specie juris, nella forma deldiritto, in quanto il diritto stesso, nella sua natura generale, è alla fineriaffermazione e consacrazione delle libere vo lontà particolari, che locostituiscono. Il molisano è ugual mente lontano dalle esagerazionirivoluzionarie, che egli stesso definì anarchiche e non costituzionali, comedalle affermazioni di coloro, che in Napoleone avrebbero vo luto il signore deigratia, superiore ad ogni volontà na zionale. Egli, ingegno storico, sente chetra Napoleone e il regime assoluto c'è una rivoluzione, e la rivoluzione non sipuò nè politicamente ne teoreticamente superare a ritroso, onde s'arresta nelgiusto mezzo, e ci dà un con cetto dello Stato, che si ricollega sotto alcuniaspetti al 138 Rousseau e al Vico, che ha, pure, qualche rassomiglianza con lateorica kantiana, sebbene il nostro del Kant cono scesse assai poco, e più perseconda mano che per let tura diretta (1 ). Il Cuoco afferma in sostanza lamonar chia liberale moderata, che assomma in sè l'autorità e la forza con ilconsenso e l'autonomia (2). Le opinioni degli uomini, aggiunge continuando ilCuoco, sono discordi: è fatale che siano discordi, poi che v'è stato di mezzouna rivoluzione, e gli uni parteggiano ancora per essa, gli altri ancora lamaledicono. Perchè l'equilibrio si ristabilisca, è necessario che sorga un ordine nuovo tra le varie opinioni, diverso dall'ordine an tico distrutto,diverso dal nuovo che si desiderava. Sono concetti di moderazione, che appaionoanche nel Platone. Michele Romano ha fatto un'analisi minuta di questo ro manzosotto l'aspetto politico, e noi, che seguiamo un'al tra strada, vi rinveniamofacilmente la conferma delle nostre affermazioni, ed una prova diretta dellacoerenza cuochiana. « Viene anche per le nazioni il tempo ineluttabile dei mali;il tempo in cui tutta la forza è nelle mani di coloro che non hanno virtù, equalche virtù rimane solo a co loro che non hanno forza; onde avviene che trale scel lerate pretese de' primi, tra le inutili tenacità de'secondi, tra queiche tutto voglion distruggere e quei che tutto voglion conservare, sorge unalotta asprissima, funesta, in cui i primi a cadere son sempre coloro i qualiosan parlar le parole di moderazione che dopo venti anni di strage e di orrorediventa l'inutile pentimento di molti e l'unico desiderio di tutti ». Lamoderazione, commenta però il Romano, non è virtù negativa in politica, perchè «noi cresciamo andando avanti; ci conserviamo rima nendoci al nostro posto; manon possiamo riformarci tornando indietro, perchè indietro non si ritorna mai »(3 ). Ai partigiani dell'ordine antico si può rispondere che (1 ) G. GENTILE,Dal Genovesi al Galluppi, p. 377. (2 ) M. ROMANO, op. cit., p. 81 e sgg. (3) M.ROMANO, op. cit., p. 84. 139 non è stato Bonaparte a distruggerlo: sono statiessi stessi con la loro viltà, con la loro caparbietà. « Ai parteggiani dellalibertà si può rispondere che la Rivoluzione non è stata interamente inutile.Si è ot tenuta una forma di governo costituzionale, e, quando anche si volessecredere che questa non sia ancora per fetta, si è sempre ottenuto moltoavendone una. Le ot time costituzioni sono figlie del tempo e non di sistemi.Quali sono le parti loro più belle? le più rispettate. E quali le piùrispettate? le più antiche. Quindi due ve rità: 1° Per ottenere una buonacostituzione, è necessario aver, quasi direi, un antico addentellato al qualeattac carla. 2 ° Per giudicare di una costituzione è necessario il tempo,perchè le nuove, non potendo ancora goder il rispetto del popolo, ancorchè sienottime, si credon cat tive. Col tempo, i vari corpi, che formano il governo, diventano più rispettati dal popolo, e perciò più potenti anche in faccia algoverno; e la libertà pubblica diventa maggiore. Intanto è sempre un gran beneper una nazione che il suo capo s'intitoli tale per le costituzioni della Repubblica; che si parli di libertà civile, di libertà di per sone, di libertà distampa; che vi sien delle magistrature incaricate di vegliare alla lorocustodia; che vi siano delle assemblee nelle quali si riuniscano i migliori dicia scun dipartimento e di ciascun cantone per proporre ciò che credon piùutile allo Stato. Tutte queste istitu zioni han prodotti finora molti beni e neprodurranno ancora. In ogni caso, la religione è stata per sempre riu nita alloStato col vincolo della tolleranza; la feudalità è stata abolita per sempre, e,quando anche risorgesse un patriziato, potrebbe esser quello de'greci e de 'romani, eccitator di grandi azioni e non già oppressore de'grandi ingegni; èstata aperta libera e larga la via della gloria ad ogni specie di merito; nonvi saranno più le dispute e le persecuzioni de'gesuiti e de'giansenisti; non visarà più la funesta distruzione de'tre stati, de' quali uno era con dannato apagare e soffrir tutto e a non aver mai nulla; le imposizioni saranno ripartiteegualmente fra tutti; le proprietà saranno tutte della stessa natura, e lepersone 140 della stessa classe. Questi vantaggi si sono ottenuti, nè siperderanno più, e questi vantaggi non sono mica pic cioli ». Tutta la filosofiacuochiana è rinserrata qui. È natu rale che, quando un ordine nuovo di cose siafferma dopo turbamenti generali, questo si presenti come una pana cea di tuttii mali, e temperi l'antico con il nuovo in una fiducia mirabile di sè stesso:spazza via l'antico, e in tanto crea una nuova aristocrazia, se non di sangue,d'armi; distrugge la teocrazia, e intanto vuol l'accordo con la religione;sgomina l'anarchia, e dà una nuova costituzione, che, sia pur limitatamente, hala sua impor tanza; si basa sull’autorità, ma non prescinde dal con senso. Ilnuovo reggimento è in fine un reggimento eclet tico, ma è quel che ci vuoledopo una rivoluzione, è quel che ci vuole in un'epoca, che ha bisogno di frenoper non dilagare nella licenza, di libertà per non rammaricarsi del passatosoppresso. Lo spirito del bonapartismo è in questo eclettismo moderato, che èclassico e moderno nello stesso tempo in arte, che è illuminista nello stessotempo che afferma la tradizione in filosofia, che è autoritario e non disprezzail costituzionalismo in politica. Ma a noi poco importa la prassi politica delprimo console e del l'imperatore, a noi interessa il pensiero di Vincenzo Cuocoin quanto sistematizza tutto un insieme di idee, proprie dell'èra sua, siasotto un aspetto critico, sia sotto un aspetto di simpatizzante affermazione.Il senso squisitamente politico del Cuoco ci si appalesa sotto un altro puntodi vista. Il Saggio storico, abbiamo osservato, mostrava la rivoluzione inatto, e di essa era la critica spietata e fiera. Ma la rivoluzione ha prodotto,ha spiegato tutti i suoi effetti, ha sommerso un mondo, ne ha instaurato unonovello. La realtà storica è quello che è, s ' impone senza rimedio. Èpossibile rinnegare i benefici evidenti della rivoluzione? Il Cuoco risponde dino. La rivoluzione ha prodotto benefíci senza pari in Italia e in Francia, e incerti limiti anche altrove, ha ab battuto la feudalità, ha riattivata la vitade' popoli in un ritmo più robusto. Il Cuoco ancor oggi crede che la 141rivoluzione si sarebbe potuto evitare, con una savia mo derazione sia de'governi sia de' popoli, ma la storia è stata quel che è stata, e non si ritornaindietro per le recriminazioni. Oggi è inutile ogni constatazione artifi cioso,occorre pensare a trarre i maggior frutti possibili dalla concreta realtà. « Lecrisi sono nate dall'ostinazione per cui i governi non hanno voluto maisoddisfare [ i reclami dei popoli]. Con una savia moderazione, invece dirivoluzioni distrut tive, si sarebbero ottenute utili riforme ». Il ritornareoggi con ostinazione agli antichi princípi sarebbe lo stesso che prepararenuovi torbidi rivoluzionari. Sono ' con cetti questi assai radicati nel Cuoco:ritornano frequente mente ne' suoi articoli nelle forme più varie. Altrovescrive: « Cangiamo di nuovo lo stato delle idee, facciamo prevalere l'opinionedi qualunque partito; e vedremo tutta l'Europa turbarsi di nuovo. E, siaqualunque l'opi nione che noi vorremo far prevalere, l'effetto sarà sem pre lostesso » (1 ). La storia non si supera a ritroso. Ri tornando allo scritto, dicui noi segnamo il filo ideale, vi troviamo una sicura legittimazione dellenuove forze (1) Giorn. ital., 1804; 11, 23, 30 luglio, 1, 11 agosto; n. 87, 88,91, 92, 96; pp. 350-351, pp. 356, pp. 367-68, pp. 371-372, pp. 393-394:Politica (ristampato in Scritti vari, v. I, pp. 28-43 sotto il titolo Ilsistema politico europeo al principio dell'Otto cento ). Riporto in nota unosquarcio dell'articolo, in seguito al brano citato. « Facciam ritornare incampo i princípi che han dominato dal 1793 fino al 1798. Che avremo?Nell'interno, incertezza nel potere, che lo rende più impotente nel bene, piùsospettoso e più crudele nel male; divisione tra i vari rami del poteremedesimo, onde l'anarchia e la guerra civile; l ' in certezza dei principi,onde ne diventa l'uso difficile ai buoni e facile l'abuso agli intriganti ed aiprepotenti. Nell'esterno, da una parte l'ambizione, che prende le apparenze didemocratiz zazione universale e diventa tanto più terribile quanto che allaforza delle armi riunisce quella delle opinioni; dall'altra, il timore esospetto; dall'una e dall'altra, minacce, tradimenti, inganni di popoli e dire, guerre interminabili e feroci ». Il quadro è fosco: è impossibile ritornareai princípi puri della rivoluzione, come è impossibile una restaurazione delregime prerivoluzionario: il separamento è inderogabile. 142 ((umane espressedal capovolgimento rivoluzionario della borghesia. È una osservazione costante,che da tre secoli in qua (anzi si potrebbe dire dall'epoca delle crociate ),tutti gli Stati dell'Europa sono cresciuti di forza per l'accresci mento delnumero, dell'industria, dell'attività di quella parte della popolazione chechiamavasi in Francia, e si potrebbe chiamar presso ogni nazione, terzo stato.Quelli tra' popoli dell'Europa furono i primi a risorgere dalla barbarie,dall'ignoranza, dalla debolezza, che primi sol levarono questo terzo stato.Tali furono l'Italia, l ' In ghilterra, la Spagna. Quei popoli ne' loroprogressi s’ar restarono, che, per la forma del loro governo, tennero questo terzostato più oppresso: l'oligarchica Venezia, la Polonia. Quei popoli soffrironorivoluzioni e sedizioni asprissime, ne' quali il terzo stato non fu distruttone ottenne giustizia.... E non vi è termine di mezzo. Lo stato di oppressione èuno stato di guerra. Uno de' due: o convien che la classe predominantedistrugga la ser viente, o convien che divida con lei tutti i vantaggi dellavita civile. Nel primo caso, eviterà le sedizioni in terne, perchè agliestremamente miseri che soffrono pa zientemente, la miseria toglie loro, comediceva Omero, la metà dell'anima; ma, invece delle sedizioni interne, avràdebolezza esterna grandissima, e sarà lo Stato esposto al furore del primo chevorrà occuparlo. Tale è stata la sorte della Polonia; e perchè non direm noiche è stata la sorte di tutti gli Stati ove ancora è feudalità? Nel secondocaso, non solamente si accrescerà la forza esterna, ma si renderà più durevolela tranquillità in terna, perchè la parte più numerosa del popolo non avràalcun motivo di doglianza;, ed, essendo la nazione piena d'amor di patria e diorgoglio nazionale, mancheranno anche quei fomenti di sedizioni, i qualivengono dalla stolta ammirazione degli stranieri ». Il terzo stato, laborghesia, è il lievito del nuovo ordine, è la parte più sana della nazione,che rivendicati i suoi diritti, è quella che, ugualmente lontana dalla potenzacorruttrice e dall' indigenza mortificante, realizza nella 143 modernità quellaclasse dei migliori, che Aristotele ha indicata come la più adatta a reggere lacosa pubblica. E precisamente nel senso aristotelico il molisano intende laborghesia, non dunque come una casta chiusa e dit tatoria, ma come una classe,in cui liberamente conflui scono le forze vitali del popolo tutto, una classeinsomma aperta a tutti coloro, che per virtù d'ingegno e di atti vità s'elevinodall'indigenza. « Le idee, i costumi, gli ordini pubblici di tutta l'Eu ropa »scrive il nostro in un altro suo articolo (1 ) che adduco a conferma di quantovengo dicendo « tendono al ristabilimento di una nobiltà più antica, meno distruttiva e più illustre: a quella nobiltà della quale si gloriavano i Fabi,gli Scipioni, i Camilli, de ' nomie degli esempi de'quali noi italiani dovremmoesser più superbi che di quelli degli Agilulfi e de ' Gundebaldi. La proprietàdiventerà la base di tutte le costituzioni: quella proprietà che sola può teneruno Stato lontano dalla letargica in dolenza dell'oligarchia e delle funestecommozioni del l'oclocrazia, perchè nè lo priva dell'opera di molti, i qualipossono colla loro industria acquistare un podere, ma non potrebbero maidisfare l'ordine de’ secoli passati e darsi un antenato che non hanno; nè,dall'altra parte, affida la cosa pubblica alla fede, sempre dubbia, di co loroi quali non hanno verun interesse a sostenerla. Non altra base che la proprietàavea la costituzione di Roma, e noi abbiamo anche ciò che non poteano avere iro mani, cioè riputiamo proprietà anche l'industria ed il sapere. È la naturadelle cose che ha comandata questa differenza: i romani non aveano altraindustria che l'agricoltura e per molti secoli non conobbero studi più gravi diquelli necessari a vincere i loro vicini. T (1 ) Giorn. ital., 1804, 14, 16,18, 30 gennaio, 8 febbraio; n. 6, 7, 8, 13, 17; pp. 22-23, p. 27, pp. 30-31, p.51-52, pp. 66-67: Osservazioni sullo stato politico dell'Europa (ristampato inScritti vari, v. I, pp. 13-28 sotto il titolo Il sistema politico europeo alprincipio dell'Ottocento in uno con l'altro articolo cuochiano da noi giàaccennato, Politica. 144 « Io non nego che le varie circostanze, nelle qualipotrà trovarsi una nazione, possan render necessarie molte modificazioni; ma lamassima fondamentale rimane sem pre la stessa. Il migliore de' governi, dicevaAristotele, è quello in cui governano i migliori; e, siccome essi non sipotrebbero mai ricercare ad uno ad uno, così il migliore dei governi è quelloin cui preponderano tutte quelle classi, nelle quali per l'ordinario siritrovano gli uomini migliori ». L'aristocrazia nuova, di cui l'autore nostrodiscute a lungo, è, come ognuno bene intende, la borghesia. Questa classe, cheè la più numerosa, in quanto classe aperta a tutti, in quanto esprime la forzadi coloro, che si sono potuti sollevare dalle masse, dal proletariato, dall'artigianato, per darsi all'industria ed agli studi, ha di nanzi a sè un vastocammino da compiere, è destinata, ove non lo sia già, ad essere la classedirigente. Ritornando allo scritto sulla rivoluzione francese e i suoi effetti,dal quale abbiamo preso le mosse, vi ri troveremo sempre le stesse idee. « Ilgran generale osserva il Cuoco « il profondo ministro sono uomini rari. Chi s 'impone la legge di ricercarli tra dieci, li troverà più difficilmente di coluiil quale li ricerca tra mille, tra tutto il popolo.... »). Ma non bisognaabusare; la rivoluzione francese aprì la via alla canaglia. Ritorna il Cuocoantigiacobino, l'odia tore de ' princípi esaltati, della democratizzazione universale. « Si obliò la profonda osservazione di Aristotele, il quale avea dettoche l ' ottimo de ' governi era quello in cui predominavan gli ottimi, ma chequesti ottimi non si dovean nè si potevan ricercare individualmente, bensìdoveansi ricercare per classe; che vi era in ogni Stato una classe di ottimi, eche questa era composta di co loro i quali non fossero nè corrotti pereccessiva ric chezza né avviliti per soverchia povertà. Quindi la pro prietà,nella nuova forma di governo, è divenuta con ragione base delle costituzioni.Alla proprietà è ben af fidata la custodia delle leggi: i proprietari, dice lostesso 145 Aristotele, sono i più atti a tal fine; e come no, se le leggi sontutte fatte per difendere i proprietari? Ove però non si tratta di custodire madi agire, ove non basta la volontà, ma vi bisogna la mente, è necessariosostituire alla semplice proprietà l’educazione; che val quanto dire mettere ilmerito personale nella stessa linea della pro prietà. Quella parte di popolo,dice lo stesso Aristotele, la quale non ha nè proprietà né educazione; sarà subordinata se sarà contenta: è un gravissimo errore darle tutto e non darlenulla ». A me sembra che il problema politico non potrebbe essere impostato dalCuoco in migliore maniera possibile. Che cosa sono le costituzioni, gliistituti, gli ordinamenti, così come li studia la storia del diritto e ildiritto stesso, se non vuoti astratti? Quel che a noi importa non è la forma insè, che ci appare morta senza un contenuto umano, ma il contenuto stesso. Lecostituzioni in realtà sono, e con esse tutta la struttura giuridica d’unpopolo, in quanto in esso popolo c'è una classe dominante, ri stretta o vastaimporta poco, certo qualitativamente mi-. gliore, che le determina, e non pervia di pura ragione, ma d'analisi concreta sulla realtà viva e pulsante dellemasse, una classe dirigente, che si fa interprete sicura della società chel'esprime. La storia del diritto, io credo, anzi che studiare mortesovrastrutture, dovrebbe stu diare come classi dirigenti, per natura condizionicoltura [ estensione diverse secondo le varie epoche, possano de terminaretutto un complesso sistema giuridico e costi tuzionale. In tal caso la storiadel diritto, studio di strutture vuote di realtà concrete, si risolverebbenella politica, studio d’un vero contenuto umano, pulsante d'attualità. Maquesto è un problema teoretico, che nel caso nostro importa relativamente, e ladi cui formulazio ne, a me sembra, sorge spontanea dal pensiero cuochiano. Comeognun vede, la vita moderna nella sua vasta for mazione non poteva esseretratteggiata in maniera più vivace, più rispondente al vero, a ciò che poi saràla realtà dello Stato moderno, di quanto è nell'analisi del grande molisano. Unaclasse di migliori, che per la sua stessa composi zione e formazione è atta amodificarsi e ad evolversi con la storia, tiene il reggimento dello Stato. LoStato libe rale non è, come lo Stato assoluto e patrimoniale, sta tico, anzi èil più atto ad ulteriori sviluppi. La base imprescindibile di esso è laproprietà. La proprietà è la sua difesa, il suo presidio naturale. Chi ha unasua pro prietà, mobile ed immobile, industriale o fondiaria, in tellettuale ocommerciale, tende per natura a conservarla e a migliorarla. Fate sì che unoStato si appoggi alla classe dei proprietari, questo Stato è al sicuro da ogniattacco contro la sua compagine, poi che troverà sempre la sua difesa incoloro, che, difendendo lo Stato, difendono i loro beni, i propri interessi.Ove lo Stato transige sul l'inviolabilità della proprietà, tradendo le sue basie le sue origini, viene a mancare la classe de ' possidenti alla tutela dellacosa pubblica, e, se non interviene una pronta reazione a ristabilirel'equilibrio, è il crollo, lo sfacelo. Abbiamo così uno Stato liberale, che,pur tendendo alla sua conservazione in ogni manifestazione giuridica, siafferma come dinamico e progressista, trovando però nella sua stessacomposizione un limite ad un progresso, che potrebbe divenire, se spinto troppooltre, anarchico e rivoluzionario. Questo concetto dello Stato borghese, chesolo nella proprietà può trovare una base salda, perchè non datadall'estrinseca volontà legislativa, ma dagli umani in teressi per naturaconservativi, questo concetto politico della vita moderna non è nuovo, nèsporadico in Vin cenzo Cuoco. Ne’ Frammenti è l'esempio di questa gran coerenzadel molisano, il di cui sistema politico non ha mai un'origine estranea allarealtà umana, anzi tutto è organato ed ispirato a princípi superiori di logicaed insieme ad una sicura visione storica. Dopo aver soste nuto che lacostituzione non può crearsi a tavolino, pre scindendo dalla vita, dopo averaffermato che le costitu zioni debbono essere vive sensibili parlanti, e noiabbiamo a lungo detto di ciò, il Cuoco viene ad analizzare il proble ma: comesi possa organizzare una divisione de' poteri. 147 « Dopo che avrete » scrive «divisi i poteri, assodata la base della costituzione e fortificata la legge coll'opinione e colle solennità esterne, per frenare la forza vi resta ancora adividere gli interessi. Fate che il po tere di uno non si possa estendere senzaoffendere il potere di un altro; non fate che tutti poteri si otten ghino e siconservino nello stesso modo; talune magi strature perpetue, talune elezioni asorte, talune pro mozioni fatte dalla legge, cosicchè un uomo, che siasi bencondotto in una carica, sia sicuro di ottenerne una migliore senza aver bisognodel favor di nessuno; tutte queste varietà, lungi dal distruggere la libertà,ne sono anzi il più fermo sostegno, perchè così tutti i possidenti, e co loroche sperano, temono un rovescio di costituzione, che sarebbe contrario ai lorointeressi. Per questa ragione negli ultimi anni della repubblica romana ilsenato ed i pa trizi furono sempre per la costituzione » (1 ). Se voi vi addentratenel pensiero dello scrittore, ve drete però che egli, pur disposto a dare allaproprietà la massima importanza tanto da fondare su di essa il sistema politicomoderno, non giunge mai a darle una origine metafisica, e quindi a concepirlacome un quid di eterno e di immutabile. Ed è naturale: l'origine dellaproprietà non è in princípi generali filosofici, ma in quel che nell ' uomo èsenso, cioè bisogni mutevoli e transe unti. La stessa natura dell'uomo, chevichianamente dà origine alle costituzioni, dà origine alla proprietà, basedegli odierni ordini civili. La natura, a cui accenno, non è la naturaintellettuale, ma quella natura primordiale e plebea, tutta senso e fantasia,bisogni ed esteriorità. Quindi teoricamente non è impossibile un sistema costituzionale, che prescinda dalla proprietà: resta a vedere come questo sistemarisolva il problema economico e pratico della vita, che sempre bisogna aver dimira: lo che, evidentemente, non è facile ! Il titolo della pro prietà !? È unpo' arduo trovarlo nella metafisica.... (1 ) Framm. III., p. 247, 148 « Volerricercare un titolo di proprietà nella natura è lo stesso che voler distruggerela proprietà: la natura non riconosce altro che il possesso, il quale nondiventa pro prietà se non per consenso degli uomini. Questo consenso è sempreil risultato delle circostanze e dei bisogni nei quali il popolo si trova.Tutto ciò che la salute pubblica impe riosamente non richiede, non può senzatirannia esser sottomesso a riforma, perchè gli uomini, dopo i loro bi sogni,nulla hanno e nulla debbono aver di più sacro che i costumi dei loro maggiori »(1 ). È chiaro ! La pro prietà ha un'origine schiettamente economica, e questaorigine posa su un consenso generale, ma storico, cioè null’affatto immutabileed eterno. Una giustificazione dell'istituto secondo i principi del diritto dinatura ap pare a Cuoco poco soddisfacente. Solo i bisogni e gli interessi loconsacrano e lo legittimano: la ragione e la volontà giuridica spiegano, ma nonesauriscono il pro blema (2 ) Dato il concetto che Vincenzo Cuoco ha dellaborghesia, che per lui non è una classe chiusa, capitalistica, oppres siva nelmonopolio della vita pubblica, è naturale che egli non parli mai o assai dirado del cosiddetto proleta riato o quarto stato, il quale per altro non ha, ne' tempi di cui ci occupiamo, una sua fisionomia sociale ed eco nomica. Se ilCuoco vede un quarto stato, lo vede, se mai, (1 ) V. Cuoco, Saggio storico,XXV, p. 123 e sg. (2 ) In tutta questa esaltazione della proprietà C., misembra, reagisce in parte alla rivoluzione, che nelle sue esagerazioni hacercato di scrollarla. Lo stesso Russo, l'amico del nostro, non è tenero per iproprietari, e basa il suo sistema su un ele mento comunistico. Io non faccioche rimandare il lettore, che si interessa del problema, allo studio su V.Russo del CROCE (La rivoluzione napoletana, p. 90 e sgg. ). Lo stesso EdmundBurke in Inghilterra reagà agli attacchidialcuni giacobini con tro laproprietà, e ne affermò il gran compito sociale: è questo uno de tratti comunitra l’A. delle Reflections on the French Revolution e l'A. del Saggio storico sullarivoluzione di Napoli. Il problema, di cui sopra ci siamo occupati, fu studiatoda M. ROMANO, op. cit., p. 152, il quale peraltro non si diffuse molto. 149nell'artigianato, il quale è il germe di ciò che noi chia miamo proletariato,ma da questo differisce sotto molte plici aspetti. L'artigiano è liberolavoratore, il prole tario è il salariato della grande industria. La grandeindustria è il prodotto di condizioni, che in Italia, al tempo in cui il nostromedita, non si sono ancora svolte nella loro interezza. Le questioni attinential quarto stato sfuggono perciò al Cuoco, ma non in tal misura che egli non viaccenni brevemente in qualche articolo del Gior nale italiano (1 ). Sarebbe purquesto un tema interes santissimo; senonchè, diffondendoci, noi usciremmo dalnostro assunto: tracciare una linea generale e sommaria del pensiero politicodi Vincenzo Cuoco. Se con il pensiero noi andiamo agli scrittori politici, cheil secolo XIX offre al nostro studio, invano trove remo un quadro così vivodella società post -rivoluzio naria, ed un intuito così immediato dei problemi,che ne agitano la compagine. Basterà che noi riferiamo ciò che il molisano diceintorno ai benefici effetti della rivo luzione, e che sono i capisaldi di tuttala vita successiva, per intendere quanto lungimirante fosse il suo senso politico e quanto fine la sua visione economica. Un effetto importante delsovvertimento è un progres sivo migliorarsi della morale pubblica. Quantogrande posto il Cuoco faccia alla morale e alla religione nella vita civile de' popoli è un problema, sul quale dovremo indugiarci dopo. Una secondaconseguenza è « la perfezione della mi lizia, poichè essa non è perfetta se nondove il nome di soldato si alterna con quello di cittadino; e questo non puòavvenire se non dove non siano nè esenzioni nè pri vilegi ». Tutto il pensierodella rivoluzione si rivela nella sua intima radice antimilitarista. Perchè? LoStato as (1) Giorn. ital., 1804, 6 febbraio, n. 16, p. 64, Economia po litica:a proposito di una cassa filantropica a beneficio degli artigiani; Giorn.ital., 1804, 7 maggio, n. 55, pp. 210-220: Pub blica beneficenza, a propositodella mendicità e dei problemi connessi. 150 solutista era da esso consideratocome estrinseco alla volontà dei subietti singoli, come tirannico e nemico:l'esercito nelle sue mani una forza passiva ed antide mocratica. Lo Statorepubblicano, il vero Stato rivo luzionario, alla sua volta, riposa invece suun consenso così largo, da ammettere, ed è un estremo, il diritto allasommossa, e il consenso così concepito non ha biso gno della forza a suosussidio (1 ). Il Cuoco naturalmente non può condividere questi princípi. Ilsuo Stato è stato di diritto, ma per natura tende alla conservazione, e respinge ogni attacco alla sua compagine anche violente mente. Il contrattosociale, che è alla base della sua co stituzione, non è un contratto storico,ma è immanente alla struttura dello Stato, cioè bisogna riguardarlo come unaesigenza ideale ed un presupposto della vita civile stessa. Il Cuoco deriva ilprincipio dal Rousseau, ma lo anima alla luce di superiori meditazionivichiane. Lo Stato sintetizza le volontà individuali o le libertà indi viduali (liberovolere è libertà ), ma, appunto perchè in ogni momento della sua esistenza ètale, si afferma come autoritario, contro chi rompe o cerca di romperel'armonia delle volontà concomitanti al fine sovrano. Il contratto socialeeterno, che è alla base della vita stessa, in quanto è convergenza di volontà edi diritti particolari, dà allo Stato il diritto generico della difesa e dellaconservazione. In ciò la filosofia giuridica del Cuoco si differenzia dallafilosofia della rivoluzione e, pur mantenendo alcuni punti di contatto conquella del Rousseau, si avvicina alla filo sofia di alcuni pensatori germanici.Nell'uomo si realiz zano due qualità di sovrano e di suddito, in quanto loStato è sintesi di volontà singole e insieme volontà ge nerale, che non ammetteperaltro sottrazioni, anzi ri chiede la più assoluta sottomissione. In ogniatto giuri (1 ) Notiamo che persino la costituzione inglese ha tolto al re e alpotere esecutivo ogni possibilità di disporre della forza armata. Il principioè stato superato durante la guerra, date le condizioni eccezionali, ma restasempre base degli ordini ci vili dell'isola. 151 dico dello Stato è implicitala volontà generale, la quale volontà generale non permette che alcuno possaevitare la sua autorità. Ecco il principio della forza, che integra il consenso;ecco lo stato di diritto, che nelle sue mani festazioni sovrane divienemilitare. Gli stessi cittadini, che sono sudditi di una volontà generale esovrani, poi chè sono gli elementi costitutivi di essa, sono anche soldati,cioè forza diretta a tutelare il rispetto alla legge, la cui genesi, ripeto, ènel popolo, pur trovando la sua manifestazione più piena e sintetica nelmonarca, sim bolo della continuità nella vita giuridica e storica dellanazione. Mentre tutta la filosofia della rivoluzione inglese, la filosofiadell'illuminismo e del giacobinismo sono anti militaristiche - e lecostituzioni, da esse scaturite, sot traggono al potere esecutivo ogni forzaarmata —; il pensiero politico del Cuoco, più addentro nelle concrete esigenzedella vita, è in senso altamente nobile milita ristico. La milizia, sotto iRomani dovere e diritto, anzi più diritto che dovere, del cittadino, divienenel mondo feudale mestiere e prestazione con alla base un ob bligocontrattuale, ritorna nel mondo moderno diritto del cittadino, che dà alloStato la forza morale del con senso, e la forza materiale delle armi, senza lequali il consenso è mera parola e lo Stato s'espone indifeso agli attacchi dipochi faziosi. Di ciò noi troviamo la con ferma in tutti gli scritti cuochiani,dal Saggio storico al Platone in Italia. Dice assai bene il Romano: « L'antimilitarismo, così notevole nella letteratura meditativa del secolo XVIII,permane nel Cuoco solo in quanto si ri ferisce alla bruta forza messa asostegno della tirannide. Con questa sarà militare il governo ma non il popolo;e d'altra parte un popolo senza virtù militari passerà per vicende politichepiù frequenti e più crudeli » (1 ). Con un governo costituzionale, lo Statosarà forte, ma il po polo, essendo esso stesso che dà l'elemento materiale per (1) M. ROMANO, op. cit., p. 88. 152 l'esercizio della sovranità, avrà tantocoraggio da non sopportare alcuna inconsigliata modificazione dei suoi di ritti.Quest'alto sentimento dell'importanza civile della milizia meglio vedremo, allorquandoil Cuoco, apostolo dell'unità italiana e della resurrezione morale del popolonostro, rincorerà i suoi concittadini a ritornare agli an tichi sani esercizibellici. E passiamo ad altro. « Il terzo vantaggio » continua il nostro autore« e mas simo, sarà quello di abolire l'antico pregiudizio che con dannavaall'ignominia l'utile industria, e specialmente l'agricoltura. Divenuta unavolta la proprietà la massima tra le distinzioni civili, questo farà sì che ilprimo sen timento sociale sarà il desiderio di accrescerla, e quindiun'attività maggiore nell'industria. Un mezzo secolo fa, l'abate Coyer destògran rumore in Europa pel suo opu scolo Sulla nobiltà commerciante. Egli perònon faceva che predicar l'imitazione dell'Inghilterra, ma non tentò maid'esaminar la cagione per la quale in Inghilterra era comune ciò che sireputava paradosso in Francia. L'industria inglese era figlia delle rivoluzioniche quella nazione avea sofferte più frequenti e più feroci delle altre. Èun'osservazione costante che, quando le rivoluzioni finiscono in bene,l'agricoltura fa nuovi e rapidissimi progressi. Questo fenomeno, osservatonegli altri secoli, si è ripetuto anche nel nostro entro la Francia. L'industria, e specialmente agricola, fa grandi progressi, ed i progressidell'industria non possono esser mai divisi da quelli della pubblica morale.Esser buon cittadino non è altro che esser cittadino utile, e cittadino utile,diceva Catone, vuol dire buon agricoltore >> Il nuovo Stato, appuntoperchè Stato di consenso, lascia la massima libertà individuale; afferma lavolontà generale in tutto ciò che pertiene all'esercizio della so vranità, malascia intatta la volontà particolare in ogni sua estrinsecazione, ove essa, s' intende, si muova in una sfera determinata. Ogni attività, che non coinvolgal'essenza sovrana dello Stato, è lasciata alla volontà dei singoli subietti: ilcommercio, l'industria, la navi gazione, l'agricoltura, l'istruzione, conriserve debite, 153 sono lasciate alla libera autonomia dei cittadini. Appariscono qui i princípi del liberismo economico, che ap pare già ne' primordidell'economia politica, nei Fisio crati, nella scuola liberale inglese efrancese, e giù di là ne' nostri maggiori scrittori, per essere l'anima d'ogniulteriore sviluppo della scienza. Secondo me, entro certi limiti, non si puòdubitare di un liberismo vero e pro prio nel Cuoco. Lo Stato assoluto, basatosul principio patrimoniale regio, non potea di fatto non essere Statomonopolistico, come quello che mirava ad un utile particolare e non collettivo,di classe e non generale. L'equilibrio econo mico è la risultante di libereforze individuali, è ciò che nasce dall'esplicazione di queste attività. Ciòche è, è quanto di meglio si possa concepire. Questi princípi liberali, che noitroviamo sviluppati in Adamo Smith, in Ricardo, in Giovan Battista Say, ecc.non sono in antitesi notiamo ai principi della filosofia cuochiana, per meatadi vichismo. Le nazioni, dice il Cuoco col Vico, le società umane, i popolisono governati da leggi naturali eterne, che hanno un proprio sviluppo, unproprio spie gamento, dietro un impulso originario ab antiquo. Gli uomini nonpossono mutare queste leggi, perchè ciò che è dato dalla natura stessa megliosoddisfa le esigenze umane, quindi rappresenta ciò che, date le condizionisociali e civili, di migliore si possa imaginare. È l'ordine delle cose chedetermina l'ordine costituzionale, e non la nuda filosofia: è l'ordine dellecose che determina l'or dine economico, e non l'astratta economia. Di ciò abbiamo una prova diretta nel Cuoco. Esiste, secondo il nostro, una vera scienzaeconomica, ma, appunto perchè questa scienza ha una base non dommatica edapriori stica, ma di fatto e storica, i princípi che la governano sono pochi,di loro natura « tanto semplici e pochi» che « scompagnati dall'esperienza »divengono « incerti e fa cili ad esser corrotti » (1 ). I princípidell'economia sono (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 89. 154 pochi, perchésono i princípi stessi della natura. La na tura determina l'ordine e losviluppo delle cose umane, in tutte le loro conseguenze. Lasciamo operare lanatura, e questa condurrà a sviluppi, che sono quanto di meglio si possaimmaginare ed operare per predeterminazione umana, ammesso cioè che gli uomini,lasciato da parte ogni intendimento utilitario individuale, mirino aprioristicamente ad un fine utilitario generale. La disarmonia di contrastantiinteressi porta all'armonia dell'utilità col lettiva, ad un utile generale, lostesso che si avrebbe, qua lora gli uomini abbandonassero, ed è meraastrazione, l'egoismo economico nativo, che li porta alla ricerca dellasoddisfazione maggiore de' propri bisogni anche a sca pito altrui. Lo Statocuochiano quindi è Stato liberista: il prin cipio però notiamo è tutt'altro chechiaro, e lo stesso no stro autore lo intorbida e spesso lo rinnega. Illegislatore interviene a limitare l'attività economica individuale, solo inquanto quell'attività lasciata a sè stessa, in de terminate circostanze socialianomali, possa risolversi in un danno collettivo, o in quanto quest'attivitàindivi duale, nel rimuovere gli ostacoli che le si oppongano, agisca fuori dallecito giuridico. Il Cuoco è troppo for temente concreto per potere formulareprincípi astratti e crederli validi per un'universalità di fatti. I princípieconomici, ha detto sono pochi, perchè poche sono le leggi eterne della natura;i casi concreti invece sono molti moltissimi: quindi il principio economicotrova nella realtà mille limitazioni, e solo un'analisi caso per caso può risolvere un problema positivo che ci si presenti. Liberismo o protezionismo?Questione fino ad un certo punto astratta. La vita nelle sue manifestazionireali può ren dere necessario il protezionismo, e lo può presentare, vi sonopur de' casi, come un male minore di quello, che si avrebbe lasciando sfogarele libere forze economiche. « Niente si cura produrre chi non è sicuro divendere. Or, perchè gli abitanti di uno Stato possan vendere molto e convantaggio, è necessaria una certa potenza politica nello Stato. È necessaria,perchè possa ottenere dalle altre nazioni que patti equi, i quali non si ottengono se non quando taluno creda che noi possiamo ot tenerli anche contro suavoglia. I popoli, dice Melun, e noi diremo i governi, non si regalano nulla. Senon siete forte, sarete sopraffatto. Non solamente non otter rete condizionigiuste, ma sarete costretto a soffrirne delle ingiustissime. Come mai il Cuoco,di cui abbiamo veduto il pensiero nella sua sostanza liberista, sembra tradirecosì i suoi princípi? In realtà, la concretezza del suo pensiero non puòpermettergli apriorismi nè costituzionali, nè econo miei, ond’ei bene intendequanto necessario sia il prote zionismo in certe contingenze politiche. Nondimenti chiamo, poi, che non si può parlare di liberismo asso luto in un'età,in cui ferve continua la lotta tra la Francia e le coalizioni europee, fra laFrancia e l'Inghilterra do minatrice de’mari, in un'età in cui ogni mezzopolitico diviene spietato per vincere economicamente, e le armi del contrastonon sono più la libera concorrenza tra im prese nel campo internazionale, ma ilsequestro marit timo, il boicottaggio, il blocco. La realtà dell'èra napoleonica, tragica nel conflitto tra il genio e le forze avverse, impone all'impero il protezionismo. Il Cuoco lo crede ne cessario per evitare dannimaggiori, senza però condurre questa tattica positiva a princípi generali evalevoli in eterno. Ma dove il pensiero cuochiano attinge una verità eco nomicadi prim'ordine è in un principio, al quale il no stro accenna ne' Frammenti dilettere a Vincenzio Russo, (1 ) Giorn. ital., a. 1806; 5, 6, 7, 8 gennaio; n. 5,6, 7, 8; pp. 19-20, pp. 23-24, pp. 27-28, pp. 31-32; Politica: (ristampato inM. ROMANO, op. cit., in Appendice; ed ora negli Scritti vari, v. I, pp. 201-213col titolo La politica inglese e l'Italia ). (2 ) Mi sembra che anche ilROMANO, op. cit., p. 155, creda così. Dopo aver riportato in nota il brano dame sovra ci. tato aggiunge: « Anche qui è palese che il protezionismo del Cuoconon moveva da teoriche astratte, sibbene dall'esame delle condizioni storichedel suo tempo. E che avesse ragione allora.... non è chi non veda », 156principio, al quale egli stesso non dà alcuna elaborazione, ma in cui è ilgerme di dottrine, che nella stessa nostra Italia hanno avuto così bellosviluppo. « Una nazione si dirà virtuosa, quando il suo costume sia tale chenon renda infelice il cittadino; e se tutte le nazioni potessero essere sagge asegno che, invece di farsi la guerra e di distruggersi a vicenda, si aiutassero,si giovassero, questa sarebbe la virtù del genere umano. Il fine della virtù èla felicità, e la felicità è la soddisfazione dei bisogni, ossia l'equilibriotra i desidèri e le forze. Ma, siccome queste due quantità sono semprevariabili, così si può andare alla felicità, cioè si può ottener l'equilibrio oscemando i desideri o accrescendo le forze. Un uomo, il quale abbia ciò chedesidera, non sarà mai ingiusto; perchè naturale e quasichè fisico è in noiquel senti mento di pietà, che ci fa risentire i mali altrui al pari deinostri, e questo solo sentimento basta a frenare la nostra ingiustizia, sempreche la crediamo inutile. L'uomo selvaggio non cura il suo simile, perchè nongli serve: egli solo basta a soddisfare i suoi bisogni, che son pochi. Debbonocrescere i suoi bisogni, perchè si avvegga che un altro uomo gli possa esserutile, ed allora diventa umano. Per un momento nel corso politico delle nazionile forze dell'uomo saranno superiori ai bisogni suoi; allora que st'uomo saràanche generoso. Ma questo periodo non dura che poco: i bisogni tornan di nuovoa superar forze; l'uomo crede un altro uomo non solo utile, ma anche necessario:ed allora non si contenta più di averlo per amico, ma vuole averlo anche perschiavo » (1 ). Per il Cuoco la felicità è ciò che con linguaggio più pro priopossiamo dire soddisfazione de' bisogni, possibilità di sfruttare le qualitàfisico - chimiche de ' beni, dati de terminati bisogni individuali. L'uomo èfelice, cioè sod disfa interamente i suoi bisogni, realizza uno stato di ap (1) Framm. VI, p. 262. Errerebbe colui che nel brano citato volesse vedere unabbozzo di morale utilitaria: il problema mo rale ben altrimenti è impostato daV. Cuoco. 157 pagamento, trova un punto d'equilibrio, quando non v'è contrastotra desideri e forze. La visione però è moderna in ciò che segue. I bisogni,aggiunge lo scrittore, non sono da comprimersi, tut t'altro, anzi è d'uopodargli il modo d’esplicarsi. « Invano tu colla tua eloquenza fulminerai ilnostro lusso, i no stri capricci, l'amor che abbiamo per le ricchezze: noi tiammireremo, e ti lasceremo solo ». L'economia privata e pubblica dà l'esempiocontinuo di nuovi bisogni che sorgono, che non trovano soddisfazione cheparzialmente, e poi per le mutate condizioni delle produzioni vengonosoddisfatti sempre meglio. Il progresso civile è una ca tena ininterrotta dibisogni nuovi e di soddisfazioni ade guate che si sviluppano. Che vale gridarecatoniana mente contro le troppo molteplici esigenze della vita moderna? Quelche è non si discute. Passarvi sopra sa rebbe un condannarsi ad una eternainfelicità. L'equi librio tra i desideri e le forze non può mantenersi che perbreve tempo, perchè tosto che si realizza, intervengono nuovi bisogniimpreveduti per romperlo. Nella realtà, anzi, è impossibile concepire un vero eproprio equili brio: quel che più ci dà l'idea di questo mondo eco nomico è unaserie di equilibri tra desidèri nuovi e forze preesistenti, tra bisogni nuovi,che dan luogo a nuove domande di beni atti a soddisfarli e lo stato della produzione, che s'adatta all'oscillazioni delle domande. Qual'è il comportamentonaturale dello Stato in tali contin genze? « La cura del governo deve esserquella di distrug gere le professioni che nulla producono, e quelle ancora lequali consumano più di ciò che producono; e verrà a capo, se stabilirà taleordine, che per mezzo di esse non si possa mai sperare tanto di ricchezzaquanto colle arti utili se ne ottiene ». Il Cuoco continua in una esaltazionedel lavoro agricolo ed industriale, e in una deplorazione degli impieghi, chechiama pericolosi per chè fomentano le ambizioni. Con ciò noi usciamo dallapura indagine economica. L'autore lascia intravedere la possibilità d'unintervento statale in un campo che noi ne 158 vorremmo libero. Ma nel molisano,purtroppo, i concetti economici non sono chiari: il Cuoco indulge troppo spessoa forme d'economia statale, che portano ad un interven tismo e ad unprotezionismo fuor di luogo, che, se sono a volte spiegabili come espressionidi circostanze ano male, non hanno mai ragioni scientifiche tali da imporli peruna pratica economica generale. Bisogna pur riconoscere che elementi estrinseciinterven gono a turbare la mera analisi economica, onde il Cuoco so stieneforme d'economia statale e d'intervento per altre ragioni, nobili espiegabilissime. Dopo gli studi del RUGGIERI (op. cit., p. 39) e del Cogo sopratutto (op. 13-23, pp. 59-66) non v'è alcun dubbio che l'opera statisticaOperazioni sul di partimento dell'Agogna anzichè al cittadino Lizzoli Luigicome appare estrinsecamente dal frontespizio dell'opera (Dalla tip. Nobile eTosi, 8. d. ), debba attribuirsi al Cuoco, che la scrisse per incaricodell'amico tutta di suo pugno, sia pure consigliato dal Lizzoli. Orbene indetta opera (cap. XII, Istruzione pubblica, p. 107) il Cuoco trattadell'importanza delle scuole di disegno e de' vantaggi che da questa specie d'educazionesi ritraggono. « Saremo sempre » scrive poi « i servi degli esteri fin checrede remo che essi sieno i nostri maestri: chi ha perduto la stima di sèstesso, ha già perduto tre quarti della sua indipendenza. Or questa stima dinoi stessi non si perde tanto ammirando i genî che ha prodotto, e le grandiazioni che ha fatte una na zione estera, quanto ammirando di soverchio alcunecose che sono per loro natura indifferenti, e che forse anche sarebberomigliori tra noi, se come nostre non fossero disprezzate. Pochi sono semprepresso qualunque nazione coloro che intendono e pregiano le prime, e questipochi per lo più hanno uno sviluppo tale di ragione che impedisce l'abusodell'ammirazione. Ma mol. tissimi sono quelli che ammirano le chincaglierie, iventagli, le fibbie, i mobili, le stoffe, e che aspettano da Lione, o da Londrail figurino della moda. Tra cento uomini convien trovare cin. quanta donne, equarantotto altri esseri inferiori alle donne, i quali ragionano così: inInghilterra le fibbie, i mobili, le scarpe sono migliori delle nostre: dunquegl' Inglesi sono migliori di noi. Allora tutto è perduto. Le nazioni estereattaccano sempre la parte più numerosa e più debole di un'altra nazione, e l'attaccano per le vie del comodo e del bello; e quindiè che un go verno savio deveprocurar sempre di dare alla nazione propria gran facilità di mezzi, onde potervincere in questa concorrenza, e questa cura deve formar la parte principaledella pubblica istru zione ». 159 Abbiamo studiato come il Cuoco concepisca loStato, Stato di diritto basato sul consenso e realizzante la sua sovranitànella maggior pienezza, Stato militare e forte; abbiamo anche studiato comequesto suo Stato sia in fine lo Stato che egli vede sorgere per opera diBonaparte. Il Cuoco a me appare come il teorizzatore di quel tipo di Stato, chealla storia è passato col nome di napoleonico. Abbiamo già dato in parte lagiustificazione di ciò che i legittimisti ben poteano chiamare usurpazione, mache per il nostro è lo sviluppo logico delle cose, è la fine di tutto unprocesso storico: occorre però ritornare sul l'argomento per una più vastadocumentazione. La storia non s'interrompe. Il primo console diviene prestoimperatore di Francia e poi re d'Italia (1 ). Tutto il movimento spirituale cheporta dalla repubblica ita liana al regno italico, trova la sua spiegazionenegli scritti cuochiani. Sul Giornale italiano il molisano manda fuori le sueConsiderazioni sopra il senato - consulto (2 ), scritto denso di pensieropolitico, ove la monarchia napoleonica trova un'adeguata giustificazione nellanatura stessa delle cose, nel corso della storia, che tra due estremismi, latirannia e l'anarchia, trova il suo equilibrio nella costi tuzionalità. Icontemporanei non possono intendere Napoleone: la sua figura complessa sfuggead essi, perchè la conside rano isolatamente, avulsa dal moto storico, in cuiopera e dal quale è determinata, moto storico, che solo la po sterità potràintendere. Avevamo una repubblica. Come va che dal direttorio, dal consolatodecennale, dal conso lato a vita, dalla presidenza si passa all'impero e alregno? « Noi diciamo, pieni di stupore: – Come mai ha potuto avvenir questo? —E coloro che ci han preceduto, molto tempo prima che avvenisse, lo aveanpredetto (1 ) M. Rosi, op. cit., p. 230 e sgg. (2 ) Giorn. ital., 1804, 30maggio, 2 giugno; n. 65, 66; pp. 260, 264: Considerazioni sovra il senato -consulto (ristampato dal Ro MANO, op. cit., in Appendice; ed ora in Scrittivari, v. I, pp. 103-108, col titolo Napoleone imperatore). 160 inevitabile ».L'impero è sorto, perchè tutte le idee por tavano all'impero. L'analisi ditutti i precedenti storici, senza i quali ogni evento ci appare estrinseco, èfatta dal nostro con una lucidità mirabile. La rivoluzione francese, prima discatenarsi sulle piazze e sui patiboli col terrore, aveva tentato unesperimento costituzionale. Una monarchia moderata sarebbe stata quanto dimeglio potea avere in quel momento la Francia. « La rivoluzione scoppiò, perchèera inevitabile. Tutte le idee degli uomini non ebbero allora altro scopo chequello di formare una monarchia costituzionale; ma si errò nel circoscrivere illimite del potere esecutivo, e se ne creò uno troppo debole e troppo pocorispettato ». Si inde bolì costituzionalmente il potere centrale, togliendocosì ogni difesa agli stessi ordini civili, aprendo la via alla licenzatrionfante. Gli errori in questo campo furono in numerevoli. Il poterelegislativo esercitò un predominio eccessivo, inframettenze internazionali, incampi che pra ticamente, se pur non logicamente, spettano all'autoritàamministrativa. La forza ' armata fu divisa, parte al re, parte al popolo: lamonarchia fu esautorata, ma il paese resto senza presidio alcuno. Il potereesecutivo perse ogni autorità sul legislativo, e si giunse all'assurdo ditogliergli parte sia diretta sia indiretta, sia d'iniziativa sia di veto, nelladecretazione e nella sanzione delle leggi. Si separò ancora interamente ilpotere esecutivo dal giu diziario, e al re fu vietato l'ultimo residuod'autorità: il diritto di grazia e d'amnistia, che pur tanto serve a sanaresituazioni in via strettamente giudiziaria irre solubili. « Che ne avvenne? Lamonarchia costituzionale, simile ad un colosso di arena, si sgretolò e cadde ».S'immaginò poi la costituzione del 1793. Un altro ec cesso. Per non cedere laFrancia il potere esecutivo ad un organo specifico, esso fu assunto dallastessa conven zione nazionale. « L'epoca, in cui noi ebbimo distrutto ognipotere esecutivo, si può chiamar l'epoca in cui al governo si sostituì laguillottina ». « Eravamo giunti all'estremo. Era necessità retroce dere. Sicomprese l’errore della riunione de' poteri e, 161 colla costituzione del 1795,furon di nuovo separati. Si comprese che la forza fisica di uno Stato doveaesser una sola, e che questa dovea dipendere dal governo. Le at tribuzionidella guardia nazionale furono limitate; il co mando della forza armata, ilpieno comando, fu dato al Direttorio, a cui furon dati attributi più ampi cheal re ». Come ognun vede il processo della storia è sempre lo stesso: unestremo porta all'altro estremo, ma nel l'urto e nell'antitesi si sviluppaspontaneo un supera mento, che rappresenta il nuovo e logico equilibrio. Lacostituzione del '95 avea molti difetti che dovevano in breve distruggerla: lalentezza e la mancanza del se greto in azioni, che esigono rapidità ed unità dicomando; l'incertezza del sistema nel troppo rapido cambiamento del Direttorio;l'ambizione de' membri che componevano il Direttorio stesso. Gli effetti delsistema: vittorie inu tili, vertiginose disfatte, discredito all'interno eall'estero. La storia continua il suo processo, alla ricerca d'un puntod'equilibrio stabile. La costituzione del 18 bru male fu un rimedio solo inparte. Comincia l'ascesa di Napoleone, ascesa che ora ci appare naturale,inquadrata come è nella continuità d'un processo che si svolge con una particolarelogica. Invece che a cinque membri, il potere esecutivo fu affidato ad unosolo, togliendo ogni lentezza alla vita statale; il potere fu prolungato perdieci anni, evitando la troppo frequente rotazione di governi; s'evitò ogniingerenza legislativa nella sfera na turale d'azione del potere amministrativorestituito così alla sua sovranità. Una volta preso questo cammino, le ideeandarono fino alla fine: per rendere l'ambizione privata meno nociva, si ebbeil consolato a vita e si diede al console il diritto di nominare il successore.L'ascesa di Napoleone appare così pienamente spiegata nella storia. V'èperfetta reciprocanza: gli uomini deter minano la storia ed operano per lastoria; sono liberi perchè sono i fattori della storia, sono schiavi perchèsoggiacciono alla loro opera. « Ciò che è avvenuto posteriormente non è che ilcom pimento di tali istituzioni. L'eredità rende il potere più 11 - F.BATTAGLIA, 162 sicuro, ed in conseguenza ne rende l'esercizio più dolce; laresponsabilità de' ministri corregge ogni abuso che dal l'eredità potrebbeavvenire. Coll'eredità e colla responsa bilità si riuniscono due cose chepaiono di loro natura inconciliabili: la libertà e l'impero ». Quand' io hoanalizzata la critica rivoluzionaria nel pensiero cuochiano, ho avvertito comeda questa critica nasca tutto un sistema politico, di cui la storia è la consacrazione e la legittimazione. Eccoci giunti al punto, in cui ciò che il Cuocoha preveduto trova la sua realtà e la sua riprova materiale. La storia ha unprocesso dialet tico eterno, le cui grandi linee approssimativamente si possonocogliere, pur quando l' ineffabilità de' partico lari ci sfugge. Il Cuoco haosservato le idee, che sono eterne e non fallano; ha trascurato gli uomini, chebrillano un istante ed ingannano, se li si astrae dal corso ideale delle cose:le sue deduzioni fondate sulla natura umana non sono fallite, ed hanno avuto lapiù piena sicura conferma. Com'ognun vede, siamo giunti a Napoleone attraversouno spiegarsi logico delle cose. Bonaparte è la risultante di tutta unaconvergenza d'elementi, che allo storico e al politico acuto non isfuggono, ede ' quali noi abbiamo descritto la natura. Bonaparte è il creatore di queltipo di Stato, che, pur lasciando il più vasto campo alle atti vitàindividuali, esercita unitariamente il suo compito sovrano, e, pur riposandoconsensualmente su un con tratto sociale, in ogni istante vero nella convergenzadelle volontà subiettive, sa trovare la sua difesa in una forza attiva che nonfalla. Un'esperienza rovinosa di frammen tarismo e di debolezza portaall'impero (1 ). Si è avuta troppo lunga pratica d'anarchismo costituzionale,d'insuf ficienza esecutiva, perchè si possa continuare sulla stessa strada. Ipopoli non possono prosperare, quando gli or dini civili non rispondono allavita stessa. La vita è vo lontà unitaria; lo Stato è sovranità, cioèestrinsecazione di quella volontà suprema, che è alla base d'ogni atti (1 ) V.FIORINI (F. LEMMI, op. cit., p. 619. 163 vità umana coordinata in società. Ognimenomazione del principio porta all'anarchia. Le costituzioni debbono rispondere a quelle esigenze eterne ed immutabili, senza le quali gli organismisociali deperiscono e muoiono. Curioso e tipico è osservare come ugualmentenella storia il Cuoco trovi la legittimazione di altre figure in signi dicapitani e di uomini eletti, il duca Valentino, Cromwell. Mi si permetta laparentesi, anche perchè si tratta di considerazioni che illuminano direttamenteil nostro argomento. In uno scritto (1 ) il molisano immagina che un suo amicopossegga un manoscritto antico, descrivente un viaggio per l'Italia nel secolodi Leone X, secolo aureo e grande nella sua pura italianità: dall'opera eglidesume un collo quio tra l'anonimo autore e il Machiavelli. Non istard qui ariferire il dialogo, che si svolge animato e profondo di politica, tra i due,nel quale Vincenzo tenta una giusti ficazione di quell'atteggiamento del grandefiorentino, che i secoli hanno battezzato con l'epiteto di machiavel lismo.L'Anonimo' nota al Machiavelli che il mondo lo accusa d'avere insegnato massimedi tirannia ai Medici e di avere presi per suoi modelli uomini scellerati, Castruccio e il Valentino. Alla prima obiezione il Machia velli risponde che eglitanto poco è stato fautore dei signori della sua città, che questi al contrariolo han per seguitato come troppo caldo fautore della libertà della patria; allaseconda obiezione oppone un ragionamento assai acuto, sul quale meritafermarvisici un po '. « Ascolta. Per Castruccio ti dirò che, scrivendo la suaVita, non ebbi altro pensiero che quello di ridestar gli animi degl'italiani,inviliti tra l’ozio e la cura de' cani, della caccia, delle donne e deibuffoni, all'amor delle cose militari, mostrando loro coll' esempio di un uomoillu stre che per questa sola via si può ascendere alla gloria e all'impero....». (1 ) Giorn. ital., 1804, 21, 23, 25 gennaio; n. 9, 10, 11; pp. 35-36, pp.39-40, pp. 43-44: Varietà (ristampato in Scritti vari, v. I, pp. 42-52 sotto iltitolo Due frammenti d'una storia della poli tica italiana ). 164 « Ma pel ducaValentino?... » « Perchè quelli che egli oppresse e distrusse eran piùscellerati di lui.... Tra tanti scellerati io preferiva quello che almenodirigeva le sue scelleraggini ad un fine più nobile e tendeva a riunirl'Italia, che gli altri, con iscel leraggini più vili, dividevano e desolavano.L'Italia non avea altro più da sperare: niuna virtù ne' popoli, niun ordine dimilizia. Quei tanti tirannotti, che la laceravano, si facevan ogni giorno laguerra; ma questa guerra non decideva mai nulla. Nel massimo de' mali, era unsol lievo diminuirne il numero. Valentino sarebbe rimasto solo. Più grande,sarebbe stato più umano ed avrebbe accomodati i suoi pensieri all'ampiezza delnuovo impero. Senza rivali, sarebbe stato anche senza sospetti e senzacrudeltà. L'Italia avrebbe cominciato a goder la pace, e dopo due età avrebbeincominciato ad avere anche la virtù.... ». Il pensiero del Cuoco è chiaro. Lagiustificazione del Duca è nei suoi stessi fini. Il secolo di Leone volevaquesti mezzi, e da essi non si poteva prescindere: un uomo, che aveva periscopo di realizzare la sua personalità, non po teva non agire in quellamaniera. Oggi la storia è cam biata. Napoleone non è il Valentino; Napoleone èun ambizioso, il nostro autore non lo disconosce, ma un ambizioso, che uniscela gloria alla virtù. Coloro che lo han preceduto sono inetti metafisici,incapaci di portare la nazione ad un fine grande. Qual è la ragione etica estorica, che possa impedire al genio di farsi strada e di trovare nella suastessa personalità la sanzione del l'impero? Nessuna. Tutte le cose inveceadditano Na. poleone come il restauratore degli ordini civili sconvolti, comecolui, che può dare allo Stato un potente indirizzo unitario È curioso edinteressante come l'anglofobo Cuoco spieghi e legittimi Cromwell. In unarticolo del Giorn. ital., 1804, 5 marzo, n. 28, pp. 111-12: Considerazioni sullibro in. glese « Uccidere non è assassinare » e sul diritto delle genti (ristampato in Scritti vari, v. I, pp. 81-85 col titolo L'assassinio politico e leviolazioni del diritto delle genti) scrive, a proposito 165 Napoleone hainoltre un titolo maggiore al trono, un titolo più nobile, il quale stamaggiormente al cuore di Cuoco: egli ha dato all'Italia quell'unità, e in partequel l'indipendenza, che è stata il sogno di tanti pensatori e di tanti martiridella Partenopea. Vedremo, in seguito, quando verremo a parlare della pedagogiae dell'ita lianismo del nostro, come il problema unitario italiano sia anzitutto un problema spirituale, cioè educativo, e poi un problema politico.Limitiamoci ora a vedere la cosa piuttosto dal di fuori, per poi penetrarlameglio nel suo intimo. Bene o male s'è costituito nell'Italia settentrionaleuno Stato unitario. Quel che al Cuoco interessa è che, nella nostra patria, sicominci a vivere italianamente, a pen sare nazionalisticamente. Altri dirà: ilnuovo organismo è accodato al carro di Napoleone ! Che importa ciò, sequest'uomo grande ha di mira il bene comune dell'Italia, sua patria d'origine,e della Francia, sua patria di ele zione. Il nuovo regno non ha con l'Impero'se non quel vincolo di solidarietà reciproca, che lega il benefi cato albenefattore: Napoleone è il pegno tra i due po poli, comune sovrano di duenazioni sorelle. Come mai il Cuoco così irrimediabilmente antifrancese ora ècosì strettamente francofilo, incline ad intendere i benefici dell'alleanza edell'amicizia franco- italiana, fino a ringraziare Iddio, che ha voluto porreItalia e Francia sotto il comune scettro d’un uomo solo? La risposta èimplicita in tutto il pensiero politico del no stró scrittore. di un'operettadel colonnello SEXBY, Killing is no murder e dell'attentato contro Napoleonedel febbraio 1804 queste con siderazioni sulla posizione storica del lordprotettore Cromwell: Dopo le crudeli stolidezze degli evangelici, de'puritani,de' livellisti e di tutto quell'infinito numero di sette religiose e politiche,che si agitavano allora in Inghilterra come igra nelli di sabbia quando spirail vento di mezzogiorno ne' deserti dell'Arabia,... era inevitabile chesorgesse finalmente un uomo atto a ricomporre in un qualche modo le cose. Ciòche è ine. vitabile è sempre il minor male », 166 La Francia, che il Cuoco nonama, è la Francia repub blicana, sinonimo d'astrattismo e di debolezza, che ammannisce ai popoli parole vacue di libertà di fratellanza d'uguaglianza, eintanto depreda musei archivi bibliote che, saccheggia case private, taglieggiale stesse città che dice d'aver liberato. La Francia rivoluzionaria, che eglidescrive con così foschi colori, non può dare a noi l'indi pendenza e l'unità.La Francia, che invece esalta, è la Francia che ha superato la rivoluzione, haricostituito gli ordini pubblici sconvolti, ha trovato in Bonaparte, la sintesisuperba della sua rinascita. L’unità che il molisano osserva realizzata nelnuovo Stato è, però, un'unità più politica che spirituale, più estrinseca cheintima. Bisogna dunque operare ancora per rendere le fondamenta del nuovo regnosalde ed eterne, bisogna formare quel che manca: la coscienza dell'italianità,la volontà unitaria, un nazionalismo. A ciò mirano gli sforzi del Cuoco,pedagogo dell'Italia, « il pedagogista del primo risveglio della coscienzanazio nale » (1 ). Abbiamo il Regno italico libero indipendente, punto dipartenza per estendere a tutta la penisola i benefici d’un nuovo ordinamento. Èil gran sogno di Vincenzo Cuoco, che s'esalta, egli, temperamento posi tivo,ovunque veda un barlume d'unità italiana, lo stesso sogno che lo farà fervidomurattista ne' suoi ultimi anni, sembrandogli d'intravvedere in Gioacchino ildesìo am bizioso d’un più vasto dominio. Certo l'autore del Saggio storicoavrebbe voluto che il nuovo organismo nazionale sorgesse più naturalmente, pervirtù d'italiani, per il formarsi e il maturarsi d'uno spirito civile nostrano,per un processo politico naturale, senza quell'intervento napoleonico, che purserba sempre il suo peccato d'origine: la sua esteriorità. Ma, tutto è fatalenecessario nella storia. « Quella ragione, per la quale gl'italiani, reggendosia repubblica, non potrebbero for mar mai uno Stato potente, quella ragioneistessa fa sì (1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 335. 167 che uno Statopotente, tra le tante divisioni di luoghi e di animi, non possa sorgere inItalia se non per mezzo dell’unione; e questa unione, non essendo più figliadella virtù e degli ordini antichi, non può ottenersi se non per la forza. Ecome mai non sarà straniera la forza, quando ogni forza patria è già da tantotempo distrutta? » (1 ). La repubblica non fa per noi, come non fa per ifrancesi: essa è disgregazione e ruina, mentre occorre unitarietà e forza persuperare i mali e i dottrinarismi del secolo. La Francia repubblicana, dannosaa sè stessa, non potea essere benefica per poi: i suoi rapporti con l'Italiaeran rapporti di sudditanza e non di parità. « I legami che ci uniscono allaFrancia » scrive il Cuoco, « sono legami di necessità e di vantaggiovicendevoli. Era naturale che la Francia vincitrice volesse usare della suavittoria; ma, finchè la Francia ebbe apparenza di governo repubblicano, lasorte d'Italia non fu per certo molto felice, perchè pessima è sempre lacondizione de' paesi conquistati o dominati dalle repubbliche. Par che la sommadelle libertà tutta si concentri entro le mura, e fuori non rimane chel'oppressione. Forse è inevitabile nell'ordine della natura che l'estremo de'mali non si possa evitare senza rinunciare a quell'estremo de' beni, a quell'ottimoche si chiama con ragione il peggior ne mico del bene, e mettersi in quellamediocrità che forma la base de governi temperati. La Francia, quando ellastessa non avea governo, prometteva agli altri popoli un governo simile al suo:con promesse, per tutt' i popoli, fallaci, perchè non poteano eseguirsi; perl'Italia, an corchè potessero eseguirsi, dannose. Imperciocchè, am messo pervero che i costumi degli europei viventi fos sero capaci di pure formerepubblicane, rimane però sempre problematico se con forme puramente repubblicane l’Italia, il di cui male più grave stava nella divi (1 ) Giorn. ital.,1805, 1, 3, 6 aprile; n. 39, 40, 41; p. 158 pp. 161-162, pp. 165-166: Sul regnod'Italia (ripubblicato in, parte da G. Cogo, op. 134-136; ed ora in Scrittivari, V. I, pp. 149-158). 168 sione, avrebbe potuto mai riunirsi; e se, nonriunendosi, poteva acquistar forza e vera indipendenza; e se, senzaindipendenza e senza forza, preda del primo che volesse invaderla, avrebbe maipotuto perfezionar gli ordini suoi? ». Ritorniamo alla critica rivoluzionariadi cui abbiamo parlato. Il popolo italiano, pur diviso e suddiviso, ha una suafisionomia speciale, bisogni propri, antichi ordini na zionali, che non possonomutarsi ed adattarsi ai sistemi nuovi d'oltralpe. Napoleone agisce diversamente:crea in Italia un Regno nuovo e lo pone direttamente sotto il suo scettro, manello stesso tempo gli dà, almeno in parte, una certa autonomia governativa,che intenda i bisogni e gli interessi locali, gli dà un esercito proprio, chesol levi lo spirito popolare depresso e lo riabiliti dopo un fiacco passato;gli dà istituzioni, leggi proprie. V'è una politica imperiale, politica estera,amministrazione ge nerale, la stessa in Italia e in Francia, dipendente dallavolontà del monarca. V'è poi una politica locale, diretta alla soddisfazione diesigenze specifiche, che varia da luogo a luogo, lasciata alla volontà dellepopolazioni, che intanto s’abituano alle gestioni pubbliche, alle fun zionicivili, dalle quali sino ad oggi erano state tenute lontane. « Il cangiamentodi governo che è avvenuto in Francia, per quanto sia stato necessario ai francesi,si può dire però che sia stato egualmente utile agl'italiani. Di tutti i legamiche univan questa a quella non rimane che l'al leanza; alleanza, che, se allaFrancia è utile, all'Italia è indispensabile. Il Regno dell'Italia è divenutoproprietà dello stesso sovrano, e questo sovrano è il più grande uomo delsecolo: egli saprà, egli potrà e, ciò che più im porta, egli vorrà farloprosperare. Questo uomo avea già due titoli i più giusti alla sovranità: quellodi creatore e di restauratore dello Stato. Le circostanze politiche dell'Europa gliene dànno un terzo, più giusto di tutti: la necessità di difendereancora per altro tempo lo Stato che egli ha creato, la necessità che ancora haquesta nazione dei benefíci suoi », 169 H In Italia non si è formato ancora unospirito pubblico nazionale, una comunione d'idealità, un italianismo in somma.L'unità, che Napoleone ha dato a noi, è un'unità che non può trovare altraragione che nel suo genio. L'in dipendenza per volontà intrinseca del popolo èun as surdo: in Italia non c'è ancora un popolo consapevole della sua natura edella sua forza. L'unica possibile ri soluzione del problema italiano è quellache la storia ha sancito. Il fatto nuovo avrà per effetto di mostrare agliitaliani, come la convivenza comune ed unitaria sia possibile, anzi vantaggiosa;come essi uniti siano più forti che non separati; come essi abbiano da sperartutto da un avvenire libero, e tutto da perdere ricadendo negli antichi errori.I germi di quest'esperienza non andranno perduti, morto Napoleone, poi che lastoria non ritorna sui suoi passi, e procede infallibilmente. Qui il Cuoco èdavvero il profeta dell'avvenire. Siamo in un campo puramente politico. Hodetto che ci riserviamo di studiare in seguito la maniera con la quale il Cuococrede possibile una unità italiana più in tima, di natura spirituale, attraversoun'alta pedagogia, che cementi per l'eternità, ciò che il genio d’un uomo hapotuto realizzare in maniera affatto pratica, e, nella sua stessa génesi,estrinseca. Prima però di venire a questo problema, che formerà un capitolo delpresente lavoro, bisogna gettare uno sguardo rapido sulla politica gene raleeuropea, in cui il nostro scrittore ebbe intuizioni ge niali e alcune pocheinsufficienze tipiche. Per chi ritorna col pensiero alla tormentata storia delsecolo XIX, l'unità d'Italia appare come una necessaria conseguenza di forzepolitiche in pieno sviluppo, come l'inderogabile fine d'un non mai interrottoprocesso. La questione italiana, considerata da un punto di vista po litico,appare, senza dubbio, come una grande questione europea. L'Italia è il centrodel Mediterraneo, il centro pulsante della vita civile di tante stirpi, iltransito tra l'Oriente mistico e voluttuoso e l'Occidente pratico e po sitivo;il paese destinato a moderare, se libero ed uno, tutte le competizioni dipredominio commerciale, ad ali 170 mentarle, se disgiunto e schiavo, in quantonessuna grande potenza permetterà mai ad un'altra un dominio incontrastatosulla penisola, che domina tutti gli sbocchi marinari e commerciali europei.L'unità italiana è il fulcro del problema dell'equilibrio europeo. Le guerrecesseranno, in gran parte, quando le nazioni si convince ranno di questa grandeverità: l'unità d'Italia è la condi zione indispensabile d'un assetto europeoduraturo. È il concetto centrale del Saggio, il concetto animatore dellapolitica cuochiana. Vincenzo Cuoco si è tuffato nel vor tice che non amava, larivoluzione, solo perchè aveva una lontana vaga speranza d'indipendenza e diunità italiana. « La rivoluzione di Napoli, rimpiange l’esule della Ci salpina,potea solo assicurar l ' indipendenza d'Italia, e l'indipendenza d'Italia poteasolo assicurar la Francia. L'equilibrio tanto vantato di Europa non può esseraf fidato se non all'indipendenza italiana; a quell'indipen denza, che tutte lepotenze, quando seguissero più il loro vero interesse che il loro capriccio,dovrebbero tutte procurare. Chiunque sa riflettere converrà meco che, nellagran lotta politica che oggi agita l'Europa, quello dei due partiti rimarràvincitore che più sinceramente favo rirà l'indipendenza italiana » (1 ). Lavisuale politica di Vincenzo è senza dubbio vasta e profonda. La lotta tra legrandi nazioni s'impernia sul Mediterraneo: la questione unitaria cessa diessere, come per molti patrioti del tempo, strettamente nazionale, e s'inquadrain problemi più complessi, europei. Gli uomini politici del Risorgimento,purtroppo, non intesero questa grande verità, e la storia, si può dire, operòper virtù naturale delle cose, fra l'incomprensione anche di menti riccamentedotate. Per lo stesso Cavour la lotta è una questione continentale diimportanza limitata. Solo un po'tardi, ma a tempo, lo statista piemontese,nell'im presa garibaldina del '60, s'accorge dall'atteggiamento in (1 ) V.Cuoco, Saggio storico, XLIII, p. 178. 171 glese quanto importante sia ilproblema meridionale nel gioco delle forze mediterranee. Tutta la maggiore ominore bontà della politica delle varie nazioni europee, vien giudicata dalCuoco alla stre gua di questo fine superiore, secondochè abbiano esse più omeno favorito l'equilibrio internazionale nell'unità d'Italia. Abbiamo unoscritto cuochiano, già innanzi ci tato, assai interessante per la comprensioneintegrale del suo italianissimo pensiero politico, scritto del quale io darò unlargo riassunto, poi che mi sembra che non sia stato considerato dagli studiosia sufficenza (1 ). L'arti colo, Osservazioni dello stato politico dell'Europa,è una sintesi mirabile delle intime ragioni della storia europea negli ultimisecoli, delle lotte per il predominio, dell'as setto italiano. Lo studio èdeterminato dalla lotta, che si riacutizza, tra l'Inghilterra e Napoleone, mail Cuoco supera le contingenze politiche e risale a notazioni di ca rattereassai ampio. Nella vita moderna due sono le pietre miliari dello sviluppostorico, il trattato di Westfalia e il trattato di Amiens, i quali segnano comedue epoche ben distinte della vita europea, dopo Carlo V. « Quello che sichiama in Europa tempo di pace non è che il tempo della minor guerra possibile.L'equilibrio politico dell'Europa è la causa principale di tutte le guerre e ditutte le paci: gli uomini e le nazioni travagliano con una mano a distrug gerloe coll' altra a ristabilirlo. Vi sono sempre due na zioni preponderanti, lequali, a calcolo sicuro, si fanno. la guerra un giorno sì ed un altro no; e laguerra dura finchè ad una non riesca di acquistar sull'altra una su perioritàtale che sensibilmente faccia preponderare uno dei bacini della bilancia efaccia nascere il bisogno di un equilibrio novello. » Le potenze, che fino aWestfalia detennero il dominio in Europa, furono la Francia e la Spagna. Allapace di (1 ) Giorn. ital., Osservazioni sullo stato politico dell'Europa (vediin precedenza, p. 143 ). 172 Westfalia si scoprì la ragione della debolezzaspagnuola, a Nimega questa si riconfermò: l'Inghilterra surse a prendere ilposto della Spagna nella rivalità con la Francia. Queste le linee sommariedella storia. Vediamo, e qui sta il punto che a noi interessa, quale sia laposizione della Spagna nella vita continentale e quale l'intima ra gione dellasua fiacchezza. La Spagna e la Francia erano due nazioni di forze quasi uguali,l'una più grande, l'altra meglio preparata: la Spagna poteva ' trionfare, manon riuscì. Perché ! La Spagna diventò potente, perché la fortuna dellesuccessioni riunì sotto uno stesso scettro metà dell'Europa, perchè Colombo ledonò l'America, perchè potè guadagnare in un primo tempo gli animi degliitaliani divisi, discordi, e contro altri irritati. Ma, una volta acquistato undominio enorme, attese più ad estenderlo ancora, anzi che a rinforzarlo, adarricchirsi materialmente anzi che moralmente: l'espulsione degli ebrei, lepersecuzioni religiose, le dispute teologiche, i governatori rapaci furono lepiaghe della sua compagine. La mancata risoluzione del problema italiano, e quivo glio insistere, fu secondo il Cuoco la causa prima della mancataaffermazione della Spagna. « Se la Spagna, potendo riunir l'Italia o formarviun grande Stato, l'avesse fatto, avrebbe, ottenuto un eterno poten tissimoalleato. Ma il fato avea riserbato ad altri tempi l'uomo grande cui eracommesso questo disegno. La volle ritenere distruggendola. Montesquieu dice chela ritenne arricchendola: da troppo impure fonti avea bevuto Mon tesquieu la storianostra ! Dopo averli impoveriti e spo polati, questi paesi divennero per laSpagna cagioni di spese e non di forza. Difatti la Francia attaccò sempre laSpagna, non già nel centro della monarchia, ma nella Borgogna, nelle Fiandre,nell'Italia, nelle provincie lon tane, le quali non si potevan difendere perloro stesse, ed i successori de' bravi Gonsalvi, De’ Leva e D'Avalos siperdettero inutilmente sulla Mosa e sul Po. La Spagna s ' indebolì perconservar ciò che conservar non poteva ». L'errore politico, causa della rapidadecadenza spa 173 gnuola, è il non aver voluto costituire uno Stato d'Italia,libero ma alleato, onde colpire la Francia avversaria da ogni lato; l'errorepolitico della Spagna sta dunque nell’aver trattato l'Italia alla stregua dellecolonie ame ricane, anzi peggio, perchè in Italia la dominatrice di silluse unpopolo grande colto e capace, mentre fuori sfruttò solo genti barbare osemibarbare, tribù selvagge. La politica francese nella lotta per ilpredominio, secondo il Cuoco, fu l'opposto di quella spagnuola. La Franciadivenne potente, mostrando di proteggere gli italiani, proteggendo veramentel'Olanda, aiutando i principi dell'Impero: così detta le condizioni a Munster;sostiene il Portogallo, si allea con l'Inghilterra: indebo lisce in Europa enelle colonie, la rivale. I francesi sono forti, desiderosi di dominio, ma nonsi lasciano accecare dalle ambizioni. Luigi XIV, il superbissimo monarca, nongiunge mai ad aspirare al dominio del mondo; ed è dif ficile trovare nellestorie un principe più di lui moderato nelle vittorie. « La Francia ebbe persistema quasi eterno di susci tare sempre un'altra potenza contro la suarivale. Ho detto che fece risorgere il Portogallo e l'Olanda; fece uso anchedel gran Gustavo, e chiamò le forze svedesi sulle sponde del Reno. Dopo levittorie di Eugenio e la pace di Utrecht, la monarchia austriaca di Germaniaera divenuta infinitamente più potente di prima. La Svezia non bastava più acontenerla. La Prussia, con popolazione più numerosa, con sito più opportuno,era più atta al bisogno; e la Francia fece sorger la Prussia. «Tale è stata lacondotta colla quale la Francia è giunta a tanta grandezza. È la condotta dellasaviezza, della giustizia e della generosità ». Cuoco non accenna quiall'Italia. La Francia ovunque suscita Stati liberi contro le sue rivali, laSpagna e l'Au stria, ma non crea un Regno d'Italia: ecco la causa del suo noncompleto trionfo. « Vediamo che han fatto gl'inglesi ». Battuta la Spagna, lacui insufficienza si fa palese a Westfalia e poi a Nimega, l'Inghilterra prendeil posto della Spagna. L'Inghilterra 174 è il fomite per tanti anni sino adoggi, pensa il Cuoco, di tutte le guerre in Europa: per la sua stessa naturanon può mantenersi forte che con la guerra. « Il vero baluardo dell'Inghilterraè l'immensa quantità de'capitali che ha accumulati: con questi conserva la suasuperiorità ma rittima, perchè con questi mantiene quelle flotte che gli altrinon possono costruire. Ma, siccome questi capi tali li può accumular qualunquealtra nazione, tostochè abbia industria, commercio e pace; così gl'inglesi debbono sostenere la loro superiorità con una continua guerra ». Dalle guerre disuccessione ad oggi, alle guerre contro Napoleone è la stessa ragione che muovegli iso lani a battersi. Ma questo metodo è assurdo e pazzesco: « l'Inghilterratende più rapidamente della Spagna alla sua dissoluzione ». Il Cuoco, senzadubbio, s'inganna, ma s'inganna su dei particolari. La visione d'insieme a mesembra luminosa, se pure in tutti i suoi punti non accet tabile. Gl'inglesiprolungano le guerre, oltre il necessario, avidi desiderano troppo. Nellaguerra di successione di Spagna perdettero per un orgoglio male inteso ciò cheLuigi XIV voleva cedere prima delle vittorie del Villars. In essi nullà dellamagnanimità de' romani. Essi sono forviati dalla saviezza dalla lusinga di piùfelici successi. Alla guerra sono spinti dalla loro natura marinara stessa,nella guerra permangono per migliorare il loro stato. Così ieri, così oggi:così nelle guerre dinastiche di suc cessione, così nelle guerre nazionali dioggi. E dire che l'Inghilterra con questa sua iniqua poli tica estera vaperdendo i frutti d ' un'antica continua savia politica interna di tolleranza edi libertà ! Coloro, che ne' secoli favoriscono quella che il Cuoco chiama «naturale irresistibile inclinazione a migliorare politica mente » lo stato de'popoli, « o presto o tardi vincono gli uomini ed i tempi ». « L'Inghilterra ègiunta ad un grado di prosperità immenso; fin dall'epoca di Luigi IX, l'interna sua amministrazione era superiore a quella degli altri popoli: ce loattesta un uomo, che io chiamo al tempo istesso il Villani ed il Macchiavellidella Francia, il signor di Joinville. Perchè? Perchè l'Inghilterra fu la prima175 à riconoscere la proprietà e la libertà civile. Perchè i papi furono finoal secolo XI gli arbitri di tutta l'Europa? Per chè, in tanta barbarie eferocia, erano i soli che predi cavano la pace; perchè abolirono la schiavitù;perchè, dice Leibnizio, erano i più savi e i più giusti uomini dei loro tempi,e senza i papi l'Europa sarebbe caduta in mali peggiori. Dopo il XII secolocangiarono massime, e la loropotenza incominciò a diminuire. Perchè la Fran ciae la Svezia vinsero nella guerra dei trent'anni? Perchè sostennero il partitodella tolleranza, dell'umanità, delle idee liberali de'popoli tutti.Nell'ordine eterno delle cose, la legge è sancita anche per i potenti; anche ipopoli hanno la loro morale: chi la trascura, chi la calpesta, o presto o tardiruina. I francesi promettevano agl'italiani grandi ed utili cangiamenti; nonquelli che la stoltezza de’tempi fa ceva millantare in un'epoca che si chiamavadi riforma ed era di distruzione,ma quelli che ogni uomo savio sperava da queldisordine dover sorgere un giorno. Imperocchè gli utili cangiamenti- soglionoincominciare per lo più da vivissime commozioni; ed errano egualmente coloroche, amando troppo queste, voglion perpetuarle, e coloro che, temendolesoverchio, disperano di un fine migliore. Il destino dell'Italia era quelloche, dopo tre secoli di languore e d'inerzia, dovesse finalmente risorgere anuova vita. Inglesi, qual male vi avean fatto i discendenti di Galileo, diRaffaello, di Virgilio, di Cicerone? Ed il vo stro Wickam ha ricoperte le loroterre di tanti orrori ! Ed invece di concorrere al loro risorgimento, non aveteneanche voluto riconoscere la repubblica italiana ! » (1). Il Cuoco s'esprimechiaramente. La sua anglofobia non ha origine, come sembrerebbe a prima vista,in un en tusiasmo cieco per la politica di Napoleone contro l'acer rima isolaribelle, ma si giustifica alla luce di supreme esigenze pratiche. La pietra diparagone in tutta questa (1 ). A. BUTTI, L'anglofobia nella letteratura dellacisalpina e del regno italico, in Archivio storico lombardo, a. XXXVI (1909 ),p. 434 e sgg. 176 analisi critica è la necessità dell'unità d'Italia, che tuttiintendono come fatale, ma che non tutti amano. Alcuno potrebbe dire che questavisione pecca di so verchia parzialità bonapartistica, perchè il nostro scrittore non rivolge alcun incitamento, alcun rimprovero all'imperatore, perspronarlo a condurre a buon fine l'opera intrapresa, di cui il regno d'Italianon è che un buon cominciamento, che attende ulteriori sviluppi. Non è così.Vincenzo stesso intende quanto poco ab biano fatto i francesi, e la sua parolanon è servile. « Se io dovessi parlare al governo francese » scrive nel Saggio« per l'Italia, gli direi liberamente che o convien liberarla tutta ò nontoccarla. Formandone un solo go verno, la Francia acquisterebbe unapotentissima alleata; democratizzandone una sola parte, siccome questa pic colaparte nè potrebbe sperar pace dalle altre potenze nè potrebbe difendersi da sèsola, così o dovrebbe pe rire abbandonata dalla Francia o dovrebbe costare allaFrancia una continua inutile guerra.... L'Italia è più utile alla Francia amicache serva, e quindi è meglio renderla libera che provincia » (1 ). NellaLettera a N.Q., dinanzi al Saggio storico leggiamo gravi parole. « Se iopotessi parlare a colui a cui (il ] nuovo ordine si deve, gli direi chel'obblìo ed il disprezzo appunto [delle idee di moderazione] fece sì che lanuova sorte, che la sua mano e la sua mente avean data all'Italia, quasi divenisse per costei, nella di lui lontananza, sorte di desola zione, di ruina e dimorte, se egli stesso non ritornava a salvarla. Un uomo gli direi, che haliberata due volte l'Italia, che ha fatto conoscere all'Egitto il nome francesee che, ritornando, quasi sulle ale de’vènti, simile alla folgore, ha dissipati,dispersi, atterrati coloro che eransi uniti a perdere quello Stato che egliavea creato ed illustrato colle sue vittorie, molto ha fatto per la sua gloria;ma molto altro ancora può e deve fare (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XLIII, p.178, nota. Cfr. an che tutto ciò che il Cuoco scrive a Napoleone nella Letteradel. l'autore all'amico N. Q. che va dinanzi al Saggio storico,' a mo' diprefazione, di cui solo poche righe ho riferito nel testo 177 per il benedell'umanità. Dopo aver infrante le catene all' Italia, ti rimane ancora arenderle la libertà cara e sicura, onde nè per negligenza perda nè per forza lesia rapito il tuo dono ». Queste righe il Cuoco scrive in piena Cisalpina, nonmolti anni prima dell'articolo del quale ci siamo occupati. Queste righe furonostampate, pub blicate, lette. La voce di Ugo Foscolo nella famosa de dicatoriaa Bonaparte liberatore non è più liberale della voce del Cuoco, anzi, direi,che quest'ultimo nel suo genio politico metta il dito sulle piaghe, ond'èafflitta l'Italia, con energia ed acume maggiore che non faccia il poeta deSepolcri. E dire che v'è sempre colui che vede l'adulazione, laddove questa nonc'è, e c'è solo un alto elogio per un uomo grande, il più puro interessamentoper le sorti della patria nostra ! Se ora ci accingiamo a dare un giudiziosintetico sulla visione politica che il Cuoco ebbe dell'Europa e dell'Italia,possiamo dire con sicurezza che la storia ha dato in gran parte ragione algrande molisano, in minima parte gli ha dato torto. La questione italiana, achi la studia oggi, mentre l'unità non solo politica, ma eziandio, come ilCuoco l'ha desiderata, spirituale, è un fatto compiuto, appare sopra tutto unaquestione di politica generale europea e me diterranea e non limitatamentenazionale. Gli uomini del Risorgimento, attori coscienti e incoscienti dellasto ria, mossi da idee e da forze, di cui essi erano gli espo nenti e non icreatori, videro poco: noi storici e critici possiamo affermare certi fatti conmaggiore sicurezza, e figurarci l' unità nazionale come un fenomeno prepa ratoda secoli nella coscienza del popolo, legato da se coli intimamente ad unarealtà spirituale e ad una storia, che si celebrava con mirabile continuitàovunque. La rivoluzione francese desta dall'imo dello spirito italiano, siapure come reazione allo stesso giacobinismo, un mo vimento di rivalutazionecivile, di cui il nostro è il mag giore rappresentante, ma non crea menomamenteun fe nomeno, le di cui origini sono assai più remote. Invero il Risorgimentos’è manifestato come un movimento altamente spirituale da un lato, come unproblema d'equilibrio europeo dall'altro. Mazzini e Gioberti sono stati illievito della rinascita, ma essi non s'intendono se non si comprende ilpensiero del loro precursore Cuoco. L'equilibrio politico è stato la causaprima, per cui il terzo Napoleone discese nel '59 in Italia contro l'Austria;l'equilibrio mediterraneo è stato la causa, per cui l'Inghilterra permisel'opera di Garibaldi nel '60, opera che l'imperatore de francesi prima osteggiò,e poi, inconscio e gabbato dal Nigra e dal Cavour, finì per per mettere. IlCuoco intravide il problema, e, se errò ne' partico lari, nessuno puòcondannarlo. L'Inghilterra per il molisano è la nemica naturale del l'unitàitaliana. È ciò vero? La storia ha dimostrato di no. La stessa politica, cheegli attribuisce alla Francia di liberare i popoli per farne alleati ed opporliai suoi rivali, è stata la politica dell'Inghilterra, quando nel '60, di fronteal Piemonte vincitore della guerra contro l'Austria, preferì un Regno d'Italia,signore del mezzo giorno della penisola, grande e forte, ad un Regno diSardegna, grande sì da dominare tutto il settentrione, ma non tale da sottrarsial vassallaggio della Francia. L'Inghilterra dopo il '59, durante l'impresagaribaldina, favorì l'Italia per le stesse considerazioni, di cui abbiamoparlato: suscitiamo un forte organismo statale contro la Francia, aiutiamolo adesimersi dal legame con Napo leone III, esso ci sarà riconoscente, e non cinuocerà La storia procede così: uno Stato crea un altro Stato, questo dapprimadebole è legato all'astro del suo geni tore, poi s ' ingrandisce aiutato siadalla sorte e dalla sua intima virtù, sia da altri che abbia interesse a svilupparlo, poi, un bel giorno, divenuto potente, saluta i suoi padroni, inizia ilsuo corso fatale, la sua naturale evolu zione. Egoismo, mancanza diriconoscenza, diranno i mo ralisti, che nella vita vogliono attuate le idee delloro cervello ! È della storia, rispondiamo. L'.Italia sorge na zione dal conflittoaustro - inglese, trova ausilio nella Francia, nell' Inghilterra in seguitocontro la sua stessa 179 antica protettrice, oggi è autonoma e forte: sarebberi dicolo che oggi seguisse la politica de' suoi vecchi mag giori amici, essache ha in sè forze latenti è, in isviluppo, più esuberanti e vitali che nonl'Inghilterra e la Fran cia. La storia consacra interessi, bisogni, volontà enon precetti) filosofici aprioristici.... Che il Cuoco nella storia vegga unospiegamento di bi sogni naturali ed omogenei, ci si appalesa facilmente, seriguardiamo la condanna, che egli fa di organismi storicamente gloriosi, ungiorno potenti, oggi deboli, fiacchi, superati. La caduta dell'anticarepubblica di San Marco nel Saggio storico è espressa nella sua gelidaobiettività, un sospiro, senza un rimpianto. L'Italia di fronte a Bonaparte,che nel 1796 discende per la pri mavolta da noi, si trova « divisa in tantipiccoli Stati », che", uniti potrebbero però opporre qualche resistenza.Il papa propone un'alleanza difensiva. I Savii di Ve nezia rispondono che dasecoli nel loro paese non si parla di alleanze, che è inutile quindi farproposte. Venezia con ciò sottoscrive la sua condanna di morte. « Per qualforza » si domanda il Cuoco « di destino avrebbe potuto sussistere un governo,il quale da due secoli avea distrutta ogni virtù ed ogni valor militare, cheavea ristretto tutto lo Stato nella sola capitale, e poscia avea concentrata lacapitale in poche famiglie, le quali, sentendosi deboli a tanto impero, nonaltra massima aveano che la gelosia, non altra sicurezza che la debolezza de 'sudditi e, più che ogni nemico esterno, temer doveano la virtù dei proprisudditi? ». « Non so che avverrà » conclude « del l'Italia; ma il compimentodella profezia del segretario fiorentino, la distruzione di quella vecchiaimbecille oli garchia veneta, sarà sempre per l'Italia un gran bene » (1 ).Quanto diverso il politico Vincenzo Cuoco, che nella sua fredda obiettivitàinterpreta la storia presente, dal poeta Jacopo Ortis, che getta uno sguardosulle età di gloria che furono, piene di luce e di epopea, e sulle ruine dellasenza (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, III, p. 22. 180 patria, non trova dimeglio, disperato dell'avvenire, che darsi la morte ! Sotto i colpi diNapoleone un altro antichissimo Stato cede: il potere temporale de' papi. Iltrattato di Tolen tino ha una importanza senza pari per la storia. Mentre ne'tempi trascorsi, i papi vinti, sgominati, afflitti si rifiu tarono sempre diporre a base delle trattative la benchè minima particella del territorio dellaChiesa, a Tolentino per la prima volta per la storia si fa uno strappo, sipassa sopra ai diritti inalienabili e imprescrittibili della Sede Romana.L'organismo antico invero è tarlato: un pro cesso storico di disgregaziones'inizia, di cui il Cuoco non può vedere le conseguenze, ma che noi oggipossiamo ben studiare. « La distruzione di un vecchio governo teocra tico » noncosta a Bonaparte « che il volerla » (1). La politica di Napoleone dal '97 inpoi ne' riguardi della Chiesa, il modo con cui egli impianta il nuovo edantichissimo problema delle relazioni, merita un acuto studio, che non possiamofare. Limitiamoci a vedere come Vincenzo apprezzi e giustifichi la visualeecclesiastica dell'imperatore. Non dimentichiamo che il Cuoco è nato in quelRegno di Napoli, che nello stesso secolo XVIII ebbe a sostenere fiere lottecontro la Curia, in cui il giu risdizionalismo ebbe una vera e propria teoricanon solo in iscrittori insigni come Giannone, D’Andrea, Capasso, Aulisio,Conforti, ma anche in ecclesiastici eletti come il famoso arcivescovo GiuseppeCapeceletrato (2): l'atteg. giamento cuochiano solo tenendo presente tuttiquesti precedenti può apparirci chiaro. Prima però di venire a discutere questoaspetto del pensiero del nostro, dobbiamo intendere quale posto egli assegnialla religione nella vita dello spirito e nella vita dello Stato. Lo Stato deveavere una base spirituale, la quale non può essere data che dall'istruzioneumana da un lato, dalla religione dall'altro. Lo Stato per il Cuoco è stato (1) V. Cuoco, Saggio storico, GENTILE, Studi vichiani, p. 391. 181 etico, sintesidi volontà libere, e come tale non ha alcun limite alle sue funzioni, se nonnelle volontà particolari stesse che determinano la volontà generale; esso nonpuò essere agnostico, in quanto l'attività religiosa è uno degli elementi checostituiscono la sua stessa natura, che stanno alla base della sua vita. Lafunzione educativa è di tale importanza che lo Stato del Cuoco, concepito comeso stanza etica, non può disinteressarsene. La religione, anche se lo Stato nonvolesse occuparsene per principio, rientrerebbe nel quadro civile e pubblico,cioè sottoposto alla sovranità, nel fatto stesso che essa non può nè vuoleprescindere d'operare nel campo educativo. Anche lo Stato agnostico di fattodeve riconoscere la religione, quando insieme con essa opera nel terreno vivodella pe dagogia, nella sfera perciò delle coscienze singole. Che cosa è per ilCuoco la religione? In una sua nota scritta su un foglietto, lasciato inedito epubblicato per la prima volta da G. Cogo nel suo tante volte da me ci tato volume,egli si pone il formidabile quesito, se sia possibile una delimitazione tra lamorale e la religione (1 ). Vediamo. « In questi ultimi tempi » egli scrive «si è domandato se si dovesse o no separare la religione dalla morale, e si èrisposto da tutti che si dovea; si è domandato se si po tesse, e mille hanrisposto che si poteva; si è tentato di separarla, e quasi nessuno vi èriuscito. Io non credo che abbiano sciolto il problema coloro i quali hannotratti i princípi della nostra morale e de' doveri nostri da una profondaanalisi del cuore umano, o dall'ordine generale dell'universo, o dalla dignitàdell'uomo; sublimi idee, ma inutili pe'l popolo il quale intende queste cosemeno del l'esistenza di una divinità !... Persuadiamoci: per esser ateo civuole uno sforzo, e tutto nella natura ci parla di Dio. Coloro che,restringendo l'idea della divinità a quella che noi abbiamo, invece di dire:questo popolo ha un'idea della divinità diversa della nostra, o per imbe (1 )G. Cogo, op. cit., p. 80. Vedi anche V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit., p. 653.182 cillità o per malizia han voluto dire che non aveva ve runa idea delladivinità, han pronunziato l'assurdo di credere che una nazione selvaggiapotesse avere più forza d ' intelligenza della nazione culta; perchè di fattiche altra è presso tutt' i popoli la prima idea della di vinità se non quelladi una forza di cui non possiamo nè evitare ne comprendere gli effetti? » Insostanza il Cuoco non condanna coloro che credono la religione sopprimibile, oalmeno la credono distin guibile dalla morale, ma si limita positivamente aduna affermazione: il popolo ha una religione, di essa non può fare a meno. Bennota Giovanni Gentile (1 ) come il Cuoco, ingegno eminentemente politico,capace di ele varsi sicuro alle vette più eccelse della filosofia, ami,'unavolta attinto il sommo, ridiscendere al concreto della storia, lasciando amezzo ogni pensiero speculativo. Ogni problema, sia pure di natura teoretico,al molisano si presenta nelle sue relazioni con la vita d'ogni giorno, con lavita pratica dell'individuo e dello Stato. Noi nel caso nostro andavamo allaricerca d'un presupposto di natura ideologica, e ci imbattiamo in un problemaco stituzionale; ci attendevamo una dimostrazione di prin cípi, e il Cuoco cidà senz'altro il principio, come mero dato di fatto. « L'idea di una divinitàsi può chiamare una proprietà intrinseca dello spirito umano. Se la verità dicui noi siam capaci è la coerenza di una nostra idea con tutte le altre, l'ideadi una divinità sarà eternamente vera, e coloro che vogliono distruggerla nonpossono opporle che parole le quali s'intendono meno ». La religione ci apparecome un quid d'insopprimibile, di non superabile, in quanto è un elementoeterno della stessa nostra natura umana. « La prima idea che gli uomini hannoavuto della di vinità è stata quella della forza; la seconda quella dellagiustizia, la terza quella della bontà. Ecco il corso natu 11 ) G. GENTILE,Studi vichiani, p. 376. 183 rale delle idee degli uomini. Se noi non daremoloro una divinità, essi se ne formeranno mille, le quali spesso noncomanderanno quello che il bene dell'umanità esige, per chè l'idea di un nume èpotente sullo spirito umano ed è capace di far obliare i doveri dell'umanitàper quelli della religione ». Ritorniamo ad un concetto assai caro al Cuoco, dicui il Saggio ci offre la conferma. « Non è ancora dimostrato che un popolopossa rimaner senza religione: se voi non gliela date, se ne formerà una da sèstesso » (1 ). E perchè un popolo non può restar senza religione? Perchè la religione è la morale fantastica del popolo, e il popolo ha bisogno di qualchecosa che lo guidi e lo governi. Io credo che sia questo il pensiero del Cuoco.L'uomo colto può superare la religione nella filosofia, il semiconcetto nelconcetto, trovando la norma della sua condotta nell'as soluto etico (2 ); ilpopolo, invece, ha ancora bisogno d'una morale d'autorità, e quindiparzialmente estrin seca, le cui basi non possono non essere religiose. Nelleorigini la religione è tutto: diritto, cosmologia, morale: nella religionetutte le forme della vita trovano un prin cipio autoritario e un fondamento. Ladistinzione fra l'una attività e l'altra è assai tarda. Il popolo però oggi cioffre l'immagine, almeno in parte, dell'umanità primi tiva. La religione perlui è tutto, perchè, essendo, come dice il Cuoco, forza giustizia bontà, è labase insopprimi bile, nel suo pensiero, d'ogni educazione, d'ogni morale,d'ogni diritto umano. Togliete questa base, egli non vi ubbidirà, perchè nontrova più alcuna cosa che legittimi l'ubbidienza all'autorità. Il legislatoredeve porsi da un punto di vista pratico, (1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p.130. Vedi a propo sito B. LABANCA, op. cit., p. 411. (2 ) Questo superamento,come vedremo in seguito, è più formale che sostanziale. Il Cuoco non credepossibile una mo rale fuor dalla religione. L'uomo colto concettualizza ciò chepel volgo è senso e fantasia, ma dinanzi al mistero si arresta pur esso. Lafilosofia sistematizza quel che nel popolo è senza ordine, ma non rinnega lareligione, 184 e rendersi interprete della natura dei subietti, che vuoldisciplinare: se egli vuol regolare tutta l'educazione, in staurare una moraleuniforme e sicura, dare un diritto ri spondente a bisogni concreti, egli nonpuò prescindere da quest'elemento dello spirito, la religione; anzi su questoelemento- base, nativo ed originario nella natura umana, edificherà il suoedificio civile. Ecco come un problema di natura filosofica si è con vertito inun problema politico, anzi nel problema poli tico per eccellenza, come quelloche involge tutta la vita giuridica della nazione. Da quanto abbiamo dettoderivano due corollari im portanti. Lo Stato, che combatte la religione entrole sue stesse terre, quando la religione è la religione di tutti, è uno Statoche ha sbagliato grossolanamente tattica: egli concepisce la religione comemero fenomeno tran seunte, come pregiudizio, ignora che essa è nello spiritodell'uomo un momento insopprimibile. Lo Stato agno stico, lo Stato neutrale inmateria di fede, è ugualmente uno Stato senza base, come quello al quale ilproblema fondamentale d'ogni vita civile viene a sfuggire, cioè il compitoeducativo, pedagogico. Lo Stato non può dar mai al popolo un'educazioneinteramente laica. Il popolo è quello che è. La religione è radice di ogni suoconvinci mento, opera della natura e non de' preti. L'educazione popolare nonpuò essere che educazione, non dico reli giosa, ma su base religiosa. Date alpopolo i concetti di libertà, virtù, bontà, egli non vi comprende, perchè egli,eterno barbaro, eterno fanciullo, non intende il linguag gio della ragione.Date al popolo miti, leggende, precetti in forma sensibile semifantastica, eglinon solo vi intende, ma vi segue, perchè egli ha potente la facoltà fantasticadello spirito, e tutto intuisce prima di pensare, e tutto vede e crede prima direndersi conto di ciò che vede e crede. Un'educazione popolare non può noninformarsi a questi principi. Chi ne prescinde, e va predicando l'istruzioneareligiosa e civile, naviga nell'astrazione. Ma del problema scolastico, comeproblema pedagogico e statale dovremo occuparei in seguito; qui notiamo la 185prassi politica dello Stato di fronte ad una realtà eterna, la religione. LoStato, se vuole avere un fondamento incrollabile nel popolo, deve parlare alpopolo, e, se al popolo vuol parlare, deve parlargli nelle forme a luifamiliari, cioè il linguaggio fantastico della favola, il linguaggio semiconcettuale della religione, in quanto solo questo intende e non altro. LoStato deve in sostanza utilizzare ai suoi fini la religione, come ogni altrarealtà umana. Nulla di odioso. Lo Stato fa il suo proprio bene, che collima congli interessi della popolazione che si vede meglio com presa, con leaspirazioni universali della religione. Co loro, che credono di potere far laguerra alla religione, ed incitano lo Stato ad una lotta impari, poi che essonon può contare che su pochi, mentre la religione ha dietro di sè massecompatte di credenti, non sono che de' vol gari astrattisti. Qui noi possiamoben vedere quanto il Cuoco si stacchi dal pensiero tipico della rivoluzione esegua una strada tutta sua. Il giacobinismo è anticlericale; il Cuoco non è nèclericale nè anticlericale, guarda la vita nel suo con creto, e si accorge chelo spirito umano ha esigenze re ligiose. Il Lomonaco urla, s'inquieta, scaraventa invettive contro la Sede Romana, contro i leviti, contro i falsi sacerdoti; il Cuoco analizza, studia, infine edifica: due tem peramenti, duementalità diverse, due metodi antitetici: l'uno caduco, l'altro eterno. Lanota, sulla quale io vengo facendo le mie conside razioni e che a me appared’una importanza grande, con tinua ancora: « Io dirò a questo proposito un miopensiero. Coloro i quali per far la guerra ai preti han voluto segregarli dallasocietà non hanno inteso il modo di combatterli. Era im possibile che in questaguerra non vincesse quella causa che piaceva ai (sic ) Dei. Se fosse dipeso dame, mi sarei con dotto diversamente: avrei riunito la religione allo Stato » (1). (1 ) Seguono importanti considerazioni che io non posso ri portare: cfr.Cogo, op. cit., p. 80 e sg. 186 mo La politica che il Cuoco consiglia èconfessionista. Que sto significa edificare su fondamenta incrollabili,edificare sulla stessa natura degli uomini. Nel Platone in Italia, Architaesprime concetti assai simili e stabilisce che il diritto, pur mantenendosi bendistinto dalla religione, di questa si serva per raggiungere i suoi fini (1 ).Il Cuoco non investiga in fine l'essenza vera della reli gione, anzi, come puònotare chi legga il bellissimo scritto di Giovanni Gentile sul nostro, egli inogni suo tenta tivo filosofico s'arresta timoroso dinanzi alla formida bileincognita della divinità, e china il capo riverente. V’è in Cuoco un nucleo ditrascendenza, che nella nuova teologia vichiana è del tutto superata (2 ). « Ilsavió» scrive nel Platone « si ritira in sè stesso, riconosce che la nostramente è una particella della divinità, che noi non riamo. Vede in questamassima il fondamento della mo rale umana, e tenta di stabilirla e diffonderla,non con misteri ristretti agli abitanti d'una sola città....; non con istorie,che ciascuno può credere e non credere; ma con ragioni tratte dall'intrinsecanatura delle menti di tutti gli uomini, e dalle quali nessun uomo possa opporrealtro che l'ostinazione. Ecco il primo dovere del savio. Il se condo è quellodi compatire il volgo, che cerca ad ogni momento delle cose sensibili, ed ifilosofi, che, per stabi lir la virtù, si adattano talora al desiderio delvolgo » (3 ). Siamo sempre ad un punto. Una base religiosa della mo rale nonpuò mettersi in dubbio. Mentre l'uomo colto, pur arrestandosi dinanzi almistero della trascendenza, ha nella ragione, se non una impossibilespiegazione, una maggior coscienza della rivelazione; il volgo ha bisogno divedere e di sentire anche le cose più immateriali nel travaglio inesauribiledella fantasia. Solo la religione può rendere vicina agli uomini la sublimenorma della morale: la religione, fondamento della morale, essa stessa pensa arenderla viva nella coscienza. (1 ) V. Cuoco, Platone, v. I, p. 84 e sg. (2 )G. GENTILE, Studi vichiani, p. 385. (3 ) V. Cuoco, Platone, v. I, p. 133. 187Non posso negare che in tutto ciò vi sia una vera e propria incertezza. Laverità è che il Cuoco non è filosofo, e de' grandi problemi filosofici non puòdarci un'esplica zione adeguata. La questione per lui è tutta politica epratica, e, se s'ingolfa in discussioni teoretiche, lo fa per ridiscendere piùagguerrito sul terreno pratico. Alcuno potrebbe obiettare che da questacontamina zione di morale civile e di religione, di politica e di reli gione,vengano a scapitarne sia lo Stato sia la religione, in quanto lo Stato penetra,si dice, in una sfera non sua, la religione viene ad essere subordinata ad unfine mon dano. Non è così, ripeto. Il Cuoco stesso ci avverte che v'è nettadelimitazione di fini, tra Stato e religione, in quanto il primo persegue unfine politico e gli trova la base sua naturale nello spirito e nella naturaumana, mentre la seconda dal fine poli tico si astrae o dovrebbe astrarsilimitandosi ad un'opera meramente interiore. Sul terreno politico non v'èpossibilità di conflitti, ammesso che la religione si volga all'eterno edobblii il mondano. Sul terreno spirituale v'è identità d'oggetto, ilmiglioramento interiore del po polo, cooperazione e non antitesi. In ogni casov'è vi cendevole vantaggio: lo Stato deve favorire, pur essendo tollerante, lareligione, perchè persegua i suoi fini super terreni; la religione deve aiutarelo Stato, perchè questo possa in terra fruire materialmente d'ognimiglioramento morale degli uomini: l'uomo veramente in ispirito reli gioso nonpuò non essere un buon padre di famiglia, un buon cittadino. Da quanto abbiamdetto è evidente come il Cuoco non cada affatto nell'errore di molti,proclamando uno Stato, per il quale non v'è che una sola religione, ed èintolle rante verso le altre. Lo Stato del Cuocopersegue un fine politicoed utilizza ogni forza fisica e morale che trova, utilizza quindi anche, colvincolo d’un vantaggio reci proco, le forze smisurate della religione dominantela cattolica nel caso nostro e a questa dà benefici, come li darebbe ad unqualunque altro ente pubblico che per segua un fine collettivo e civile, senzache ciò significhi > 188 intolleranza verso gli altri culti, che possono puressi fruire di benefíci, ove il loro fine collimi col fine statale. Lo Statoagisce nel suo interesse pratico, ond'è chiaro quanto sia necessario uncontrollo continuo da parte sua sulle istituzioni ecclesiastiche, controllo chenon può essere altrimenti ispirato che a superiori esigenze di di fesa pubblicae di polizia. (1 ) Sino ad ora abbiamo parlato della religione come fa coltàdello spirito, come insopprimibile realtà umana, e il caso di conflitti traStato e religione non poteva a noi presentarsi se non come un caso abnorme. Mail problema politico particolare e il caso d'un conflitto nella sfera praticapuò presentarsi, quando noi non consideriamo la religione, ma la Chiesa,l'istituto universale, che può porsi e si pone di fronte allo Stato con ugualicaratteri d'eticità e di assolutezza, e con pretese che a volta usur pano lefacoltà proprie dello Stato nel campo giurisdi zionale. Date le premesse cheabbiamo poste, il Cuoco non può negare il giurisdizionalismo dello Stato e lasubordina zione entro i suoi confini d'ogni istituzione ecclesiastica allalegge. L'educazione religiosa non sfugge al controllo dello Stato: l'attivitàecclesiastica culturale non può sot trarsi alla norma comune. Il Cuocodifferisce solo dai giurisdizionalisti antichi, in quanto ha un sensovigilissimo dell'importanza della religione, « un'intuizione sicura dellospirito nella sua vita politica » (2 ). Con questa sua concezione dello Statocome sostanzia lità etica, è naturale che il nostro non solo « della reli gionecome della filosofia, in quanto servono anch'esse come elementi riformatoridella coscienza civile » faccia « uno strumento del fine politico », ma nonpossa ne (1 ) Dopo quanto abbiam detto, ci appare affatto falsa l'af fermazionedi B. LABANCA, op. cit., p. 409, che il Cuoco non abbia mai approfondita laquestione religiosa. (2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 416. 189 ammettere chela Chiesa di Roma, istituto fuori dello Stato, possa entrare a competere con loStato in que stioni che involgono la sua sovranità. Libertà di culto ed'istruzione, ma controllo dello Stato, subordinazione allo Stato ! Lo Statoagisce nella forma del diritto, e il diritto pone un obbligo ed una tutela: lareligione ha, di conseguenza, l'obbligo di agire ne' limiti delle normegiuridiche, e la libertà di operare come crede in essi, li bertà che si traducein una tutela civile contro i violatori di essà. Ognuno sa come t si sianosvolte le relazioni tra lo Stato e la Chiesa sotto Napoleone, sa come Pio VIIsi mo strasse conciliante col déspota di Francia, come si giun gesse alConcordato tra Francia e Santa Sede (1801 ), come il papa presenziasseall'incoronazione di Parigi, come presto la politica giurisdizionalistadegenerasse in tirannia, per finire attraverso varie occupazioni (Ancona, 1805;Civitavecchia, 1807; tutte le Marche, 1808), con l'arresto brutale delPontefice in Roma (1809), con la di chiarazione della fine del potere temporale(maggio 1809). Noi non abbiamo documenti tali dá permetterci di seguire ilCuoco nel suo pensiero dinanzi a tali e sì gravi eventi: dovendo stare allospirito dell'opera sua fin qui studiata, potremmo, credo, con quasi certezzadire, che egli non partecipasse alle violenze ultime di Napoleone contro PioVII. Tuttavia per intendere come il Cuoco ponesse il pro blema de' rapporti traStato e Chiesa, possiamo esami nare un suo articolo, Considerazioni sulconcordato del febbraio del 1804 (1 ). La pace religiosa è uno degli elementiindispensabili della vita civile. Una nazione, che serri in sè discordiechiesastiche si trova in condizioni peggiori d’una nazione, che alimenti in sèle fazioni, poichè, mentre queste sono (1 ) Giorn. ital., 1804, 1, 4, 6febbraio; n. 14, 15, 16; p. 56, pp. 59-60, pp. 62-63: Considerazioni sulConcordato (ristampato in Scritti vari, v. I, pp. 62-70 col titolo Stato eChiesa ). 190 alimentate da meri bisogni materiali, le prime traggono origineda esigenze spirituali, ben più profonde e durevoli. I turbamenti di moltiStati derivano appunto dal credere che fenomeni di natura religiosa si possanovincere con i metodi comuni, con i quali si distruggono le sedizioni. LaFrancia in principio ha seguito queste massime, e ne ha fatto una tristissimaesperienza: la religione stessa è decaduta, ha perduto buona parte dell’utilitàsua; lo Stato ha subìto più d'una menomazione nella sua auto rità. «....Chiunque ha un cuore deve applaudire (siamo, quando il Cuoco scrive, nel 1804,e il conflitto tra Napo leone e Pio non s’è ancora delineato ) all'umanitàcolla quale un governo savio ed un pontefice degno per le sue virtù del postoeminente che occupa, ponendo fine ai dubbi, ai timori, alle querele, ne hannodata quella pace che è preferibile a mille trionfi. La prudenza ha trovata lavia nelle angustie tortuose che vi erano tra il sacerdozio e l'impero ». Finqui, come ognun vede, ci troviamo di fronte a frasi d’occasione, a concetti bennoti del Cuoco, altre volte espressi e ribaditi nello stesso Saggio storico.Gli Stati sono tanto più forti, quanto più gli elementi della vita materiale espirituale convergono ad un fine unico. Lo Stato, ove diritto e religione noncozzano in sieme, ma da punti opposti realizzano una stessa verità, è lo Statopiù forte che si possa immaginare. Guardiamo la storia: le nazioni floride sonoquelle, ove l’armonia tra diritto e religione, autorità e libertà, s'è megliopre sentata. Nel 1804, commentando la storia che Melchiorre Delfico aveascritto della repubblica di San Marino, dopo aver ricordato che negli Stati nonè tanto l'ampiezza del territorio, il numero degli uomini, la forza deglieserciti, che conta, quanto la virtù de ' cittadini e la giustizia degliordini, scrive riferendosi al fatto che il fondatore del pic colo Stato fu unreligioso: « Sulla porta della maggior chiesa leggesi questa iscrizione: Divo.Marino. Patrono. Et. Libertatis. Auctore. Iscrizione che rammenta il de cretocol quale gli Ateniesi dichiararono Giove arconte perpetuo della lororepubblica; iscrizione forse unica tra popoli moderni, i quali per lo più hannola religione di 191 visa dallo Stato, e degna che si mediti dai ministri dell'una e dell'altro » (1 ). Il sogno del Cuoco mi sembra molto simile al sognodi Dante e di Marsilio da Padova: una Chiesa, ricondotta alla natìa purezza,riaffermante novellamente col divino Maestro che il suo regno non è di questaterra: impero e papato, Napoleone e Pio, con diversi mezzi, con scopi diversi,l'uno terreno, l'altro celeste, operano concordi in terra per assicurare ilbenessere dei popoli. Il Con cordato, al quale specificamente si riferisce ilCuoco, è il documento del nuovo patto. Breve patto invero ! Ma il Cuoco nel1804 è fiducioso di un avvenire religioso di pace, che non sarà, credesinceramente che le antiche lotte giurisdizionali siano definitivamente dellastoria e non più della vita: l'analisi, perciò, che vien facendo, è meramentestorica, è uno sguardo su un passato, che, pia illusione, non ritornerà più !Nei primi secoli, riassumo il pensiero del nostro, si disputò pochissimo digiurisdizione. Il divin Maestro aveva detto che il suo regno non è di questaterra, onde non si potette confondere ciò ch'era di Dio con quel che spettava aCesare. Le dispute furono sul dogma. Costan tino mirò solo a mantenere l'ordinenelle dispute, ma i suoi successori Ariani, Nestoriani, Eutichiani si mischiarono ad esse, e l'impero ne fu turbato: lo stesso Giusti niano caddenell'errore. In Italia solo Teodorico mo strò bene ciò che un principe saviodeve alla religione. Egli la rispettò e la fece rispettare. Rigido conservatoredell'autorità regia, fu giusto giudice nella controversia tra il ponteficeSimmaco e il suo competitore Lorenzo. « Teodorico volea esser il sovranoegualmente e de’laici e de ' preti ». Ma anche i suoi successori non ebbero ladi lui virtù. Surse così in Europa un nuovo ordine di cose. « Delle vicendedella giurisdizione ecclesiastica nell’Oc cidente hanno scritto moltissimi, trai quali un gran nu mero forse non è stato esente da ogni spirito di partito. (1) Giorn. ital., 1804 25 giugno, n. 76, p. 308: Memorie stori che dellarepubblica di San Marino, ecc. 192 ) ). Noi crediamo che l'indicar le ragioni,per le quali si con fusero i limiti delle due giurisdizioni, sia il più giustoelogio che far si possa e del nostro governo e della Santa Sede (! ), che contanta prudenza li hanno ristabiliti. Tutto ciòscrive San Bernardo ad Eugenio papa, suo discepolo — tutto ciò che tuhai ricevuto non da Cri sto, ma da Costantino, io ti consiglio a ritenerlo aseconda de ' tempi, ma non mai a pretenderlo come un diritto Il consiglio, cheil molisano ripete al Pontefice, è un consiglio altamente politico. Il Cuocodice: io riconosco che, in determinate contingenze storiche, il papa, posto trabarbari armati, crudeli, pronti alla violenza, abbia dovuto far ricorso allearmi per difendersi, abbia quindi desiderato il potere temporale; oggi lecondizioni sono mutate, l'autorità regia non vuol menomare il prestigio dellaChiesa, anzi vuole accrescerlo, difenderlo, arric nirlo; a che dunque serve ilpotere temporale? Il po tere temporale ci appare come il resto inutile d'età sorpassate, poi che, la base del rispetto e dell'autorità non è più nella forza enelle armi, ma nella giustizia e nella virtù. Il patrimonio di San Pietro èintangibile ! Ma perchè? Serve alla difesa della Chiesa.... Serviva: ora nonpiù ! Le parole che il Cuoco ripete sono le parole della sa viezza, le paroleche la storia, che non torna indietro, consacra nella realtà della vita.L'abdicazione ai diritti antichi significa potenziazione della Chiesa nellecoscienze degli uomini, ritorno alla purezza antica degli Apostoli. La ChiesaRomana ha in sostanza un duplice elemento: un elemento dommatico, che nessunopensa a menomare, specie l'autorità pubblica, che non intende penetrare in unasfera che non è sua; un elemento politico, determi nato dai tempi, soggetto aflussi e a riflussi, ma sul quale il conflitto con il potere civile è stato epuò essere sempre facile. Il punto di minore resistenza è il dominio temporale,che oggi è una vera barriera per una (1 ) Si riferisce sempre al Concordato.193 comprensione tra Stato e Chiesa, e che occorre superare, perchè i rapportidivengano da buoni ottimi. La Chiesa abdichi ad ogni temporalità, lo Statoriconoscerà tutta la grandezza della religione, la potenzierà praticamente, ledarà tutti i mezzi per attuare in terra il compito antico. Certo le ragioni deldominio temporale sono profonde, ma sono tutte storiche, cioè superate; mentrele ragioni della grandezza spirituale della religione sono eterne, cioèpresenti alla nostra coscienza umana insopprimibil i mente. Che le condizioni,che han reso il dominio temporale necessario per la religione e il suo bene,siano sorpassate, il Cuoco lo dimostra con una acutissima analisi, sulla qualemerita fermarsi. I barbari, discesi dalle provincie nordiche dell'imperoromano, permisero, essi meno civili, ai vinti culti e ricchi di sapienza, divivere secondo le loro leggi, le loro usanze, i loro istituti. Nacque così,crede il molisano, quella specie di giurisdizione personale ignota agliantichi, donde poi scaturì la distinzione de' fori. « A poco a poco le mentidegli uomini si avvezzarono a concepire due legislatori diversi ed uno Statoentro un altro Stato ». I vescovi professarono la giurisprudenza romana el'adattarono ai nuovi bisogni, divennero feudatari, divennero ministri,cancellieri dei grandi sovrani. L'elemento romano trovò in essi un baluardocontro la sopraffazione. La Chiesa insomma fu nell'alto Medio Evo davvero unfaro di luce nelle tenebre. Essa predicava l'umanità e la libertà, essa solapotè dichiarare la schiavitù contraria alla religione. Tutti questi elementicontribuirono a darle una forza grandissima, che si tradusse presto in undominio terreno. È naturale quindi che un mutamento profondo negli ordinisociali porti seco un mutamento negli ordini ec clesiastici. La storia ha unosviluppo che non permette a lungo superfetazioni antisociali. « Noi scorriamo rapidamente » scrive il nostro autore « sopra un soggetto che è di sua naturavastissimo. Ci basta avere indicate le cagioni principali. Conosciute queste, èfacile conoscere che, a misura che gli uomini s'incivilivano e gli ordini pubbliciritornavano verso la loro perfezione, dovea ces sare tutto ciò che la solainfelicità de' tempi avea consi gliato, introdotto, tollerato; e doveansegnarsi di nuovo quei confini entro de' quali la sovranità temporale fosse piùenergica e meglio ordinata, e l'autorità religiosa più augusta e più sicura.Così dal caos emerse l'ordine, e fu a ciascuna cosa assegnato il suo luogo ».Questo or dine il Cuoco vede avverato in un giurisdizionalismo con fessionista,che tende a volte ad un vero e proprio con fessionalismo all’austriaca. Glielementi di questo sistema non possono essere esposti brevemente, onde occorrepas sarvi su, Vincenzo Cuoco, se noi guardiamo ora dall'alto le cose, ecerchiamo di raccogliere le fila di ciò che siam venuti dicendo, ci si appalesacome un fermo sostenitore dei diritti dello Stato, concepito come sostanzaetica, sostenitore che non ammette alcuna menomazione di quei caratterisalienti che abbiamo veduto. Egli si pre senta come un vero e propriogiurisdizionista, rappre sentante di quel giurisdizionalismo, che lo storico conosce nelle forme del leopoldinismo, del giuseppinismo e sopra tutto deltanuccismo. Che il Cuoco sia giurisdizio nalista nel senso sovraccennato, moltielementi lo testifi cano. Egli è giurisdizionalista, ma nello stesso tempo ilsuo Stato è confessionista, sebbene tollerante: anzi il nostro lo consiglia adessere più confessionista che può, perchè gli interessi dell'autorità civile edell'autorità ec clesiastica collimano perfettamente. Lo Stato del Cuoco trovauna Chiesa dominante e le dà di fatto privilegi, benefíci, considera i suoisacerdoti come pubblici fun zionari, investiti di vere e proprie funzionipubbliche, esercitanti un compito che il potere supremo non solo riconosce masubordina al suo controllo: la stessa educa zione religiosa è vigilata dagliorgani centrali. « Il che» come ben nota Giovanni Gentile « non viene, inconchiu sione, a soggiogare quello che non è soggiogabile, lo spi ritoreligioso e scientifico, alle forme giuridiche istitu zionali dello Stato; masoltanto a risolvere nella vita concreta dello Stato l'elemento sociale epratico di co teste forme superiori dello spirito, le quali, se sono ideal 195mente sopramondane, storicamente rientrano anch'esse nella sfera dei rapportisociali, materia del diritto » (1 ). Questo giurisdizionalismo confessionistadel XVIII se colo, anteriore alla rivoluzione francese, aveva nei prin cipi enegli statisti un fondamento di vere e proprie credenze e convinzionireligiose, che portavano, come os serva lo Scaduto (2 ), all'affermazione d'unasupremazia nel campo morale della Chiesa sullo Stato. Il giurisdizio nalismonapoleonico ha invece cause più politiche che re ligiose, s ' ispira piùall'analisi delle condizioni storiche contemporanee che ad altro. Il Cuocosegue quest'ultimo indirizzo, temperandolo col tanuccismo, vale a dire, riconoscendo l'altezza etica della Chiesa. Nulla ci induce a credere che eglifosse specificamente cattolico prati cante, ma da un'analisi minuta de' suoiscritti, da un manoscritto inedito sull' Ideologia, di cui ci dà' notizia ilGentile, dal Platone in Italia, noi possiamo ritenerlo uno spiritoprofondamente religioso. La sua filosofia serba anzi resti di trascendenza, ela sua teologia, se è lecito così esprimersi, ritorna ad una posizione che ilVico, suo maestro ideale, avea già superata (3). Egli differisce dagliscrittori politici del tempo suo, scettici e agnostici, per i quali ilconfessionismo ha basi puramente effimere, dif ferisce dunque per il fatto chenella religione vede un elemento insopprimibile della vita dello spirito. Danoi la religione dominante è la cattolica: non vi è legge che da essa e dallasua morale possa prescindere. Il suo in gegno, la sua sicura intuizione dellevarie attività dello spirito, lo porta ad un riconoscimento che non è solo doveroso in linea di principî, ma è savio in linea politica per lo Stato chevoglia realmente attuare la sua missione, e sulla natura umana costruire il suoedificio istituzio nale. « Il primo dovere di chi ama la patria è quello di (1) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 416. (2) F. SCADUTO, Diritto ecclesiasticovigente, 1923, Cortona, v. I, p. 19 sg. (3) G. GENTILE; Studi vichiani, p. 385.Una parte dell’Ideo logia è stata ripubblicata in Scritti vari, v. I, pp.297-302. 196 rispettare la religione de' padri suoi; il primo dovere di chi amala religione è quello di rispettare il governo della patria, senza di cui nonvi sarebbe alcuna religione ». Qui mi sembra che veramente il Cuoco sidistacchi dal l’età che fu sua, e all'astrattismo filosoficizzante e scet ticosostituisca la realtà insopprimibile dello spirito, che è anche religiosità,ed, essendo religiosità, non può essere che tolleranza. CAPITOLO V. Nazionalitàe italianismo nel « Giornale italiano ». Le origini della nuova Italia. Ilconcetto di naziona nalità presso Cesare Paribelli e Francesco Lomonaco. PressoVincenzo Cuoco. - Sua visione spiritualistica del problema unitario enazionale. - Mezzi per formare una nuova coscienza nazionale. Abbiamo nellaprima parte di questo studio a lungo parlato del pensiero costituzionale di VincenzoCuoco, quale egli di fronte all'astrattismo rivoluzionario dei giacobinifranco- italiani sistematicamente espresse ne'suoi Frammenti di lettere direttea Vincenzio Russo, e quale poi mostrò in atto negato in quel Saggio storico,che resta ancora il più mirabile documento dei terribili giorni che passaronoalla storia col nome di Rivoluzione napoletana e con la gloria d'eroismi nonemulabili. Nel nostro lavoro abbiamo studiato il concetto che il molisano si èfatto dello Stato e dei suoi attributi, la visione della vita giu ridica epolitica, e, infine, il modo ond'egli fissa il mille nario problema deirapporti tra l'autorità civile e l'auto rità ecclesiastica. In tutta questanostra analisi abbiamo visto come unitario sia il pensiero del nostro autore,che abbiamo definito il più vivo esponente dell'italianismo di fronte ad ogniforma, ad ogni espressione di vita, che non sia consona al nostro spirito, allenostre esigenze, ai nostri bisogni, alla nostra tradizione. 198 L'italianismodel Cuoco ci si appalesa in tutta l'opera sua multiforme e molteplice, e noinon avremmo bisogno di insistervi più, se in esso non vi fosse un elementonuovo che lo differenzia dall'italianismo di tutti i con temporanei e degliimmediati ' posteri: il modo in cui egli concepisce la nazione e lo spiritonazionale. È que sto il punto sul quale verterà la nuova indagine. GiustamenteBenedetto Croce, nella prefazione a La ri voluzione napoletana del 1799, diceche chi cerca « le ori gini sacre della nuova Italia » deve di necessitàrifarsi ai fatti della Partenopea (1 ). Il tragico fato della repubblicadisperde per la penisola centinaia di patrioti, gente, che, per quantodottrinaria, astratta, più francese di costumi e di pensiero che italiana, ciònon pertanto ha una fede rigida e calorosa nei destini immancabili della patria.È il polline vivo, che trasportato dalla tempesta fecon derà in altri liti, epoi s'esprimerà in nuovi fiori e in nuovi frutti. Sarebbe facile fare dei nomie degli scritti, ma uscirei dal mio compito e mancherei con ciò dal mio proposto: ricorderò solo due scritti molto importanti per due ragioni, in primoluogo perchè in essi l'indagine storica può rinvenire le prime ideesull'indipendenza e sull'unità della nazione italiana; in secondo luogo perchèdal con fronto, che di essi si farà con le pagine cuochiane, sca turirà ladiversa posizione spirituale, che il Cuoco rap presenta. Cesare Paribelli, exufficiale di Ferdinando IV, dal 1793 al 1799 rimasto quasi sempre in prigioneper ragioni politiche, poi membro del Governo Provvisorio a Napoli, il 18giugno 1799, essendo incaricato d’una missione a Parigi, proprio mentre lesorti repubblicane volgevano al peggio (il 17 giugno Ruffo accorda la resa allacittà di Napoli e la Partenopea è finita ) scrive un Indirizzo dei PatriottiItaliani ai Direttori e Legislatori Francesi, in cui, dopo avere espressonumerose lagnanze contro gli stra nieri nemici ed amici, dopo avere descrittola misera CROCE, La rivoluzione napoletana, p. XII. 199 condizione dell'Italiatutta, dopo avere enumerati i voti delle varie regioni conclude con profeticheparole. « Legi slatori e Direttori, invoca, osate alfine di soddisfare il votouniversale dell'Italia, e di proclamare la sua indi pendenza e la sua riunione,il di cui centro esiste già nella santa energia dei figli del Vesuvio, nellospirito repubblicano dei montagnari Liguri, nello sdegno invano ritenuto deifigli dell'infelice Vinegia, e nella disperazione di tutti i rifugiatiPiemontesi, Romani e Toscani, cui non resta più ormai verun'altra alternativa,che o di cercare per via d'una morte volontaria un asilo nella tomba, o dicrearsi di bel nuovo, per mezzo d'una volontà ferma e determinata, il feliceavvenire, che era stato promesso alla loro Patria. Legislatori e Direttori delpopolo fran cese, parlate, e la Repubblica Italica esisterà. Un'assem bleaNazionale e un Governo provvisorio, riunito in Fi renze nel centro dell'Italia,saranno invito a tutti gli abitanti di queste belle contrade; un'armataausiliaria sarà formata, lo stendardo Italico sventolerà nell'aria ac canto alvessillo tricolorato, e gl ' intrighi stranieri sa ranno sventati ancor questavolta; e il secolo decimonono vedrà folgorare questi due astri vittoriosi eprotettori, che annunzieranno all'Austria e al gabinetto Brittanico la vicinadistruzione, o ai discendenti dei germani e agli abitanti delle tre isole,ormai troppo serve, la prossima loro libertà (1 ). Il documento èimportantissimo, e la sua importanza appare ancor maggiore, se si pensa che èesso stato ver gato, quando le sorti non solo di Napoli e d'Italia, ma anche diFrancia, volgevano al male, e molti pavidi disperavano. Lo stesso pensiero, unpo ' più tardi, esprime Francesco Lomonaco in uno scritto, enfatico e gonfio diforma, ma caldo e commosso d'amor patrio: il Rapporto fatto al cit tadinoCarnot, fiera requisitoria contro le malefatte degli (1 ) B. CROCE, Larivoluzione napoletana, p. 335; M. Rosi, op. cit., v. I, p. 215 e sgg.; V.FIORINI e F. LEMMI, op. cit., p. 151 e sgg 200 stessi francesi in Italia,malefatte, che non ebbero altro effetto che quello di allontanare sempre più lesimpatie del popolo dalla causa rivoluzionaria. Anche il vesuviano Lo monacosente che in Italia si sta formando una volontà che non era per l ' innanzi, mainvano si sforza di spie garsela filosoficamente, troppo imbevuto com'è di rigidismo giacobino. Egli enumera i diritti, quelli che egli almeno dice dirittidel popolo italiano, all'unità e all'in dipendenza, quegli elementi che l'indaginesistematica del secolo XIX poi preciserà come i presupposti del con cetto dinazionalità. L'Italia, non divisa da grossi fiumi nè da grandi mon tagne,separata dalle Alpi e dal triplice mare dagli altri popoli, forma unaindissolubile unità geografica: è questo il primo elemento della nazionalità.Gli abitanti che l'a bitano hanno la stessa tinta di passioni e di carattere,godono d'un eguale germe di sviluppo morale e di fisica energia, hanno glistessi interessi, la stessa lingua, la stessa religione: tutto li addimostraper membri della stessa famiglia: sono questi nuovi e complessi elementi dellanazionalità, elementi etnici, linguistici e religiosi, che si pongono accantoal primo elemento geografico. Aggiungete a ciò una ininterrotta tradizionestorica, per cui uno è il processo evolutivo della stirpe, uno il fasto e lasventura, come uno l'avvenire, ed avrete l'ultimo elemento, che informa di sèun popolo e cementa quel che possiamo dire d'una nazione (1 ). Gli italianihanno perciò un diritto naturale, ab aeterno acquisito, all'unità e all 'indipendenza. La Francia, dice in sostanza lo stesso scrittore, può e devericonoscerlo positivamente. Solo così l'Italia, dopo tanti secoli potrà vederesanate le sue molte e sanguinose piaghe, che la tormentarono e la tormentano. «Qual riparo » scrive il Lomonaco « a tanti mali? Qual rimedio a piaghe sìprofonde? Come imprimere alle de (1 ) F. LOMONACO, Rapporto al cittadinoCarnot, ecc., in se guito al Saggio storico di V. Cuoco, Laterza ed., Bari, 1913,p. 323. 201 presse ed avvilite fisonomie italiane il suggello dell'an ticagrandezza e maestà? Uno dei principali mezzi, se condo me, è l'unione. Perchètermini il monopolio in glese, e i vili isolani cessino di arricchirsi su lerovine del continente; perchè si oppongano argini all'ambizione del l'Austria,la Francia abbia una fedele alleata, la condotta della Prussia sia menoequivoca, il gran colosso dell’im pero russo stia immobile ne ' ghiacci delnord, la Spagna divenga stabile amica della gran repubblica; perchè, in unaparola, vi sia in Europa bilancia politica e si disec chi la sorgente delleguerre, è d'uopo che l'Italia sia fusa in un solo governo, facendo un fascio diforze. Rea lizzandosi quest'idea, gl'italiani, avendo nazione, acqui sterannospirito di nazionalità; avendo governo, diver ranno politici e guerrieri;avendo patria, godranno della libertà e di tutti beni che ne derivano; ecc. » (1). La ragione prima dell'unità italiana così è un fattore esterno, quello di unpresunto equilibrio europeo, quello d'una nuova armonia tra i popoli, tra legenti del nostro belligero vecchio continente. Questi gli antecedenti dell'ideaunitaria, queste le sante origini di quel concetto di nazionalità (2 ), chetroverà poi in Giuseppe Mazzini il suo apostolo. Il Cuoco, che a Na poli visseed operò, che con tutti i patrioti di Napoli a lungo ebbe rapporti, non può nonagitare gli stessi senti menti. Ma questi da lui come vengono trasformati, inlui quanta nuova luce acquistano ! Esule dalle sventure della Partenopea,visitato Marsi glia, Chambery, Parigi, dopo Marengo, nel dicembre 1800 il Cuocoè a Milano, ove presto pubblica il Saggio e i Fram menti (3 ). Io non miindugierò neppur brevemente sul l'attività del molisano nella Repubblicacisalpina (poi italica ) e nel Regno italico, attività vasta e complessa di (1).F. LOMONACO, op. cit., p. 327. (2 ) Chi vuole avere notizie più ampie veda Larivoluzione napoletana del CROCE, ove vi è un largo studio sull'argomento, pp.329-342. (3) N. RUGGIERI, op. cit., p. 3 ]. 202 studioso, di cui sono documentole Osservazioni sul Dipar timento dell'Agogna, che vanno sotto il nome di L.Lizzoli, sebbene siano, come è stato indiscutibilmente dimo strato (1), delnostro scrittore, e i frammenti su la Sta tistica della Repubblica italiana,opera scientifica di vasto respiro (2 ), che dimostrano quanto alto fosse ilbisogno del nostro autore d'esaurire ogni forma di realtà umana, poichè solosovra una conoscenza adeguata di essa si può fondare un coerente edificiopolitico e legislativo. Sono punti questi oramai acquisiti alla storia e suessi non mi soffermo. Vengo piuttosto ad un altro punto, la fonda zione delGiornale italiano, che tanta larga parte ha nella formazione della nostracoscienza nazionale, che primo agita, nel fulgore della gloria napoleonica, ilproblema unitario. In quel periodo tumultuoso, che comprende i primi decennidel secolo XIX, Milano è il centro culturale più cospicuo d'Italia. Napoli,dopo le aspre lotte giurisdi zionali con la Chiesa, dopo il fiorire della suaUniversità, dopo la gran luce diffusa da Filangieri, Galiani, Pagano, Cirillo,caduta la breve repubblica del 1799, colla restau razione del Ruffo, avevavisto disperso tutto quel te soro di sapienza che cinquant'anni di attivitàscientifica aveano accumulato. Torino era un centro troppo ristretto, ancorprovinciale e particolaristico, sebbene già comin ciasse a dar segno di nuova epiù ampia vita, ma non poteva offrire assolutamente nulla, dato che con le vittorie del Bonaparte aveva perduto l'antica libertà. Di Venezia, di Firenze, diRoma inutile parlare. Milano dunque ne ' primi anni del nuovo secolo è ilcentro più attivamente colto d'Italia. Grandi in essa sono le memorie delpopolo, grande la tradizione recente. « Ivi si era formata prima la scuola delgiansenismo, e poi la scuola de' diritti dell'uomo »; ivi « la 6 Societàpatriot tica ”, divenuta poi Società popolare, aveva lavorato alla diffusionedelle idee nuove ». Come rileva Francesco (1 ) N. RUGGIERI, op. cit., p. 40; G.Cogo, op. cit., pp. 13-23, (2 ) G, Cogo, op. cit., p. 24 e sgg. 203 De Sanctis (1) ivi s'era espresso, contemporaneamente forse ai primi tentativigiurisdizionalisti del Tanucci, un moto, diretto principalmente contro la curiaromana, per sonificata nei gesuiti, e contro l'aristocrazia, che pur non avendoportato ad immediati mutamenti politici, annun ciò importanti riforme civiliper il miglioramento del l'uomo, che già erano concrete conquiste civili, allorquando il turbine rivoluzionario si scatenò, distruggendo tutto, l'antico e ilnuovo, il cattivo e il buono, ciò che doveva crollare e ciò che era degno direstare. A Milano aveva scritto il Beccaria, instaurando nel campo penale nuovedottrine, che, reagendo a tutto il sistema degenere del medievale processoinquisitorio, preludono ad un mi rabile fiorire delle dottrine criminalistiche;il Verri aveva disputato di economia, di finanza, di sociologia; il Caffè avevaagitato nelle menti più illuminate i nuovi pro blemi filosofici e scientifici,le nuove posizioni artistiche, che appassionavano non solo l'Italia, ma laFrancia e l'Europa tutta. Questa la tradizione, che ne' primi anni del nuovo secolo Milano rinnova in una vita sempre più grande e degna. Le varie rivoluzionivi hanno fatto affluire esuli non solo da Napoli, ma da ogni parte d'Italia,poeti e filosofi, soldati e commercianti, giureconsulti ed econo misti (2 ). Èil periodo grande della vita milanese; il pe riodo in cui, per dare treillustri nomi, appena da poco spento il Parini, cantano Monti Foscolo Manzoni.Nulla da meravigliare se in questo ambiente d’intellettualità si agitano quellequestioni, che poi lo stesso secolo XIX vedrà realizzate e risolte, concreteràinsomma nell’azione politica. L'animo ardente di Vincenzo Cuoco in questasocietà così vivace ed attiva trova tutta lo stimolo per destarsi da quella suanatural pigrizia, che lo stesso Manzoni in (1) F. DE SANCTIS, Saggi critici,Milano, Treves ed., 1918, v. III, p. 2. (2 ) R. SORIGA, L'emigrazionemeridionale a Milano nel primo quinquennio del secolo XIX, in Bollettino dellaSocietà pavese di storia patria, a. XVIII (1918 ), pp. 102-117, pp. 119-121,204 lui notava, e della sua nuova attività, oltre gli scritti statistici sucitati, sono testimonianza gli articoli sul Gior nale italiano, che egli pubblicail 2 gennaio 1804 e di rige continuamente fino all'agosto del 1806, fino cioèal suo ritorno in patria, avvalendosi della cooperazione di due valentuomini,Bartolomeo Benincasa e Giovanni d'Aniello (1 ). Seguendo il nostro metodo dinon occuparci di pro blemi biografici, noti a sufficienza, sorvoliamo sulla fondazione del foglio milanese (2 ), e vediamo piuttosto che cosa esso rappresentinella storia dell'idea nazionale, quale sia il suo rapporto con i precedentiideologici del nazionalismo, che abbiamo visto in Paribelli e Lomonaco. Checosa è innanzi tutto la nazione per Vincenzo Cuoco? È qualcosa di giàacquisito, di rigidamente fatto, di sta tico, o invece qualcosa da acquisirsi,da farsi, di dina mico, qualcosa insomma che diviene in un processo ininterrotto? Esiste realmente e storicamente una naziona lità italiana, che èformata con questi e con quegli altri elementi, che sono questi e quelli, enulla più? E quali sono questi elementi? Abbiamo noi perciò un diritto naturale ad essere nazione, diritto che gli stranieri non pos sono contestare,donde scaturisce un correlativo supe riore dovere a permettere la nostra unitànella forma d'uno Stato indipendente e sovrano? Sono questi al trettantiproblemi, ai quali dovremo singolarmente ri spondere. Se noi ritorniamo colpensiero agli scritti del Paribelli e del Lomonaco, noi vediamo in essi unosforzo a definire concretamente gli elementi costitutivi di questo concetto dinazionalità, che poi alla resa dei conti finisce per man care e per sfumare,proprio nel momento, in cui pure essi credono d'averlo conquistato e fissato.Nè è a dire che (1 ) V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit., p. 655. (2 ) Cfr. A.BUTTI, La fondazione del Giornale italiano » e i suoi primi redattori, Milano,Cogliati ed., 1905 (estr. dall’Ar chivio stor. lomb., a. XXXII, fasc. VII);vedi pure N. RUGGIERI, op. cit., p. 43 e sgg.; nonchè G. Cogo, op. cit., pp.30-34. 205 l'insufficienza sia dovuta all'insufficienza della loro cul tura.Uomini di ben maggiore preparazione si sono sfor zati d'esaurire criticamenteil contenuto della naziona lità e non ci sono riusciti. Ogni elemento, traquelli da noi presi in esame, si rivela attivo nella formazione dellanazionalità, ma poi non può essere a rigore accolto come necessario essenzialecosti tutivo. Ancora: vi sono elementi, che a volta sono, a volta non sono;altri che operano storicamente con una certa intensità, ed altri con unaintensità maggiore o minore. Il Lomonaco accenna ad elementi geografici,etnici, lin guistici ed eziandio religiosi, quali antecedenti del nostroconcetto, del concetto che noi tutti abbiamo di nazione, per cui gli italianisono fatti per essere membri d'una sola famiglia. Tutti questi egli affermacome la base concreta, sovra la quale s'aderge il superiore diritto a chel'Italia sia un solo Stato. Data questa concezione naturalistica, laconseguenza che ne scaturisce è una sola: il popolo italiano ha una superioreragione a divenire indipendente, a trovare la sua forma giuridica in unreggimento uni tario; gli stranieri non debbono che riconoscere positiva mentequel che Dio o la natura, o altri che dir si voglia, segnarono sulle costedelle montagne e nel corso de'fiumi, separando la patria nostra dalle altrepatrie, facendo si che essa, geograficamente delimitata dalle Alpi e dal mare,sia abitata da una sola gente, parlante un solo idioma, avente una solareligione, una sola storia, una sola mis sione, una sola somma d'interessi.Ecco perchè il Paribelli e il Lomonaco si rivolgono ai francesi. Essi sono ipiù forti, essi possono perciò estrin secamente donare all'Italia quell'unitàstatale, a cui senza dubbio ha diritto, perchè la nazionalità è una realtà nonda farsi, ma già fatta e perciò statica. Quel che ancora non è fatto ma dafarsi è lo Stato uno ed indipendente, considerato come esterno alla nazione,quasi come una sua sovrastruttura, che può essere e può non essere, ma che, siao non sia, lascia inalterata la nazionalità. Può esservi la nazione e nonesservi lo Stato, e viceversa. Lo Stato sarà il riconoscimento susseguente edesteriore d'una 206 realtà già concretizzata, e quindi definitiva, che è la nazione con quegli elementi che sappiamo. Contro questa concezione s’oppone ilCuoco Nessuno de gli elementi positivi della nazionalità può dirsi essenzialeal concetto di nazionalità. Prendiamoli uno ad uno, ed ognuno di essi ciapparirà fallace e transeunte. Costruire sovr’essi val quanto costruire sovrala sabbia. Che è la terra se non una mera quiddità naturale, che in sè e per sènon ha che una importanza relativa, tant'è vero che gli ebrei sono nazione purfuori dal territorio nativo, e lo sono dopo quasi due millenni da che si sonodispersi per il mondo? Che è la religione, se noi la concepiamo come religionecomune di tutti, con quei determinati solenni riti e con quella certa gerarchiaecclesiastica, se non un astratto? Ma d'altra parte ognuno di questi ele menti,ed altri che abbiamo sorvolato, acquistano mag giore consistenza, se noi liguardiamo non già nella loro estrinsecità e nella loro astrattezza, ma se liconsideriamo nella loro significazione spirituale, vale a dire in quanto noi licompenetriamo di noi, de ' nostri affetti, de' nostri sentimenti. Non è piùallora la terra fisica geografica, « bagnata » come dice il Lomonaco « dalMediterraneo, dal l ' Jonio, dall'Adriatico, e separata dagli altri popoli dauna catena di monti inaccessibili », ma bensì quella terra che ci vide nasceree vide nascere i nostri avi, ove i nostri avi sono sepolti, saranno sepolti inostri padri, saremo sepolti noi pure, quella terra ove noi lavoriamo ed amiamo, ove lavorarono le generazioni che furono e compi rono grandi cose, quellegrandi cose, di cui si vede ancor oggi la testimonianza nelle grandicostruzioni, nelle opere plastiche, ne ' carmi, nelle.storie, che ci commovonoe ci fanno fremere d'orgoglio. Non è più allora la religione cattolica romanacon i suoi dommi scritti e rivelati, fissati perennemente ne' sacri libri,bensì quella religione che vive ne ' nostri cuori, e ci anima nelle operedegne, ci rimprovera nelle indegne, ci consola nelle disgrazie, che brilla comesperanza di luce futura, che noi sentiamoogni momento, sempre nuova e presente,sempre viva e rin novantesi. 207 La nazione insomma è in noi, è quella maggiorconsape volezza che noi abbiamo di noi, onde ci sentiamo fratelli di tantialtri individui, che perciò poniamo non come estranei a noi, ma similine’sentimenti e negli affetti, for manti una superiore unità spirituale. Non èperciò nè il territorio, nè la lingua, nè la razza, nè l'interesse che determina la nazionalità, il suo essere e il suo contenuto, ma siamo noi stessi,che con la nostra spiritualità affermiamo i vari elementi di volta in voltacome costituenti la nazio nalità, e li plasmiamo in una suprema volontà, che èco scienza ed energia. La nazionalità così non è fuori di noi, ma in noi; non èmateria o natura, ma spirito; non è contenuto, ma forma del più vario contenuto.Le conseguenze di questa posizione sono incalcolabili. La nazionalità non è,diviene; non è qualche cosa di preesistente alla nostra determinata energiaspirituale, ma coeva con essa, perchè da questa posta e generata in ogni suomomento. Tale più alta visuale del problema il Cuoco esprime in quel Disegno diun giornale italiano, che egli presentò nel 1809 al vice- presidente dellaRepubblica italiana Fran cesco Melzi d'Eril (1 ). La nazione, egli dice, non èformata; si tratta anzi di formarla. « Fra noi non si tratta di conservar lospirito pubblico, ma di crearlo. Conviene avezzar le menti degli italiani apensar nobilmente, condurle, quasi senza che se ne avvedano, alle idee che laloro nuova sorte richiede, e far divenire cittadini di uno Stato coloro i qualisono nati abitanti di una provincia o di paesi anche più umili di una provincia» (2 ). Da ciò è facile vedere come la con cezione naturalistica sia superata:la nazione non esiste (1 ) Il documento tratto dall'Archivio di Stato di Milanoè stato pubblicato dal prof. ATTILIO Butti in appendice alla sua op. cit.,nonchè ristampato da G. GENTILE: VINCENZO Cuoco, Scritti pedagogici inediti erari, Roma-Milano, Albrighi e Se gati ed., 1909, p. 3 e sgg.; e poi da N.CORTESE e F. NICOLINI: VINCENZO Cuoco, Scritti vari, Bari, Laterza ed., 1924,v. I., pp. 3-12. (2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 4. 208 in natura, comemera entità di fatto, ma nello spirito, come superiore unità ideale.Quest'unità dello spirito, che poi è energia plasmatrice e volontà realizzatrice,come abbiamo detto, consiste di due parti principali: « la prima è la stima dinoi stessi e delle cose nostre; la seconda è l'accordo de' giudizi di tutti suquegli oggetti che possono essere utili o dannosi » (1 ). Io direi: è in primoluogo autocoscienza, consapevolezza di noi e delle nostre pos sibilità; insecondo luogo quell'atto, per cui il nostro io particolare, coincidendo contutti gli altri particolari in una sola volontà, s'afferma come universale. Lanazione così null'altro è che volontà di nazione, e, siccome con cretamente lavolontà è in noi uomini, la nazione è in noi, quella nazione che noi amiamo,sospiriamo, che noi idoleggiamo ne' nostri pensamenti, che vediamo cantata ne'grandi poeti, che desideriamo grande e possente nel futuro come lo fu nellontano passato, che infine noi vo gliamo ed affermiamo in ogni nostro pensieroed atto, onde ogni nostra opera o scritto reca l ' impronta d'un superiorecarattere, che è il carattere di nostra gente. La stessa così detta tradizione nazionalenon è, non ha alcun valore, se non nel presente, se non in quanto la poniamocome presente, e perciò solo operativa di grandi cose, incitamento a maggiorigrandezze. Se noi l'assu miamo come passato, essa null'altro è che retorica,sban dieramento inutile di grandi fatti, su cui tutti possono meritamenteridere. « Un giornalista di Londra o di Pa rigi può mille volte al giornoripetere ai suoi compatrioti: Noi siamo grandi. Egli sarà sempre creduto. Ungiornalista italiano, se pronunzierà questa stessa propo sizione, desterà ilriso; ed una proposizione di cui si è riso una volta, dice Shaftesbury, non puòprodurre mai più verun buon effetto » (2 ). Anche la tradizione, come tutti glielementi della nazionalità non deve essere fuori degli uomini, ma veracementeparlare agli uomini. La sto ria resta mera erudizione passiva inerte, se lariguardiamo (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 3. (2 ) V. Cuoco, Scrittivari, v. I, p. 4. 209 come un frigido insieme di fatti; ma se questi fatti parlano ad uomini, e ad essi dànno maggior consapevolezza di loro stessi, ond'essiacquistano maggiore energia e vo lontà di dominio, allora la storia diventadavvero maestra de' popoli. Così la tradizione ben'intesa diviene autoco scienza,stima di noi stessi. « Alla stima di loro stessi » scrive il Cuoco « e dellepro prie cose debbono le grandi nazioni e quella energia, per cui han fatto legrandi operazioni; e quella pazienza, per cui han sopportati grandi mali esacrifizi gravissimi; e quell' affezione al proprio governo, che si raffreddaed estingue dall'idea che esso non operi bene o che un altro operi meglio; efinalmente quella costanza ne' pensieri, ne' disegni e nelle operazioni, laquale, fondata sul rispetto che abbiamo per i nostri maggiori, può sola farciottenere i grandissimi effetti. Quando si analizzano le nazioni, si trova che ibeni ed i mali, la verità e gli errori sono misti egualmente da per tutto, eche la differenza tra l'una e l'altra non dipende da altro che dalla lorodiversa ma niera di pensare e di sentire » (1 ). Posto ciò, allorquando lanazione non si è ancora con cretata nella forma di uno Stato, non può esserviun di ritto, una pretesa a Stato unitario, che noi possiamo esi gere daglistranieri, aventi verso di noi un corrispondente dovere al riconoscimento. LoStato è sì riconoscimento di nazionalità, ma non riconoscimento estrinseco dialtri, ma bensì intima affermazione della nazionalità in ogni suo momento. Direvolontà di nazione e dire volontà di Stato nazionale è la stessa cosa:affermare la nazione val quanto affermare lo Stato nazionale. E siccome lanazione non è, ma diviene; lo Stato non è, ma diviene. In un senso altamenteideale esso è anche quando giuridicamente non è riconosciuto dagli altri Stati,in quanto è in noi che lo poniamo ed operiamo per realizzarlo, e lo realizziamocontinuamente in ogni nostro atto. Come si tratta di fare lo spirito pubblico,la coscienza nazionale, si tratta di Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 3. 14 fare lo Stato, e lo si fa, facendo lo spiritopubblico e la coscienza nazionale. Circa la seconda parte della nazionalità,dello spirito pubblico, il Cuoco dice, c'è poco da aggiungere: è il pro blemadell'accordo di più uomini nelle idee utili (1 ), onde la loro volontà si puòconsiderare come una sola volontà. Basta presentare queste idee utili,presentarle caldamente sinceramente, presentarle spesso, perchè tutti sianod'ac cordo. « È necessario che tutti gli uomini convengano in tre cose: inrispettar i governi, in rispettar la religione ed in praticar la morale; e setra queste cose si potesse stabilire una progressione, io non avrei verunadifficoltà di dire che la corruzione della morale porta seco il di sprezzoprima della religione e poscia del governo. È na tura dell'uomo trascurar primai doveri, indi conculcar le leggi che sanciscono i doveri, e finalmentedisprezzar coloro dai quali ci vengono le leggi » (2 ). Dato che lo Statomoderno null'altro è che nazione, coincidendo la volontà di Stato con lavolontà di nazione, e posto che questa non è fuor di noi, ne viene che lavolontà statale non è estrinseca al soggetto, ma a lui intima e connaturale:anzi la volontà di Stato coincide con la nostra in quanto que sta si pone comeuniversale, una ed armonica con tutte le altre. Il rispetto al governo non deveessere una coa zione, ma un'accettazione libera, poichè nell'atto go vernativovediamo l'espressione di posizioni da noi con divise, anzi da noi volute. Ilrispetto quindi allo Stato è in quanto nello Stato vediamo la sublimazione diquanto di meglio è in noi, e, siccome lo Stato del Cuoco è stato etico, e, intermini giuridici, professionista, ne scaturiscono come conseguenzeinderogabili: il bisogno che i soggetti rispettino la loro religione che èanche religione di Stato, pratichino la loro morale che è anche morale diStato. Vincenzo Cuoco, in quella parvenza di Stato unitario che è la Repubblicaitalica, poi Regno italico, si pone (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 3. (2) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 8. 211 dinanzi una sublime missione, uncompito titanico: for mare la coscienza di quel che sarà o diverrà la nazioneitaliana. Il problema che abbiamo esaminato nei napo letani del '99 èinvertito. La rivoluzione imponeva una unitarietà estrinseca, mirava a formareun sentimento vuoto ed astratto di pseudo - solidarietà umana; il Cuoco inveces'affisa nell'interiore degli uomini, opera sui loro spiriti, ne ridesta quellacoscienza che il nuovo secolo XIX dirà nazionalità, e che infine null'altro èche un atto d'energia volitiva, che plasma e fonde in sè ogni parti colarecontenuto. V'è il popolo, quel popolo che i giacobini idolatravano e levavanoalle stelle, ma a questo popolo la patria non è da darsi bell’e fatta, compiutae grande, attraverso l'opera di pochi disinteressati idealisti, o italiani ostra nieri; no, questo popolo deve agire, vivere pur esso, sen tire i grandiproblemi del tempo, acquistarne la cono scenza, prepararsi liberamentel'avvenire. Il Cuoco pone il popolo come elemento indispensabile della vitacivile, come il grande operatore della storia in tutti i suoi sviluppi. Larivoluzione sublima in teoria il popolo, ma di fatto ne ha poco rispetto;poichè crede po terlo dominare dal di fuori, e fargli subire i nuovi sistemipolitici, come già subiva i vecchi, vuote sovrastrutture, in cui può vibrareogni mutevole realtà. La rivoluzione infine è ne' giacobini, che sono i pochi,non nel popolo, che è la molteplicità. Il Cuoco crede ciò un grande errore, edè questa la grande sua trovata, ond’egli meritamente s’as side tra i grandi delnostro paese. Se vogliamo creare quella realtà spirituale che è la nazione, nonpossiamo prescindere dal popolo, dal popolo che abbiamo visto nel Saggio essereil solo autore delle rivoluzioni e delle con trorivoluzioni. Il principio dellastoria è in lui, e in lui sono tutte le più remote scaturigini della vita.Parlare al popolo, dunque, e ridestarlo, inserirlo nel pulsare della cosapubblica, fargli acquistare dignità e sensibilità, e allora esso non odierà leistituzioni o non sarà ad esse indifferente, in quanto queste vede fuor di sèstesso, ma le amerà come sue, espressione della sua più alta eticità, 212 e conle istituzioni amerà la morale e la religione, che con le prime vedràintimamente legate. Oggi, dice il molisano, esiste bene o male una Repub blicao un Regno italico; il popolo però ancora ne è fuori: bisogna unire i duetermini, perchè solo così il primo sarà veramente un ente vitale, il secondoun'unità cosciente e non una molteplicità naturale e perciò bruta. Se domani,il Cuoco non lo dice ma noi lo intendiamo, vicende storiche nuovedistruggeranno la mal connessa unità napoleonica, e nuovi stranieri invaderannoil bel suolo d'Italia, se in questo domani il popolo sarà ancor sopito o mortoalla vita pubblica, ohimè, non vi sarà speranza più di unità e di indipendenza;ma, se per av ventura questo popolo noi lo avremo educato, istruito, resoelementó vero dell'attività sociale, oh, allora non vi sarà bisogno dilunghissime lotte perchè la volontà co mune di nazione, la volontà di Statolibero si concreti, s'imponga in giuridiche affermazioni dinanzi agli stranieri, che le subiranno e le riconosceranno ! Così il problema politico inVincenzo Cuoco diventa sopra tutto problema pedagogico, anzi il problema pedagogico per eccellenza, come quello che è destinato a creare un popolo, unanazione, uno Stato (1 ). Ben nota Guido De Ruggiero che, laddove il caratterespirituale dei moti, che dalla rivoluzione si espressero, sfuggiva airivoluzionari, anche ai più eletti, il Cuoco intende la nuova esigenza e vuolessere educatore: nella sua grandezza come peda gogista intendiamo la suagrandezza come storico e po litico (2 ). Certo gli ostacoli a questa missione,a questo fine sono grandissimi, ma non per ciò il molisano si sbigottisce:quanto maggiori sono gli ostacoli tanto più bello sarà il premio nell'avvenire.Oggi in Italia non v'è nazione, non v'è senso unitario; siamo poveri, pochi,disgregati, senza un esercito vero e (1 ) P. ROMANO, Per una nuova coscienzapedagogica, G. B. Pa ravia, s. d. (1924 ), Torino, p. 106. (2 ) G. DE RUGGIERO,op. cit., p. 175. 213 proprio; non importa, tutto si farà, ammonisce Cuoco, edesce in una profetica dichiarazione di fede, che, ancor oggi, commove e rendesuperbi nello stesso tempo. « Ogni Stato » scrive « ha un periodo da correre.Tutte le nazioni piccole son destinate ad ingrandirsi o a perire. Quelle nonperiscono, le quali dispongon per tempo le loro menti all'ampiezza de’destinifuturi; onde, quando il corso de gli avvenimenti loro presenti le occasioniopportune, esse, per mancanza di preparazione, non si ritrovano impo tenti » (1). L'unità d'Italia prima sia nello spirito, poi certamente sarà nella vitagiuridica: ma noi non possiamo presu merla in questa se non ci sforziamo diconcretarla in quello. Dalla frase che io ho richiamato appare chiaro quantocaldo sia in Cuoco il pensiero unitario: non basta quella parvenza d'autonomiache la Francia ci dà e Na poleone mantiene, occorre di più, occorre che ciò cheè Italia a Milano sia Italia a Scilla, e viceversa, occorre la vera unità, cioèlo Stato nazionale. Questo non è un di ritto del passato inestinto einestinguibile, sacra eredità di generazioni trascorse, ma unità da formare exnovo attraverso un'opera diuturna e disinteressata, in cui tutto ciò che èdiritto e storia antica deve rifondersi e rifog giarsi nel presente, diritto estoria nuova, perchè nuova volontà e nuova consapevolezza. La storia in uncerto senso è peso bruto, se non si vince come passato; è atti vitàpropulsatrice, se noi la riviviamo e ne ritragghiamo incitamento. Perciò tuttoil Giornale italiano è pieno di storia, di memorie antiche, di riesumazionidotte, d'in formazioni nazionalistiche: ma tutto ciò non è materiale d'archivio,da biblioteca, bensì esempio da prospettarsi ad animi italiani, ond'essivibrino di un legittimo orgoglio, che non è comodo adagiarsi in una indiscussasuperiorità o antico primato italico, ma incitamento a nuove opere. Ecco ciòche si propone all'incirca il Giornale italiano: un'alta opera di pedagogiapubblica. (1 ) Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 7. 214 Questo giornale, divenutorarissimo, per lungo tempo è stato dimenticato dagli studiosi, ma oggi ad essosi è ritornati, e in esso si sono rinvenute le vere ideali origini, di questanostra Italia, di cui il Risorgimento è stato la cosciente affermazione, nonl'estrinseco dono di questo o di quello, sia esso il terzo Napoleone o ilGabinetto britannico. La direzione cuochiana al Giornale italiano durò tre anni:sono tre anni d'un apostolato fervido sincero ele vatissimo, senza mai unminuto di riposo. Nessun pro blema, giuridico o politico, etnografico ostorico, econo mico od agricolo, militare o industriale, sfugge alla mente diVincenzo, e tutto egli rivolge ad un ben noto fine, poichè, com'egli stessoosserva, « per formar la mente de’ lettori, è necessario che l'opera istessa,abbia una mente, cioè un fine unico, e parti tutte corrispondenti al fine » (1). L'importanza di questo foglio non isfuggì ai più acuti studiosi delCuoco.Già il Romano lo proclamò « un nobi lissimo apostolato di italianità », e, comeil Cogo ri leva, questa affermazione il sopra detto critico convalida con provesicure, sebbene sarebbe stato forse opportuno che egli vi avesse fermato un po'di più la sua atten zione (3 ). Parimenti sul Giornale italiano ha scritt oltreil Cogo, Paul Hazard, il quale nel suo obiettivo e felice intuito ha ben vistoquanto il Cuoco si differenzia dai gia cobini francesi e quanto rigidamenteaffermi la sua na zione (). Ma, nonostante il loro acume, il Romano, il Cogo,l'Hazard, non poterono avere quella sensazione sicura della grandiosaimportanza di quel giornale, che solo noi oggi possiamo apprezzare dopo cheulteriori studi hanno messo in luce come quegli scritti della gazzettamilanese, spesso non firmati, o sottoscritti con la sem plice sigla C., fosseroletti da un giovanetto idealista ap (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 3. (2) M. ROMANO, op. cit., p. 136. (3 ) G. Cogo, op. cit., p. 32. (4 ) P. HAZARD,op. cit., p. 231 e sgg. 215 pena uscito dall'università, che li postillava e litrascri veva, da Giuseppe Mazzini: piccola favilla atta a destar gran fuoco.Per raggiungere i suoi alti fini tre sono i mezzi che il Giornale italiano sipropone, e che esplicitamente di chiara: in primo luogo, « presentare alpubblico quanto più spesso si possa le memorie degli altri tempi: non, cometalora si è fatto, sfigurate e dirette a turbar gli ordini che si avevano, maquali realmente sono, e per confermar colla stima di noi stessi gli ordini cheabbiamo »; in se condo luogo, « incominciare a misurarci, almen col pen siero,colle altre nazioni »; poi, « ragionar frequentemente sulle operazioni nostre», onde acquistare coscienza delle nostre possibilità, delle nostre virtù e deinostri vizi (1 ). Tutti questi tre mezzi miravano ad un fine unico, farcomprendere agli italiani che « chi oggi non è grande » e « quasi diffida dipoterlo divenire », lo sarà, come « lo è stato una volta » (2 ). Nel luglio1805 Vincenzo Cuoco, recensendo uno scritto del Monti, di quel Monti, che eglipur non troppo ammira come personalità morale (3), scritto col quale il poetacesareo esalta l'Eroe, che' la gratitudine nazionale in voca « nel tempo stessosuo conquistatore, suo liberatore, suo Re », non loda l’autore per il suolodare l'Eroe, « soggetto tanto comune qual è sempre », ma bensì per la novitàche ha saputo trovare e per « l'interesse che ha saputo destare rammentando leantiche glorie italiane, e le sciagure e l'avvilimento, che alla gloriasuccedettero, ridestando le ombre de' tempi antichi, e dopo di esse l'ombra diDante, di quel poeta del quale nessuna nazione p. 5. (1 ) V. Cuoco, Scrittivari, v. I, p. 5 e sgg. (2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, (3 ) Vedi N.RUGGIERI, op. cit., p. 163; nonchè A. LEVATI, Saggio sulla storia dellaletteratura italiana nei primi venti cinque anni del sec. XIX, Milano, Stellaed., 1831, p. 131 e sgg., e G. MAFFEI, Storia della letteratura italiana, 3aediz. corretta da P. THOUAR, Firenze, 1853, v. II, p. 259, n. 3, ai quali ilRuggieri stesso rimanda. 216 può vantarne un altro più pieno di civile sapienza» (1 ). « Non altri » commenta « vi era di più opportuno di Dante all'occasionesolenne che Monti celebrava; di Dante il quale forse il primo incominciò a illuminarle opre infi nite degli antichi italiani per ammaestramento de' mo derni; diDante il più zelante dell'antica gloria degli italiani; il più severo censoredella corruzione nella quale ai suoi tempi l'Italia era caduta; di Dante chetutti i suoi studi e tutte le sue cure dirigeva al solo fine del risorgimentodell'Italia; e con quali arti vi tendeva ! Col predicare tra gli abitanti dellevarie parti nelle quali era allora divisa l'Italia l’unione, e negli ordinipubblici la concentrazione del potere moderata dalle leggi ». L'alta coscienzadel Cuoco vede in Dante il simbolo d'ogni attività della stirpe, e per ildivino poeta ha un vero culto, come lo hanno e l'avranno tutti i grandi fattoridella nostra storia e della nostra civiltà, da Manzoni a Carducci, da Mazzini aGioberti (2 ). E la sua volontà d'esaltare tutto ciò che è italiano, e inItalia ha avuto origine e nascimento, si compenetra con un felice intuitostorico, per cui il fenomeno politico (1 ) Giorn. ital., 1805, 27 maggio, n.63, p. 274: Visione del professore V. Monti. Per altri accenni del Cuocosull’Alighieri vedi Scritti vari, v. I, p. 235, 257; v. II, p. 267. (2 ) L'altoconcetto che V. Cuoco avea della grandezza di Dante si addimostrò chiaramentein una circostanza spiace vole, in una di quelle tante polemiche, con cui glistranieri cercano di menomare quel che è nostro e di impicciolirlo. Avendo ungiornalista dei Débats scritto che una vita di Dante poteva ritenersi a prioriuna lettura sonnifera, e che la Divina Commedia era l'opera di un piccolopolitico, di un poeta bar: baro, del quale solo pochi frammenti potevano dirsibuoni, il molisano rimbecca: « Sia permesso all'autore dell'articolo diignorare la storia, e non saper quanto Dante fosse politica mente grande. La gloriadel sublime poeta ha offuscata quella del profondo politico, ed il maggiornumero degli uomini ram menta l'autor della Divina Commedia e quasi oblìal'autor della Monarchia, libro che, ad onta delle spinosità scolastiche onde èricoperto, racchiude pensieri profondi, e, ciò che più importa, non è moltolontano dai nostri attuali bisogni ». Vedi Giorn. Ital., 1804, 25 gennaio, n.11, p. 45. 217 e culturale è mirabilmente rappresentato. Esalta il se colo XVI,« il secolo in cui rinacquero tutte le arti e tutte le scienze, e tutterinacquero in Italia, e dall'Italia si diffusero per tutto il resto ancorbarbaro dell'Europa; si scopersero due nuovi mondi, e tanti mali e tanti benisi aggiunsero all'antico; sursero nuove sette religiose, ed il fermento cheesse produssero fecondò li primi semi di quella libertà di pensare che doveacol tempo produrre e la sana filosofia e l'imsensato pirronismo »; ma subito sientusiasma, e, quasi a suggellare tanta gloria, esclama: « e tutti questiavvenimenti o nacquero o agitaronsi o compironsi in Italia o per l'Italia o perl'opera degli italiani...! » (1 ). Il secolo XVI è il secolo di Leonardo, diRaffaello, di Michelangiolo, di Cellini, di Palestrina, di Ariosto, di Tasso,di Machiavelli. Il Cuoco è un ammiratore del se gretario fiorentino. E chi mai,se si eccettui Francesco De Sanctis, intese così profondamente l'autore delPrin cipe e delle Deche? Anzi astraendo e generalizzando un parallelo tra ilCuoco e il Machiavelli si può fare, ed è stato fatto (2). « Più di uno » notaGiuseppe Ottone « ha paragonato [ Il Cuoco) al Machiavelli, perchè al pari dilui trovò i princípi e le formule di un rinnovamento della coscienza nazionale:e come il Machiavelli segna il punto nel quale i fervori umanistici siincarnano nella realtà della vita politica, e, svestito il paludamentoretorico, si rivelano nelle linee semplici e precise di un nuovo ideale, cosìil Cuoco, dopo un secolo di vaneggiamenti filosofici e col concorso di una duraesperienza, per la quale si fondono come cera le antiche illusioni, ci rivelarinnovata e con sapevole di sè la coscienza italiana » (3 ). (1 ) Giorn. ital.,1804, 21, 23, 25 gennaio; n. 9, 10, 11; pp. 35-36, pp. 39-40, pp. 43-44:Varietà: (vedi in precedenza, p. 163 ). (2) G. OTTONE, Vincenzo Coco è ilrisveglio della coscienza nazionale, Vigevano, Unione tipografica vigevanese,1903, Ap pendice B. LABANCA, op. cit., p. 407 e sgg. (3) G. OTTONE, op. cit.,p. 4. 218 « Le ragioni che possono suggerire il pensiero di una certa affinitàtra i due scrittori sono parecchie: 1° la tradizione, superficiale e scolasticapiù che al tro, della trasmissione dell'ideale unitario; 2º una certa affinitànelle circostanze che hanno sug gerito all'uno e all'altro scrittore diattendere alle fatiche dello scrivere; 30 il comune intento di ricamare sultessuto della storia il disegno della loro personale esperienza e delle loroconvinzioni; 40 le frequenti citazioni che il Cuoco appunto fa di detti esentenze del Machiavelli; 50 la comune ammirazione per Roma repubbli cana » (1). Ma non è questo che a noi interessa vedere, poi che i paralleli hanno sempreun valore approssimativo, dato che prescindono dalle mutevoli condizioni deitempi, che di volta in volta sono e non si riproducono più, onde ilRinascimento, fenomeno sopra tutto culturale e in su bordinata politico, non sipuò mai raffrontare col Risor gimento, fenomeno soprattutto politico sebbeneanche culturale. Quel che a noi invece interessa, ripeto, è la nuova luce cheil Cuoco riverbera sul segretario di Fi renze, onde per vie diverse da quelleche tiene Ugo Fo scolo, tende a scagionarlo dai « giudizi ingiusti che ilmaggior numero degli uomini dà sugli scritti suoi ». A ciò immagina che un suoamico conservi il mano scritto d'uno de' suoi antenati, che visse nel secolo diLeone X ed ebbe rapporti con i grandi uomini del tempo: in questo manoscrittol'avo descrive una sua conversa zione col Machiavelli sovra un tema politico.La discolpa del grande fiorentino non potrebbe essere più completa e sicura. «Il maggior numero (degli uomini), dice il Machiavelli, è ingiusto, perchè pienodi passioni e servo de' partiti. Io (1 ) G. OTTONE, op. cit., p. 51.Giustamente nota l’A. che l'ideale unitario nel Machiavelli è scolastico,laddove nel Cuoco è più profondo ed intimo. 219 ho voluto scrivere senzapassione veruna; non ho seguito nessun partito, e li ho offesi tutti. Hoscritto per gli uomini ragionevoli, e questo è stato il mio torto: gli uominiragionevoli son pochi ». Il Cuoco perciò intende studiare e giudicare il Machiavelli realisticamente, da un punto di vista storico, pre scindendo da ognigiudizio a priori (1 ). Ha il Machiavelli insegnato massime di tirannia ai Medici, ha preso per modelli uomini scelleratissimi quali Ca struccio e il ducaValentino? Nulla di tutto ciò. Egli ha visto i costumi e gli ordini dei suoitempi, e li ha descritti. Ha detto ai principi: che fate? voi non sapete esserenè buoni nè cattivi, voi finirete con l'essere nulla e vi per derete; voi nonavete religione e virtù, necessarie allo Stato, e finirete per distruggerlenegli altri. Ha detto: siate giusti, e, se pure qualche volta vorretepermettervi di derogare dalle leggi della giustizia, sia questo a voi solipermesso, non agli altri, non a tutti. Ecco un Machia velli più umano dell'uomofoscoliano: che temprando lo scettro a' regnatori gli allòr ne sfronda, ed allegenti svela di che lagrime grondi e di che sangue. (1 ) Che questa sia propriola posizione, sulla quale il Cuoco crede di poter pervenire ad una esattacomprensione di Ma chiavelli politico, lo dimostra assai bene un passo di unaltro suo articolo: Giorn. ital., 1806, 5, 6, 7, 8 gennaio, n. 5, 6, 7, 8; p.19, pp. 23-24, pp. 27-28, pp. 31-32: Politica (ristampato in Scritti vari, v.I, pp. 201-213 col titolo La politica inglese e l’Italia ). « Quelli li qualileggono » scrive il Cuoco « le opere di Macchiavelli colla stessa attenzionecolla quale leggono un romanzo, e quegli altri i quali lo giudicano senzaaverlo letto (com'è accaduto al padre Possevino ed a tutta la scuola ge suitica) credono che Macchiavelli abbia date lezioni di tiran nide o abbia volutorappresentar quella stessa parte che rap presentò Samuele al popolo ebreo. Ioson persuaso che Mac. chiavelli non volle fare nè l'una nè l'altra cosa, mavide i costumi e gli ordini de' suoi tempi, e ne giudicò con una mente la qualeera superiore ai tempi suoi, e che in conseguenza doveva esser per necessitàammirata o biasimata, e sempre senza ragione, perchè non era mai ben compresa ».220 Ma perchè invece di parlare ai sovrani non ha parlato ai popoli? Ha tentatodi parlare anche ai popoli, ma si è avveduto che avrebbe parlato, dati i tempi,invano. I principi si muovono per il loro potere, i popoli per la loro virtù.Sperimentati i popoli tra i quali viveva, non ha potuto dir loro: fate usodella vostra virtù; essi non l'avevano. Invece si è rivolto ai principi ed hadetto: fate uso del vostro potere; e questo precetto prima o dopo avrebbedovuto produrre gli stessi effetti del primo, « perchè è tanta l'efficaciadella virtù che, anche simulata, vale a ricomporre gli animi e gli ordini dellenazioni ». Ma perchè ha scelto come suo esempio il duca Valentino? Perchèquelli che il duca oppresse e distrusse erano più scellerati di lui, e fratanti scellerati ha preferito quello « che almeno dirigeva le sue scelleragginiad un fine più nobile e tendeva a riunir l'Italia, che gli altri, con iscelleraggini più vili, dividevano e desolavano ». Da queste notazioni scaturisceben netto il giudizio che il Cuoco fa del Machiavelli, giudizio ben diverso daquello che ne davano tutti gli storici e ne dà lo stesso Foscolo, che siarresta sbigottito di fronte alla crudezza e alla rigidità delle massimepolitiche dell'autore del Principe. Ma il molisano troppo vigile senso storicoe troppo realismo ha in sé per arrestarsi, ed il suo giudizio infine coincidecon quello di Francesco De Sanctis (1). Conobbe questi proprio lo scrittocuochiano? Io ne du bito assai; ma certo è che i due critici si incontrano,spinti forse ad un punto comune da un solo ideale, da studi similari sovra lagrande opera vichiana, da un eguale temperamento meridionale, più nobilmenteconcreto nel suo idealismo critico che non astratto in un nebuloso atomisticopositivismo. (1 ) « C'è un piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte lelingue, il Principe, che ha gittato nell'ombra le altre sue opere. L’autore èstato giudicato da questo libro, e questo libro è stato giudicato non nel suovalore logico e scientifico, ma nel suo va. lore morale. E hanno trovato chequesto libro èun codice della tirannia, fondato sulla turpe massima che il finegiustifica i mezzi e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machia. 221 IlCuoco risulta da questo nostro esame un esaltatore caldo delle glorie italiche,ma la sua esaltazione non è un'esaltazione cieca fanatica, bensì coscienteilluminata da fine senso storico, per cui ogni uomo, poeta o statista, ognifenomeno politico, glorioso od infausto, deve inse rirsi nel suo tempo, ovetrova le sue radici, cioè la sua determinazione genetica. Dante è Dante nel suotempo; Machiavelli è Machiavelli nel suo. Quel che per essi potea avere unaragione, per noi può anche non averla. In ogni caso noi non dobbiamo esseredinanzi a loro passivi, ma assorbirli, farli nostri, sentirli, fare la loroesperienza no stra, affinchè la loro vita spirituale non resti campata in cieloma si saldi con la nostra, e si continui e si perpetui. Quest'alta dignitàumana di Vincenzo lo differenza ben nettamente dagli stessi suoi cooperatori.Ben rivela a questo proposito l ' Hazard che, per esempio, il Benin casaesercita nel giornale una propaganda continua d'ita vellismo questa dottrina.Molte difese sonosi fatte di questo libro, ingegnosissime, attribuendosiall'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita unadiscussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito ». (F. DE SANCTIS, Storia, v.II, p. 50). « Machiavelli bisogna giudicarlo da un alto punto di vista. Ciò acui mira è la serietà intellettuale, cioè la precisione dello scopo, e la virtùdi andarvi diritto senza guardare a destra e a manca e lasciarsi indugiare otraviare da riguardi accessorii o estranei. La chiarezza dell'intelletto, nonintorbidato da elementi so prannaturali o fantastici o sentimentali, è il suoideale. E il suo Eroe è il domatore dell'uomo e della natura, colui che comprende e regola le forze naturali e umane, e le fa suoi istru menti. Lo scopopuò essere lodevole o biasimevole; e se è degno di biasimo, è lui il primo adalzare la voce e protestare in nome del genere umano.... Ma, posto lo scopo, lasua am mirazione è senza misura per colui che ha voluto e saputo con seguirlo.La responsabilità morale è nello scopo, non è nei mezzi. Quanto ai mezzi, laresponsabilità è nel non sapere o nel non volere, nell'ignoranza o nellafiacchezza. Ammette il terribile; non ammette l'odioso e lo spregevole.L'odioso è il male fatto per libidine o per passione e per fanatismo, senzascopo. Lo spregevole è la debolezza della tempra, che non ti fa andare là dovel'intelletto ti dice che pur bisogna andare ». (F. DE SANCTIS, Storia, v. II,p. 69 ). 222 lianità esaltata, che finisce per divenire noiosa nella suametodicità, che fa pensare al partito preso. Si tratta di geografia: sono gliitaliani che hanno scoperto India ed America (1804, n. 6 ); si tratta delsistema di Gall: esso è stato preceduto da trovate di italiani (1804, n. 140);si tratta d'arte tipografica: il primato italico con i vari Bo doni èindiscusso (1805, n. 55): e così in materia di belle arti, di poesia, di teatro(1 ). Il Cuoco ha un altro metodo, spesso esagera sull'infe riorità dei suoiconnazionali di fronte agli stranieri, ma esagera non per altro che perprovocare una specie d'emu lazione, una specie di slancio a cose più alte. Nè èa dire però che la lode manchi al Cuoco, no, anzi gli abbonda, e si rivolge nonsolo ai grandi antichi, ma anche ai contemporanei più eletti o a coloro che dapoco sono mancati ai vivi. E in quest'elogio quasi sempre co glie nel segno, ele sue osservazioni sono quanto di più giusto si possa concepire. Esprime ungiudizio su Verri, ed il giudizio gli sgorga caldo, come un'apoteosi. « Egli fu» scrive « sublime filosofo, profondo letterato; il primo storico della suapatria, la quale avanti di lui non aveva avuto che cronichisti privi per lo piùdi filosofia, di cri tica, di gusto; magistrato zelante, attivissimo, autore oalmeno parte principale di tutte le utili riforme che can giarono quasiinteramente la vita politica della Lom bardia austriaca ». E il Verri richiamaalla mente un altro grande, che in una disciplina delicatissima, come quelladei delitti e delle pene, segna l'inizio d'una nuova èra. « A Verri devel'Europa Beccaria. Egli fu quasi l'oste trico di un genio grandissimo chetaceva compresso dal l'indolenza a cui era portato per fisica costituzione »(2). Spesso sono nomi, grandi ma non abbastanza noti, quelli ai quali siriferisce, e allora il Cuoco si accalora e la parola diviene incitatrice edeloquente, sebben dolorosa (1 ) P. HAZARD, op. cit., p. 235. (2) Giorn: ital.,1804, 4 luglio, n. 80, p. 323-324, Scrittori clas sici italiani di economiapolitica. 1 223 nello stesso tempo per la incomprensione degli italiani.Parlando d’economia trova modo di ricordare un pio niere di questa scienza e dirichiamarvi l'attenzione na zionale, Giammaria Ortez. « Chi era questoGiammaria Ortez? Ecco una domanda che tutti gl'italiani fanno, e che intantofarebbe torto a tutti gl'italiani se un uo mo di tanto merito quanto Ortez, nonavesse voluto egli stesso rimanersene ignoto, non sapremmo dir se per mo destiao per orgoglio; modestia sempre lodevole, orgoglio spesso nobile in un secolocorrotto, ma tanto l'una quanto l'altro eccedenti quei limiti tra quali sicontiene la virtù » (1 ). In questa difesa del nome italico il molisano muovecontro tutti gli stranieri che a lui ingiustamente s’oppon gono e divengonodispregiatori delle glorie nostre. Recen sendo infatti nel giornale un opuscolodi Vincenzo Monti, Del cavallo alato d'Arsinoe, nel quale il poeta si scagliacontro Salvatore De Coureil, che con gallica fatuità aveva osato menomareglorie purissime d'Italia, il Cuoco lo loda assai di ciò. « Noi non entriamo inquesta disputa.... Ma il sig. De Coureil chiama Parini cattivo poeta; Alfieri,se non mediocre, almeno non degno di tante lodi quante gliene dànno gliitaliani sol perchè non hanno altri tra gici; ecc. ecc.... Haec non sana esse,non sanus juvet Ore stes. Giorn. ital., 1804, 24 novembre, n. 141, p. 573:Economisti italiani. (2) Giorn. ital., 1804, 24 novembre, n. 141, p. 574: Ilcavallo alato di drsinoe di V. MONTI. Nè la tutela vigile che il Cuoco fa delbuon nome italico s’ar resta qui: allorquando « un Lalande dice con puerilsangue freddo, che l'Italia non ha oggi un solo (un solo? ) uomo di merito»;allorquando il tragico -comico, drammatico -sentimen tale e memorioso Kotzebuetratta tutti gl'italiani da ignoranti, da incolti e quasi da canaglia » (Giorn.ital., 1805, 18 agosto, Sup plemento al n. 98, pp. 577-8, Necrologia ), egli èlà, e s'appa lesa bellicoso difensore d'italianità. Recensisce un opuscolo diLuigi Bossi, in cui questi vendica « l'onore italico trattato con poca civiltàdal sig. Akerblad », egli pur sempre ha dinanzi a sè un alto fine civile: ladifesa delle nostre intangibili glorie 224 Da questa rapida scorsa attraversoil Giornale italiano appare chiara la posizione di Vincenzo. « Noi italiani abbiamo un maggior numero di uomini grandi che non le altre nazioni », ma noi nonli conosciamo neppure per la nostra apatia: « longa urgentur nocte, carent quiavate sacro » (1 ). La pianta uomo da noi cresce florida, ma gli ' italiani nonla coltivano; e, se vicendevolmente non si ignorano, gli italiani sidisconoscono. « Dotati gl' italiani dalla natura di grandissimo ed acutissimoingegno, non mancano di cognizioni ed osservazioni, e nell'angolo più incoltosi ritrova talora un uomo il quale vale per dieci accademici. Che pro? Le sueosservazioni, le cognizioni sue vivono una brevissima vita, ristretta tra iconfini di una picciola terra e muoiono con lui. Gli italiani sono grandi, mal'Italia rimane picciola » (2 ). E così gli stra nieri si avvantaggiano su noi:scoperte che furon fatte da italiani, poi vengon ripresentate come novitàfrancesi o inglesi, e magari da noi ammirate, da noi che forse le avevamovilipese e trascurate. E nel rilevare ciò Cuoco non esita a discendere aproblemi pratici, per dimostrare, per esempio, come un ramo d'industria, lapastorizia « tanto utile » e largamente sfruttata all'estero, sia stataesercitata tecnicamente per la prima volta da un italiano, il Dandolo, il qualepoi l'ha diffusa con grande dottrina e ripetuta esperienza (3 ); come, ancora,certe pratiche agricole generalizzate in Inghilterra o altrove, siano posteriori d’un buon secolo a ricognizioni nostre, del tutto (Giorn. ital., 1805,22 luglio, n. 87, p. 470: A proposito della « Lettre » di L. Bossi alloSCHLEGEL ). Sovra Lalande, Kotzebue e Akerblad vedi G. Cogo, op. cit., p.89-90, ove di essi si parla esaurientemente, dando biblio grafia e notizie.Giorn. ital., 1804, 28 marzo, n. 38, p. 152: Scrittori italiani di economiapolitica. (2 ) Giorn. ital., 1804, 19 novembre, n. 139, p. 566: Biblioteca dicampagna, ecc. (3) Giorn. ital., 1805, 25 febbraio, n. 24, p. 96: Del governodelle pecore spagnole e italiane, ecc., saggio di VINCENZO Dan. DOLO: sovra ilDandolo vedi G. Cogo, op. cit., p. 88. 225 nostre secondo il giudizio deglistessi stranieri (1 ); come, infine, addirittura pretese scoperte fisicheintorno a cui inglesi e galli si disputano il primato siano scoperte, ritrovati di un filosofo il cui nome va per la maggiore, nientemeno diGiambattista Vico (2 ). Tutte queste osservazioni rispondono ai mezzi, con cuiil Cuoco si propone di raggiungere il suo fine: la formazione della coscienzanazionale e dello spirito pubblico. Bisogna cominciare a misurarci con glistranieri, ond'essi così ci p. 87. (1 ) Giorn. ital., 1805, 31 ottobre, 2, 4novembre; n. 148, 150, 152; p. 874, pp. 882, p. 889-90: Giudizio sopra treistituzioni agrarie. A proposito di questo articolo vedi G. Cogo, op. cit., (2) « Abbiamo parlato della scoperta fatta da un inglese della virtù che haunasfera magnetica nuotante nel mercurio di rivolgersi intorno al proprio asse, ed'indicare così la la titudine e la longitudine. Ora i francesi disputano agliin glesi l'onor della scoperta, e pretendono che questo fenomeno trovasidescritto nelle Efemeridi geografiche di Busch, 1803. È pur graziosa cosa vederaltri popoli disputarsi la gloria di ciò che è italiano. Nella Vita che Vico hascritto di sè stesso (e la scriveva circa il 1730, quasi un secolo prima diBusch e del l'inglese ), quest'uomo parla di una nuova teoria che egli aveaimaginata per ispiegar il fenomeno della calamita, e da questa sua nuovateoriatrae la conseguenza che la calamita non solo si dirige al polo, ma anche alzenit, onde vien poi la rotazione intorno al proprio asse, l' imitazione,diciam così, del giro della terra, ecc. Ķico conchiude dicendo che questa nuovaproprietà si sarebbe osservata tosto che si fossero fatte dell'esperienze, inmodo che la calamita avesse potuto svilupparla. Non parliamo della ragione chemosse Vico a far questa congettura: essa era figlia di una ipotesi forse falsa.E qual altra ragione può aver altro fondamento che un'ipotesi, o qual altraipotesi può dirsi vera? Del resto Vico proponeva un'esperienza: dovea farsi enon si fece. Ma già da due secoli l'Italia non mancava di sommi ngegni, perchèquesti li producono il suolo ed il cielo: però l'italiani più non navigavano,più non commerciavano; i overni non si curavano di nulla ed i privati curavansolo lo studio delle leggi o della medicina, dal quale speravan ric chezza,quello della teologia, che li promoveva ad un canoni cato, e qualche sonetto,unico mezzo che un uomo d'ingegno avea per vedersi aprire la casa d'ungrande... ». (Giorn. it., 1804, 6 'ottobre, n. 120, p. 489, Senza titolo: vediV. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 244. 15 appariranno sempre meno grandi diquello che presu mono di essere, e noi appariremo sempre più grandi di quel chenoi stessi non crediamo. Se essi poi di fatto « sono oggi più grandi di noi »;« non importa: appariranno sem pre tanto meno grandi quanto più ci sarannovicini, e perderanno quella riverenza che suole aversi per le cose lontane » (1). Ma in quest'esaltazione dell'italianità l'autore del Sag gio storico non ècieco, anzi, laddove vede una deficienza, la rileva, la rileva, direi, concrudeltà e freddo sguardo d'anatomista. Gli italiani, per esempio, hannorinvenuto quella filosofia delle lingue che è una scienza tutta nostra, ma ipiccoli nipoti, i discendenti di quel Vico, che in essa tant’orma stampò, nonche curarla, l'hanno abbando nata: gli italiani hanno creato i più splendidimelo drammi e libretti, che si conoscano, orbene, oggi essi stessi non sonocapaci di darci nulla più di buono, e la deca denza del libretto porta seco ladecadenza della musica (3 ): gli italiani un dì maestri nella difficile artedella sacra eloquenza, oggi sono inferiori agli stranieri che da noi hannoappreso (4 ). Questa posizione critica, che tanto distingue l'italiani smo delCuoco da quello del Benincasa o del Lomonaco, si rivela anche nel terzo mezzodal molisano adottato per creare un sentimento unitario: il ragionar difrequente delle cose nostre. « Delle cose nostre o non ne abbiamo parlato, o neabbiam parlato con insensato disprezzo e con più insensata lode; cose le quali,sebbene opposte, pure per la natura dello spirito umano, che oscilla sempre tragli estremi, non sono inconciliabili tra loro ». Delle cose nostre occorreinvece ragionare obiettivamente, senza (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 5.(2 ) Giorn. ital., 1804, 25 febbraio, n. 24: Sullo studio delle lingue (ristampatoin Scritti vari, v. I, p. 78 e sgg., col titolo G. B. Vico e lo studio dellelingue come documenti storici). (3 ) Giorn. ital., 1804, 8 ottobre, n. 121, p.493: Spettacoli. (4 ) Giorn. ital., 1804, 25 aprile, n. 50, p. 200: Varietà (ristampato in Scritti pedagogici, pp. 16-22; ed ora in Scritti vari, v. I, pp. 89-92,col titolo di Eloquenza ecclesiastica ). accenderci troppo, con scienza eragione, e allora saremo davvero illuminati, e allora troveremo « mille voltemotivi di renderci migliori e non mai di crederci pessimi » (1 ). A questiprincípi superiori il nostro uniforma l'analisi, che, di volta in volta, fa deipiù importanti fenomeni del tempo. Recensendo, per esempio, un libro dell'avv.An tonio Corbetta sulla malavita, (2 ) ritiene che tra le altre cause, chequesta alimentano, la più importante și debba ritrovare nell'educazioneinsufficiente. « Noi non abbiamo costume ». « Noi non abbiamo educazione fisica». « Noi non abbiamo educazione dello spirito. I figli del popolo non imparanda fanciulli nulla di ciò che.... dovrebbero sapere quando sono adulti». Eccocome Cuoco getta rapi damente la luce sul fenomeno, e dal fenomeno risale allecause, anzi alla causa per eccellenza, più remota, ma più vera. Provvedimentidi sicurezza? Ma questi sono insuf ficienti per eliminare il male, una voltanote le cause de terminanti. Se volete estirpare la delinquenza, consigliaVincenzo, i mezzi non sono la reazione e il carcere, ma le istituzioni socialicon una intensa opera di pedagogia preventiva. Che abbiamo fatto, si domanda,in questo campo? Nulla. Ecco come un problema giuridico diviene un problema dinatura superiore, pedagogico, anzi filosofico: l'educa zione del popolo, di cuiil Cuoco è il più strenuo soste nitore, e che egli pone sovra basi nuove egeniali. Ma questo problema, che poi è il fulcro del pensiero del mo lisano, ilproblema insomma per eccellenza, noi esamine remo più a lungo, quando verremo aparlare del Rap porto e Progetto di decreto per l'ordinamento della pubblicaistruzione nel regno di Napoli. (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 6. (2)Giorn. it., 1804, 20 agosto, n. 100, p. 410: Osservazioni di un ex giudice, ecc. L'opera filosofica di Cuoco nella Repubblicae nel Regno italico non si esaurisce nei molte plici articoli del “Giornaleitaliano”. La filosofia italica di Cuoco si continua nel “Platone in Italia”,nuova ed alta testimonianza di quello spirito che vediamo in operaininterrottamente dai frammenti agli scritti del foglio milanese. Questosentimento nazionalistico, che ha il suo centro sol nello spirito e non fuoridi esso, è la gran trovata, il punto fermo del molisano, e compenetra il suo Platone.Quello stesso uomo, nota giustamente Hazard, che scrive che “ama di morir perla sua patria,” con la sua Napoli, “poichè essa più non esiste”, mentre Cuoco vive ancora, ed aggiungeva che adessa ha consacrati tutti i suoi pensieri. Ora consapevole sempre di più diquanto nel saggio storico ha pur detto, cioè che l'amore di patria nasce dallapubblica educazione. Ora scrive un saggio il cui solo fine è sempre lo stesso:creare lo spirito nazionale, e crearlo, presentando quanto più spesso si possale memorie dei tempi gloriosi. Che questo e lo scopo del suo “Platone in Italia”nessun dubbio. E Cuoco stesso che ce lo dice. Il Platone dice Cuoco, in unalettera al vicerè Eugenio è “diretto a formar la morale pubblica degl'italiani,ed ispirar loro quello spirito d’unione, quell’amor di patria, quell’amor dellamilizia che finora non hanno avuto.” Il “Platone in Italia” di Cuoco perciò èun romanzo a tesi, o, se volete, un romanzo didattico, se con ciò noi vogliamoriferirci al suo fine, lasciando impregiudicata assolutamente l'ulteriorevalutazione filosofica. E chi lo legge con cura non può non accorgersi diquesto scopo, estrinseco sì all'arte, ma non allo scrittore, di questo scopoche Cuoco persegue, e per il quale solo sembra vivere. La trama del “Platone inItalia” in sè è tenuissima, tanto tenue che Cuoco quasi non se ne accorge, ondeappena l'abbozza per tosto sorvolarla. Un greco, Cleobolo, fa un viaggioculturale nella Magna Grecia con il suo tutore, Platone. Platone e il suoscolaro visitano le più importanti città d'Italia: Crotone, Taranto, Metaponto,Eraclea, Turio, Sibari, Locri, Reggio, ecc., e conosce direttamente oindirettamente i più fieri popoli della pe [ROBERTI, Lettere inedite di G.Botta, U. Foscolo e V. Cuoco, in Giornale storico della letteratura italiana. Lalettera del Cuoco è ora ri prodotta in Scritti vari. Cuoco, Saggio storico. BUTTI,Una lettera di V. Cuoco al Vicerè Eugenio nella miscellanea Da Dante alLeopardi, per Nozze Scherillo -Negri, Milano, Hoepli. La lettera è ora ripro.dotta in Scritti vari] pennisola, i sanniti e i romani, ammira le opere d'arte,disputa di filosofia, si innamora di Mnesilla. Cleobolo stringe con Mnesilla unbel nodo d'amore. La trama è questa. Ma vien meno dinanzi all'urgere d'uncontenuto didascalico svariatissimo, che la spezza, la frantuma, e in fine cela fa dimenticare. Nè il “Platone in Italia” è sotto questo riguardo un romanzooriginale. Anzi ha i suoi bravi antecedenti, tra cui sopra tutti importantequel “Voyage du jeune Anacharsis en Grèce,” che ha una grande diffusione inFrancia e fuori, che ovunque ebbe ammira tori ed imitatori. Ma nella maggiorparte de' casi, come nota il Sanctis, il viaggio di Platone e Cleobolo è “unsemplice mezzo, con un altro scopo ed un altro contenuto,” che non sia quellovero e proprio di descrivere paesaggi e monumenti. Lo scopo non è più ilviaggio. Lo scopo e l'espressione di certe idee e sentimenti, fatta piùagevole, con questo mezzo. I secoli XVIII e XIX amarono il romanzo viaggio,come del resto anche il romanzo-epistolario, perchè col suo meccanismo si piegaad ogni finalità. Il “Platone in Italia” di Cuoco anzi è nello stesso tempoviaggio ed epistolario, è un insieme di lettere spedite visitando l'una dopol'altra le varie città d' Italia. Il viaggio, come forma letteraria, puòservire a qua lunque scopo ed avere qualunque contenuto. E cera, che puòricevere ogni specie d'impressione; marmo, che può configurarsi secondo ilcapriccio dello scultore. È difficile trovare una forma più libera, piùpieghevole al vostro volere. Passate da una città in un'altra: nessun limitetrovate al vostro pensiero. Potete incontrarvi con gli uomini che vi piace;immaginare ogni specie d'accidenti; saltare dalla natura ai costumi, da'costumi al l'anima; visitare, qua e colà, come vi torna meglio; rin chiudervi,tutto solo, nella vostra stanza, e fantasticare, filosofare, poetare, mescere,a vostro grado, sogni, ghiri bizzi e ragionamenti, dialoghi e soliloqui,visioni e rac conti. Se voi vi proponete uno scopo particolare, questo v 'impone il tal contenuto, il tale ordine, la tal proporzione: insomma v’imponeun limite, che non procede dal mezzo liberissimo di cui vi valete, ma dal fineche avete in mente. Ma se voi leggete l'opera del Barthélemy e la raffron tatecon l'opera cuochiana, una differenza vi balzerà su bito agl’occhi, nell'altofine che il nostro scrittore s'è proposto e che nel francese, naturalmente,manca del tutto. È il fine, quello che interessa il Cuoco, e che da lungo tempoegli persegue ne' più vari modi. Il Giornale italiano, a questo proposito, cimostra come l'idea d'un viaggio educativo nei vari reami della storia si sia almolisano altre volte presentata. Tra tante opere che ci si dànno ogni giorno,buone, mediocri, cattive quella descrivente un viaggio, per esempio, nel secolodi Leone X, non sa rebbe certamente la meno utile per la nostra istruzione eper la nostra gloria ». Così scrive, e di questo viaggio ideale, di cuiimmagina che un suo amico conservi l'an tico manoscritto d'un suo maggiore, dàun saggio in quel colloquio col Machiavelli che abbiamo a più riprese ve duto (2). Il fine dunque è quello che occupa l'animo del nostro, e questo dominatutto, soffoca, purtroppo, ogni intendimento che pedagogico non sia [Ilromanziere cerca di scusare questa deficienza di trama, che si risolve in unadeficienza fantastica e quindi in una deficienza artistica, e nella prefazionescrive che la sua storia e rinvenuta in un antico manoscritto, autentico,perchè ritrovato da suo nonno proprio fra le fondamenta d'una sua casa,ergentesi sovra quel suolo ove un dì superba e Eraclea, manoscritto che èlacerato in varî punti e perciò lacunoso, onde varje situazioni, primaaccennate, non sono poi svolte e tanto meno condotte a fine: ma questa è unascusa che non scusa nulla, poichè tutti sanno che il manoscritto non è se nonnell'immaginazione del Cuoco, nè più nè meno come l'anonimo ma [DÉ SANCTIS,Saggi critici, v. III, pag. 290 e seg. (2 ) Giorn. ital.: Varietà (vedi p. 163del nostro lavoro ). (3) L. SETTEMBRINI] -noscritto dei Promessi Sposi ènell'immaginazione di Don Alessandro. Perciò l'esiguità della trama si deveunicamente al sopravvento di fini estrinseci all'arte, pedagogici e didascalici.E gli stessi personaggi, che la piccola trama lega, sono e non sono. Noi livediamo e non li vediamo. Soprattutto, noi non li vediamo mai in azione, inatto, con i loro caratteri e con le loro passioni. A rigore possiamo dire chenon sono protagonisti di nessun dramma, poichè ci – Platone e il suo scolaroitaliano -- appaiono, se mai, nella stessa funzione del prologo in certi antichicomponimenti teatrali, che si limita ad annunciare ciò che fu o sarà e faalcune sue considerazioni. Essi hanno perciò un nome, come ne potrebbero avereun altro. Non sono essi quelli che contano, conta quel che dicono, o che peressi dice Cuoco. Da questa condizion di cose, è evidente, scaturisce undissidio insanabile tra quello che è arte, e che perciò non ha nè può avere unfine estrinseco a sè stessa, e lo scopo stesso dichiarato dall'autore: ilrammentare agl’italiani che essi furono una volta virtuosi, potenti, felici, hefurono un giorno gl'inventori di quasi tutte le cognizioni che adornano lospirito umano. Come il Vico nel “De antiquissima italorum sapiential” si ponedinanzi il fine di dimostrare qual filosofia si debba trarre dalle originidella lingua latina, quella filosofia che in antico dovè certo essereprofessata dai sapienti italiani. Così il Cuoco si propone di dimostrare che,nel pas sato più remoto, tra i popoli, che abitarono la nostra penisola, ve nefurono di civilissimi, popoli, la cui civiltà fu persino anteriore alla civiltàellenica, che dalla prima riceve luce, e non viceversa. E come chi vogliaintendere il ”De antiquissima” non deve tenere nessun conto del suo titolo edel proemio, e di tutte le vane investigazioni che qua e là, vi ricorrono deiriposti con cetti, che, secondo Vico supporrebbero talune voci latine, perconsiderare unicamente in sè stessa questa dottrina che Cuoco pretenderimettere in luce dal più vetusto tesoro della mente e dell’anima italica, eche non è altro che una dottrina modernissima, quale puo essere costruita daesso Vico. Così chi voglia comprendere il vero spirito del “Platone in Italia”di Cuoco deve prescindere dall'esil nucleo romantico, come dalla faticosaricostruzione archeologica, e considerarlo nella sua attualità. Esso nonesprime i pensieri nè di Archita nè di Cleobolo, ma i pensieri del Cuoco,scrittore del Regno italico, meditante sulle proprie personali esperienze, enon sulle esperienze di venticinque secoli avanti. All'anno di grazia vanno,per esempio, riferite tutte le abbondanti considerazioni sulle leggi, sullareligione, sulle istituzioni, sulle rivoluzioni, Ma l'opera di Vico è un'operadottrinale, filosofica, per cui lo sforzo di superamento temporale è facile. L’operadel Cuoco è un romanzo che vuol pure essere consi derato dal punto di vistadell'arte. Da ciò un insormontabile dualismo, onde noi veniamo risospintidall'Italia del VI secolo di Roma all'Italia del secolo XIX di Cristo, daPlatone a Vico, da Archita a Napoleone, dai filoneisti di Taranto ai giacobinidi Francia, da Alcistenide e Nicorio a Monti. E in questo urto di due visioniopposte e con trastanti l'arte fugge via, e noi non sappiamo ove finisca lafinzione e cominci la realtà. La funzione è troppo evidente, perchè noipossiamo ingannarci. V'è troppa erudizione, troppi richiami di testi classici,e non solo greci, ma anche latini, medievali, moderni, perchè la fantasia possagodere d’una pura contemplazione. E chi è quella Mnesilla, che disputa cosìbene d'arte e di musica, se non un'estetica moderna, che conosce Vico? E chi èquel Cleobolo, che cita opinioni del Filangieri e del Pagano, e parafrasapersino versi del Petrarca? [GENTILE, Studi vichiani, p. 95. (2 ) L.SETTEMBRINI, In una lettera che Cleobolo scrive all'amata è detto. Così,passando di pensiero in pensiero e dimonte in monte, spesso sopraggiunge lasera; e, mentre par che tutta la natura dorma, solo il mio cuore veglia,innalzandosi col pensiero fino a quegli astri eternamente lucenti che [ E chi èquel Platone, che non ignora i princípi della nazionalità e con Archita disputadi filosofia moderna! La contaminazione è troppo evidente, e la filosofiapitagorica e platonica si mesce in uno strano viluppo con quella vichiana. Daciò, notiamo, scaturisce non solo, come abbiam detto una deficienza grandenell'opera d'arte, ma anche nell'importanza filosofica del Platone in Italia. Èquesto un'opera d'arte? Un lavoro filosofico? Uno scritto politico? Nulla ditutto ciò, e pure tutto ciò misto in una unità singolare. Non scritto storico,perchè, a parte il valore molto discutibile del suo metodo, che egli si proponedi ragionare e giustificare più tardi, con una di quelle dilazioni, che svelanoappunto l'incertezza del pensiero e l'oscurità da vincere, Cuoco è troppopreoccupato da fini estrinseci alla storia, artistici ed educativi] nonfilosofia, perchè Cuoco non segue un indirizzo unico, ma si trova costretto dall'imbastitura della narrazione a mescere quel che è patrimonio dell'antichitàcon quella vigile coscienza tutta moderna e vichiana della spiritualità delreale. Non opera d'arte per ragioni sovradette, poichè Cuoco non riesce mai atrovare in sè quell'assoluta pacatezza della fantasia, che sola può generarecreature vive. L'arte «non c'è principalmente nota » il Gentile « perchè Cuoconon si dimentica abbastanza in questa visione confortante, che a un tratto glisorge nell'animo, di un'Italia grande per virtù private e pubbliche, perchèretta da una saggia filosofia. E corre a ogni po' col pensiero all'Italia percui scrive, all'Italia presente, piccola, inferma, senza spirito pubblico,senza amor di grandezza, senza orgoglio di nazione, senza forze vive: eondeggia tra la statua brillano sul mio capo; e, dopoaverli riguardati ad unoad uno, il mio occhio si ferma in quella fascia immensa, la quale pare chetutto circondi l'universo. Di là si dice che le nostre anime sien discese, edivi ritorneranno e rimarranno unite per sempre! [G. GENTILE, Studi vichiani, p.375. 235 che avrebbe da animare, e sè stesso che egli quasi non crede da tanto;e gli trema la mano ». Non c'è l'opera d'arte, ma il lavoro non è cosa deltutto morta e caduca. Ci sono parti molto belle, in cui realmente l'animo siplaca in una commossa visione d'amore, o in un paesaggio italico, ricco ditinte forti calde sfumanti; poi c'è una sempre vigile volontà, tesa in un fine,che, se è estrinseco all'arte, non è mai fuori dall'autore, ma pur sempre inlui, e l'accende di sano amore di patria e d'alto nazionalismo. C'è in sommauna matura attività dello spirito, che, sia che [Per dare un esempio dell'artedel “Platone in Italia” di Cuoco, trascrivo un brano, che già al RUGGIERI apparvedegno d'attenzione: è una lettera di Cleobolo. Ieri sera sedevamo in quelpoggio il quale tu sai che domina il mare e Taranto. È il sito più deliziosodella villa ch'ella tiene nell'Aulone. E noi non sedevamo propriamente sullasommità, ma in mezzo della falda, come in una valletta, la quale, ren dendo piùristretto l'orizzonte, par che renda più ristretti e più forti i sensi delcuore. Il sole tramontava; spirava dal l'occidente il fresco venticello dellasera, che scendeva a noi turbinosetto per l'opposta falda del colle. Eravamosoli, io ed ella, e nessuno di noi due parlava, assorti ambedue in quellalanguida estasi che ispira il soave profumo de' fiori di primavera, forse piùgrave la sera che la mattina ne' luoghi frequenti di alberi. Di tempo in tempoio rivolgevo i miei occhi a lei, ma un istante dipoi li abbassava; ella liabbassava come per non incontrarsi coi miei, ma un istante dipoi li rial zava,quasi dolendole di non averli incontrati.... Vedi quel l'arboscello di cotogno?— mi disse (e di fatti ve ne era uno a dieci passi da me) — vedi come il vento,che si rompe in faccia agli annosi ulivi ed ai duri peri, pare che sfoghi tuttala sua prepotenza contro quel debole ed elegante arboscello? Quanta verità è inquei versi di Ibico: Il mio cuore è simile al cotogno fiorito, che il ventodella primavera afferra per la chioma e ne con torce tutti i teneri rami!... Tunon hai detti tutti i versi di Ibico; no escləmai io tu non li hai detti tutti....Esso è stato nudrito colla fresca onda del ruscello che gli scorre vicino; manel mio cuore un vento secco, simile al soffio del vento di Tra cia, divora....Io voleva continuare; ma ella mi guardò e le vossi.... Qual potere era mai inquel guardo, in quell'atto?... Io non lo so; so che tacqui, mi levai e ritornaiin casa, se guendola sempre un passo indietro, senza poter mai più alzar gliocchi dal suolo.”] eccesso e analizzi le antiche istituzioni del Sannio; siache valuti i germi della futura grandezza di Roma, sia che da questi discendaai fatti moderni, e indirettamente dica della rivoluzione francese e de'popoli, che tra un l'altro amano posarsi nelle opinioni medie o magari tro varela pace in un Napoleone, tiranno restauratore del l'ordine, rivela pur sempreun uomo d'alta coscienza, con sapevole di sè e del suo posto nel suo popolo.Noi dimentichiamo l'artista mal riuscito, il metafisico contaminato, lo storicopoco sicuro, ma ammiriamo il pedagogo, che dai dati concreti della storia umanatrae un non perituro insegnamento. Cuoco parla non a sè stesso, poi che non sipone dal rigido punto di vista subiettivo proprio dell'arti sta, ma a noi, anoi italiani; e per noi vibra, per noi di sputa, per noi parla. Platone nonparla al suo discepolo Cleobolo. Archita non parla ai suoi tarantini. Ponzionon parla ai suoi sanniti. Ma tutti e tre, attraverso il Cuoco, si rivolgono anoi, e il loro insegnamento mira a formare una più sicura anima italica. Certoquesta posizione è un po' monotona, e riporta l'autore ad insistere su puntigià precedentemente esposti nel Saggio, nei Frammenti, nel Giornale italiano,ma, se guardiamo l'arduità dello scopo, la difficoltà d'attingerlo, leripetizioni non appariranno mai soverchie. Da noi non si tratta, dice il Cuoco,di conservare lo spirito pubblico, ma di crearlo, e la creazione è opera lunga,spesso do lorosa. La tesi principale del ”Platone in Italia”, che del resto nonè una novità cuochiana, ma una trovata del Vico, è che nella nostra penisola visia stata una civiltà, come ho detto, anteriore alla greca, quella etrusca, cheper il mondo ha diffuso luce di sapere filosofico e splendore d'arte, dellaquale civiltà quella ellenica e pitagorea è un posteriore riverbero.L'opinione, sia essa tramontata, come pretendono alcuni, per cui le originigreche del pitagorismo sono indubbie, sia essa vera, come sostengono altri, percui l'autonomia della civiltà etrusca e delle susseguenti civiltà italiche èparimenti comprovata, è profondamente radicata nel Cuoco, la di cui serietàscientifica non può essere posta in dubbio. Il Cuoco è fortemente compenetratodi essa, e, laddove crede di vederla comprovata dai fatti, l'animo suo tremad'intima com mozione e di passionata esaltazione. Al tempo del viaggio diPlatone, la Magna Grecia è in decadenza. Molte città, che già furono grandi,vennero nelle civili dissensioni rase al suolo. Altre, che un dì dominaronomolte terre, sono ridotte a piccoli borghi. Stirpi, che hanno un passatoglorioso, fiere delle loro milizie e dei loro trionfi, ora languono nell'ozio enella effemina tezza. Ma, ovunque, a chi mira intimamente le cose s'appalesanoi segni dell'antica grandezza e dell'antica forza, diffusi ne' monumentiarchitettonici, vivi negli ordini civili, parlanti nelle costruzionifilosofiche del pensiero e dell'arte. “Io credo, dunque,” dice Ponzio aCleobolo, “ciò che dicono i nostri sapienti, i quali dan per certo che ne'tempi antichissimi l'Italia tutta fioriva per leggi, per agricoltura, per armie per commercio. Quando questo sia stato, io non saprei dirtelo. Troverai peròfacilmente altri che te lo saprà dire meglio di me. Questo solamente possodirti io: che allora tutti gl'italiani formavano un popolo solo, ed il loroimperio chiamavasi etrusco. Mentre la Grecia è ancor giovane, l'Italia è assaiantica e sul suo vecchio suolo già due epoche s'avvicendano: l'una è scomparsa,l'altra è in isviluppo, e solo esteriormente potrà dirsi ellenica, nelleinnegabili im migrazioni dei greci. Nel suo spirito è italica, erede della prim.Pitagora, che la impersona, null'altro è che un mito, ma un mito italico, unasintesi concettosa della sapienza, ma una sintesi tutta italica. Come nellanatura vi sono terribili sconvolgimenti fisici, per cui la faccia della terra èalterata, i monti si fendono ed aprono larghe valli, in cui scorrono nuovifiumi che prima non erano, mentre i vecchi veggono alterato il loro corso, cosìnella storia antiche catastrofi hanno distrutto una fiorttura senza pari emodificato organismi civili possenti. Sappi dunque, dice Cleobolo a Platone,riferendo un colloquio che egli ha avuto con un sacerdote di Pesto, che untempo tutta l'Italia è stata abitata da un popolo solo, che chiamavasi etrusco.Grandi e per terra e per mare eran le di lui forze; e, de' due mari che, a modod'isola, cingon l'Italia, uno chiamossi, dal nome co mune del popolo, Etrusco;l'altro, dal nome di una di lui colonia, Adriatico. Antichissima è l'origine diquesti etruschi.. Le memorie della sua gloria si confondono con quella de'vostri iddii e de ' vostri eroi. Ma chi potrebbe dirti tutto ciò che glietrusci opra rono nell’età de' vostri eroi e de' vostri iddii? Oscurità efavole coprono le memorie di que' tempi. Posso dirti però che gl’etrusciestendevano il loro commercio fino all'Asia. Gl’etruschi signoreggiavano tuttele isole che sono nel Mediterraneo, ed anche quelle che sono vicinissime allaGrecia. Dall'ampiezza dell'impero giudica dell'antichità. Quest'impero però eratroppo grande e poco omogeneo, più federazione di città che stato unitario,onde esso avea in sè stesso il germe della dissoluzione. Non mai si era pensatoa render forte il vincolo che ne univa le varie parti. Ciascun popolo haritenuto il proprio nome: era il nome della regione che abitava, era quellodella città principale. Che importa saper qual mai fosse? Non era il nome “etrusco”.Ciascun popolo ha governo, leggi e magistrati diversi. Non vi e nè consiglio,nè magistrato comune se non per far la guerra. Da ciò trassero origine grandimali che distrussero ogni organizzazione: La corruzione de' costumi produce lacorruzione delle arti, le quali sono de' costumi ed istrumenti ed effetti, epoi generò la corruzione della religione, la quale, corrotta, accelera la mortedelle città. Perciò l'Etruria, o Italia, si sfasciò per legge naturale di cose.Così cade, o Cleobolo, commenta il pellegrino Platone, qualunque altro imperoove non è unità. Così cade la Grecia,, se non cessa la disunione tra le variecittà che la compongono, tra gl’uomini che abitano ciascuna città.Imperciocchè, ovunque è sapienza, ivi si tende al l'unità. All'unità si tendeovunque è virtù, il fine della quale è di render i cittadini concordi e simili.Nè possono. esserlo se non son buoni. La vita istessa di tutti gl’esseri non èse non lo sforzo degl’elementi, che li compongono, verso l'unità. Ovunque nonvi è unità, ivi non è più nè sapienza, nè virtù, nè vita, e si corre a grangiornate alla morte. Ma la morte non è mai interamente morte, bensì trasformazione, cioè riduzione in nuove forme di vita, forme nuove, che dellaprima vita mantengono alcuni elementi originari ed altri novelli acquistano.Così l'Italia, divenuta deserto nella ruina, tosto si ripopola di genti, dicittà, si organizza, si riabbellisce, e si ri presenta composta all'ammirazioneuniversa. Ma la civiltà italica, che possiamo dire pitagorea, nella sua essenzaè pur essa autoctona, se pure apparentemente ellenistica. Quando le colonie sisono stabilite in Italia, le stirpi indigene dalle montagne eran discese alpiano, e due civiltà s'erano espresse. Noi disputiamo, osserva un italico aCleobolo, per sapere se i ellenici abbian popolata l'Italia o gl'italianiabbian popolata la Grecia. Ed intanto è l'una e l'altra regione sono stateforse popolate da un popolo – l’ario --, il padre comune degl’elleni edegl'italiani. Comune è perciò l'origine dei due popoli, ma, stanziatisi indiverse sedi, gl’italiani hanno avuta una fioritura più precoce che non gl’ellenici,che pure ai tempi di cui trattiamo, sembrano i più civili, i maestri degl’italianiin ogni campo dell'umana attività. L'antico primato italico però ancor siconserva, trasformato sì, ma sempre attivo, e si manifesta. Su questo primatoitalico il Cuoco insiste, insiste, insiste calorosamente. E la sua tesinucleare. La pittura e in Italia già vecchia ed evoluta, allorquando Panco,fratello di Fidia, «ipinse ne' portici di Atene la battaglia di Maratona, riempiendodi stupore i suoi concittadini per la rassomiglianza che seppe mettere nelleimmagini dei duci greci e dei capitani nemici [Furono gl'italiani che primi dannoopera alle matematiche, e ne fecero un istrumento principale della lorofilosofia. Prima che Teodoro reca agl’elleni la scienza degli italiani, inGrecia, le idee geometriche sono puerili, frivole, con traddittorie. Invece, gl'italiani,potenti per un istrumento di filosofia tanto efficace, fanno delle scoperteammirabili in tutte quelle parti delle nostre cognizioni che versano sullaquantità: nella geometria, nella astronomia, nella meccanica, nella musica; edhanno spinte al punto più sublime e più lontano dai sensi tutte quelle altreche versan sulla qualità. La stessa arte della guerra e delle milizie in Italiasi perde nella remotezza de' secoli, onde ancora ai tempi di Platone gl’italicimantengono indiscussa la loro superiorità. La guerra presso gl’elleni ancora èduello, scienza rudimentale. Presso gl’italiani l’arte della guerra è saviourto di masse e organica distribuzione di manipoli. La stessa legge, che regolala convivenza nella penisola, e originaria e nazionale, frutto di una intimaesperienza sociale, e perciò nel loro complesso immuni da contaminazionieterogenee. Le romane XII tavole quindi non sono mai derivate, come alcunestorie vogliono, da Atene, poiché Atene nulla poteva dare a un popolo, come ilromano, discendente da popoli dell’ateniese più antichi. Vedete dunque, diceCleobolo ad alcuni legati di Roma, che una parte delle vostre leggi è piùantica della città vostra. Un'altra è sicuramente più antica di quei dieci chevoi dite aver imitate le leggi d’Atene. Voi mi avete recitate le leggi de’dieci e quelle dei re, le quali dite esser state raccolte da Sesto Papiriosotto il regno del buon Servio Tullio. Alcune, che voi recitate tra quelle, leripetete anche tra queste. Tali sono tutte quelle che regolano gl’auspici, l’assembleedel popolo, il diritto di giudicar della vita di un cittadino, e che so io!Queste dunque già esistevano in Roma; ed e superfluo correr tanti stadi evalicare un mare tempestosissimo per prenderle da un popolo che non le ha. Trequarti dunque del vostro diritto non ha potuto esser imitato da noi. Vi rimaneuna quarta parte, ed è quella appunto nella quale può aver luogo l’imitazione,perchè può stare, senza sconcio alcuno, ed in un modo ed in un altro. Tali sonole leggi sulla patria potestà, sulle nozze, sulle eredità, sulle tutele. Maqueste cose sono dalle vostre leggi ordinate in un modo tanto diverso dalnostro, che, se mai è vero che i vostri maggiori abbiano inviati de' legati inAtene, è forza dire che ve li abbian spediti per imparare, non ciò chevolevano, ma ciò che non volevano fare. Passando nel campo delle arti belle,tra gl’elleni la poesia drammatica è meno antica che tra gl'italiani. Ben pocheolimpiadi, dice un comico italiano, Alesside, a Platone e Cleobolo, contatedalla morte di Tespi e di Frinico, padri della vostra tragedia. Quando ilsiciliano Epicarmo si ha già meritato quel titolo di principe della commedia,che, più di un secolo dopo, gli ha dato il principe de’ vostri filosofi,Magnete d'Icaria appena balbutiva tra voi un dialogo goffo e villano, che tuttaancor oliva la rusticità del villaggio ove era nato. Quando la commedia tra voinasceva, tra noi era già adulta. I poemi omerici stessi nel loro nucleofondamentale sono stati elaborati in Italia, poichè di favole omeriche gl’italianine hanno più degl’elleni, e quelle elleniche cominciano ove le italichefiniscono. In tutto ciò noi non possiamo non notare il partito preso, lavolontà di dimostrare ad ogni costo quel che il Cuoco a priori afferma,l'originario primato italico. Ma lo scopo nobilissimo, che ha dinanzi, vale afare perdonarelo varie inesattezze. Nel tempo in cui Platone e Cleoboloiniziano il loro viaggio per l'Italia, la Magna Grecia è in dissoluzione. I varipopoli hanno fra loro relazioni saltuarie ed estrinseche. Non si sentonofratelli animati da un'unica missione. Guerre, dissensioni, lotte sonofrequenti, donde scaturisce una condizione di perpetua incertezza. Vedi, da unaparte, l'Italia simile a vasto edificio rovinato dal tempo, dalla forza delleacque, dall'impeto del terremoto. Là un immenso pilastro ancora torreggiaintero, qua un portico si conserva ancora per metà. In tutto il rimanentedell'area, mucchi di calcinacci, di colonne, di pietre, avanzi preziosi,antichi, ma che oggi non sono altro che rovine. Ben si conosce che talimateriali han formato un tempo un nobile edificio, e che lo potrebbero formareun'altra volta. Ma l'antico non è più, ed il nuovo dev'essere ancora. È l'unitàche si è infranta, per cui alla primigenia unitaria forza statale è sottentratala debolezza della molteplicità, mal celata dall' invadente forza belligera dialcune stirpi, come i sanniti, o dal fasto di altre, come i tarentini. Maquesta molteplicità tende quasi per fatale legge di natura all'unità, edall'indistinto pullulare delle genti dove pur sorgere chi di esse fa una solagente, un nome unico: ‘Italia.’ Pure, se tu osservi attentamente e con costanza,ti avvedrai che le pietre, le quali formano quei mucchi di rovine, cangianoogni giorno di sito; non le ritrovi oggi ove le avevi lasciate ieri. E mi pardi riconoscere un certo quasi fermento intestino e la mano d'un architettoignoto che lavora ad innalzare un edificio no vello. È la gran fede del Cuoco. Da questa unità o daquesta frammentarietà dipende l'avvenire della penisola. Tutta l'Italia, diceCleobolo, riunisce tanta varietà di siti e di cielo e di caratteri, e nel tempoistesso sono questi caratteri tanto marcati e forti, che per essi mi par chenon siavi via di mezzo. Da ranno gl'italiani nella storia, come han datofinora, gl’esempi di tutti gl’estremi, di vizi e di virtù, di forza e didebolezza. Se saranno divisi, si faranno la guerra fino alla distruzione. Tuconti più città distrutte in Italia in pochi anni, che in Grecia in moltisecoli. Se saranno uniti, daranno leggi all'universo. Cuoco però ha fede chequesto suo ideale non resterà mero ideale. Questo ideale si concreta in unaentità statale, in un impero, che all'itala gente dalle molte vite daràorganizzazione e potenza. Cuoco dice che questo ideale non è nuovo, ma quasiconformandosi ad un antico vero, il dominio etrusco, è risorto e di continuorisorge nelle più elette menti. Lo stesso Pitagora concepì l'ardito disegno diristabilir la pace e la virtù, senzadi cui la pace non può durare. Pitagora voleafar dell'Italia una sola città; onde l’energia di ciascun cittadino ha un campopiù vasto per esercitarsi, senza essere costretta a cozzare continuamente concoloro, che la vicinanza, la lingua, il costume facean nascer suoi fratelli ela divisione degl’ordini politici ne costringeva ad odiar come nemici. E l'energiadi tutti non logorata da domestiche gare, potesse più vigorosamente difender lapatria comune dalle offese de’ barbari. Egli dava il nome di barbari a tutticoloro che s’intromettono armati in un paese che non è loro patria, e chiamapoi barbari e pazzi quegl’altri, i quali, parlando una stessa lingua, non sannovivere in pace tra loro ed invocano nelle loro contese l'aiuto degli stranieri.Egli sole dire agl'italiani quello stesso che Socrate ripete agl’elleni. Travoi non vi può nè vi deve essere guerra: ciò, che voi chiamate guerra, èsedizione, di cui, se amassivo veracemente la patria, dovreste arrossire. Siastato Pitagora un essere umano di fatto vissuto, sia egli invece un'idea, unmito elaborato dalla fantasia delle stirpi indigene, nel quale esse han fattoconfluire i risultati ultimi di tutte le loro secolari esperienze, ciò dimostral'antica radice, le remote propaggini nella co scienza collettiva del problemaunitario. Ma come attingere l'unità? Ritorniamo a posizioni che noi giàsappiamo. Il problema è un problema etico e pedagogico insieme. A questa metanon si può pervenire senza virtù e senza ottimi ordini civili. Onde non vi siachi voglia e chi possa comprar la patria, chi voglia e chi possa venderla. Mal'ambizione di ciascuno, vedendosi tutte chiuse le vie della viltà e del vizio,sia quasi co stretta a prender quella della virtù. È necessario istruir ilpopolo. Un popolo ignorante è simile all'atabulo, che diserta le campagne:spirando con minor forza il vento delle montagne lucane, porta sulle ali ivapori che le rinfrescano e le fecondano. È necessario istruir coloro chedevono reggerlo. Un popolo con centomila piedi ha sempre bisogno di una menteper camminare, e, con centomila braccia, non ha una mente per agire. Maquest'educazione pubblica, che occorre diffondere, non deve essere per suanatura uniforme, uguale per tutti, bensì multiforme, varia, secondante leinfinite varietà che la natura umana ci offre: deve essere educazione vera,cioè deve parlare agl’spiriti, e perciò deve essere in essi, e non fuori diessi. Diversa perciò l'educazione della classe dirigente da quella delle classipovere, diversa però non nell'intima qualità. L'una e l'altra si volgono allastessa natura umana e alle stesse potenze dello spirito. Un popolo, diconoalcuni, il quale conoscesse le vere cagioni delle cose, sarebbe il più saggioed il più virtuoso de'popoli. Non è invero così. Riunite i saggi di tutta laterra, e formatene tante famiglie. Riunite queste famiglie, e formatene unacittà: qual città potrà dirsi eguale a questa! Nessuna, risponde il Cuoco oArchita per lui. Essa non meriterebbe neanche il nome di città, perchè lemancherebbe quello che solo cangia un'unione di uo mini in unione di cittadini.La vicendevole dipendenza tra di loro per tutto ciò che rende agiata e sicurala vita e la perfetta indipendenza dagli stranieri. È necessario perciò ai finidello stato che gl'indotti coesistano accanto ai dotti, come i poveri accantoai ricchi, perché si realizzi quell’armonica convergenza di forze distinte cheè la vita. Ciò, che veramente è neces sario in una città, è che ciascuno stiaal suo luogo, cioè che sappia lavorare e che ami l'ordine. Ad ottener l'uno el'altro, sono necessarie egualmente la scienza e la subordinazione. Diversasarà l'educazione dei poveri da quella dei dirigenti. Ma una educazione per iprimi deve pur esservi. E per istruirli bisogna avere la loro stima. Nonperdete la stima del popolo, se volete istruirlo. Il popolo non ode coloro chedisprezza. Di rado egli può conoscer le dottrine, ma giudica severissimamente imaestri, e li giudica da quelle cose che sembrano spesso frivole, ma che sonquelle sole che il popolo vede. Che vale il dire che il popolo è ingiusto?Quando si tratta d'istruirlo, tutt'i diritti sono suoi. Tutt’i doveri sonnostri, e nostre tutte le colpe. Al popolo occorre insegnare tutto ciò che ènecessario per agire, tutto ciò che può rendergli o più facile o più utile illavoro, più costante e più dolce la virtù. Al savio, invece, è necessaria laconoscenza delle cagioni vere, perchè sol col mezzo della medesima può renderpiù chiara, più ampia e più sicura la conoscenza delle stesse cose. Al volgoconoscer le vere cagioni è inutile, perchè non potrebbe farne quell'uso che nefanno i savi. È necessario però che ne conosca una, in cui la sua mente siacqueti. E questa necessità è tanto imperiosa, che, se voi non gli direte unacagione, se la farneticherà egli stesso. Errano perciò i filosofi che credonoopportuno divulgare la filosofia è mettere il popolo a contatto con i sublimiprincípi della vita. Del resto ben diversa è la natura del dotto filosofo e delpopolano. Laddove il savio è ragione, il popolano è tutto senso e fantasia. Ilpopolo è un eterno fanciullo che ha sempre più cuore che mente, più sensi cheragione. E quindi ad esso bisogna parlare con quello stesso linguaggio ches'usa con il fanciullo, dan dogli in un certo qual modo cose e massime giàfatte. Bisogna parlare al popolo dei suoi cari interessi, e parlarne con illinguaggio che a lui più si conviene, con parabole e proverbi. Se è vero che gl’esempimuovon più dei precetti, le parabole, le quali non sono altro che esempi,debbon muovere più degli argomenti. I proverbi, che a noi possono sembrareinintelligibili, perchè ignoriamo i veri costumi dei popoli per i quali furonoimmaginati, sono nella rude concettosità adattissimi per lo scopo prefissoci.La stessa virtù non la si può inculcare al popolo se non con mezzi diversi diquelli che ci si offrono nella filosofia. La virtù è saviezza: la saviezza habisogno di ragione, e la ragione ha bisogno di tempo. I pregiudizi, gl’errori,i vizi che nella fantasia de' popoli vanno e vengono come le onde del nostroJonio, riempi rebbero sempre di nuova arena quel bacino, che tu vuoi scavare apoco a poco per formarne un porto. È necessità piantare con mano potente unadiga, che freni la violenza delle onde sempre mobili. Prima di avvezzare ilpopolo a ragionare, convien comandargli di credere. E, per convincerlo che ilvero sia quello che tu gli dici, convien per suadergli, prima, che non possaessere vero quello che tu non dici. Non cerchiamo l'uomo che abbia detto piùverità, ma quello che ha persuase verità più utili. E, se talora la necessitàha mossi i grandi uomini ad illudere il popolo, cerchiamo solo se l'hannoutilmente illuso. Sono queste conclusioni che già sono implicite nel saggiostorico, ma riescono sempre interessanti, sia per il loro intrinseco valore,sia per la forma con la quale l'autore ce le prospetta. Questa educazione chemira a far sentire l'interesse comune alla virtù, e quindi a radicarla ineterno, deve precedere la stessa attività legislativa, se non si vuole che essacada nel vuoto. Quando tu avrai incise le leggi della tua città sulle tavole dibronzo, nulla potrai dir di aver fatto, se non avrai anche scolpita la virtùne' cuori de' suoi cittadini. La legge e la costume sono i principali oggettidi tutta la scienza politica. La prima risponde all'ordine eterno che è nellecose, sempre perciò buono e vero; i se condi invece presentano estreme varietà,e, nella maggior parte dei casi, ci si presentano anzi che come correttivodelle prime, come deviazione da esse; onde coloro, che traggono da una corrottanatura de' popoli le norme obiettive del vivere, invece di evitare il male,spesso lo sancisce, e la sua opera pedagogica manca. La legge è sempre una,perchè la natura dell'intelligenza è immutabile. Mutabile è la natura dellamateria, di cui gli uomini sono in gran parte composti; e quindi è che ilcostume inclina sempre ad allontanarsi dalla legge. È necessità, dunque,conoscere del pari la natura sempre mobile di questo fango di cui siamoformati, onde sapere per quali cagioni i nostri costumi si allontanano dalleleggi, per quali modi, per quali arti possano riavvicinarsi alle medesime; ilche forma l'oggetto di tutta la scienza dell’educazione. Nn di quellaeducazione che le balie soglion dare ai nostri fanciulli, ma di quell'altra cheLicurgo e Minosse seppero dare una volta agli spartani ed ai cretesi. Laignoranza di una di queste due scienze ha moltiplicati sulla terra i funestiesempi di quei legisla tori, i quali, volendo tentare riforme di popoli, hannoo cagionata o accellerata la loro ruina. Imperciocchè, pieni la mente dellesole idee intellettuali delle leggi ed ignoranti de' costumi de ' popoli, lihanno spinti ad una meta a cui non potevan pervenire, perdendo in tal modo ilbuono che poteano ottenere, per avere un ottimo che era follia sperare; o,conoscendo solo i costumi ed igno rando il vero bene ed il vero male, hannosancito i me desimi, ed han fatto come quel nocchiero, il quale, non conoscendoil porto in cui dovea entrare, e servendo ai venti ed all'onde, ha rottomiseramente il suo legno tra gli scogli. La legge però resterà sempre un astratto, segl’uomini non ne intenderanno la sua necessarietà e, quel che più conta, la suautilità. È d'uopo a ciò che essa sia accom pagnata non solo da pene, onde possacon efficacia di storre gli animi dai vizî, ma eziandio da premi, onde possaallettare alla virtù. Occorre parlare agli uomini un lin guaggio utilitario ededonistico, se si vuole essere seguiti da essi. E questa scienza, che si occupadei premî e delle pene, è difficilissima, perchè inutili sono senza premî epene le leggi, e arduo è calcolare l'adeguato rapporto so pra tutto delle penecon i costumi dei popoli. Il crimi nalista perciò deve studiare non tanto irapporti giuri dici, di per sé astratti, ma i soggetti di essi rapporti, entitàconcrete e viventi, e rispetto a questi porsi piut tosto in veste d’educatore,anzi che di carceriere, e peg gio di boia. « La scienza delle pene e de' premî» dice il Cuoco con perfetta sicurezza « appartiene alla pubblica educazione. Lalegge, date alla città, hanno necessità di uomini atti ad eseguirle, cheveglino alla loro esecuzione. Le leggi, ho detto, sono nell'ordine eterno dellecose, onde la filosofia a lungo le ha ritenute provenienti dalla divi nità.Perciò il primo dovere degli esecutori è di comandare ne' limiti di esse, sovrala loro base, poichè solo così si adempie l'universa volontà di Dio, o meglio,s'attua l'ar monia immanente nelle cose. « Ora, ordinate le leggi di una città,per qual modo ritroveremo noi gli uomini degni di eseguirle? Questa èla partepiù difficile della scienza della legislazione: perchè, da una parte, le buoneleggi senza il buon governo sono inutili; e, dall'altra, sulla natura delmigliore de’governi gli uomini son più discordi che su quella delle buone leggi.Anche questo secondo problema è di natura spirituale e pedagogica: lapreparazione della classe dirigente, la sua natura, ecc. non possono nonrientrare in quella scienza, di cui abbiamo visto i caratteri e le forme. Inquanto al problema subordinato se sia da accogliere il governo di un solo, dipochi, o di molti; il governo ereditario o l'elettivo; e tra quest'ultimoquello regolato dalla nascita, dagli averi, dalla sorte, questo è un pro blemaessenzialmente relativo e che del resto abbiamo già storicamente esaminato inaltra parte di questo la voro. La risoluzione è offerta dal Cuoco in pocheparole che giova riportare. « Noi diremo il miglior de' governi esser quelloche non è affidato ad uno solo, perchè un solo può aver delle debolezze; non atutti, perchè tra tutti il maggior numero è di stolti; ma a pochi, perchè pochisempre sono gli ottimi. E questi pochi avranno obbligo di render ragione delleopere loro, onde la spe ranza dell'impunità non li spinga o ad obbliare pernegligenza le leggi o a conculcarle per ambizione; e perciò divideremo ilpubblico potere in modo che le diverse parti del medesimo si temperino ebilancino a vicenda, e, dando a ciascuna classe di cittadini quella parte a cuipare per natura più atta, riuniremo i beni del governo di uno solo, di pochi edi tutti. Ma piuttosto altre considerazioni occorre fare, che ci riportano adun punto troppo caro al Cuoco perchè noi possiamo dimenticarcelo: leconsiderazioni intorno alla religione. Abbiamo già visto i rapporti traautorità reli giosa ed autorità statale, il posto che la religione deveoccupare nello Stato, e lo abbiamo visto da un punto essenzialmente storico,cioè in rapporto ai tempi del mo lisano: ora dobbiamo esaminare lo stessoproblema da un diverso punto, osservando quale posto può occupare la religionenella formazione spirituale dei popoli. La religione è un fatto spirituale dalquale non si può prescindere. « Quindi è che erran egualmente e coloro i qualicredon poter tutto ottenere colle sole leggi civili, e coloro che credono potercolla religione e coi costumi supplire alle medesime. Questi renderanno le vitedei cittadini e le loro sostanze dubbie, incerte; quelli rende ranno vacillantelo stato dell'intera città. È necessità che vi sieno egualmente costumi,religione e leggi: uno che manchi, la città, o presto o tardi, ruina. Ilbisogno della religione per il Cuoco non si basa tanto su ragioni ideali quantosu ragioni pratiche. Lo Stato, che assorbe in sè la religione, s'eleva agliocchi de'singoli e acquista maggiore rispetto. Nè è a dire che esso con ciòmenomi la religione, in quanto vita dello spirito, poi che esso assorbe quelche può assorbire, infine il lato estrinseco e mondano della religione,lasciando intatto ildommatico. I paesi, in cui i patrizi conservanoautorità, sono quelli in cui essi esercitano il sacerdozio, e in questi paesila religione può moltissimo sui costumi. « E forse queste due cose [ religionee costumi, Stato e Chiesa) sono naturalmente inseparabili tra loro; perchè nèmai religione emen derà utilmente i costumi se non sarà dipendente dal go verno;nè mai religione, che non emendi i costumi e non ispiri l'amor della patria,potrà esser utile allo Stato » (1 ). Ora concepite in questa maniera le dueclassi dei ricchi e dei poveri, dei savi e degli stolti, il Cuoco riguarda lavita pubblica come una loro armonizzazione continua, in una evoluzioneininterrotta. Ricco non vuol dire a priori savio, ma è certo che il ricco,coeteris paribus, può pro curarsi un'educazione superiore, che il povero nonpuò procacciarsi che in casi eccezionali, onde quasi sempre, nella suaindigenza, resterà ignorante e spesso stolto. L'opposizione tra savi e stoltisi può in linea generalis sima presentare come opposizione tra patrizi eplebei, op posizione delucidata anche dal fatto che i patrizi, cioè coloro chenelle epoche primitive s'affermano negli Stati e perpetuano la loro posizionedirigente per eredità di sangue e di censo, sono, per lunga consuetudine epratica pubblica, i più atti al reggimento civile, mentre i plebei, gente nova,spesso portata su da súbiti guadagni, sono di solito inesperti e fiacchi,perchè ignari del nuovo go verno della cosa statale. Il segreto della variavita delle città è nella saggia ar monia di queste due forze, l'esperienzamatura dei patres e la giovinezza audace delle classi nuove. Quelle nelle qualii primi furono troppo fieri difensori dei loro diritti lan guirono: i patresnon vollero essere giusti, preferirono es sere i più forti, onde fu mestieriche divenissero tirannici ed oppressori: conservarono i loro privilegi, ma ilprezzo di questi privilegi fu la debolezza dello Stato, che al primo urtodivenne preda dell' inimico. Quelle altre, in cui la plebe per attorivoluzionario acquisì d'un tratto i suoi diritti, ebbero sempre costituzioniispirate più dalla vendetta che dalla sapienza, e poterono durare, per lo più,breve tempo, per turbolenze e dissensioni interne. Ben diversa è la vita degliStati, ove si giunge ad una reciproca graduale integrazione de' due opposti inuna vitale sintesi. È nell'ordine eterno delle cose che « le idee non possanomai retrocedere », ed hanno vita felice soltanto « quelle città nelle quali ela plebe ed i grandi vengono tra loro ad eque transazioni. Ma pur tuttavia ilCuoco. concepisce la lotta di classe non solo come un utile spediente, purchémantenuta ne' limiti della legge per giungere ad un buono e durevole reggimentopolitico, ma come necessità di vita: e qui è un punto fermo della sua dottrinapolitica, che nel suo saggio storico non appare, e che nel ‘romanzo’, “Platone inItalia,” si rivela nella sua luminosa chiarezza. Or vedi tu questa lotta eternatra gli ottimati e la plebe, tra i ricchi ed i poveri? In essa sta la vita nonsolo di Roma, di Atene, di Sparta, ma di tutte le città. Ove essa non è, ivinon è vita: ivi un giogo di ferro impo sto al cittadino ha estinte tutte lepassioni dell'uomo e, con esse, il germe di tutte le virtù, lo stimolo a tuttele più grandi imprese. Al cospetto del gran re, nessun uomo emula più l'altro:e che invidierebbe, se son tutti nulla? Quanto dura la vera vita di una città?Tanto quanto dura la disputa. Tutti popoli hanno un periodo di vita certo equasi diresti fatale, il quale incomincia dall'estrema barbarie, cioèdall'estrema ignoranza ed op pressione, e finisce nell'estrema licenza diordini, di co stumi, di idee. Nella prima età i padri han tutto, sanno tutto,fanno tutto, posseggon tutto. Se le cose si rima nessero sempre così, la cittàsarebbe sempre barbara, cioè sempre fanciulla. È necessario che si ceda allaplebe, poco a poco, ed in modo che non se le dia ne meno nè più di quello chele bisogna: l'uno e l'altro ec cesso porta seco o pericolosa sedizione olanguore più funesto della sedizione istessa. È necessario che il popoloprosperi sempre e che abbia sempre nuovi bisogni, per chè questo è il segno piùcerto della sua prosperità. Guai a quella città in cui il popolo non ha nulla !Ma due volte ma guai a quell'altra, in cui, non avendo nulla, nulla chiede ! Èsegno che la miseria gli abbia tolto non solo, come dice Omero, la metàdell'anima, ma anche l'ultimo spirito di vita che ci rimane nelle afflizioni, eche consiste nel la gnarsi. È necessario però che il popolo e pretenda conmodestia, e riceva con gratitudine, e non cessi mai di sperare » (1 ). Daqueste considerazioni il molisano trae una impor tante conclusione. Se la vitaè molteplicità, ma molte plicità non inorganizzata, bensì tendente ad unità, lamolteplicità è pur necessaria per attingere quella diffe renziazione difunzioni, il cui convergere forma la felicità dello Stato. La vita di questoperciò è varietà, e non può essere diversamente: l'uguaglianza assoluta è un'utopia, anzi un'utopia dannosa. « Vi saranno sempre pa trizi e plebei, perchè visaranno sempre i pochi ed i molti; pochi ricchi e molti poveri; pochiindustriosi e molti scioperati; pochissimi savi e moltissimi stolti. Ipartigiani de' primi si diran sempre patrizi, quelli de'se condi sempre plebei.Allorquando la plebe avrà tutto il potere pubblico, e i patrizi nulla piùavranno a cedere, allora, « dopo aver eguagliati a poco a poco gli ordini, sivorranno eguagliare anche gli uomini; dopo aver eguagliati i diritti, si vorràl'eguaglianza anco dei beni: e sorgeranno da ciò dispute eterne e pericolose.Eterne, perchè la ragione delle dispute sussisterà sempre: vi saranno semprepoveri, vi saranno sempre uomini da poco, i quali pretenderanno e crede rannodi meritar molto. Pericolose, perchè tali dispute moveranno sempre la parte piùnumerosa del popolo: i poveri, gli scioperati, i viziosi, tutti coloro i quali,nulla avendo che perdere, non ricusan qualunque modo si of fra a guadagnare....Le assemblee diventeranno più tu multuose, le decisioni meno prudenti. Icittadini dalle sedizioni civili passeranno alla guerra. Fra tanti partitinascerà la necessità che ciascuno abbia un capo; tra tanti capi uno rimarràvincitore di tutti. Ed avrà fine così la lite e la vita della città. Da ciòscaturisce un'altra conclusione, che è una ri prova di precedenti nostreosservazioni circa la politica cuochiana: i più adatti al pubblico reggimentonon sono nè i ricchi, pochi e tirannici, nè i poveri, molti e ti rannici insenso inverso dei ricchi, ma bensì quel ceto medio, che con forme diverse ediversi aspetti, secondo i vari tempi e la mutevole realtà storica, è nellostato. I migliori ordini pubblici sono inutili se non vengono affidati aimigliori cittadini. Quelli sono, in parole ed in fatti, ottimi tra gli ordini,i quali fan sì che la somma delle cose sia sempre in mano degli uomini ottimi.Ma dove sono gli uomini ottimi? Essi non son mai per l'ordinario nè tra imassimi, corrotti sempre dalle ric chezze, nè tra i minimi di una città,avviliti sempre dalla miseria. Ecco qui ritornare il concetto da noi giàesaminato di un governo temperato, equilibrio di forze opposte, e perciòarmonia e giustizia, la quale giustizia null'altro è se non obiettiva elisioned'ogni antagonismo e d'ogni dissension. Ove avvien che siavi un ordine scelto,ma nel tempo istesso la facoltà a tutti d'entrarvi, tostochè per le loro azionine sien divenuti degni, ivi tu eviti gli scogli del l'oligarchia e dellademocrazia. Il popolo non permetterà che i grandi, per gelosia di ordine,trascurino il merito; i grandi non soffriranno che altri si elevi per via diviltà e di corruzione: per opra de’secondi eviterai quella dissi pazione chene' tempi di pace dissolve le città popolari; per opra de' primi eviteraiquella viltà per cui le città oligarchiche temono i pericoli, e quel livore colquale si oppongono ad ogni pensiero nobile ed ardito, e che vien dal timore deigrandi di dover ricorrere al merito di un uomo il quale non appartenga al loronumero. Queste città così temperate sono quelle che fanno più grandi cose dellealtre, perchè non vi manca mai nè chi le pro ponga nè chi le esegua. Soltantoattraverso questa coscienza politica dei diri genti, attraversoquest'educazione dei poveri, attraverso questa organizzazione di classi, saràpossibile realizzare quell’unione che è nel pensiero del Cuoco: fare dellevarie stirpi italiche un popolo unico. Come nelle singole città è possibile uncontemperamento di interessi e di volontà singole, così nella più vasta Italiaè possibile un armo nizzamento di stirpi, di genti, d' ideali diversi. Ma,mentre nelle città il processo d’unità procede dal l'interno all'esterno,poichè una tirannia imposta estrin secamente è sempre nociva e deleteria;nell'Italia il processo unitario può essere affrettato dalla conquista e poicementato dall'opera pubblica e pedagogica, dalla religione unica e dalla leggeunica. Il primo effetto della filosofia, dice il Cuoco, è quello di avvezzargli uomini a considerar la conquista non come un mezzo di distrug gersi, ma didifendersi. E e, aggiungiamo noi, si di fende spesso più validamente colui,che, essendo forte impone la sua ragion civile, la sua legge agli altri, e nonsi assopisce in una pace senza parentesi d'attività belli gera, assopimento chepuò diventare anche sonno e poi ancora morte. La conquista perciò non deverimanere mera conquista, cioè estrinseca forza, ma deve conver tirsi inattività pubblica, imporsi alle volontà, plasmarle di sè, unificarle nel nomed'un superiore verbo, il diritto. Questa, ammonisce il Cuoco, è la missioned’un popolo tra i tanti popoli della penisola, che Platone e Cleobolo nel loroviaggio incontrano, missione divina, missione il cui spiegamento d'altra parteè nell'attualità della storia. Certo Platone e Cleobolo, nel frammentarismoitalico del V secolo, non avrebbero mai potuto dire quel che Vincenzo pone inbocca loro; ma le loro osservazioni, per quanto il nostro spirito critico leriferisca all'autore del romanzo, non possono non commoverci, e la commozione èin noi com'è nel molisano. In una prima età, scrive Platone all'amico Archita,le città vivono pacificamente, e perciò s ' ignorano; ma in un secondo tempo siconoscono, e quindi si fanno guerra, o con le armi o con le sottigliezze delcommercio; ma questa conoscenza e questa guerra non sono mai distruzione, mareciproca integrazione: « da questa vicendevole guerra, sia d'armi, siad'industria, io veggo un'irresistibile ten denza di tutte le nazioni a riunirsi;e, siccome ciascuna di esse ama aver le altre piuttosto serve che amiche...,così veggo che, ad impedire la servitù del genere umano ed a conservar piùlungamente la pace sulla terra, il miglior consiglio è sempre quello diaccrescer coll' unione di molte città il numero de' cittadini, prima eprincipal parte di quella forza, contro la quale la virtù può bene insegnare amorire, ma la sola cieca e non calcolabile fortuna può dar talora la vittoria ».« Non pare a te » continua il filosofo antico caldo ne' suoi accenti eattraverso lui il magnanimo Cuoco « che la natura, colle diramazioni de' montie de' fiumi, col circolo de' mari, colla varietà delle produzioni del suolo edella temperatura de'cieli, da cui dipende la diversità de' nostri bisogni ede' costumi nostri, e colla varia mo dificazione degli accenti di quellinguaggio primitivo ed unico che gli uomini hanno appreso dalla veemenza degli affetti interni e dall'imitazione de’vari suoni esterni; non ti pare,amico, ch'essa abbia in tal modo detto agli abitanti di ciascuna regione: — Voisiete tutti fratelli: voi dovete formare una nazione sola? Da ciò scaturisce la necessità della conquistacome mezzo per affrettare dall'esterno un processo naturale: chi si assumequesta missione, diviene arbitro e stru mento della Provvidenza, Provvidenzache per il Cuoco, come del resto per Giambattista Vico, è nell'immanenza dellastoria, piuttosto che nella celeste trascendenza del divino posto fuori di noi:questo l'intimo concetto, se pur qualche volta tradito dall'esteriorità delleparole e dei simboli, nonchè da una certa oscillanza di pensiero. In Italia,intuisce Platone, un solo popolo sarà di ciò capace, il romano, che sovra lafiera rudezza dei san niti, sovra la imbecillità effeminata dei greci del mezzodì, sovra la volubilità dei galli del Nord imporrà la sua legge, il suodiritto, strumento d’universale civiltà, e che, in un lontano avvenire, venutoa contatto con i cartaginesi e poi con i greci, non solo li debellerà comeentità politiche, ma solo s'assiderà dominatore del Me diterraneo e del mondo. Rimarràun solo popolo dominatore di tutta la terra, innanzi al di cui cospetto tuttoil genere umano tacerà; ed i superbi vincitori, pieni di vizi e di orgoglio,rivolge ranno nelle proprie viscere il pugnale ancor fumante del sangue delgenere umano; e quando tutte le idee liberali degli uomini saranno schiacciateed estinte sotto l'im menso potere che è necessario a dominar l'universo, e levirtù di tutte le nazioni prive di vicendevole emula zione rimarrannoarrugginite, ed i vizi di un sol popolo e talora di un sol uomo saran divenuti,per la comune schiavitù, vizi comuni, sarà consumata allora la vendetta deglidèi, i quali si servono delle grandi crisi della natura per distruggere, edell'ignoranza istessa degli uomini per emendare la loro indocile razza. Grandesogno questo, in cui vibra tutto l'animo nostro in uno con quello del Cuoco, mache noi critici non dob biamo lasciare nel passato inerte e perciò morto, comequello che non ritornerà più, ma trasportare nel presente del Cuoco, cioè nelpresente del 1806, che noi vediamo e pensiamo tale, quando in un' Italia scissae menomata da straniere superfetazioni, sia pur benigne come quellenapoleoniche, l'unità era davvero un sogno; nel nostro presente, nella nostravita, che non è stasi, ma divenire, e perciò slancio, espansione, conquistaprima di noi stessi, della nostra maggiore unità, e poi del vario mondo deicommerci e delle genti, che noi non vogliamo lasciare fuori di noi, inertegrandezza da contemplare taciti am miranti, ma rendere nostre, per la nostraciviltà, che è civiltà latina. Considerato da questo punto di vista altamentepoli tico, prescindendo da ogni considerazione artistica o filo sofica, ilPlatone in Italia riacquista una grandissima importanza, « riacquista » comeben dice il Gentile « tutto il suo valore, ed è la più grande battaglia,combattuta dal Cuoco, per il suo ideale della formazione dello spirito pubblicoitaliano. È l'animato ricordo d'un tempo che fu e d'una grandezza, che sta anoi rinnovel lare, in cui tutta l'Italia si pose maestra di civiltà tra ipopoli, che da essa appresero le cose belle della vita, la poesia, il teatro,la musica, la scultura, la pittura, che da essa intesero i primi precetti delvivere e le norme de ' savi reggimenti; in cui l'Italia ebbe un'egemonia indiscussa, che nella storia non si ripresenterà più se non forse nel Rinascimento:ma, oltre che ricordo, è nello stesso tempo vivo presente, perchè molteconsiderazioni che si fanno riferendosi all'Impero etrusco, alla Magna Grecia,a Roma calzano nella loro semplicità, s'adattano alla nostra travagliata vitamoderna: ciò fa del Platone un libro, la cui importanza trascende la suadeficienza artistica, il suo ibridismo filosofico. Perciò un solo raffrontolegittimo, quello tra il Platone e un altro grande libro, il Primato morale ecivile degli italiani, come quelli il cui obietto è uno solo, e la materiaalfine è pur essa comune: un'alta nazionale pedagogia politica. Questoparallelismo fu prima accennato dal Gentile (2 ), ma poi sbozzato da unfrancese, acuto studioso del Cuoco, al quale nel nostro studio abbiamofrequentemente cennato, Paul Hazard (3 ). ac (1 ) G. GENTILE, Studi vichiani,p. 386, (2 ) G. GENTILE, Studi vichiani P. HAZARD, op. cit., p. 246. Anche P.ROMANO, op. cit., p. 5 raffronta il Cuoco e il Gioberti e dice che il “Platonein Italia” è la preparazione del Primato morale e civile degli Italiani. Ilprincipio genetico dei due libri è lo stesso: una na zione non può esplicare leforze vere, che sono in essa in potenza, nè può di esse usare, se non ha lacoscienza d'avere queste forze, o almeno la coscienza di poterle sviluppare, equindi dispiegare nella storia: perciò bi sogna nutrire un orgoglio nazionale,che, basato sulla concreta realtà, è legittimo, non arbitrario. Ma, d'altraparte, laddove il Primato giobertiano, pur riannodan dosi, attraverso le glorieromane, alle remote genti italo pelasgiche, trova il suo asse, il suo fulcronel Papato, espressione di purità religiosa e d'originaria sapienza, e sirinnoverà, se il presente sarà a sufficienza legato al passato, cioè allatradizione medievale- cattolica; il Cuoco, pur mantenendo ferma la remotissimastoria italo -pela sgica ed estrusca e poi ancora romana, pur riconoscendol'alta missione civilizzatrice della Chiesa nel Medio Evo, questo primato vuolrinnovellare solo nel gioco delle li bere forze, espresse da quella tragicacrisi che è la rivo luzione francese ed italiana, nel loro sviluppo, e nellospiegamento della loro maggior coscienza; nello Stato laico, insomma, cheafferrni sì la religione, come luce alla plebi, ma affermi pure una sua intimanaturale ra gione, che con la religione non ha nulla a che fare. E inquest'accettamento delle nuove forze popolaresche, alle quali bisogna parlare,perchè la volontà di nazione sia realmente nazione, e la volontà di Statorealmente Stato, Vincenzo Cuoco si lega ad un altro grande, Mazzini, tantodiverso da Gioberti, ma pur con questi entusiasta caldo nella visione delfuturo popolo dell'Italia re denta. CAPITOLO VII. L'educazione nazionale nelpensiero cuochiano. Il popolo e la scuola. - I tre caratteri di una educazionenazionale: universalità, pubblicità, uniformità. - Tre gradi in una completaeducazione: scuola elementare, media, universitaria. - Morale e religione nellascuola. - Educazione filosofica. Quanto sopra abbiamo detto segna ben precisala po sizione di Vincenzo Cuoco come politico e pedagogo nel Regno italico. IlPlatone e gli scritti del Giornale italiano sono i do cumenti luminosi delperiodo milanese della vita del l'autore, e basterebbero a dargli una glorianon dubbia nelle lettere del nostro paese, confortata anche da una amiciziaintellettuale, che egli godette con uomini come il Monti e il Manzon. Con il1806, ritornati i francesi oramai a Napoli, Vin cenzo pur esso riede in patria,preceduto da una vasta notorietà e annunciato da missive ufficiali del governodi Milano per quello meridionale. È l'ultimo tratto della nobile vita delmolisano, che, attraverso una fiera ma LABANCA, op. cit., p. 409; N. RUGGIERI,op. cit., p. 48; B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 172; G. GEN TILE, op.cit., p. 389. 261 lattia di nervi e di mente, si concluderà il 13 dicembre 1823con la morte, tratto di vita, che è pur ricco di atti vità pubblica, per cui ilnostro attinge cariche supreme (1 ), nonchè di un'opera dottrinale e praticanello stesso tempo (2 ), il Rapporto e il Progetto di decreto per l'ordinamento della pubblica istruzione nel Regno di Napoli, che di per sé solabasterebbe ad assicurargli un posto eminente tra i pedagogisti dell'epoca,Rapporto, che, seb bene tragga « occasione da un incarico speciale.... agliinizi del regno murattiano » non è « il prodotto dell’oc casione, poichè comevedremo, risponde nelle linee prin cipali, a idee profondamente maturate dalCuoco in tutta (1 ) G. GENTILE, op. cit., p. 390. (2 ) Oltre il Rapporto ilCuoco lavorò in vari campi dello sci bile, e della sua attività sono documentovarie pagine raccolte nel secondo volume degli Scritti vari. Del Rapporto e delPro getto di decreto esistono numerose edizioni: una prima, senza data e senzafrontespizio, fatta a spese del governo prima del 10 ottobre 1809 per tenere illuogo del manoscritto nelle distri buzioni che del Rapporto e del Progetto sifece al re, ai mini stri e ad altre autorità, e quindi non pubblica; unaseconda, che dovea essere il primo volume delle Opere di V. Cuoco, raccoltainiziata nel 1848 a speso di Luisa de Conciliis, nipote del gran molisano, enaturalmente non venuta mai a compi mento, edizione che porta il titolo:Progetto di decreto per l'or dinamento della pubblica istruzione seguito da unRapporto ra gionato per V. Cuoco (Napoli, Migliaccio, 1848); una terza infine,che uscì alla luce nel primo tomo della Collezione delle leggi, de' decreti edi altri atti riguardanti la Pubblica Istruzione promulgati nel già Reame diNapoli dall'anno 1806 in poi (Na poli, Fibreno, 1861). Sovra queste edizioni,tutte e tre scor rette, il Gentile trasse la sua edizione critica del Rapportoe del Progetto, corredata di documenti e note bio -bibliografiche illustrate,che inserì negli Scritti pedagogici inediti o rari (pa gine 49-276 ). I critericritici di collazione delle tre suddette edizioni, seguìti dal Gentile, nonfurono dismessi da N. Cortese e da F. Nicolini, che dovettero far posto sia alRapporto che al Progetto negli Scritti vari (v. II, pp. 3-161 ), correggendo talune sviste e supplendo in talune omissioni il loro illustre pre decessore.Nonostante che gli Scritti vari abbiano visto la luce, allorquando questolavoro era già compiuto, le citazioni sono state su di essi rivedutedefinitivamente anche per la parte pedagogica. 262 ī la sua carriera discrittore e di uomo politico, in rela zione con le questioni fondamentali deltempo suo. Evitando di entrare nell'analisi dei fatti, che al Rap portoprecedettero e che perciò lo determinarono, perchè oramai sufficienza noti,vengo a studiare le idee che in esso si agitano ed i loro addentellati contutto il pen siero cuochiano. L'istruzione è la chiave di volta d'ogni sistemapo litico. E, come ogni sistema politico mira al benessere sociale, in quantoquesto è realizzato eticamente dallo Stato, così chi questo benessere vuolattuato, deve ope rare col mezzo dell'istruzione e della scuola. Il Cuoco vuolrendere grande uno indipendente il popolo italiano, dan dogli veramente il mododi formarsi una coscienza na zionale. Ma praticamente come? Con la scuola. « Lasola istruzione, risponde, può far diventare volontà ciò che è dovere. La solaistruzione può renderci l'antica gran dezza e l'antica gloria » (2 ). Iltermine di riferimento di questa istruzione è pur sempre il popolo, nel di cuispi rito dovranno essere alimentate le più nobili idealità pub bliche e civili,alimentate da un lato dall'opera giorna listica, dall'altro dalla scuola. Percomprendere questo punto occorre riferirsi, aver presenti le condizioni delpopolo e della scuola ne' primi decenni del secolo XIX. Di chi era la scuola?Non certo del popolo, il quale, assente in tutte le manifestazioni della vita,era assente anche nella scuola. Di chi dunque? Di pochi fortunati, dotati dallasorte dei mezzi necessari, onde formarsi quel che si suol dire una cultura: inobili, i possidenti delle campagne, i borghesi e i commercianti nelle grandicittà. La rivoluzione ha il grande merito di avere richiamato l'attenzione deigovernanti sulle masse popolaresche, ha il merito di aver compreso che soloqueste sono il nucleo dello Stato, e che cointeressarle alla cosa pubblica equivale eternare lo Stato stesso. Ma la rivoluzione non po (1 ) G. GENTILE, op. cit.,p. 336 e sg. (2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 3. 263 teva dare nel campoeducativo, e in generale formativo, buoni risultati, dato il suo astrattismo ela sua filosofia, troppo razionalista, lontana com'era dai bisogni e dagliinteressi delle classi basse. Il Cuoco di contro accetta il postulatorivoluzionario, per cui dal popolo non si pre scinde, ma lo rinnova col suoconcreto senso storico della realtà: bisogna, dice, non elevare il popolo allenostre supreme idee di libertà, di virtù, di moralità, che, in quanto assolute,esso non comprenderà, ma noi discen dere a lui, entrare nel suo spirito, nelsuo sistema men tale, e, attraverso un progresso graduale e lento, mostrar glil'utilità, oltre che la necessità ideale, della libertà, della virtù, dellamoralità. Questo compito, essenzial mente pratico, si può assolvere con lascuola, che prende l'uomo fanciullo, e lo conduce all'adolescenza, e magarialla gioventù, maturandone i sentimenti con un processo intimo ed interiore,non mai estrinseco e forzato. Sol tanto così il popolo entrerà nello Stato,rafforzandolo e potenziandolo. Sentite come ragiona il Cuoco. « Le rivoluzioni» scrive « sogliono svelare il gran segreto della forza di quel po polo, chene' tempi di tranquillità suol esser la parte pas siva di uno Stato. Larivoluzione francese lo ha messo in istato di produrre grandi beni e grandimali: la sua condizione è cangiata in gran parte degli Stati dell'Eu ropa.Chiamarlo a parte della difesa dello Stato e delle leggi senza istruirlo è lostesso che renderlo pericoloso, facendogli fare ciò che non sa fare. Volerloritenere inu tile, qual era prima, è lo stesso che voler condannare lo Stato aperpetua debolezza esterna, a frequente disordine interno. Debolezza, perchè èsempre debole quello Stato che non è difeso da’ cittadini, e non sono cittadinico loro che occupano col loro corpo sette palmi di terra in una città, ma bensìcoloro che contano tra i loro doveri l'amarla ed il difenderla. Disordine,perchè le leggi e le istituzioni politiche non hanno la loro garanzia se nonnella volontà del maggior numero, e, se questo maggior numero non è istruito, onon ha volontà o spesso ne ha una contraria alla legge.... Tutto in Europamostra la 264 necessità di dare al popolo, e specialmente alla classe degliartefici e degli agricoltori, una nuova educazione ed ispirargli l'amor dellapatria, delle armi, della gloria nazionale » (1 ). Indietro non si torna !Avranno i conser vatori tutte le loro buone ragioni per fossilizzarsi in formestatali superate, ma essi non potranno mai negare al popolo, quello che a luisi deve: l'educazione, A coloro che obiettano che il popolo è un ammassoinemendabile di vizi e di passioni è facile rispondere. « E pure tra questopopolo noi viviamo; questo popolo forma la parte più grande della nostra patria,da cui di pende, vogliamo o non vogliamo, la nostra sussistenza e la difesanostra; e noi abbiam core di dormir tran quilli, affidando la nostrasussistenza e la difesa nostra a colui che noi stessi reputiamo pieno di ognivizio ed incapace d'ogni virtù? ». A coloro poi che dicono il popolo esseresenza mente, o che ripetono il vecchio sofi sma aristotelico, esservi uomininati a servire ed altri nati a governare, è pur facile controribattere. «Ebbene questo popolo nato a servire, questo popolo che non ha mente, è quelloche tante volte vi fa tremare con quei delitti, ai quali lo spingono quellamiseria, quell’ozio, quella roz zezza in cui, per mancanza di educazione, voilo lasciate. Se la religione non avesse presa un poco di cura della educazionesua, qual sarebbe mai questo popolo? ». Oggi non si può tornare indietro: ilbisogno dell'edu cazione è immanente, sentito da tutti, sovrani e sudditi,governanti e governati. « Non mai il bisogno dell'educa zione è stato maggiore.Tutti gli usi antichi, che tenevan luogo di precetti, vacillano: gli uomini,dopo i troppo vio lenti cangiamenti di ordini e d'idee, soglion cadere nell'anarchia de'costumi, che è peggiore di quella delle leggi. Non mai vi è statobisogno maggiore di educare quella (1 ) Giorn. ital., 1804; n. 61, 62, 75; 21,23 maggio, 23 giugno; pp. 243-44, pp. 247-48, pp. 303-304: Educazione popolare(ri stampato in Scritti pedagogici, p. 23 e sgg.; ed ora in Scritti vari v. II,pp. 93-102 ). 265 parte della nazione che chiamasi popolo e diffonder l'istruzione ne' villaggi e nelle campagne ». Per queste sue considerazioni il Cuocosi ricollega al grande pedagogista prerivoluzionario, a Jean- Jacques Rousseau,il solo forse che primo sentì le vive pulsanti forze del popolo nuovo ed ilbisogno di provvedere alla di lui istruzione, riferendosi alla sua natura eall'evolu zione delle sue facoltà (1 ). A chi noi daremo mai questo altocompito di creare degli uomini consapevoli del loro posto nella società ! Larisposta del Cuoco non è dubbia. Dato il carattere etico -giuridico che egliattribuisce allo Stato, è ovvio che l'educazione debba essere impartita, oalmeno control lata, dallo Stato. L'educazione mira a formare buoni cit tadini:è naturale dunque che lo Stato » volontà collet tiva, somma di volontàindividuali, da essa non possa prescindere. « Posto questo bisogno nello Stato» osserva giustamente il Gentile « di consolidare sempre più le pro (1) Delresto il concetto di natura e quello d'educazione e di Stato nel Rousseau hannoun significato ben più profondo di quanto generalmente non si creda. Vedi aquesto proposito il libro di G. DEL VECCHIO, Su la teoria del contrattosociale, Bologna, Zanichelli, 1906, p. 32. « È.... massima (del Rous seau ) chenella realtà si distingua ciò che è fattizio, ossia sopravvenuto per arbitrioed arte dell'uomo, da ciò che è na turale, ossia fondato nell'essenza medesimadella cosa. Questo ha valore di norma rispetto a quello. La natura è dunque perRousseau il principio del dover essere, più ancora che quello dell'essere. Essaesprime la realtà in un senso filoso fico e non già fisico; rappresenta la suaragione e non la sua contingenza ». Ma questa concezione della natura, propriadel Rousseau, nel Cuoco viene integrata e corretta, come nota il GENTILE (Studivichiani, p. 419), con la concezione storica dello spirito. « Ed è in veritànon una contaminazione delle due filo sofie, ma la schietta pedagogia del Vico,che aveva più salda mente fondata (benchè con fortuna storica senza paragoneminore) che non il Rousseau, il motivo di vero del suo natu ralismo:l'autonomia dello spirito ». A due distinte fonti oc corre ricondurre lapedagogia cuochiana, al Rousseau che gli dà vivo il senso dell'essenza primad'ogni realtà, al Vico che gli dà la consapevole riduzione della stessa realtàallo spirito nella sua dialetticità. 266 prie basi nella coscienza nazionale, èevidente che l'istru zione, come pensavano i pedagogisti della Rivoluzionefrancese, e come prima aveva insegnato il Montesquieu per lo Stato democratico,è funzione di Stato. Poichè lo Stato si regge sulla coscienza nazionale, equesta si forma con l'istruzione pubblica, rinunziare a questa è per lo Statoun assurdo: sarebbe come rinunziare a sè stesso. Il compito educativo certo nonsi esaurisce nella scuola, ma questa trascende: l'ecclesiastico, il filosofo,il legi slatore tutti e tre mirano allo spirito e al suo sviluppo, ma la loroopera è di necessità insufficiente, se non è in tegrata dall'attività generalee pubblica dello Stato. Scuole di morale, laiche od ecclesiastiche, possono purvivere, occorre però che lo Stato le controlli, e le adatti sempre meglio alloscopo, alla finalità che esso si pro pone, e le riconduca a questo, ove se neallontanino. Sarà perfetta quella città, quello Stato, in cui il sa cerdote, ilfilosofo e il legislatore si saranno messi di ac cordo, e concorrerannougualmente all'educazione del popolo. Stabilito il punto primo che l'educazionedeve essere dello Stato, ancorchè sia educazione religiosa, fissiamo i suoicaratteri: essa deve essere in primo luogo univer sale, poi pubblica, infineuniforme. L'educazione deve essere universale. Il Cuoco concepi sce la vita daun punto di vista spiritualistico. Vita non è vegetazione o deambulazione, ècoscienza della propria posizione nel mondo, perciò è innanzi tutto attivitàdello (1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 408. Noto a questo propo sito comesoltanto tenendo presente il concetto di Stato qual'è nel Rousseau, il Cuocopoteva giungere a concepire uno Stato educatore. « Quando il Rousseau parla (VediDEL VECCHIO) della « nature du corps politique », non intende con ciò diriferirsi alla guisa onde lo Stato si presenta nei fatti; ma alla ragionedell'essere suo ingenerale, all'esigenza suprema, cui esso ha dacorrispondere.... La libertà e l'uguaglianza, fon date nell'essenza stessadell'uomo, debbono aver nello Stato la loro assoluta sanzione ». E la libertà el'uguaglianza bisogna intendere in un senso spirituale e non empirico, intimo enon estrinseco. 267 spirito. Lo spirito è qualcosa di inscindibilmente unitario, onde l'educazione dev'essere inscindibilmente uni taria. Tutto, scienzeed arti, scienze fisico - naturali e scienze morali, debbono convergere ad unsol centro, lo spirito. I secoli barbari potranno dire « non esservi alcunrapporto tra le scienze e le arti » (1 ); i secoli di pro gresso, in quanto piùhanno consapevolezza della realtà mirano ad unire le disiecta membra di quelche in astratto sarà questa o quella scienza a noi precostituita, ma che inconcreto non è che una elaborazione dello spirito, una nostra formazione, enello spirito attinge l'uni versale. Perciò, dice il Cuoco, « noi adopriamo laparola istruzione nel suo più ampio significato; ed in ciò, oltre d'imitaretutta l'Europa colta, abbiam la gloria di se guire gli esempi domestici. Inostri pittagorici, forse i più savi istruttori di tutta l'antichità, niunaparte della vita umana escludevano dalla pubblica istruzione » (2 ).L'educazione, in secondo luogo, deve essere pubblica. L'Italia è sempre statauna terra feracissima di ingegni, ricca di uomini grandi, ma costoro,maturatisi in am bienti apatici e morti alla cultura, hanno molto contri buitoalla propria gloria, poco alla gloria dello Stato e al benessere dellacollettività. Poichè « la nazione non era istruita, essi fecero molto per lagloria loro, nulla o poco per l'utilità della patria; tra essi ed il popolo noneravi nè lingua intelligibile, nè mezzo alcuno di comunica zione » (3 ).Occorre quindi che lo Stato dia un'istruzione ai suoi cittadini, onde le loroforze non vadano disperse, ma convergano sempre più e meglio ad un fine unico,.il progresso civile. Ma il fatto che l'istruzione sia pubblica e statale significa dunque la morte delle scuole private, specie in un paese come l'Italiaed in particolare Napoli, ove la scuola privata ha una storia nobilissima? Nocerto: le scuole private sussistano pure gestite da chiunque, ma (1 ) V. Cuoco,Scritti vari, v. II, p. 4. (2 ) Cuoco, Scritti vari, v. II, p. (3) V. Cuoco,Scritti vari, v. II, p. 4. 5. 268 lo Stato ha l'alto controllo a che i maestrisiano degni e moralmente e culturalmente, a che la materia d'in segnamento siacomune a quella delle scuole pubbliche, a che non si propaghino per mezzo lorodottrine con trarie all'ordine pubblico e alla moralità media della società. Ilfatto però che l'ente pubblico, cioè lo Stato, dia una educazione ai suoicittadini non significa che tutti i cit tadini debbano divenire altrettantidotti. Lo Stato non pud perseguire questo fine. Ricordiamo quel che il Cuocodice nel Platone in Italia, laddove osserva che una città di soli savi nonmeriterebbe nemmeno il nome di città, perchè le mancherebbe ciò che solotramuta una congre gazione d’uomini, in città, in Stato: « la vicendevole dipendenza tra di loro per tutto ciò che rende agiata e sicura la vita e laperfetta indipendenza dagli stra nieri » (1 ). Accanto al savio è necessaria lacoesistenza della massa dei non savi, e in questa è poi necessaria unaulteriore differenziazione di funzioni, per cui l'agricoltore non siacalzolaio, il muratore non sia mugnaio. Coloro che si propongono un assolutoillimitato eleva mento intellettuale del popolo cadono nell'errore, poichèvogliono l'impossibile e il dannoso: l'impossibile, « per chè non si puògiungere alla perfezione nelle scienze se non per la stessa via, per la qualevi si perviene in tutte le arti, cioè dividendo gli oggetti del lavoro ed occupandosi di un solo; il che da un popolo intero non si può fare, poichè, persapere, dovrebbe egli rinunciare ai mezzi di vivere »: il pernicioso, « perchèrimanendosi il popolo a mezza strada, avremmo una nazione di mezzo sapienti; edun mezzo sapiente, diceva il Chesterfield, è unpazzo intero » (2 ). Da ciòconsegue che l'istruzione, sebbene pubblica, non può essere uguale per tutti, ecome nel paese vi deb bono essere i ricchi e i poveri, i conservatorie ifiloneisti, Cuoco, Platone, v. I, p. 86. (2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p.5. 269 così vi debbono essere i dotti e gli indotti, i più colti e i menocolti. Vi sarà perciò una istruzione per pochi, che diremo sublime o alta, unaper molti, che diremo media o secondaria, una per tutti, che diremo elementareo pri maria. La prima è destinata al progresso delle scienze, la seconda ha periscopo di diffondere i trovati dell'alta cultura nella vita commercialeindustriale agricola a con tatto con il popolo, la terza di dare allo Statofedeli sud diti, virtuosi e morali cittadini. Questa tripartizione della scuolarivela il gran senso pratico del nostro autore, a cui della vasta gamma dellavita umana nulla sfugge e si perde. Ma la discriminazione non si ferma qui.Occorre che l'istruzione, che lo Stato impartisce alle donne, sia diversa daquella, che impar tisce agli uomini, e che per le donne stesse sianvi pure letre forme o gradi di scuola sovra dette. L'istruzione alle donne? È questo untema caro al Cuoco. Le donne, scrive nel Platone, hanno il grandioso compito diallevare figli per lo Stato, e di allevarli non nel senso comune, cioè dinutrirli, ma di istillare in essi i primi sensi della vita sociale, i primigermi, che poi nell'interiorità dello spirito si svilupperanno. Esse, che hannoun così alto compito, conviene che abbiano una adeguata preparazione. Infatti,scrive il Cuoco, « non può dare al figlio l'educazione di un cittadino coleiche ha la condizione e la mente di una serva » (1. ). Perciò lo Stato si devepreoccupare dell'educazione femminile, e provvedervi in modo da non turbarel'ordine della natura e la sua essenza: educare le donne da donne, ed educarlesecondo la diversa posizione sociale che nel mondo esse avranno: e « quando ledonne saranno educate, sarà com piuta per metà l'educazione degli uomini » (2 ).Una questione subordinata è quella della gratuitità del l'istruzione. Deveessere questa gratuita per tutti? No. L'istruzione inferiore o primaria,appunto perchè ha i (1 ) V. Cuoco, Platone, v. I, p. 25. (2 ) V. Cuoco, Scrittivari, v. II, p. 21. 270 caratteri della più vasta generalità, è offerta dalloStato a tutti senza retribuzione alcuna, ma l'istruzione media e superiore,siccome risponde ad utilità non solo sociale, ma altresì particolare, deveessere pagata da chi ne usu fruisce, salvo sempre a fare condizioni di favore achi, essendo sfornito di beni di fortuna, s'addimostri degno per altezzad'ingegno di essere mantenuto agli studi dallo Stato, che un giorno o l'altrocon le opere sue glo rificherà. Infine, in terzo luogo, l'istruzione deveessere uni forme. Dopo quanto abbiamo detto l'uniformità dell'istru zioneappare chiara: in ogni suo grado, inferiore medio e superiore, in ogni suoaspetto, maschile e femminile, l'istruzione deve essere uniforme, svolta congli stessi programmi, con gli stessi metodi, con gli stessi libri. Il Cuoco nonsi nasconde i gravi difetti insiti nell'abuso d'un simile sistema: le scienzepossono anche arrestarsi, poichè la discussione e il contrasto sono il vero epiù efficace stimolo al progresso: si può generalizzare un abito di servilitàverso il passato, che è quanto di più nocivo per la vita, che si sviluppa in unirrefrenabile superamento dell'antico nel nuovo. Perciò questa uniformità nonsi può intenderla in un senso assoluto, ma bensì relativo. Ognuno che insegnadeve insegnare, previa autorizzazione dello Stato, ed in segnare sulla base diun programma -metodo anteceden temente presentato alle superiori autoritàpubbliche. I corsi impartiti da privati non avranno effetto accade mico, se nonin seguito ad un esame dinanzi ai docenti di Stato. Lo Stato inoltre esamina egiudica i libri di testo che andranno per le mani dei giovani. Certo questosistema potrebbe portare con sè il più grave degli inconvenienti, lostaticizzarsi dell'insegnamento, il chiudersi in for mule, in programmi, inmetodi, cioè in quanto di più astratto si possa immaginare. Per eliminare tuttociò il Cuoco propone una direzione o ministero di tecnici, che aperto a tuttigl'influssi scientifici europei, nell'opera sua di controllo riconosca meriti epunisca abusi, ed 271 in ogni caso abbia di mira il progresso e lo sviluppo dell'attività spirituale (1). Posti questi princípi fondamentali, Vincenzo Cuocoabbozza un suo vero e proprio progetto di riforma sco lastica,particolareggiato e minuto, monumento insigne di sapienza pedagogica, in cuidavvero noi sentiamo vi vere quella che è la scuola moderna. Noi non possiamoseguirlo fino alle ultime delucidazioni, ma ci proponiamo di astrarredall'opera quei princípi generali, che più hanno relazione con l'assuntopolitico. Caratterizzando la scuola primaria il nostro scrittore dice chequesta, oltre a dare le prime nozioni della lettura e della scrittura, mira aformare una morale, volendo significare che mira a formare una moralità mediaso ciale. È un punto importante. La morale è necessaria per gli aggregatiumani, ed è necessaria in sè e nella sua uniformità. Possiamo anzi osservareche essa è un bi sogno dello spirito che la elabora e la pone. Questo pro cessodi formazione è un processo spontaneo. Lo Stato non può ignorarlo. O essointerviene e lo promuove, al lorquando prende i fanciulli nelle prime scuole eli porta giovinetti fino alle superiori, plasmando e riplasmando le lorocoscienze, o esso inattivo assisterà a degli svi luppi spirituali, dai qualipuò anche ricevere danno. « È necessario che ai popoli si dia (una morale ]:altri. menti se la formeranno da loro » (2 ). Questo compito, il dare al popolouna morale, è af fidato alla scuola primaria, allorquando l'uomo è tenero edatto a ricevere le più svariate nozioni e a compene trarle di tutto il proprioafflato spirituale. Se questa mo rale « la riserbate all'età adulta, quando giàl'uomo ha sentito ed ha agito, voi gliela darete tardi; egli si tro verà diaversene già formata un'altra: siete sicuro che non sia diversa dalla vostra, eche, essendo diversa, vi riesca di distruggerla? » (3). (1 ) V. Cuoco, Scrittivari, v. II, p. 14. (2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 16. (3 ) V. Cuoco,Scritti vari, v. II, p. 16. 272 La prima morale, quella dell'infanzia, è la piùpro fonda. Il fanciullo la riceverà, quando il suo animo è ancora puro, insublime stato d'innocenza, scevro di passioni conturbatrici, e non ladimenticherà mai più, poichè essa gli è divenuta abitudinaria, vale a dire connaturale al proprio esssere. E, se tutti i fanciulli saranno stati educatidallo Stato allo stesso modo, l'opinione dei singoli sarà coincidente conl'opinione universale. Qui si rivela un grande senso pratico. Non basta im porrela legge ai singoli, occorre sentirne la necessarietà od anche, ov'è possibile,l'utilità, perchè essa non resti un astratto, ma vibri davvero nella coscienzacollettiva: e questo è il compito della morale. Lo Stato perciò di Cuoco non sipreoccupa dell'istru zione letteraria soltanto, ma anche, e sopra tutto, dell'istruzione morale e politica. Dell'istruzione religiosa non si preoccupa «perchè appartiene ai di lei ministri » (1 ). Ma quest'affermazione non bisognaassumerla in senso rigido. Dato il sistema politico del Cuoco, per cui lo Statoè stato professionista e giurisdizionalista, è ovvio che lo Stato non puòdisinteressarsi di quell'educazione reli giosa, che, ancorchè si ponga fuoridalle mura delle aule scolastiche, mira agli spiriti, cioè agli uomini, chesono poi cittadini. La religione è un mirabile strumento d'educazione, ancorchè non sia l'educazione stessa. Come può lo Stato ri manere indifferentedinanzi ad essa? « È necessario che la legge le dia la norma, perchè spettaalla legge, alla sola legge, il determinare qual debba essere la virtù delcittadino. È necessario che la filosofia le indichi i mezzi, perchè lafilosofia è quella cui spetta conoscere il cuore e la mente umana e le vie perinsinuarvi la virtù e la saviezza » (2 ). Ma d'altra parte la stessa educazionedi Stato deve (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 12. (2 ) Giorn. ital.,1804, n. 61, 62, 75; 21, 29. maggio, 23 giugno; pp. 243-44, pp. 247-48, pp.303-4: Educazione popolare (vedi p. 264 del presente lavoro ). 273 averecarattere religioso. Il Cuoco ha detto che la reli gione non s'insegnerà nellescuole: va bene: ma l'in segnamento, ' specie il primario, non sarà efficace senon sarà circonfuso di quello spirito religioso, che parla alle anime semplici.Il dotto trova nell'assoluto etico il soddisfacimento delle sue esigenze dilibertà; l ' indotto, il fanciullo hanno bisogno di quella morale rivelata edoggettiva che è la religione. In un articolo del Giornale italiano il Cuoco,par lando di una scuola normale danese, atta a creare ottimi maestri, scriveche « il popolo deve esser istruito, ma non deve esser dotto: ad ottenerambedue questi fini, non vi è altro mezzo più efficace che dargli de' maestriegual mente lontani dall'ignoranza e dalla pedanteria; met terli in tutt'ipunti dello Stato, onde sieno.in contatto col popolo, nè il popolo abbiabisogno di cercarli; rive stirli di un carattere che pel popolo è il più sacro,cioè del carattere religioso » (1 ). Quindi anche l'istruzione ele mentare,ancorchè laica e gestita e controllata dallo Stato, non può prescindere da quelcarattere, che diremo in senso assai largo religioso, come quello che megliorisponde all'indole e alla natura del popolo, che è tutto senso e fantasia epoco ragione. Sovra questa base religiosa si potrà fondare una mo rale civica,poichè chi è buon credente in massima sarà buon cittadino, e sulla morale poisi assicurerà il rispetto alle leggi e allo Stato. Ma la base di tutto è lareligione. E, siccome la pubblica autorità « si occupa dapertutto a fare sì chevi sieno istituzioni uniformi di quelle idee che più importa che sieno comuni econcordi, così dia una norma anche per le istruzioni che fanno i ministridell'altare; le quali, se non sono concordi colle altre, sa ranno inutili; sesono discordi, diventeranno nocive ». Da tutto ciò una illazione. « Riuniamo (essenon si avreb bero dovuto separar giammai) le istruzioni della casa, (1 ) Giorn.ital., 1804, 29 ottobre, n. 130, p. 528-29: Utilità pubblica. 18 - F. BATTAGLIA.274 del fòro, del tempio; tolgansi una volta quelle diversità di princípi, percui ciò che la legge economica di una famiglia richiede è condannato dallalegge politica di tutta la città, e ciò che la patria impone è indifferente perla religione; facciam sì che costumi, leggi, religione non abbiano che un solfine, che è quello di render i cit tadini più virtuosi e la patria più felice »(1 ). È la naturale logica conseguenza di quella visuale che il Cuoco ha deirapporti tra Stato e Chiesa e del posto che egli attribuisce alla religionenella vita dello spirito, so luzione tirannica, se si vuole, ma altamenteliberale, se si pensa alla natura dello Stato cuochiano, Stato etico, attuanteuna sua libera finalità superiore ad ogni parti colare transeunte ed assommantein sè tutte le varie ma nifestazioni della vita. Lo Stato del Cuoco ha moltipunti di contatto con lo Stato del Fichte e dell' Hegel. « E ogni - volta »nota giustamente il Gentile « che si sente forte mente la sostanzialità etica,il valore ideale e morale dello Stato (il che avviene quando piuttosto siguarda all'idea di esso o a uno Stato futuro, che non quando si abbiasott'occhio un determinato governo, il quale di tanto è imperfetto arappresentare realmente lo Stato, di quanto è inferiore alle idealità che nelloStato pure si agitano, senza raggiungere la forma giuridica ), così dellareligione come della filosofia, in quanto servono anch'esse come elementiriformatori della coscienza civile, si fa necessariamente uno strumento delfine politico » (2 ). Laddove l'educazione primaria deve mirare alla fan tasiae al senso, e perciò deve essere essenzialmente re ligiosa, l'educazionesuperiore deve essere filosofica, cioè mirare allo spirito nelle sue piùelevate manifestazioni razionali. Le qualità proprie d'ogni vera educazione, inquanto spirito, l'unitarietà sopra tutte, si rivelano ora. « L'educazione bendiretta non ha tanto in mira d’in segnare una o due idee positive di più o dimeno, quanto (1 ) Giorn. ital., 1804, 25 aprile, n. 50, p. 200: Varietà (vedip. 226 del presente nostro lavoro ). (2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 416.275 d'ispirare l'amore di una scienza e dare alla mente una attitudine maggiorea comprenderla. Quasi diremmo che non si tratta di formar un libro, ma un uomo:giacchè ad un libro rassomiglia un uomo meramente passivo, il quale tante ideetiene quante se gliene son date; mentre al contrario il carattere della mente èquella di esser at tiva, creatrice, capace di formare le sue idee, ordinarle,saperle insomma dominare in tutti i modi e signoreg giare » (1 ). Il concettorealistico della vecchia pedagogia è superato. Il maestro, infine, è tale inquanto è nello spirito del discente, in cui si compie quel processo, per cui lanozione divien vita, cioè atteggiamento spirituale e s’armonizza in un vastotutto, la personalità. La scuola non è accademia, ma intima affermazione dicoscienze formatesi gradualmente in un logico libero sviluppo. Tutto il vecchiomacchinario formalistico deve essere bandito: il giovane deve essere posto a tuper tu con i grandi scrittori, poeti storici filosofi, senza il tramite di queicimiteri di formule che sono le grammatiche, senza il tramite di quelle carceridi idee, che sono le retoriche e le poetiche: il giovane deve mirare alcontenuto ideale delle cose, formarsi quel che si può dire estrinsecamente unmetodo acquisitivo, ma che in sostanza null'altro è che una forma dello spiritoinscindibile dal suo conte nuto. Questo stesso carattere unitario deve offrirel'istru zione superiore. Una differenziazione di facoltà o scuole speciali e dicattedre s ' impone per i fini professionali che si perseguono, ma «l'istruzione vera è quella che tutte le parti dello scibile ci presenta benordinate, tutte ce le addita e ci mette nello stato di poter da noi stessitrattenerci intorno a quella che più ci piace » (2 ). Messo dinanzi ai mezzicon cui si può progredire nello spirito, il giovane deve scegliere,perfezionarsi nel sapere, af fermarsi nella gara della vita. Cuoco, Scrittivari, v. II, p. 25. (2) Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 53. 276 Se oral'istruzione media ed universitaria, come ho detto deve avere caratterefilosofico, ne deriva una pro fonda trasformazione di tutto ciò che era per l'innanzi. Un esempio solo basterà per mostrarci le infinite conse guenze diquesta nuova posizione. L'eloquenza per gli antichi null'altro era che unostrumento per il ben scri vere, e questo bene scrivere tutto si imperniavasovra il gioco delle grammatiche, delle retoriche, delle poe tiche. Ora,osserva il Cuoco, la filosofia s'è impadronita delle materie dell'eloquenza. Nèè a dire questa una usur pazione, ma una legittima rivendica di ciò che lafilosofia già possedeva in antico, cioè con i Platoni e gli Aristo teli. La forzadel dire, la perspicuità dello stile non di pendono da cause estranee a noi,come le norme più o meno buone apprese sui " libri scolastici, ma dallaric chezza della nostra vita interiore, « dalla forza e dal nu mero delle ideepresentate al nostro spirito » (1 ). Perciò quello che nella riforma del Cuocoserba il vecchio nome di eloquenza, diviene una vera filosofia del bello o estetica, che dir si voglia, come quella che direttamente mira allo spirito e allesue manifestazioni fantastiche, cioè artistiche. Ne il Cuoco si arresta qui, maseguendo la sua idea che la vera grammatica non possa essere se non nella vitadel periodo, in quanto questo scaturisce dalla mente originario e fresco,vagheggia una grammatica universale e filosofica, che insegni il meccanismo ditutte le lingue sulla base della comune uniforme mente umana (2 ). La stessafilologia, come la stessa erudizione e lo stesso studio dei monumenti antichi,sia grafici che tecnici, « ha le sue idee astratte, ha la sua parte filosofica;perchè ha (1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v p. Qui più che mai si palesa quelconcetto della natura, per cui nelle cose occorre distinguere quel che èfattizio accessorio da ciò che è essenziale ed originario, che il Cuoco attingecome abbiamo veduto dal Rousseau ed integra con una sicura intui. zione dellospirito in ogni suo aspetto o attività di vita, che de riva certamente dalVico. 277 le sue regole universali applicabili ai fatti di tutte le na zioni. »(1 ). Bisogna uscire dallo studio del fatto in sè e per sè, sia esso undocumento grafico o un rudere ar chitettonico, risalire allo spirito, all'ideache ha mosso un popolo o un individuo a crearlo. E come nello spi rito umanoc'è un'essenzialità comune, dalle conclusioni particolari ad un popolo occorrerisalire a conclusioni più vaste, a generalizzazioni più audaci, investenti ilnu cleo della universalità, seguendo questi stessi princípi, che il Vico hadivinato nella sua Scienza nova. Giambattista Vico, analizzando la filologiadei greci e dei romani, ha così fissato le norme per ogni filologia, hastabilito leggi sicure, addimostrando non le leggi che governano il linguaggiodei singoli, ma bensì quelle che governano il linguaggio delle nazioni. E cosìsi dica, per i miti, per le norme giuridiche, per i riti. « In tal modo lascienza dell'erudizione diventa veramente filosofica; e ciò, che sappiamo de 'greci e de ' romani, diventa utile ad intendere ciò che della filologia dellealtre nazioni o ignoriamo o conosciamo imperfettissimamente » (2 ). (1 ) V.Cuoco, Scritti vari, Cuoco, Scritti vari, v. II, p. 62. Conclusione. Ed ora cheabbiamo analizzato la personalità di Vin cenzo Cuoco in tutte le suemanifestazioni politiche e pedagogiche, ci sia lecito concludere, pur sapendoquanta parte del pensiero del molisano sia rimasta fuor dalle linee tracciate.Qual'è la posizione del nostro scrittore nella storia culturale d'Italia? Postoa cavaliere tra il secolo XVIII e il XIX è il più importante rappresentante diquel che un critico francese, Paul Hazard, ha detto l'italiani smo, e che, senel secolo XVIII s'impersona nel pen siero storicista, e perciòantirazionalista, di Giambattista Vico, reagente contro l'astrattismorazionalistico di Car tesio, nonchè contro il materialismo di altri minori, innome di supreme esigenze dello spirito; nel secolo XIX si impersona nel Cuoco,che animato dall'alta tradizione nazionale muove contro ogni forma di vita, cheitaliana non sia, e quindi non connaturale a noi, e perciò non veramentestorica ma rigidamente morta, astratta, vuota d'ogni vibrante contenuto umano.È un'ideale continuità quella che lega il Vico al Cuoco, è la gloria perennedel pensiero italico rinascente, quando le straniere infiltrazioni sempre piùsembrano soffocarlo. Il Vico rappresenta un profondo rinnovamento nellafilosofia, e perciò in tutte le attività umane, che dal me todo filosofico nonpossono prescindere: la politica, la storia, la giurisprudenza, l'economia.Asserendo lo spi 279 rito fonte prima d'ogni realtà morale, asserisce la veralibertà, libertà che nè il Medio Evo nè il Rinascimento, moventisi ancoranell'antico dualismo dell'essere e del divenire, potevano assolutamenteconcepire. Egli è il primo, che sente il dinamismo dello spirito e pone legrandi proposizioni della filosofia moderna: il mondo del l'arte sensuoso efantastico, il mondo della storia delle nazioni concretato nelle istituzioni enelle leggi, il mondo della religione e della moralità s'originano da noi, innoi trovano la loro fonte prima perenne inesauribile, nella continua attivitàdello spirito. E, se teniamo fermo questo punto, tutto ci si discopretrasformato, e quel che prima era estrinseco, incasellato, morto divieneintimo, libero, vivo. Ma questa posizione implica un nuovo e diverso processo:la realtà spirituale non si conosce, se non affi sandosi nelle più variemanifestazioni delle sue concretiz zazioni, vale a dire discendendo al verostorico, per poi risalire di nuovo allo spirito prima e remota scaturigine:l'unità dello spirito non si comprende se non attraverso la molteplicità, eviceversa la molteplicità non si com prenderebbe se non per il tramitedell'unità. Chiamiamo filosofia la scienza dell'idea eterna ed im mutabile, diciò che non è transeunte e contingente; chiamiamo filologia la scienza deifatti umani, assom mante in sè ogni mutevole prodotto storico: occorre conciliare l'una con l'altra, la filologia con la filosofia. È il grande assuntodel Vico: porre questo nesso correlativo: non v'è filosofia senza filologia, nèfilologia senza filosofia. La mente umana è l'origine dell’una e dell'altra,produce l'idea, il vero filosofico, come genera il fatto umano, il vero storico.Da ciò scaturisce che la sua realtà è questo mondo degli uomini, in cui siamonati ed in cui ci muo viamo, in cui dobbiamo foggiare la nostra individualitàed agire per noi e per gli altri, per il nostro particolare e per lo Stato, incui vive il nostro miglior noi. E questo il Vico esprime nella notissimaicasastica frase: « questo mondo civile certamente è stato fatto dagli uomini,onde se ne possono, perchè se ne debbono, ritruovare i prin cípi, dentro lemodificazioni della nostra medesima mente 280 umana. Questo il nucleo profondodella filosofia del Vico, che Cuoco acquisisce e fa sangue del suo sangue, movendoda esso a rinnovare la struttura della politica e della pedagogia tradizionale:Il Cuoco in senso rigido non è filosofo vero, come colui nel quale rimangonovecchi e irresoluti reliquati intellet tualistici nonchè contraddizioniinsanabili, per cui in qualche punto è ancor più indietro del suo istessomaestro; ma il suo grande merito è l'aver posto in termini poli tici quel chein Vico era filosofia, e l'aver visto quale inesauribilità di situazioni potevagerminare dalla vec chia esperienza vichiana. In un mondo vuoto e falso qualequello della rivolu zione italo - francese, egli, riinnestandosi al Vico, dàalla nazione quel senso storico che le mancava, e le ridona * quellacomprensione sicura della realtà, quella fiducia, che solo può scaturire da unaferma credenza in noi, nelle nostre possibilità, nel nostro avvenire. Nellarivoluzione napoletana si è detto con felice frase sono i germi dell'unitàd'Italia, e, notiamo, non solo dal punto di vista estrinseco, ma dal punto divista anche intellettuale. Con il cadere della Partenopea, diecine e diecine diesuli si diffondono per il Nord d'Italia, ed ivi portano il loro sapere, laloro cultura filosofica più o meno permeata di vichismo, il loro diritto, laloro economia: da ciò nasce una più intima comunione di spiriti, una più attivafratellanza di idee tra italiani ed italiani. E chi resta insensibile a questogran movimento cultu rale, in cui sono non pochi e piccoli germi di quel chesarà il Romanticismo? Nessuno, direi: non v'è alta co scienza che per effettodi questa propaganda non vi chianeggi. È un po' la moda, ma una moda benefica,che porta ad una migliore intesa tra uomini di diverse regioni d'Italia, cheerano per secoli rimaste quasi estranee tra loro. Più gli studi siapprofondiscono e più questo fenomeno (1 ) G. Vico, Scienza nova, v. I, p. 172.281 appar vero, ' e, notiamo, anteriore in un certo senso al l'opera stessa diVincenzo Cuoco. È di ieri, recentissimo, uno scritto di Luigi Rava, che ciinforma di una rivista, fiorita a Venezia verso il 1796, tre anni prima dunquedell'esilio del nostro molisano, il Mercurio d'Italia, in cui Ugo Foscologiovinetto fa le sue prime armi e pubblica i suoi precoci scritti, La Croce,l'Ode a Dante, La morte di *** ed altri componimenti di minore importanza (1 ).Ebbene in un articolo anonimo sovra l'Abbozzo di un quadro del progresso dellospirito umano del Condorcet v'è un raffronto tra le dottrine del francese equelle di Giambattista Vico. È proprio ca suale questa coincidenza? E ilFoscolo giovinetto, che del Vico poi certo si nutrì come dimostrano molte ideedei Sepolcri e degli scritti critici, rimase insensibile al richiamo di questogrande filosofo italiano, « così poco conosciuto fuori della sua Napoli »? (2 ).Ma i veri apo (1) Luigi RAVA, Le prime armi del Foscolo giornalista: ilMercurio d'Italia, in Rivista d'Italia, a. XXVII (1924), v. I, fasc. III, pp.257-279. (2 ) Un certo quale influsso vichiano forse inconscio si può rinvenirein Carlo Gozzi e nella posizione assunta con le sue ce lebri Fiabe contro ilChiari e il Goldoni, in cui certo egli rappre senta una tradizione veramenteitalica, se pure esausta dal tempo, contro una riforma che a lui pareva unavolgarità, troppo permeata di verismo com'era. Lastessa ricerca del fan tasticoper il popolo in una società razionalista, superba della infinita sicurezzadell' intelletto, è una posizione vichiana. « Il contenuto » scrive il DESANCTIS, (Storia, II, p. 305 e sg. ) se è il mondo poetico com'è concepito dalpopolo, avido del meraviglioso e del misterioso, impressionabile, facile alriso e al pianto. La sua base è il soprannaturale nelle sue forme: miracolo,stregoneria, magia. Questo mondo dell'immagina zione, tanto più vivo quantomeno l' intelletto è sviluppato, è la base naturale della poesia popolana sottole più diverse forme: conti, novelle, romanzi, storie, commedie, farse. Lavecchia letteratura se n'era impadronita, ma per demolirlo, per gettarvi entroil sorriso incredulo della colta borghesia. Rifare questo mondo nella suaingenuità, drammatizzare la fiaba o la fola, cercare ivi il sangue giovane enuovo della com media a soggetto: questo osò Gozzi in presenza d'una societàscettica e nel secolo de’lumi, nel secolo degli spiriti forti e 282 stoli delvichismo sono nell'Italia settentrionale gli esuli napoletani del '99, comeosserva B. Croce (1 ), sono Vin cenzo Cuoco, Francesco Lomonaco, FrancescoSalfi, il Massa, il De Angelis ed innumerevoli altri minori ma pur degni. Perla loro opera si può dire che non vi sia grande scrittore che non vichianeggi.L'influsso che il Cuoco od altri esercitò sul Foscolo, è indiscutibile. A noinon risulta alcun documento com provante possibili e diretti rapporti Cuoco -Foscolo, ma è certo che, se il molisano ebbe relazioni, anche super ficiali,con amici del poeta dei Sepolcri, questi non potè ignorare l'autore del Saggiostorico (2 ). Ma sia o non sia stato il Cuoco od altri (3 ) a far conoscere ilVico al Foscolo, de’belli spiriti. E riuscì ad interessarvi il pubblico, perchèquel mondo ha un valore assoluto e risponde a certe corde che, ma neggiate daabile mano d'artista, suonano sempre nell'animo: ciascuno ha entro di sè più omeno del fanciullo e del popolo ». Del resto l'ultimo editore di C. Gozzi,Domenico Bulferetti, (Le memorie inutili, Torino, 1923, vol. due) non ha potutone gare che lo spirito dell'autore delle Fiabe assuma atteggia menti non certoconsoni al tempo suo e alla veneta società, come tutte le società del tempoilluminata, ma riecheggi un po' il nuovo storicismo meridionale, pur senzaessere riuscito a provare una diretta influenza di quest'ultimo sugli studi delsuo autore. CROCE, La filosofia di G. Vico, p. 289; B. CROCE, Storia dellastoriografia, v. I, p. 12. (2 ) G. ROBERTI, in Giornale storico dellaletteratura italiana, a. XII, v. XXIII, pp. 416-427. Il Roberti raccoglienell'arti colo alcune lettere che C. Botta, U. Foscolo, V. Cuoco inviarono alsuo bisavolo paterno, Giovanni Giulio Robert (poi italianiz zato in Roberti).Le lettere di Foscolo sono delle mere com mendatizie di due esuli meridionali,uno certo Piscopo, l'altro un anonimo, che il Roberti crede, senza peraltrodimostrarlo, che sia il Lomonaco. Da ciò si deduce sicuramente che Ugo ebberapporti con meridionali e con amici diretti del Cuoco. Vedi a proposito G.PECCHIO, Vita di U. Foscolo, Città di Castello, Lapi, ed., 1915, p. 170, p. 210e passim. P.HAZARD, op. cit., p. 241 osserva: « Son influence se répandra même dans lalittérature pure, où en trouvera des traces chez Monti et chez Foscolo. Touxceux lacomprennent les articles que Cuoco consacre à son maître (Vico] ». Ora F. NICOLINI nella Nota agliScritti vari di V. Cuoco, v. II,p. 397, dice che gli 283 gli scritti del poetastanno lì a testimoniare come pro fondamente nutriti essi siano di pensierovichiano: così il processo dell'incivilimento descritto nel carme, per cuifurono nozze e tribunali ed are, che diero alle umane belve essere pietose disè stesse e d'altrui, è derivato di-. rettamente dalla Scienza nova, ove èmeditato il pas saggio dall'età degli dei alle grandi società eroiche (1 ); ecosì pure il costume che tolse i miserandi cadaverici avanzi alle fiere e liprovvide di sepoltura (2 ). Parimenti articoli del Giornale italiano furonoletti attentamente, « molto letti » oltre che da V. Monti e A. Manzoni anche daU. Fo scolo, e allo scopo di provare ciò rimanda ad una recensione, in cui ilmolisano parla del libro Della Tumulazione di A. DELLA PORTA, Como, Ostinelli,in cui « è, come si vede, il medesimo fondo di idee vichiane, a cui.... s’ispirò il Foscolo nei Sepolcri. CROCE, La filosofia di G. B. Vico. Confronta isu citati brani foscoliani con i seguenti di Vico: à Osserviamo tutte lenazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi etempi tra loro lon tane, divisamente fondate, custodire questi tre umanicostumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matri monisolenni, tutte seppelliscono i loro morti; nè tra nazioni, quantunque selvaggee crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consagratesolennità che reli gioni, matrimoni e seppolture. Chè per la Degnità, che «idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon avere un principiocomune di vero, dee essere stato dettato a tutte, che da queste tre coseincominciò appo tutte l'umanità, e perciò si debbano santissimamente custodireda tutte, perchè 1 mondo non s'infierisca e si rinselvi di nuovo » (Scienzanova,). « Finalmente, quanto gran principio dell'umanità sieno le seppolture,s'immagini uno stato ferino nel quale restino insep polti i cadaveri umanisopra la terra ad esser esca de corvi e cani; chè certamente con questobestiale costume dee andar di concerto quello d'esser incolti i campi nonchèdisabitate le città, e che gli uomini a guisa di porci anderebbono a mangiar leghiande, colte dentro il marciume de’ loro morti congionti. Onde agran ragionele seppolture con quella espressione su blime Foedera Generis Humani ci furonodiffinite e, con minor grandezza, Humanitatis Commercia ci furono descritte daTa cito ». (Scienza nova, I, p. 177 ). Notiamo che nel primo brano citato ilrinselvarsi sta per 284 lo stato ferino dei figli della terra, duellanti apredarsi, primi avi dell'uomo, quei cannibali che s ' imbandiscono convitodelle carni umane, così vivi nel mondo rifinito de Le Grazie, non si intendono,se non riferendoci ad un sistema filosofico che è certo quello del Vico (1 ),si stema che siffattamente compenetra l'opera del poeta, che questa trascende esi riflette in tutti gli scritti pro sastici, sia pure storici e critici (2 ).Onde tutta la sua cri tica trova il nucleo originale nei nuovi portatidell'este significare il ritorno allo stato selvaggio primitivo, onde la parolaselva significherebbe lo stato stesso, e che precisamente in questo senso ilprimo e il secondo termine sono stati as sunti da Ugo Foscolo nella celebreOrazione inaugurale: « le umane belve ancor vagabonde per la grande selva dellaterra » (Opere, Monnier); nonchè ripetuti da un gio vane, pur esso destinato adivenire un grande scrittore, da GIOSUE CARDUCCI: « fuggendo per la gran selvade la terra il nato de la donna ululò già co' leoni a la preda cruenta: indicon vitto ferin la vita propagando, incerti videsi intorno i figli: e luicedente de la materia a le vicende eterne l ' immane salma, per lo gran desertodilaceraro i lupi ». (Rime, San Miniato, Tipografia Ristori, 1857, p. 84). (1)La vita preistorica è con viva arte descritta dallo stesso Vico nelle primepagine dell'opera sua, laddove accenna alle prime trasmigrazioni marittime: «....gli antenati di coloro che furono poi gli autori delle trasmigrazioni medesime:furono dapprima uomini empi, che non conoscevano niuna divinità; nefari, chè,per non esser tra loro distinti i paren tadi co' matrimoni, giacevano sovente ifigliuoli con le madri, i padri con le figliuole; e, finalmente, perchè, comefiere be stie, non intendevano società, in mezzo ad essa infame comu nion dellecose, tutti soli e, quindi, deboli e, finalmente, miseri ed infelici, perchèbisognosi di tutti i beni che fan d'uopo per conservare con sicurezza la vita.Essi, con la fuga de propri mali, sperimentati nelle risse, ch'essa ferinacomunità produ ceva, per loro scampo e salvezza, ricorsero ecc. » (Scienzanova). (2 ) Il vichismo del Foscolo è stato rilevato da N. TOMMASEO, Storiacivile nella letteraria, Torino, ma certo non com preso, troppo imbevuto,com'era il critico, di passioni oscura trici d'un equanime giudizio e di falseidee d’un'arte pedago gica: il brano, al quale intendiamo riferirci, è statoraccolto nell'antologia del TOMMASEO, Scritti di critica e di estetica sceltida A. ALBERTAZZI, Napoli, Ricciardi ed., s. d., p. 192 e sgg. 285 ticavichiana, che prima scuote le vecchie scolasticherie, a base di retoriche e dipoetiche per penetrare nello spi rito vivo e fantastico dell'opera d'arte. Mal'influsso più importante e diretto Cuoco lo eser cita direttamente sul Monticol quale ebbe rapporti epi stola, nonchè disappunti letterari, dovuti alfiero" giudizio che l'autore del Saggio faceva circa il carattere delpoeta cesareo assai volubile in politica; e sul Man zoni di cui fu davverointimo (3 ). Le lezioni universi tarie, dal primo tenute a Pavia, specie laprolusione Della necessità dell'eloquenza, il Discorso sulla storia longobardadel secondo (5 ), sono la prova sicura della dif fusione delle dottrine delVico. Vedi a proposito come Foscolo intende l'eloquenza e confrontala con ilmodo come l'intende il Cuoco: G. PECCHIO, op. cit., p. 210, nota; B. ZUMBINI,Studi di letteratura ita liana, Firenze, Le Monnier ed, p. 267; G. A. BORGESE,Storia della critica romantica in Italia, Milano, Treves ed., p. 248 e sgg.,sopra tutto p. 266: « non è una scoperta, dice quest'ultimo, quella delloZumbini che anche le lezioni di eloquenza siano tutte nutrite di concettivichiani; anzi fa rebbe una scoperta chi indicasse uno scritto capitale del Foscolo, nel quale la filosofia della Scienza nova non abbia bene o male la suaparte ». G. Cogo, op. cit., p. 181; N.RUGGIERI, op. cit., p. 47; P. HAZARD, op. cit., p. 241; vedi anche V. Cuoco,Scritti vari v. II, pp. 318, 367, passim. (3) N. RUGGIERI, op. cit., p. 48, ilquale in nota richiama G. CAPITELLI, Patria ed arte, Lanciano, Carabba ed.,1887, p. 182 e sg.; vedi V. Cuoco, Scritti vari, v. I, p. 285; v. II, pp. 318,358, 367, 397, passim. (4 ) V. MONTI, Prose e poesie, Firenze, Le Monnier, 1847,v. IV, p. 31 e sgg. A. MANZONI, Prose minori con note di A. BERTOLDI, Firenze,Sansoni ed., s. d., p. 22 e sgg. Allorquando questo lavoro era già ultimatousciva per le stampe l'opuscolo di G. GENTILE, Vincenzo Cuoco; commemorazionetenuta a Campo basso nel primo centenario della sua morte, Roma, C. De Al bertied., *1924. L'influsso vichiano, per il tramite del Cuoco, nota il prof.Gentile, si rivela « non solo per l'alto concetto in cui dimostra di tenere ilgrande filosofo napoletano, ma anche e principalmente per la forma definitivadella sua mente, per alcuno dei caratteri più significativi della suaindividualità di 286 n Nè questa si arresta qui, ma plasma disè tutta la nuovacritica d'arte, e in parte la nuova storiografia, rifonden dosi con dottrine didiversa origine e di diversi paesi, specie con i canoni romantici di Germania:a chi legge gli scritti del Berchet (1 ), del Torti (2 ), del Di Breme (3 ),non sarà difficile rinvenirvi idee e proposizioni vichiane. Così, gradualmenteper opera del Cuoco e di pochi altri napoletani, il pensiero nazionale si vienformando attra verso un apporto di storicismo e d’idealismo meridio pensatore escrittore, quale è rappresentata sopra tutto ne romanzo. Poichè anche Manzonipensatore e scrittore è un realista che non conosce tipi astratti, ma vedesempre gli uo mini e li rappresenta come sono in fatto storicamente; nonrepubblica di Platone e neppur feccia di Romolo; ideale col suo limite, comediceva De Sanctis: tutto determinato, vero e certo: e così in questadeterminatezza e limitazione e storia, tutto segnato dal dito di Dio,tutto,come aveva insegnato Vico, governato da una Provvidenza che non precedeper mi racoli, ma opera naturalmente attraverso gli stessi effetti delle cose ele azioni degli uomini. (1 ) Vedi BORGESE, op. cit., p. 105: « il Berchet s'eranutrito degli scrittori più audaci d'oltremonte: la Staël, il Bouterweck, gliSchlegel erangli familiari; conobbe non leggermente la let teratura inglese ela tedesca; dei nostri venerò sopra tutti il Vico e il Beccaria. Vari filidella vita intellettuale d'Italia, annodandosi, davano origine alla nuovacritica e alla nuova letteratura;.... nel secolo decimottavo la filosofia avevasilen ziosamente ed oscuramente rinnovato gli spiriti e s' era con pertinacelentezza accostata alla letteratura, col Vico, non compreso, col Cesarotti noncomune ragionatore, col Beccaria autore di un trattato dello stile: e, se forzadi filosofare non ebbe il Berchet, questi filosofi studiò e ammirò non debolmente ». BORGESE, op. cit., p. 189: « il Torti fu uomo di non co mune coltura ed'ingegno e, cosa a quei tempi molto rara, conobbe il Vico e si richiamò alleleggi da luisegnate, senza divenire per questo critico grande ». (3 ) L'ampiainfluenza del Vico si stende su tutta l'opera di Ludovico Di Breme e su quelladi tutti i redattori del Concilia tore, ed è stata ben messa in lucedall'ultimo editore dell'abate piemontese C. CALCATERRA (L. d. B., Polemiche,Torino, Unione tip. - editrice torinese, s. d. ], che dell'idealismo dei primiromantici, della loro reazione ai vecchi sistemi filosofici, dei loro studi, faun'ampia disamina. 287 nale al positivismo e al razionalismo settentrionale. Ècerto un processo lento e faticoso, ma nondimeno si curo, le di cui conseguenzeultime occorre osservare non soltanto nel campo critico e storiografico, maanche, e sopra tutto, nel campo politico. « Eppure si come giusta mente notaGiovanni Gentile « nonostante la propaganda del Cuoco,... quantunque i germi dalui seminati sian caduti in intelligenze delle maggiori del secolo, si puòaffermare che la voce del Cuoco come banditrice della verità vichiana non trovinessuna eco in tutto il resto del secolo. Altri scrittori, segnatamente ilGioberti, hanno lavorato ad educare le menti italiane al realismo poli tico;altri filosofi, segnatamente lo Spaventa, hanno la vorato a sviscerare ilnucleo centrale della filosofia vi chiana; ma fino ai nostri giorni nessuno havisto in questa filosofia così nettamente e fermamente come Vincenzo Cuoco ilnuovo metodo, veramente rivoluzionario, " del pensare storico e politico eun potente irresistibile argo mento per un programma politico nazionale. Egli,per questo rispetto, rimane sulla soglia del secolo XIX, maestro unicosolitario: un veggente » (1 ). Con ciò vo gliamo semplicemente dire che se ledottrine vichiane nel campo estetico, attraverso la propaganda del Cuoco, dànnosubiti e luminosi effetti, nel campo politico, que sti effetti sono più lenti etardi, quasi misconosciuti al lorquando si manifestano: Vincenzo Cuoco è unmaestro senza discepoli, o meglio, con un solo discepolo, e per avventuragrandissimo, Giuseppe Mazzini. Quel che nel Cuoco abbiamo detto realismopolitico, derivazione stretta di tutto l'insegnamento della Scienza nova, non èdestinato a perire, ma, rinnovandosi, tra sformandosi porta alle più grandiconquiste del secolo: « primo, a riconoscere e a mettere in rilievo l'individualità insopprimibile di tutte le formazioni storiche; se condo, a negare che unpopolo, come un individuo, possa nulla ricevere di fuori, e che possaprogredire ed elevarsi senza uno sforzo proprio fondato sulla stima di sè esulla GENTILE, V. Cuoco: commemorazione, p. 13 e sg. 288 fiducia delle proprieforze » (1 ). Questi due postulati gran diosi e veri, posti dal Cuoco nellacoscienza degli Italiani, non si distaccheranno più da essa, e formeranno ilnucleo di tutta l'educazione nazionale e di tutta la pratica po litica, che sisintetizza nell'opera di Mazzini. Ora i nuovi studi di F. L. Mannucci circa laprima fase del pensiero mazziniano hanno messo bene in luce come il genovesenon solo si sia nutrito del Vico per il tra mite del Michelet (3 ), ma in suoiprivati zibaldoni abbia recensito e fatto estratti de ' numerosi e viviarticoli, che (1 ) G. GENTILE, V. Cuoco: commemorazione, p. 14. (2 )L'influenza del Vico su Mazzini è stata ben posta in luce prima che dalMannucci dal BORGESE, op. cit., p. 291 e sgg. « Egli era, come il Foscolo,lontano dal finalismo dommatico che impediva in ogni modoal Tommasèo di trarrevita e nutri mento dalle dottrine del Vico. Epperò egli era in condizioni piùfelici di quei due che l'avevano preceduto nell’a i mirazione pel Vico, e se nedisse discepolo con convinzione non minore, ed anzi ne persuase lostudioproprio per il rinnovamento della storia letteraria. « Il vuoto esistentenella filosofia », egli la mentava, « deve naturalmente ripetersi nella criticaletteraria, che è la filosofia della letteratura »; e la filosofia ch'egli desiderava era proprio la Scienza nova. « Il vincolo », disse altrove, paragonandole antiche congerie erudite che usurpavano il nome di storie letterarie conquelle che venivano in onore per effetto del rinnovamento romantico, « ilvincolo che annoda in un popolo le istituzioni, le lettere e i progressi dellaciviltà, indovinato un secolo innanzi dal nostro Vico, fu posto in chiaro,sottomesso ad analisi e diede cominciamento ad una sola scuola, il cui scoposantissimo or s'irride da chi non sa, o non cura comprenderlo ». E sicompiaceva che ora molti libri e molti studiosi traessero il Vico daquell'obblìo a cui per cento anni lo avevano condannato le baieerudite el'inerzia degli animi». MANNUCCI, Giuseppe Mazzini e la prima fase del suopensiero letterario: l'aurora d'un genio, Casa ed. Risorgimento, Roma, ecc. IlMannucci ci rende edotti che uno dei cinque mss. da lui stu diati, di cui duesono aPortomaurizio in casa dei sigg. Cremona eredi Ferrari, tre nel Museo delRisorgimento a Genova, con tiene una recensione dei Principes de la philosophiede l'histoire traduits de la Scienza Nuova de Fico et precédés d'un discourssur le système et la vie de l'auteur, par J. MICHELET, professeur, ecc., Paris,Renouard, 1827. Vedi a proposito diquesta versione fran cese, CROCE. La filosofia di Vico. Cuoco anda pubblicandosul Giornale italiano, firman doli con la semplice sigla C. E in questizibaldoni il lettore commosso può rinvenirvi annotate le Osserva zioni sullostato politico dell'Europa, le Considerazioni sul Concordato, in cui Vincenzogetta uno sguardo rapido non solo sul passato e sul presente d'Italia, ma anchenel più lontano avvenire, risolvendo, da una parte, sovra basi giurisdizionaliil millenario problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, dall'altra la questionedell'equilibrio europeo. È interessante notare, pure, come il Mazzini, postillando il famoso scritto cuochiano sul Machiavelli, da noi a più ripreserichiamato, laddove il molisano loda con il segretario di Firenze il ducaValentino, perchè tra tanti scellerati principotti avrebbe potuto rimaneresolo, nota: oltre a questo aggiungerei che un tiranno si spegne più facilmentedi cento ». Esuberanze giova nili che il Cuoco avrebbe rimproverato e che lostesso Maz zini maturo avrebbe certo rinnegato ! Sicuramente.... Ma io amopensare il giovane Giuseppe, appena uscito dal l'università, chino sulle paginedel Cuoco, e, meditabondo, ripensare con lui le sorti della patria e la suaredenzione morale non attraverso giuridici compromessi o speranze d'equilibriieuropei, ma attraverso un'azione che è pen siero, perchè guidata dal pensiero,attraverso un pen siero che è azione, perchè mirante agli uomini e alle lorocoscienze. Il grande merito del Mazzini è precisamente l'avere accettato leultime conclusioni politiche cuochiane ed averle con un apostolato senza pariconcretate nella vita. Il popolo, il popolo, che il Cuoco vede nell'avvenirenucleo vibrante della patria, diviene il fondamento della repubblica delMazzini, e in suo nome e per lui l'Italia Il fatto che gli articoli non sianofirmati che con una si gla, il fatto che negli zibaldoni il Mazzini non citiespressamente il Cuoco fa pensare al Mannucci che il grande agitatore non abbiamai pensato che gli articoli da lui letti nel Giornale italiano fossero propriodi Cuoco: così pure GENTILE, V. C.: commemorazione, p. 26. In quanto poi alSaggio storico il prof. Gentile sostiene nella stessa pagina che il genovesenon solo lo conobbe ma lo menzionò. B., 290 diviene dopo tante lotte una eindipendente, diviene nazione e Stato. Il Cuoco intuisce che il problemaunitario è un problema di coscienze, Mazzini lo conferma, e nel binomioPensiero e azione redime l' Italia. Questa vasta trama d'influssi, che ladottrina cuo chiana, in tutti i suoi attributi, sopra tutto nelle inter ferenzepolitiche, ha esercitato nel pensiero italiano, specie settentrionale,meriterebbe uno studio a parte, ma a me basta averne tracciato le somme linee,il filo conduttore, perchè risulti ai lettori uno essere il processo che portaall'unificazione d'Italia nel nome di una tra dizione secolare, che dal Vico vaal Mazzini e che un'unità così raggiunta, vale a dire attraverso una compenetrazione graduale e lenta di spiriti e d'idee, per quanto ancor recente, è tropposalda, perchè alcuno possa te mere di vederla infranta nell'urto fragorosod'interessi antagonistici internazionali o classisti, perchè altri si ar roghiil non ammissibile diritto di salvarla e di rappre sentarla. 4 Notabibliografica. Ho seguito i testi più sicuri dal punto di vista tipografico,cioè: Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 a cura diFausto Nicolini, Bari, Laterza ed., 1913, che ho raffrontato con l'edizionemilanese del Sonzogno, e con quella fiorentina del Barbèra; VINCENZO Cuoco,Platone in Italia a cura di F. Nicolini, Bari, Laterza; VINCENZO Cuoco, Scrittipedagogici inediti o rari raccolti e pubblicati da Giovanni Gentile,Roma-Milano, Albrighi e Se ganti ed. Gli articoli del Giornale italiano hoveduto sul testo originario, ma spesso mi sono servito delle ristampe inappendice alle opere critiche del Romano e del Cogo. Allorquando il mio lavoroera già compiuto sono usciti i due volumi di scritti cuochiani, che integranonella raccolta degli Scrittori d'Italia laterziana il Saggio e il Platone: Cuoco,Scritti vari a cura di Cortese e Nicolini, Bari, Laterza. Con questa stampaquanto di meglio è stato scritto dal grande molisano è oramai stato dato alpubblico, e ben poco resta da fare nel campo dell'ine dito. Non tutti gliarticoli del Giornale italiano invero hanno tro vato l'attesa ripubblicazione,ma, sebbene alcuni scritti di una certa importanza siano stati posti fuori,quei ventisette che il Cortese e il Nicolini hanno scelto, uniti al catalogoragionato dei 292 rimanenti, bastano a dare un'idea più che sufficiente al lettore dell'attività pubblicistica del nostro autore. Va data lode ai due insignieditori Cortese e Nicolini per non avere lasciato da parte gli articoli; che ilCuoco ha pubblicato nel Corriere di Napoli e nel Monitore delle due Sicilie, iquali, sebbene assai meno interessanti di quelli del Giornale italiano, purepossono essere utili, e per avere di essi pure offerto un catalogo ragio nato.S’ intende che ho riveduto il testo di tutti gli scritti minori di VincenzoCuoco sovra la nuova edizione laterziana, che offre i migliori affidamenti diserietà e di rigore, sopra tutto per la ortografia, che, specie nei foglioriginari del Giornale italiano, è la più volubile e ineguale. P. ALBINO,Biografie e ritratti degli uomini illustri della pro vincia di Molise,Campobasso; F. BALSANO, Vincenzo Cuoco e gli studi della gioventù italiana inRivista Bolognese; BATTAGLIA, Critica rivoluzionaria e tradizione nel pensierodi Cuoco in Studi politici; BUTTI, La fondazione del « Giornale italiano » e isuoi primi redattori, Milano, Cogliati ed. (estr. dall' Arch. stor. lomb.),alla quale operetta si riferisce la recensione di OTTONE in Riv, stor. it.; A.BUTTI, Una lettera di V. Cuoco al vicerè Eugenio, nella miscellanea Dai tempiantichi ai tempi moderni (per nozze Scherillo- Negri), Milano, Hoepli; A.BUTTI, L'Anglofobia nella letteratura della cisalpina e del regno italico, inArchivio storico lombardo, a. XXXVI, p. 434 e sgg.; C. CANTONI, GiambattistaVico, studi storici e comparativi, Torino, Civelli; N. CAPRARA, Cuoco, Isernia;L'indicazione dell'opuscolo non è esatta, poichè la sola copia che ho potutovedere manca del frontespizio: del resto si tratta di uno scritto di mero interesse bio - bibliografico. 293 9 G. Cogo, Vincenzo Cuoco, note e documenti,Napoli, Jovene ed., (cfr. le recensionidi G. GENTILE in Archivio stor. Nap., poi ristampata in ap pendice agli Studivichiani, Messina, Principato; di G. GALLAVRESI in Il Risorgimento italiano; eancora di GALLAVRESI in Arch. stor. lomb., CONFORTI, Napoli nel 1799, critica edocumenti inediti, Napoli, De Falco, (una confutazione di molte affermazioniingiuste dell'autore è in RUGGIERI, Cuoco, Rocca San Casciano, Cappelli, nonchèin M. ROMANO, Ricerche su V. Cuoco, Isernia); B. CROCE, La filosofia diGiambattista Vico, Bari, Laterza ed., 1911, passim; CROCE, La rivoluzionenapoletana, Bari, Laterza; CROCE, Storia della storiografia italiana nel secoloXIX, Bari, Laterza; R. DE RENZIS, Il risveglio degli studi intorno a V. Cuocoin Italia moderna, 1905; G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meridionale neisecoli XVIII e XIX, Bari, Laterza; SANCTIS, Storia della letteratura italiana,Milano, Treves (accenni ); F. DE SANCTIS, Saggi critici, Milano, Treves; A.FRANCHETTI, Storia d'Italia, Milano, s. d., Vallardi; GENTILE, Studi vichiani,Messina, Principato ed., 1915 (in cui è ristampato lo studio Un discepolo di Vico:Vincenzo Cuoco pedagogista, già pubblicato in Riv. pedagogica); G. GENTILE, DalGenovesi al Galluppi, Napoli, edizione della Critica, GERINI, Gli scrittoripedagogici italiani del secolo XIX, G. B. Paravia ed., 1910, Torino,; F. GUEX,Storia dell' istruzione e della educazione, trad. o note con app. su Ilpensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico di G. VIDARI, G. B.Paravia ed., s. d., Torino; e HAZARD, La révolution française et les lettresitaliennes, Paris, Hachette ed., 1911, p. 218 e egg.; B. LABANCA, GiambattistaVico e i suoi critici cattolici, Napoli, Pierro ed., LEVATI, Saggio sullastoria della letteratura italiana nei primi venticinque anni del secolo XIX,Milano, Stella ed., 1831, p. 228; G. MAFFEI, Storia della letteratura italiana,riveduta da P. Thouar, Firenze, Le Monnier; F. L. MANNUCCI, Giuseppe Mazzini ela prima fase del suo pensiero letterario; l'aurora di un genio, Casa ed.Risorgimento, Roma, (cfr. recensione di G. GENTILE in Critica, MARCHESI, Studie ricerche intorno ai romanzieri e ro manzi del ' 700, Bergamo; A. MARTINAZZOLIE CREDARO, Dizionario illustrato di peda gogia, F. Vallardi ed., 1901-5, Milano);MASTROIANNI, Ricerche storiche pubblicate per delibera zione del R. Istituto d'incoraggiamento di Napoli, Napoli, Pierro ed.,.; P. MONROE ed E. CODIGNOLA,Breve corso di storia dell'edu cazione, trad. di S. CARAMELLA, Vallecchi ed.,8. d., Firenze, NATÁLI, Nel primo centenario della morte di V. Cuoco in Rivistad'Italia, G. NATALI, L'idea del primato italiano prima di V. Gio berti, Roma,1917 (estr. dalla Nuova Antologia ); G. NATALI, La letteratura italiana nelperiodo napoleonico, 1916 (estr, dalla Rivista d'Italia ); G. NATALI, La vita eil pensiero di F. Lomonaco, Napoli, San giovanni ed., 1912 (estr. dagli Attidella R. Accademia di sc. mor. di Napoli: cfr. GENTILE, Studi vichiani, p. 361); L. PALMA, I tentativi di nuove costituzioni in Italia dal 1796 al 1815 inNuova Antologia, L'articolo Cuoco è fifmato A. Martin azzoli. 295 1 OTTONE, V.Cuoco e il risveglio della coscienza nazionale, Vigevano, Unione tip.vigevanese, 1903 (cfr. le recensioni di A. LEONE, in Riv. stor. ital.; di A.Butti, in Giorn. stor. d. lett. it.; di S. Rocco, in Rass. crit. d. létt. it.;e infine di G. G[ ENTILE) in Arch. st. per le prov. nap.); G. OTTONE, La tesivichiana di un antico primato italiano nel « Platone » di Cuoco: contributoalla storia del risveglio nazionale nel periodo napoleonico, Fossano, Rossetti,1905, (cfr. recensioni di A. Butti, in Giorn. st. d. lett. it.; di S. Rocco, inRass. crit. d. lett. it.); G. OTTONE, Mario Pagano e la tradizione vichiana delsecolo scorso, Milano, Trevisini; PEPE, Necrologia: Cuoco, in Antologia (riprodottadinanzi a varie edizioni del Saggio storico del Pomba di Torino ); I. RINIERI,Della rovina d'una monarchia; relazioni storiche tra Pio VI e la Corte diNapoli, Torino; ROBERTI, Lettere inedite di C. Botta, U. Foscolo e V. Cuoco inGiorn. st. d. lett. it.; M. ROMANO, Ricerche su V. Cuoco, politico,storiografo, ro manziere, giornalista, Isernia, Colitti, 1904 (cfr. recensionidi S. Rocco, in Rass. crit. d. lett. it.; di A. BUTTI, in Giorn. st. d. lett.it.; infine di G. GENTILE, in Critica, III (1905), p. 39 e sgg., ristampata inScritti vichiani); M. ROMANO, Una pagina inedita di V. Cuoco su G. B. Vico,nella miscellanea: Scritti di storia, di filosofia e d'arte (nozze FEDELE- DEFABRITIIS ), Napoli, Ricciardi.; P. ROMANO, Per una nuova coscienza pedagogica,G. B. Pa ravia ed., s. d., Torino, pp. 102-124; N. RUGGIERI, Vincenzo Cuoco:studio storico critico con una appendice di documenti inediti, Rocca S.Casciano, L. Cappelli (cfr. recensioni di B. CROCE, nella Critica; di G.R[OBERTI), in Giornale st. d. lett. it.; di F. TORRACA, in Rass. bibl. d. lett.it.; di S. Rocco, in Rass. crit. d. lett. it., a..; di C. R [INAUDO), in Riv.stor. it., a. XXI, 3a 8., vol. III (1904), p. 58 e sgg ); L. SETTEMBRINI,Lezioni di letteratura italiana, Napoli, Mo rano; R. SÓRIGA, L'emigrazionemeridionale a Milano nel primo quinquennio del secolo XIX, in Bollettino dellasocietà pavese di storia patria; TRIA, Vincenzo Cuoco a proposito di due suelettere ine dite in Rass. crit. d. lett. it. (cfr. RUGGIERI, op. cit., p. 94;ROMANO; A. Zazo, Le riforme scolastiche di Gioacchino Murat, Roma, Albrighi eSegati ed., 1924, (estratto dalla Rivista pedagogica, a. XVII ). « Nel 1905,scrive iGENTILE (Studi vichiani), l'Accade. mia delle scienze morali epolitiche di Napoli bandì un concorso sul pensiero politico di V. Cuoco, dastudiarsi anche nei mss. acquistati dalla Nazionale di Napoli. Fu presentatauna sola memoria, ancora inedita, di M. ROMANO, Di V. Cuoco consi derato comescrittore politico e dei mss. recentemente acquistati dalla Nazionale di Napoli(sulla quale vedi PERSICO, Rel. sul concorso per il premio sul tema « DiVincenzo Cuoco, ecc. » nei Rend. dell'Acc. ecc., tornata del 22 dic. 1906 ».Circa questi mss. vedi Suppl. alla Riv. di bibl. ed arch., nonchè RUGGIERI, op.cit., p. 63; Cogo, op. cit., p. 45, n. 13, il quale ultimo di essi mss.abbondante mente si serve, documentando le sue acute asserzioni, e infine CROCEnella Critica. Del Cuoco si sono occupati varî autori in storie generalipolitiche e letterarie, di cui citerò soltanto alcuni più noti: V. FIORINI e F.LEMMI, Periodo napoleonico, in Storia politica scritta da una Società diprofessori, Milano, Vallardi, s. d. passim; LEMMI, Le origini del Risorgimentoitaliano, Milano, Hoepli; Rosi, L'Italia odierna, Unione tip.- editr. torinese,1922, v. I, p. 206, p. 238, passim; G. MAZZONI, L'Ottocento, Milano, Vallardi,in Storia letteraria scritta da unasocietà di professori; V. Rossi, Storiadella letteratura italia na, Milano, Vallardi; A. D' ANCONA e 0. BACCI, Manualedella letteratura italiana, Firenze, Barbèra; F. TORRACA, Manuale dellaletteratura italiana, settima ed., Firenze, Sansoni. Il primo centenario dellamorte di V. Cuoco è stato degna mente ricordato agli italiani, oltre che dallapubblicazione dei due volumi di Scritti vari per cura di N. Cortese e di F.Nico lini, dalla commemorazione di Campobasso tenuta da G. GEN TILE (VincenzoCuoco, Roma, Alberti). Preannunziando o annunziando la ricorrenza scrissero delgrande molisano S. ARCOLESE, Cuoco, in Il popolo molisano; G. COLESANTI, Unrealista; Vincenzo Cuoco, in Il mondo; F. BARIOLA, Vincenzo Cuoco, in Gazzettadelle Puglie; F. Mo MIGLIANO, Commemorazione di V. Cuoco, in Conscientia, 2 febbraio 1924. Ottima sotto ogni rapporto è la prolusione al Corso di Fi losofiaGiuridica tenuta nella R. Università di Firenze da G. DE MONTEMAYOR: La buonapolitica: dal Vico al Cuoco al Risorgimento Italiano (Roma, Soc. AnonimaPoligrafica). Altra raccolta di scritti per uso scolastico. V. CUOCO -Educazione e politica (Bemporad 1925 ) fu composta, pre ceduta da una largaintroduzione, da G. MARCHI. V'è una duplice inesattezza: ad BUTTI sono riferitigli scritti, Un articolo dimenticato di V. Cuoco sugli scrittori politiciitaliani, in La Critica, e Una pagina inedita su Vico in miscellanea Per nozzeFedele- Fabritiis, p. 181, la riesumazione dei quali spetta, del primo a B.CROCE, del secondo a M. ROMANO. (2) L'articolo del Colesanti era presentato suIl mondo come facente parte di un numero unico cuochiano da pubblicarsi inCampobasso, che non ho potuto avere nè vedere. La tradizione italica Frammentidi lettere a V. Russo » e la critica rivoluzionaria. Il « Saggio Storico sullarivoluzione di Napoli » Napoleone e la sua politica generale. Nazionalità eitalianismo nel « Giornale italiano » Il « Platone in Italia » e la tesi di unantico primato italico. L'educazione nazionale nel pensiero cuochianoConclusione Nota bibliografica.Felice Battaglia. Keywords: valoriitaliani, essere italiano, valori italiani, “spirito nazionale in Italia” -- ius, giure. –spirito nazionale, spirito italico, spirito italiano, spirito nazionale inItalia, Vicco, Cuoco, roma antica, Etruria, ‘la tradizione italica’, il‘Platone’ di Cuoco, ‘Cuoco non e un vero filosofo’, Gentile, Schelling,volksseele volksgeist, anima di una nazione, anima universale, animus di unanazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice eBattaglia” – The Swimming-Pool Library.
LuigiSperanza -- Grice e Battista: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicaturaconversazionale della la percezione – scuola di Nicosia – filosofia siciliana-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, TheSwimming-Pool Library (Nicosia).Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Nicosia, Etna, Sicilia. Grice: Verygood. – Giovanni Battista – he assumed the name “BONOMO” Gabriele Bonomo Frate Gabriele Bonomo o Bonhomo – Appartenenteall'Ordine dei Minimi. Scrive un saggio sulla “trigonometria”. e inventò un orologio automatico. Entra come frate nell'Ordine dei Minimi conil nome di Gabriello e fu assegnato al convento di Santa Oliva di Palermo. Pietro Riccardi, Bibliotheca mathematicaitaliana; Editore Soliani, Antonio Muccioli, Le strade di Palermo, EditoreNewton et Compton, Dizionario biografico degl’italiani, Istitutodell'Enciclopedia Italiana.Biografie: di biografie Categorie: TeologiitalianiMatematici italiani del XVIII secoloFilosofi italiani Professore Nicosia(Italia) PalermoMinimi. Batista. Giovanni Batista. Giovanni Battista. Battista.Keywords: percezione, trigonometria, orologio automatico, la filosofia dellatrigonometria, Comte, la trigonometria nella matematica italiana, Venezia, lafilosofia illustrata, la teoria causale della percezione. Refs.: “Grice eBattista” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Gricee Bausola:la ragione conversazionale e l’implicaturaconvrsazionale della solidarietà – scuola d’Ovada – filosofia piemontese -- filosofiaitaliana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, TheSwimming-Pool Library (Ovada). Filosofopiemontese. Filosofo italiano. Ovada, Alessandria, Piemonte. Grice: “I wouldcall Basuola a Griceian – he speaks of the ‘reasons for solidarity,’ which isexactly the point I want to make, alla Kant, in ‘Aspects of reason,’ as peoplekept asking me for the rationale – i. e., literally, the rational basis – forconversational cooperation – People agree that conversation is rational; but mystronger thesis is that it’s cooperation which is rational. That is Bausola’spoint.” “Basuola has also explored the topics of ‘inter-personal relation’ froma philosophical rather than sociological perspective – and therefore into thecompromise between self-love and other-love, or freedom and responsibility --.A genius! That he also admires my latitudinal and longitudinal unity ofphilosophy (‘storiografia filosofica,’ as the Italians call it) is a plus, orbonus!” – Figlio di Filippo, scultore cieco di guerra ed Eugenia Bertero. Conseguita unaformazione cattolica attraverso le scuole primarie delle Madri Pie, fondate daPaolo Gerolamo Franzoni, e dei Padri Scolopi, gli studi liceali lo vedono aNovi Ligure al Classico Statale "Doria" dove «la materia cheveramente fu per lui una rivelazione è la filosofia». Sceglie così la facoltà all'UniversitàCattolica a Milano, dopo un incontro con Padre Agostino Gemelli e MonsignorFrancesco Olgiati, vincendo anche il concorso per un posto gratuito nelCollegio Augustinianum. Fra i suoi docenti emergono due figure che per lui sono«maestri di vita e di pensiero», esponenti di spicco del movimento neotomista:Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi. Diventa così libero docente difilosofia morale. Vincendo la cattedra di storia della filosofia viene chiamatoalla Cattolica, è ordinario di filosofia morale passando poi, ad ordinario difilosofia teoretica. È preside della facoltà di lettere e filosofia. Chiamato afar parte del Pontificio Consiglio della Cultura istituito da Giovanni Paolo II.Dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ne diventa il Rettore. È stato anche direttore della Rivista difilosofia neo-scolastica, ininterrottamente, della rivista Vita e Pensiero econdirettore della Rivista Internazionale dei diritti dell'uomo. Inoltre hadiretto la sezione di filosofia moderna della collana dei Classici dellaFilosofia dell'Einaudi Rusconi. Ha fatto parte del Direttivo del Centro di metafisicaistituito dalla Cattolica, e per esso ha co-diretto la collana di pubblicazioniMetafisica e storia della metafisica.Tra gli altri incarichi e funzioni è stato: Socio dell'Accademia Nazionale dei Linceinella categoria scienze filosofiche; Membro dell'Istituto LombardoAccademia diScienze e lettere; Membro del direttivo della Società Filosofica Italiana; VicePresidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali deiCattolici Italiani; Consulente della Sacra Congregazione per l'EducazioneCattolica; Presidente di una delle Commissioni del Convegno ecclesialeEvangelizzazione e promozione umana a Roma; Moderatore di uno dei cinque ambitidel Convegno ecclesiale Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini aLoreto; Uditore al Sinodo straordinario dei Vescovi indetto dal Papa per l’anniversariodel Concilio Vaticano II; Studi Sul piano teorico, le direttive di indagine diBausola sono soprattutto quella etica (fondazione della morale), quellaantropologica (il problema della libertà; il tema della cultura e della culturacristiana in particolare), e quelle della metafisica e della gnoseologia. Isuoi interessi principali di studioso sono rivolti, sul piano storicoall'idealismo e al neo-idealismo, esperto a livello internazionale di Schellinge di Pascal i suoi studi sono rivolti anche a Brentano, John Dewey e alpragmatismo, alla tematica esistenzialista. Caratteristico delle opere di B. làdove si tratti dello studio di filosofi del passato, o del nostro tempoè illegame tra ricostruzione storica e ripensamento critico, secondo criteriteoretici: un orientamento volto, attraverso il dialogo con alcune delle piùimportanti prospettive della filosofia moderna e contemporanea, ad unripensamento della concezione classica del sapere. La sua attivitàpubblicistica si è svolta sul terreno filosofico, politico-culturale,etico-religioso, e si è realizzata su giornali e su riviste di cultura. Altre opere: “Saggi sulla filosofia diSchelling” (Milano, Vita e Pensiero); “L'Etica di Dewey, Milano, Vita ePensiero); “Filosofia e storia nel pensiero crociano, Milano, Vita e Pensiero);“Metafisica e rivelazione nella filosofia positiva di Schelling, Milano, Vita ePensiero); “Etica e politica nel pensiero di Croce, Milano, Vita e Pensiero);“Il pensiero di Schelling); “Conoscenza e moralità in Franz Brentano, Milano,Vita e Pensiero); “Indagini di storia della filosofia. Da Leibniz a Moore,Milano, Vita e Pensiero); “Lo svolgimento del pensiero di Schelling. Ricerche,Milano, Vita e Pensiero); “Il problema del valore nella filosofia analitica,Milano, Scuole Grafiche Opera Don Calabria); “Il problema della libertà. Introduzionea Sartre, Milano); “Filosofia della rivelazione. Federico Guglielmo GiuseppeSchelling” (Bologna, Zanichelli); “Introduzione a Pascal, Bari, Laterza); “FriedrichW. J. Schelling, Firenze, La Nuova Italia); “Filosofia Morale. Lineamenti,Milano, Vita e Pensiero); “Natura e progetto dell'uomo: riflessioni suldibattito contemporaneo, Milano, Vita e Pensiero); “Libertà e relazioniinterpersonali: introduzione alla lettura di L'essere e il nulla, Milano, Vitae Pensiero); “Pensieri, opuscoli, lettere di Blaise Pascal, con Remo Tapella,Milano, Rusconi); “Libertà e responsabilità, Milano, Vita e Pensiero “Lalibertà” (Brescia, La Scuola); “Le ragioni della libertà, le ragioni dellasolidarietà” (Milano, Vita e Pensiero); “Fra etica e politica, Milano, Vita ePensiero. Onorificenze Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della culturae dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti dellascuola della cultura e dell'arte — Roma, Commendatore dell'Ordine al meritodella Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria Commendatoredell'Ordine al merito della Repubblica italiana —Cavaliere di gran crocedell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavalieredi gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Roma; Cavalieredi Gran Croce dell'Ordine di San Gregorio Magno nastrino per uniforme ordinariaCavalieredi Gran Croce dell'Ordine di San Gregorio Magno. Grillo, B. nei ricordi dellasorella, ne Atti del convegno "Studi di Storia Ovadese",pubblicazione dedicata alla memoria di Adriano Bausola, Accademia Urbense diOvada, Avvenire, su swif . Quirinale: dettaglio decorato. Quirinale: dettaglio decorato. Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.Costa, Un Ovadese nel mondo della cultura italiana: Adriano Bausola, filosofo,in URBS Silva et flumen, Alessandro Laguzzi; Edilio Riccardini, Atti delConvegno Studi di Storia Ovadese, Ovada, Accademia Urbense, Costa, Un Ovadesenel mondo della cultura italiana: Adriano Bausola, filosofo, URBS silva etflumen, trimestrale di storia locale dell'Accademia Urbense di Ovada, Anno suarchiviostorico.net. Flavio Rolla, B., filosofo. Ricordo dell'illustre ovadese,URBS silva et flumen, trimestrale di storia locale dell'Accademia Urbense diOvada, su accademiaurbense. Dal sito filosofico.net: B. Fusaro, su filosofico. net.blog philosophica. Wordpress Cortesi Predecessore Magnifico Rettore dell'UniversitàCattolica del Sacro Cuore Successore Stemma UCSC.png Lazzati Zaninelli FilosofiaUniversità Università FilosofoAccademici italiani Professore Ovada RomaBenemeriti della scuola, della culturae dell'arteCavalieri di gran croce OMRI Commendatori OMRI Studentidell'Università Cattolica del Sacro CuoreRettori dell'Università Cattolica delSacro CuoreProfessori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. AdrianoBausola. Keywords: solidarietà, storia in Croce – “The problem with Bausola isthat he is a Roman!” – Grice. Croce, fascismo, totalitarismo,utilitarismo, egoita, noi-ita, Marx, conflitto, cooperazione, soderale, anchesolidaria, Butler, egoism, altruismo, self-love, other-love, self-love, benevolence,ichheit, wirkheit, weness, we-ness, io-ita, ioita – Archivio di Filosofia –noi-eta, noi-ita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bausola” – The Swimming-PoolLibrary.
Luigi Speranza -- Gricee Bazzanella: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale delluogo dell’altro – scuola di Trieste – filosofia friulana -- filosofia italiana– Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-PoolLibrary (Trieste). Filosofo triestino. Filosofofriulano. Filosofo italiano. Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Bazzanella; hehas a totally different background from mine, but we can communicate – I havefocused on conversational communication; he specializes in televisionalcommunication; he has used Heidegger’s concept of contamination to elucidatethat of structure .” Grice: “My favourite of his tracts must be one on ethicsand topology, broadly understood, which is all that my theory of conversationalhelpfulness is about – Bazzanella entitles his essay, ‘il lugo dell’altro,’playing with the strictness of his topological approach as applied to the ethosthat results when ‘ego’ meets and communes with ‘alter.’” Partecipaa tre edizioni della Biennale di Venezia e a una edizione della Biennale diArchitettura. Di formazione fenomenologica e tutee di Rovatti, inizia la suaattività filosofica a con un saggio su Jankélévitch, per poi approfondire ilpensiero di Heidegger, Husserl, nonché di autori francesi del secondodopoguerra quali Derrida, Foucault, Lacan, Merleau-Ponty, Deleuze e Guattari. Delineauna echologia. Ipotizzando che l'ontologia non e che una finzione o undispositivo di tipo immunologico, storicizzabile e tipico della societàoccidentale. Successivamente elabora l’echologia inserendola nel contesto più ampiodel senso -- applicandola al consumo. Espone a Udine "Size". Il suo sviluppo della performance introducenella gestualità del corpo le nuove tecnologie multimediali sulla scia delleinstallazioni di Tony Oursler. AllaBiennale di Venezia progetta un'installazione multimediale (Blue Zone)che inaugura una serie di opere ispirate alla "morte dell'arte". Inuna mostra surreale, quasi post-human, le opere degli artisti sono ricoperte daun velo, mentre in una serie di monitor sparsi negli spazi espositivi vengonoriprodotti i volti degli artisti che cercano di descrivere a parole le loroopere invisibili. Alla Biennale di Venezia del, invece, proponeun'installazione (Overplay), inserita nel contesto di un palazzo veneziano, incui 16 iPad riproducono in maniera casuale e differenziata delle domandegenerate da un software. Si tratta di un'evoluzione del progetto "Tautologia"nel quale invece il programma riproduce in rete una serie infinita di pensierifilosofici.Dal pensiero debole al pensiero orizzontale. Bazzanelladeclina la debolezza nel senso di un passaggio dalla profondità dellametafisica a un'idea del superficiale di cui vede alcune tracce presenti inHusserl, Merleau-Ponty e Heidegger. In questo passaggio il relativismo nonviene più interpretato come una manifestazione del nichilismo, bensì come iltentativo di articolare una filosofia di una “relazionie orizzontale” che tendea scardinare l'impianto della logica aristotelica. L'echologia è untermine che Bazzanella desume da Deleuze a proposito di Tarde. Nella genesidelle Categorie di Aristotele ci siano stati movimenti contrapposti, in cuisoltanto in una seconda istanza sarebbe prevalsa un'impostazione"usiologica", “ouisologia” -- cioè basata sulla centralità della"sostanza" (ousia, stantia, essential, izzing, x izzes y. Questo passaggio è decisivo poiché segna ildefinitivo abbandono delle suggestioni della filosofia presocratica (Velia,Parmenide, Zenone, Crotone, Empedocle da Girgentu) ponendo le basi di quelloche sarebbe stato l'impianto della filosofia occidentale. La lateralizzazione,dunque, della categoria di “échein” (hazzing – habitus) nel suo duplicesignificato di "avere" (Grice: x hazzes y”) e di "essere inrelazione" ha comportato il privilegio dell'"essere" e diun'ontologia che impone un principio ed una gerarchia verticale, colla,suddivisione tra la "cosa" ed il "oggetto" (Grice’s‘obble’). x Fid y. La relazione diadicax/y e una “echo-logia, e non una “onto-logia”. L’echologia e decostruttiva.L’echo-logia evidenzia come ogni costruzione di senso, prima che “onto-logica”od ‘ontica’ e fondata sull’ente earticolata sulla relazione o, come li definisce Bazzanella,sull’”essema”. In “Echologia,” attraverso una rilettura del concetto di “aletheia”(disvegliamento), sviluppa una teoria del senso secondo la quale il senso nonpuò sussistere senza un rapporto essenziale con il “non” senso. Ciò significache le classiche legge di Parmenide dell’identità, la legge della non-contraddizione,e la legge del terzo escluso sono costruite sopra una superficie illogica. Lalegge logica e una forma di copertura (vegliamento) dell'”àlogon”(‘irrationale’). Bazzanella sostiene inoltre che la legge logica (a izz a,non-a non izz a, a o non-a), dipende mimeticamente o iconicamente da unarelazione essematica esprimibile come una pre-posizioni che istanzia unarelazioni senza referenza a le due relati. La preposizione "in" (‘jack IN thebox). La preposizione "con" (p et q, p con q). La preposizione"di” (il perro di Strawsn). La preposizione “ri-" (Grice ri-torna).Si tratta di una filosofia al limite della pensabilità. Invita a non concepire lacosa o l’oggetto. Invita a concepire la *re-lazione* (re-ferenza) -- chevengono ad esempio esperite dal neonate. l'"in" esprime l'in-esseredel feto nel grembo materno – Jack in the box, il feto nel grembo. Il"con" esprime l'essere-con la propria madre e il suo seno (“Achille eTeti”, “Romolo con la lupa”, La madre di Ascanio. La madre di Enea. La madre diRomolo (Rea Silva). Il padre di Romolo: Marte. Il "di-" echeggia nel “dià”del “dia-framma” rappresentato dal liquido amniotico rispetto al mondo esterno.Il dia-framma della dia-logo. El dia-lettico. Il "ri-" allude allari-petizione e al carattere originariamente ossessivo del bambino che cercasicurezza ri-petendo sempre i medesimo gesto (pianto, sorriso) e i medesimi suono (‘ma-ma’‘da-da’).L'impostazione relazionistica che è partita da una fenomenologiadell'orizzonte per articolarsi attraverso un'echologia e una teoria del senso, trovail suo significato nel "paradigma immunitario. Lo desume da Foucault e,soprattutto, da Gehlen, Sloterdijk ed Esposito. Se l'Ego si trova ggettato"nell'Altro sin dalla nascita, cioè in una relazione che viola la legge dellalogica e, soprattutto, che non consentono un ancoraggio rassicurante alla cosa edall’ oggetto, deve proteggersi e difendersi. Questo processo avviene però inanalogia con il sistema immunitario del corpo. Cioè l'Altro, il non-Ego, ilnon-senso (o anche il "reale" come lo definisce traendo spunto dalladefinizione di Lacan) non può essere addomesticato che attraverso l'Altro. Ilsenso ha una funzione difensiva e immunizzante e si basa su una"mimesi" del reale mediata dall’essema. Il senso "imita" iconicamentecosì il non-senso, ne è una sorta di estrusione. Questo paradosso implica ancheuna riconsiderazione del soggetto e della relazioni di soggeti(l’inter-soggetivo), soprattutto alla luce del suo dispiegamento a partire dalcogito cartesiano. Il soggetto non coincide con un'identità, un "io"pre-costituito. L’”io” rappresenta una funzione immunologica in cui l'individuoassoggetta una cosa o un’altra persona, delegando le medesime ad affrontare ilreale al proprio posto. Il soggetto è un a-soggetto nel doppio senso dinon-essere-soggetto e di as-soggettare (ab-sub-jectum, ad-sub-jectum). Lacommunita inter-soggetiva rappresenta il paradigma di un processo di normo-tipizzazionein cui una relazione essematica il puro cum senza relati, in questo caso sitrasforma in una difesa immunologica nei confronti del "fuori". Riprendeil dispositivo come orizzonte di potere intersoggetivo che funge da barriera ofiltro nei confronti del reale, nonché da sistema di controllo endo-geno enormalizzante. La normotipia da' senso a una relazione nella misura in cuiriesce a bilanciare più o meno efficacemente il senso e il non-senso. Ilrischio di un sistema di senso, infatti, è paradossalmente quello di un eccessodi senso. Ciò implica infatti una psico-tizzazione della comunità intersoggetiva,e, quindi, una sorta di non-senso di ritorno.Gli esempi sono ormaiclassici: il marxismo declina nel leninismo e degenera nello stalinismo. Il fascismo dai unpresupposto socialista diviene untotalitarismo spietato e annientante. Si tratta di un *eccesso* di senso, di unsurplus immunitario che, se inizialmente intendeva distanziare e filtrare ilreale, comporta alfine una sorta di "divenire-reale" del sensostesso, un'insensatezza reattiva e reazionaria. È in tale prospettiva che ilmodello di senso tardocapitalistico sembra svolgere una funzioneautoimmunitaria. Il soggeto non ha a che fare soltanto con un processo distretta pertinenza economica, ma con un orizzonte di senso condiviso che permeaogni aspetto dell'esistenza itersoggetiva. Società dello spettacolo e societàdei consume momenti in cui in particolare si esplica il capitalism nonsarebbero che una forme dialettica di reazione all'eccesso di senso deltotalitarismio. Si tratta di un bilanciamento tra un'evasione nell'immaginarioe un ri-torno al reale che si manifesterebbe nel momento stesso del consume. Note A. Fabris, La noia, il nulla, in «autaut», La Nuova Italia, Firenze, Bonami, Ladittatura dello spettatore, Catalogo generale dell’Esposizione d'Arte. LaBiennale di Venezia, Marsilio, Venezia, Storr (a c. di), Pensa con i sensi,senti con la mente, Catalogo generale della 52. Esposizione Internazionaled'Arte. La biennale di Venezia, Marsilio, Venezia, Birnbaum, Fare Mondi,Catalogo generale della 53. Esposizione Internazionale d'Arte. La Biennale diVenezia, Marsilio, Venezia, Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corsoal Collège de France, Feltrinelli, Milano, Esposito, Immunitas. Protezione enegazione della vita, Einaudi, Torino, Esposito, Communitas. Origine e destinodella comunità, Einaudi, Torino, Tempo e linguaggio. Studio su VladimirJankélévitch, Franco Angeli, Milano, Orizzonte. Passività e soggetto in Husserle Merleau-Ponty, Guerini e associati, Milano, Contaminazione. L'idea distruttura in Heidegger, Angeli, Milano, Spazio e potere. Heidegger, Foucault,la televisione, Mimesis, Milano, Il luogo dell'Altro. Etica e topologia inLacan, Angeli, Milano, Idee per un'echologia fenomenologica, Franco Angeli,Milano, Echologia. Introduzione a una fenomenologia della proprietà e a unacritica del pensiero ontologico, Asterios Editore, Trieste, Fede, echologia,sapere, Asterios Editore, Trieste, La Fabbrica, Trieste, FrancoPuzzoEditore, Trattato di echologia, Mimesis, Milano, Lafabbrica, FPE Editore, Trieste, Il ritornello. La questione del senso inDeleuze-Guattari, Mimesis, (Milano). Il tardocapitalismo. Decorsi e patologiedi una rivoluzione permanente, Asterios Editore, Trieste, Etica deltardocapitalismo, Mimesis, Milano, Logica e tempo, Abiblio, Trieste, Autoscrittura,Asterios Editore, Trieste, Religio I. Senso e fede nel tardocapitalismo,Mimesis, Milano Religio II. La religionedel soggetto, Mimesis, Milano. Indignatevi, Asterios Editore Trieste. Oltre ladecrescita. Il Tapis Roulant e la società dei consumi, Asterios Editore,Trieste. Lacan. Immaginario, simbolico e reale in tre lezioni, Asterios,Trieste. Filosofie della paura. Verso la condizione post-postmoderna, AsteriosEditore, Trieste. La filosofia e il suo consumo. Nuovo realismo e postmoderno,Asterios Editore, Trieste. Religio III. Logica e follia, Mimesis, Milano. Erose Thanatos. Senso, corpo e morte nel XX Seminario di Lacan, Asterios Editore,Trieste,. Come. Linee guida per una immuno-fenomenologia, Asterios Editore,Trieste,. Il numero e il fenomeno, Asterios Editore, Trieste. Il tragico e ilcomico nell'epoca del grillismo e del trumpismo, Asterios Editore, Trieste.Simbolo e violenza, Asterios Editore, Trieste. Del fallimento. Simbolo eviolenza II, Asterios Editore. Filosofi italiani Filosofi. Emiliano Bazzanella.Keywords: il lugo dell’altro – etica e topologia, L’echologia di Grice (dal greco‘echein,’ avere, hazzing), essema, essematica, inessema, coessema, diaessema,riessema, aritmetica. Esposito, communita, immunita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bazzanella” –The Swimming-Pool Library.